Pubbl. Sab, 8 Mag 2021
Criminalità mafiosa e criminalità economica: intersezioni e differenze
Modifica paginaIl presente elaborato vuole indagare il tema molto complesso ed attuale della criminalità mafiosa e criminalità economica. Verranno illustrate le intersezioni fra i due fenomeni criminali, nonché se è possibile configurare l´ipotesi del reato di associazione a delinquere per le organizzazioni di imprenditori criminali, prospettando un ipotetica figura di ”criminalità economica organizzata”. In secondo luogo verrà vagliato il ruolo delle tradizionali organizzazioni criminali nella reiterazione di condotte criminali economiche, in particolare, come le associazioni mafiose si fanno impresa fornendo servizi ad imprese lecite, e come le stesse si strutturano secondo un modello aziendale per la gestione dell´organizzazione. Inoltre, focus su misure patrimoniali e giurisprudenza in materia.
Sommario: 1. L'ipotesi dell'associazione per delinquere nel contesto della criminalità d'impresa: il caso emblematico deciso dalla sentenza, Gip Trib. Firenze 16 aprile 2012; 2. Struttura dell'art. 416 c.p.; 3. Possibile sovrapponibilità della societas sceleris all'organizzazione imprenditoriale; 4. Dissimulazione di attività illecita e contemporaneo svolgimento di attività d'impresa; 5. L'indeterminatezza del programma della societas sceleris; 6. L'impresa mafiosa; 7. Corruzione e criminalità d’impresa e criminalità organizzata; 8. La nuova legge anticorruzione. 9. Il nuovo codice antimafia (legge 17 ottobre 2017, n. 171); 10. Racket delle estorsioni; 11. Misure patrimoniali contro la criminalità organizzata; 12. Considerazioni conclusive.
1. L'ipotesi dell'associazione per delinquere nel contesto della criminalità d'impresa: il caso emblematico deciso dalla sentenza, Gip. Trib. Firenze 16 aprile 2012
La sentenza, Gip. Tribunale di Firenze 16 Aprile 2012 si segnala, in primo luogo, per l'interpretazione, condivisibile solo in parte, del requisito strutturale dell'associazione per delinquere e, ancor più, perché si discosta dall'orientamento giurisprudenziale dominante in tema di applicazione del modello delittuoso associativo nel contesto della criminalità economica1. La vicenda vagliata dal Gup. del Tribunale di Firenze concerneva presunte condotte illecite poste in essere da esponenti di un gruppo societario italiano operante nel settore dell’illuminotecnica2.
In particolare, sarebbe stato escogitato un sistema di "triangolazione" con Stati terzi (Malesia, Filippine e Svizzera) al fine di evadere dei dazi doganali c.d. "Antidumping"3 sull’importazione verso l’Unione Europea di merci cinesi. Il Meccanismo di contrabbando consisteva nel far apparire di produzione filippina o malese lampade elettroniche fluorescenti compatte integrali (CFL-i), realizzate, invece, in Cina da imprese partecipate dal medesimo gruppo con sede in Italia che ne risultava acquirente all'esito di operazioni commerciali inesistenti dal punto di vista soggettivo. L'ipotesi d'accusa era incentrata su una serie di episodi criminosi, m particolare, corruzione di pubblici ufficiali stranieri e fattispecie di falso ex arte. 479 e 480 c.p., considerati delitti-scopo di un’associazione per delinquere costituita nell'ambito di aggregazione di imprese.
Del sodalizio avrebbero fatto parte i vertici e azionisti della capogruppo, oltre a soggetti inseriti a vario titolo nella "corporate governance" delle controllate/partecipate, ovvero spedizionieri che curavano le fasi del trasporto delle merci anche sotto il profilo cartolare e doganale. Il capo di imputazione distingueva tra promotori e organizzatori dell'associazione criminosa, da un lato, e meri partecipi, dall’altro.
Il presunto vertice della societas sceleris coincideva con quello del gruppo imprenditoriale al quale si riferivano le operazioni commerciali contestate, mentre il ruolo di partecipe era attribuito a persone di rango inferiore nella gerarchia aziendale, o che comunque non avevano preso parte alla fase ideativa e di pianificazione del programma criminoso, nonché a coloro che erano incaricati di attività esecutive, al limite costituenti i delitti-scopo del sodalizio.
L'operatività transnazionale dell'ipotizzata societas sceleris determinava, altresì, la contestazione dell'aggravante prevista dal combinato disposto degli artt. 3 e 4 della legge 16 Marzo 2006 n.146, e dell'illecito amministrativo da reato ex art 101.cit., a carico degli enti nell'interesse dei quali era posta in essere l'attività delinquenziale.
2. Struttura dell'Art. 416 c.p.
La motivazione della citata sentenza si sofferma dapprima sull'intervenuta prescrizione di gran parte dei delitti scopo della contestata societas sceleris per poi valutare la sussistenza del delitto associativo in sé. A quest'ultimo proposito il giudicante mostra di aderire all'orientamento ermeneutico maggioritario, secondo cui l'Art. 416 c.p. contiene un requisito implicito, cioè che l'associazione penalmente illecita sia dotata di una struttura organizzativa. Ciò costituirebbe, insieme all’indeterminatezza del programma criminoso il più affidabile criterio distintivo tra ipotesi di concorso di persone nel reato continuato e fattispecie associative 4.
Il richiamato elemento strutturale è, però, inteso in maniera fortemente differenziata, sia in dottrina, sia in giurisprudenza. Secondo alcuni interpreti basterebbe a integrare il requisito in discorso persino un’organizzazione rudimentale5, mentre l'opinione prevalente fa leva sul, non meglio specificato, concetto di adeguatezza della struttura rispetto al perseguimento degli obiettivi delinquenziali del sodalizio, in ossequio ai canoni giuspenalistici di offensività, sussidiarietà ed extrema ratio6. Il quadro giurisprudenziale si presenta sul punto in termini parzialmente differenti rispetto a quelli esposti con riferimento alla dottrina.
Superando quelle prese di posizione estreme, che relegano in secondo piano il substrato organizzativo e si concentrano in via primaria sull’accordo tra i sodali7, la Cassazione ha compiuto un percorso evolutivo, che, partendo dalla constatazione del carattere informale8 e non necessariamente gerarchico9 della struttura, è passato dalla generica verifica circa l'apprestamento dei mezzi occorrenti per tradurre in atto il programma criminoso10 alla compiuta valorizzazione del profilo strutturale, in termini di adeguatezza ed idoneità a realizzare gli obiettivi11. Permane, tuttavia, un elevato grado di incertezza sul livello di complessità dell'organizzazione, che nelle pronunce di legittimità è in prevalenza concepita in forma "rudimentale" 12, mentre altre decisioni la intendono in maniera più articolata, richiedendo che sia a base stabile 13 e «disponga di mezzi sufficienti per l'attività programmata diretti ad assicurare il successo degli accordi instaurati tra i complici»14.
3. Possibile sovrapponibilità della societas sceleris all'organizzazione imprenditoriale
Profilo cruciale della sentenza è la sovrapponibilità della presunta societas sceleris con l'organizzazione imprenditoriale, cioè il gruppo societario, nel cui ambito erano commessi i contestati reati-fine. Il decidente attesta l'insussistenza del delitto associativo sul rilievo che, in simili ipotesi, sarebbe necessaria la dimostrazione che il sodalizio criminoso rappresenti «un organizzazione autonoma da quella lecita»15. In altri termini, qualora non ci si trovi al cospetto di società appositamente create per commettere delitti, ma si abbiano al contrario imprese effettivamente esistenti e che svolgono effettivamente attività produttive e commerciali lecite, sarebbe inammissibile un eventuale fungibilità dell'organizzazione aziendale. Ergo, un eventuale associazione criminosa riposta nell'intimo dell'ente, potrebbe sussistere soltanto provandone l'autonomia dal punto di vista strutturale. L'assunto che precede, coglie nitidamente la principale problematica connessa all'immedesimazione di un’associazione per delinquere con un’organizzazione imprenditoriale, cioè la difficoltà, d'ordine squisitamente probatorio, di distinguere tra le vicende aziendali e quelle criminali16.
È opportuno porre in risalto che la possibilità di concepire una societas sceleris in ambito "affaristico", anziché in un contesto criminale "di strada", non è nuova all'interno del panorama giurisprudenziale italiano17, sebbene i precedenti siano in numero assai contenuto18. Poiché in base al tenore letterale della norma incriminatrice in esame qualsiasi tipologia di delitti è suscettibile di costituire scopo del sodalizio, non vi sono difficoltà di sorta nel ritenere che il programma delinquenziale possa consistere anche in "illeciti imprenditoriali" in senso stretto, come ad esempio i fatti di bancarotta19.
D'altronde la circostanza che nell'esercizio dell'impresa, in forma individuale o societaria, sia solitamente coinvolta una pluralità di persone che si avvalgono di mezzi strumentali all'attività economica, permette senza dubbio di concepire un’associazione per delinquere il cui elemento strutturale sia di fatto sovrapponibile, totalmente o parzialmente, a quello di un entità di per sé lecita, posto che l'organizzazione costituisce elemento indefettibile tanto dell'attività di impresa, ex art. 2082 c.c., quanto del sodalizio criminoso, ex art. 416 c.p. Occorre, tuttavia, distinguere tra fattispecie nelle quali la struttura è funzionale in via esclusiva alla perpetrazione di illeciti e quelle in cui la commissione di reati ha luogo in parallelo ad un'attività legittima.
4. Dissimulazione di attività illecita e contemporaneo svolgimento di attività d’impresa
Nella prassi, sono tutt'altro che infrequenti vicende ove un'impresa, di solito in forma societaria, funge da mero "schermo" rispetto al sodalizio che se ne serve a scopi delinquenziali. In simili ipotesi è forse più appropriato connotare l'attività come pseudo-imprenditoriale, posto che l'organizzazione lecita è in concreto priva di qualsivoglia funzione diversa dalla realizzazione di reati. Numerosi precedenti giurisprudenziali sono orientati a ritenere plausibile, e non inconsueta, la sussistenza di sodalizi criminali dissimulati attraverso una società legittima20.
Riveste notevole importanza, al riguardo, la precisazione che ai fini della «configurabilità del delitto di associazione per delinquere la legge non richiede l'apposita creazione di un'organizzazione, sia pure rudimentale, ma l'uso di una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già adibita a finalità lecite21», «ben potendo, quindi, un sodalizio malavitoso realizzarsi anche dissimulandosi dietro una veste di apparente legalità» 22.
I delitti-scopo posti in essere in simili contesti risultano solitamente quelli connessi all'attività pseudo-imprenditoriale della società, che costituisce l'apparato organizzativo della societas sceleris strumentale alla realizzazione del programma criminale23. Le fattispecie più ricorrenti sono quelle contro il patrimonio24 (in special modo truffe, ai danni di privati o di enti pubblici), oppure reati in materia fiscale25, sebbene non siano mancati casi di associazione per delinquere con veste societaria finalizzata a perpetrare illeciti ambientali26 o frodi in commercio27.
Ben diversa l'ipotesi in cui l'associazione per delinquere nasca e viva all'interno di un ente che continua a operare legittimamente, non essendo del tutto proiettato a finalità criminali. Siffatto schema, a lungo scartato dalla prassi, probabilmente anche per ragioni di matrice culturale28, è stato per la prima volta utilizzato nei procedimenti penali scaturiti dagli scandali economico-finanziari emersi nel decennio appena trascorso29.
Le sentenze finora intervenute nell'emblematica vicenda Parmalat hanno avallato le tesi d'accusa, ed emesso condanne anche per il delitto di cui all'art. 416 c.p., pur omettendo talvolta adeguati approfondimenti motivazionali, sia a causa della complessità dei fatti sottoposti a giudizio, tale da porre in secondo piano il percorso argomentativi sulla fattispecie associativa, sia soprattutto in virtù del ruolo per così dire “ancillare” dell'incriminazione in esame rispetto ai delitti-scopo di volta in volta rilevanti30.
Nelle ipotesi di coesistenza di struttura lecita e sodalizio criminoso, ulteriore e non meno rilevante nodo problematico attiene al fatto partecipativo. La giurisprudenza sul punto si limita alla tradizionale affermazione, per la quale ciò che conta non è la natura, in sé legittima, dell'ente, bensì le concrete modalità gestionali, che, se illecite, giustificano l'incriminazione ex art. 416 c.p.31. Il ragionamento incentrato sul profilo gestorio è rilevante esclusivamente solo in riferimento ai vertici della societas sceleris, nelle ipotesi in cui coincidano con coloro che governano la struttura lecita, cosicché risulta agevole dimostrare la volontà di sottomettere, in parte, l'organizzazione a finalità delinquenziale. Lo stesso non può dirsi per il mero partecipe, in relazione al quale deve essere provato il cosciente e volontario apporto ad un’organizzazione finalizzata anche al compimento di un numero indeterminato di delitti, in parallelo con l'attività legittimamente esercitata32.
Aderendo al prevalente orientamento ermeneutico, che concepisce la partecipazione in termini "causali"33, occorrerà dunque fornire prova che l'inserimento di un soggetto in una struttura lecita e illecita al contempo, sia posto in essere allo scopo di commettere una pluralità di fattispecie delittuose. Pertanto, il reiterato concorso nei reati-fine non rappresenta di per sé fattore risolutivo, poiché si atteggia come fenomeno neutro rispetto alla partecipazione al sodalizio, che deve essere dimostrata specificatamente per giustificare la severa punibilità del delitto associativo anche in assenza della realizzazione del programma criminoso. La circoscritta casistica di "immedesimazione" tra associazioni per delinquere e strutture lecite, che hanno continuato a operare parallelamente alla realizzazione delle attività criminose da parte del sodalizio “intraneo”, presenta esiti processuali contrastanti con riguardo alla prova del delitto associativo34.
Il richiamo a tali vicende può dunque risultare di interesse non soltanto sotto il profilo probatorio, ma anche al fine di valutare la consistenza della stringata motivazione della sentenza in commento circa l'inconfigurabilità del delitto ex art. 416 c.p., nell'ambito di un’aggregazione di società commerciali in assenza di una struttura autonoma.
5. L’indeterminatezza del programma della societas sceleris
La «latente sovrapponibilità»35 dell'associazione per delinquere al distinto fenomeno del concorso di persone nel reato ha tradizionalmente comportato la necessità di individuare idonei criteri, per discernere tra l'istituto di parte generale e la figura incriminatrice di parte speciale. L'opinione più risalente36 e consolidata in dottrina e giurisprudenza fa leva sull’indeterminatezza del programma della societas sceleris, ove l'accordo tra i partecipi ha per oggetto un generico insieme di delitti37 ed è destinato a durare nel tempo, mentre nel concorso ex art. 110 c.p. l'incontro antigiuridico di volontà riguarda una o più specifiche fattispecie e si esaurisce con la realizzazione delle stesse38.
La tesi maggioritaria continua a focalizzare l'attenzione sul pactum sceleris, senza considerare a pieno le difficoltà connesse alla prova di un fatto psichico quale è di solito l'accordo, sia esso tra sodali o tra concorrenti nel reato. In questo modo si finisce per attribuire una funzione dirimente ai delitti-scopo, consumati o tentati, che rappresentano l'architrave probatorio tanto ai fini della dimostrazione di esistenza della societas sceleris, quanto per connotare il programma delinquenziale come "indeterminato"39 e "duraturo"40.
La sentenza qui annotata si allinea in larga misura alla descritta impostazione, e nega la configurabilità del delitto ex art. 416 c.p. sul rilievo che i reati oggetto dell'accordo associativo «erano assolutamente determinati, sia nel numero che nella tipologia e anche la durata della presunta associazione non risultava affatto indeterminata essendo invece strettamente correlata alla durata del dazio antidumping41 sulle merci fabbricate in Cina». La tesi del giudicante risulta contraddittoria, sul piano logico giuridico oltre che dal punto di vista fattuale-probatorio.
Sotto il primo profilo la decisione adotta una prospettiva ex post correlando l'aspetto diacronico della contestata associazione per delinquere alla durata limitata nel tempo delle misure protezionistiche miranti a disincentivare, attraverso il pagamento del c.d. dazio Antidumping, l'importazione di prodotti cinesi: un simile ragionamento appare tuttavia criticabile poiché ai fini della valutazione dell'indeterminatezza del programma delinquenziale, è indispensabile collocarsi in ottica ex ante, che altrimenti si subordinerebbe la punibilità del fatto associativo alla realizzazione dei delitti-scopo, così annullando il meccanismo di arretramento della soglia del penalmente rilevante espresso all’art. 416 c.p. attraverso l'inciso «perciò solo».
La contraddittorietà della sentenza emerge con chiarezza allorché il decidente afferma che «i vertici di quel gruppo societario adottarono la decisione, in un certo momento, di porre in essere condotte illecite e coinvolsero vari dipendenti [...], nella misura e con le modalità che la situazione in evoluzione richiedeva»42. In relazione a questo assunto è evidente l’incompatibilità tra un contesto fattuale incompiuto e qualsivoglia predeterminazione in ordine a tipologia e numero dei reati-scopo.
6. L'impresa mafiosa
Dopo aver analizzato la figura della criminalità economica, soffermandoci, in particolare, sulla figura dell'impresa criminale e degli illeciti commessi da imprenditori o gruppi di professionisti, bisogna chiedersi, se le definizioni di criminalità economica sono basate al paradigma del colletto bianco di Sutherland o dell'imprenditore criminale, quali sono le differenze con la criminalità organizzata?
Alcuni criminologi evidenziano i legami fra criminalità economica e criminalità organizzata, arrivando alla formulazione della categoria unitaria di “criminalità economica organizzata”, A. Di Nicola, infatti, sostiene che «accade con sempre maggiore frequenza che una stessa tipologia di illecito possa essere commessa sia da un gruppo di professionisti o imprenditori sia da un gruppo criminale organizzato tradizionale. Ciò si può verificare per un’operazione di riciclaggio, una frode all’Unione Europea, una manovra di aggiotaggio su titoli societari, un ‘attività correttiva. Azioni illegali di questo tipo sono condotte indistintamente da esponenti di entrambe le categorie, con colletti bianchi e criminali organizzati che adottano modalità d’attuazione identiche o molto simili»43.
V. Ruggiero sostiene che la distinzione fra crimine economico e organizzato sarebbe ormai soltanto una anomalia analitica, frutto prevalente delle suddivisioni in specialisti che esistono all'interno della disciplina criminologica44. Mentre altri studiosi come DC Smith e R.D. Alba invitano a guardare il crimine economico e il crimine organizzato dalla variabile imprenditorialità invece che dalla variabile criminalità45.
Passando alle caratteristiche dell’impresa mafiosa, uno dei primi studiosi a descriverle è stato P. Arlacchi, definendo l'imprenditore mafioso come un soggetto che «non viene trattenuto dagli stesi freni di natura legale e culturale che agiscono sugli altri imprenditori46.» Venivano indicati tre elementi differenziali peculiari dell'impresa mafiosa, come vantaggi competitivi rispetto all'impresa normale: lo scoraggiamento della concorrenza, la compressione salariale, la disponibilità di risorse finanziare. Sulla base di questi elementi, si sarebbe verificata una trasformazione dell'agire mafioso, infatti, «già verso la metà degli anni ‘70, la tradizionale fisionomia parassitaria dell'azione mafiosa in campo economico è passata in secondo piano, in favore di un salto qualitativo verso un aggressiva presenza imprenditoriale che agisce in direzione di una espansione e non di un impedimento delle forze di mercato47». Perciò il fenomeno mafioso non è più «una componente improduttiva e subalterna dell'economia, ma una forza della produzione nelle strutture portanti dell'universo socio economico di aree sempre più vaste del Mezzogiorno»48.
E. Fantò49 ha analizzato l’impresa a partecipazione mafiosa, fondata su un rapporto di compenetrazione tra mafioso ed imprenditore e su forme di compartecipazione o di cointeressenza tra capitale mafioso e capitale legale. Lo stesso autore definiva l'impresa mafiosa come «l'unità economica che trae origine [..] da un capitale frutto, in tutto o in parte, di attività di natura criminale, che ha lo scopo di produrre e o scambiare servizi leciti, che operano nei mercati ufficiali con modalità formalmente legali o anche apertamente illegali, ma la cui forza competitiva essenziale è in ogni caso costituita dalla forza di intimidazione dell'associazione a cui appartiene il proprietario reale di tale unità economica, comunque e da chiunque essa sia formalmente diretta e gestita50».
Quindi, impresa, politica e mafia costituiscono un circolo vizioso che mette in relazione politici, impresa legale e impresa mafiosa, fondata su scambi e favori reciproci51. Continuando E. Fantò, distingue tre tipi di imprese mafiose: "Impresa criminale-legale", in cui i soggetti sono i titolari formali e di fatto sono associati all'organizzazione mafiosa ed usano metodi concorrenziali violenti ed il capitale è frutto di attività criminali; "Impresa illegale-legale" con il sistema del c.d. prestanome, dove il capitale è di origine criminale ed il proprietario effettivo è un mafioso, mentre il titolare formale risulta essere una persona apparentemente pulita che gestisce l'impresa secondo criteri legali; "Impresa legale-illegale", è un’impresa nata come impresa legittima che ad un certo punto entra in rapporti di cointeressenza o compartecipazione con la mafia e i suoi capitali. In questo caso l'impresa si presenta formalmente legittima ed agisce secondo i criteri e le leggi del mercato, ma la sua illegalità è nella sua compresenza di interessi, soci e capitali legali e illegali. Questa, è l'impresa a partecipazione mafiosa.
Questi tipi di imprese rappresentano l'evoluzione dell'impresa mafiosa in un tempo piuttosto limitato e sono tutti presenti negli assetti odierni dell'economia mafiosa52 ed inoltre, per i loro indebiti vantaggi competitivi hanno naturale capacità espansiva che inducono a credere e a sostenere il falso mito che le mafie producono e creano occupazione, rendendole socialmente accettabili53.
Anche il magistrato G. Lo Forte, definisce l'impresa mafiosa come un’organizzazione caratterizzata da uno o più di tre elementi: la "finalità dell’impresa" che consiste nella realizzazione di condotte di riciclaggio; la "natura mafiosa" dell'imprenditore e/o dei dirigenti della stessa; la "provenienza illecita dei capitali utilizzati dall’impresa"54.
Sulla questione, U. Santino aggiunge che: «se lo studio dell'impresa mafiosa riguarda esclusivamente o prevalentemente le attività economiche formalmente lecite, lo studio della mafia-impresa riguarda più in generale l’agire mafioso come una razionale combinazione di mezzi e fini di arricchimento»55.
Un altro contributo all'analisi sociologica dell'impresa mafiosa è quello di R. Catanzaro, il quale, sulla base dei primi provvedimenti della legge antimafia, ha approfondito la definizione di impresa mafiosa e tipi di reticoli di attività imprenditoriali dei gruppi mafiosi, i rapporti tra questi reticoli e l'economia siciliana, nonché le connessioni tra l'economia siciliana e sistemi di regolazione sociale56. Inoltre, in un altro studio dell'autore, si evidenzia come le imprese mafiose si distinguono anche sulla base dei metodi utilizzati, cioè possono adottare comportamenti ispirati alle regole o utilizzare strumenti illegali per imporre i propri prodotti e servizi. Tra gli strumenti illegali si comprende il mancato rispetto della normativa in materia di lavoro, fino a giungere alla corruzione e, in estremi casi, all'intimidazione e alla violenza57.
Secondo M. Ricciardi, i motivi che spingono un mafioso a creare un’impresa mafiosa non sono sempre gli stessi. La tipica motivazione della letteratura è quella legata al riciclaggio di una parte dei proventi dell'attività criminale. Ma l'enorme business criminale, ad esempio il narcotraffico, l'usura, il traffico d'armi, pone un problema relativo alla gestione dei proventi: alcuni sono reimpiegati nell'attività criminale e utilizzati per la gestione del gruppo criminale, come il pagamento degli affiliati il mantenimento delle famiglie dei detenuti, la gestione della cosca, altri proventi devono essere riciclati e impegnati in attività legali dove sia possibile esercitare il monopolio o comunque molto denaro come ad esempio nel mercato dell'energia eolica, oppure imprese indirettamente controllate come quelle del settore dei rifiuti speciali ed urbani, della ristorazione e grande distribuzione58.
Un'altra tesi è quella di D. Gambetta, il quale sostiene che l'essenza della mafia consiste nel suo essere industria della protezione e la sua forza risiede nella capacità di offrire fiducia e protezione. Sicché «i mafiosi non sono qui considerati imprenditori di beni illegali, né tantomeno imprenditori violenti di beni legali. Come tali, i mafiosi, non si occupano d'altro che di protezione». La protezione non è altro che un fatto organico delle organizzazioni criminali, e grazie all'impresa mafiosa è possibile mascherare l'attività estorsiva "di protezione” con l'affidamento di servizi a realtà imprenditoriali controllate dall'organizzazione mafiosa, come ad esempio nel settore delle costruzioni59.
Pertanto, U. Santino aggiunge che «la mafia offre certamente un servizio, anzi più servizi60.» Alla luce di tale affermazione possiamo schematicamente ricomprendere in due grandi categorie i servizi offerti dai mafiosi: 1) offerta di capitali o di beni illeciti , offerta a prezzi minori di beni leciti offerta di servizi economicamente più conveniente rispetto a ' gli stessi servizi offerti da altri; 2) servizi che costituiscono le articolazioni del rapporto scambio-alleanza -condivisione del potere che si configura tra mafiosi ed altri soggetti, avendo , però, ben presente che la mafia ha una sua autonomia, e che più che un agenzia a servizio di altri persegue interessi propri che coincidono con quelli di altri, cioè imprenditori, politici ecc.. Per chi accetta l'imposizione mafiosa, o per chi ricerca l'aiuto della mafia, s'innesca un meccanismo di complicità e di cointeresse, per cui non si può parlare di vittime. La tipologia dei rapporti è variegata: essi possono andare dall'affiliazione formale (è il caso di molti imprenditori-mafiosi palermitani) al patto d'alleanza, allo scambio di favori, ecc. I vantaggi non derivano dalla protezione, ma dal fatto che le cosche, sono detentrici di potere, un potere di fatto ed istituzionale, e ciò non può non produrre benefici per chi è cooptato. C'è, però, chi non ha bisogno dell'imposizione per stare con la mafia, appunto perché allearsi con essa significa godere di una serie di vantaggi: non solo protezione, ma pure la possibilità di disporre di denaro facile, di condurre attività illegali e legali in comune, di avviare rapporti con politici ed amministratori, cioè di inserirsi in due vasti ambiti di attività e relazioni al cui centro agiscono i gruppi mafiosi.
U. Savona e L. Mezzanotte61, invece, evidenziano come i gruppi criminali organizzati assumono i caratteri di una maggiore professionalità con una forte interdipendenza tra reati economici come la frode, il riciclaggio, e la corruzione. Del resto, «il fenomeno delle interdipendenze tra i reati economici è la manifestazione tangibile della specializzazione, professionalizzazione, e organizzazione della criminalità economica dei nostri giorni. Infatti, quanto più il contesto in cui i criminali si trovano a operare diviene complesso, tanto più essi necessitano di esperienza professionale e di ampie strutture organizzate per competere reati. Chi compie reati economici su larga scala ha bisogno di molte informazioni concernenti leggi, tecniche e pratiche, al fine di poter valutare opportunità e rischi [..] ha bisogno di professionisti capaci di consigliare. Questi professionisti possono essere [..] anche dei colletti bianchi che operano per conto proprio o offrono servizi ad altri gruppi criminali. Connivenze tra mercati legali e illegali, tra imprese lecite e criminalità organizzata si intensificano sempre più62».
Secondo Lamberti, gli investimenti dell’economia legale sono chiaramente finalizzati: 1) ad assicurarsi gli strumenti per il più rapido riciclaggio del denaro accumulato attraverso imprese criminali; 2) a realizzare il controllo di interi settori del mercato determinando prezzi, volumi di scambio, occupazione; 3) a impadronirsi di quote consistenti della spesa pubblica erogata sia indirettamente attraverso il credito agevolato, gli sgravi fiscali, le provvidenze statali comunitarie, per i diversi settori di attività. Due sono le conseguenze: dal punto di vista sociale, grazie a tale strategia, le organizzazioni criminali hanno assunto un ruolo centrale nella regolazione del mercato del lavoro ed hanno introdotto distorsioni, non sempre visibili, nella dinamica occupazionale al livello di offerta di lavoro; dal punto di vista istituzionale, tale strategia, ha imposto alle organizzazioni criminali, la necessità di operare un controllo sempre più accentuato delle amministrazioni locali per dirigerne a proprio vantaggio le decisioni in ordine alla spesa ordinaria, alla utilizzazione dei finanziamenti ordinari e straordinari per la realizzazione di opere pubbliche, alle variazioni ai piani urbanistici per attuare lottizzazioni in difformità della destinazione dei suoli. Il fatto che le organizzazioni criminali siano presenti come imprese legali sul mercato, unito al fatto che le amministrazioni locali sono, nel Mezzogiorno, il soggetto economico più importante e costante del mercato dà vita ad una saldatura, sempre più frequentemente evidente, tra amministrazioni locali e imprenditori camorristi63.
Sul problema se l’imprenditoria camorrista produce o impedisce lo sviluppo economico Lamberti sostiene che la camorra, con il suo sistema di imprese s'impadronisce dello sviluppo, orientandolo con la sua sola presenza, oltre che con i suoi massicci investimenti, in una direzione piuttosto che in un’altra, secondo la logica della realizzazione immediata di profitti, anche attraverso il controllo di un intero comparto produttivo. Ne è un esempio l'acquisizione da parte di Michele Zagaria, Boss del "Clan dei Casalesi", intendendosi per tale la consorteria criminale di stampo camorristico originatasi nei comuni del casertano, in ispecie, Casal di Principe, della rappresentanza sull'intero territorio meridionale dei prodotti a marchio Parmalat. Le indagini della magistratura hanno evidenziato come l'acquisizione dello Zagaria, aveva consentito alla stessa azienda di conquistare una quota di mercato molto elevata rispetto quella raggiunta in altre zone d'Italia, e questo non solo per la bontà del prodotto o per la politica di acquisizione di altri marchi presenti sul mercato locale, ma grazie alla forza di intimidazione che i "casalesi" erano stati in grado di mettere in atto nei confronti di supermercati e dettaglianti. La partecipazione dei "casalesi" non si è però limitata al piazzamento del prodotto sul mercato ma si è estesa alla gestione delle aziende di produzione e trasformazione del latte, installate o acquisite sul territorio casertano e meridionale64.
Tutto ciò non può realizzarsi senza il coinvolgimento di consulenze professionali, infatti, Lamberti scrive che: «l'incremento degli studi commerciali e delle società di consulenza finanziaria che da anni si registra in Campania, [..] lascia intendere che un’altra saldatura si è ormai realizzata e consolidata, quella tra “imprenditori e finanzieri camorristi” e professionisti della consulenza economica, commerciale e finanziaria65».
Queste considerazioni, introducono il tema dell'impresa di camorra o meglio del modello aziendale camorristico/mafioso, per cercare di interpretare talune dinamiche criminali napoletane.
Una sentenza della Corte d'Assise di Napoli analizza una serie di omicidi avvenuti nel 1998 tra la camorra "dell'Alleanza di Secondigliano" e quella del "clan di Vincenzo Mazzarella". I giudici scrivono che: «la c.d. Alleanza di Secondigliano non è risultata inscindibilmente legata alla figura di un capo padrone, ma strutturata attraverso criteri intermedi di competenza con riferimento anche ad ambiti di parziale autonomia in vista della realizzazione di più importanti obiettivi, secondo uno stile tipicamente aziendale. Un conferimento di competenze, operato all'interno di forme di controllo, ha consentito di rendere più agevole la struttura ed immediato l'invio di specifiche direttive per risolvere ogni eventuale difficoltà potesse sorgere, il tutto senza ingolfare il lavoro dei capi che potevano tranquillamente concentrarsi su altre questioni più importanti per la vita dell’organizzazione. Una strutturazione improntata più ad un carattere aziendale [..] ha consentito, in primo luogo, di avere sempre persone dotate di capacità decisionale e presenti in maniera varia sul territorio, il che ha anche assicurato una continuità di comando sconosciuta alle organizzazioni diversamente articolate e costrette a dover fare i conti con eventuali problemi giudiziari del [..] leader che poteva non assicurare una presenza costante sul territorio. Vi è senz’altro crescita di competenze professionali. L'elemento di rottura rispetto alle organizzazioni classiche è costituito dall'attuazione di forme di decentramento del potere e del controllo all'interno del sodalizio [..] si sono create una pluralità di squadre suddivise su una vasta zona territoriale, che potevano sempre entrare autonomamente in azione anche senza essere costrette a richiedere una preventiva autorizzazione ai capi, e ciò al fine di evitare possibili perdite di tempo che avrebbero potuto significare l'impossibilità di colpire obiettivi avversari. Vi erano pure persone che occupavano un rango intermedio della gerarchia dell'associazione, a cui erano state delegate le competenze di controllo. Questa realizzazione di stadi intermedi, che potrebbero ben essere rapportati ai quadri aziendali, occupati da persone titolari del potere di autorizzare un omicidio assumendosene la responsabilità ma che dovevano rispondere ai capi del loro operato, costituisce un cambiamento assoluto nel panorama dell'associazione criminale e l'assoluta novità e forza del sodalizio in oggetto il quale, con questa organizzazione, è riuscito ad attuare un sistema agile e capace di essere immediatamente operativo senza rimanere invischiato in rallentamenti che una centralizzazione delle decisioni avrebbe certamente comportato e che le sue dimensioni avrebbero reso inevitabili66».
Come si evince dagli atti processuali, questo, a parere di chi scrive, è un modello operativo di tipo aziendale, dove le organizzazioni camorristiche sono strutturate in modo da preservare per quanto possibile i vertici criminali, e fornendo un’autonomia tale da garantire la massima operatività nelle scelte gestionali ed economiche del gruppo.
In conclusione, al quesito se è possibile un nesso tra criminalità economica e criminalità organizzata, dal quadro prospettato e dagli studiosi citati, possiamo sostenere l’ipotesi che la criminalità economica nella sua parte significativa è criminalità organizzata come criminalità che si organizza e non riferita alla criminalità tradizionale.
7. Corruzione e criminalità d’impresa e criminalità organizzata
Sotto il profilo penale, la corruzione può essere definita come la condotta illegale di un pubblico funzionario il quale, in cambio di denaro o di altra utilità effettivamente ricevuta o semplicemente promessa, compie atti d'ufficio oppure agisce in modo contrario ai suoi doveri67. Dal punto di vista economico, alla base dello scambio corruttivo vi è principalmente un intreccio di interessi del corruttore e del corrotto di varia natura, ma comunque suscettibili di valutazione in termini economici68.
Già nei primi anni 90 con l'inchiesta giudiziaria “Mani pulite” si rivelò un basso sistema di corruzione molto diffuso nel mondo politico e finanziario, con accordi che garantivano un flusso costante di finanziamenti illeciti ai partiti da parte delle imprese attraverso le tangenti. Da quell'indagine ricordiamo che nel nostro Paese le persone sottoposte alle indagini, nei reati contro la Pubblica Amministrazione, per il danno conseguente alla corruzione, furono imprenditori, funzionari pubblici, segretari nazionali di partito, un notevole numero di parlamentari, alcuni ministri, tutti indirizzati verso un tipo di corruzione di livello alto. Il magistrato Gherardo Colombo, che fu uno dei protagonisti di quella stagione parlò di una corruzione di "livello alto" e "livello basso": ad esempio, per evitare una contravvenzione stradale, l'automobilista inserisce una banconota nella patente per cercare di evitare o non elevare la contravvenzione stessa. Qui ci troviamo nella corruzione di livello inferiore, molto diffusa; invece, un tipo di corruzione di livello più elevato è quella dove vengono impiegati miliardi di vecchie lire. Si tratta di corruzione posta in essere da funzionari pubblici, che hanno capacità decisionale di rilievo da medio a alto69.
Colombo sostiene che nel corso delle investigazioni fatte a Milano su tali reati, emerse tra l'altro che l’esito della gara d'appalto dipendeva dalla collusione tra il pubblico funzionario e l'imprenditore; si è verificata spesso la creazione di cartelli tra imprese che si sono distribuite tra loro l'assegnazione di più gare, eventualmente ricompensando in denaro le poche imprese che risultavano escluse dalla spartizione; il tutto con la garanzia dei vari funzionari pubblici ed esponenti politici di riferimento che le gare si sarebbero risolte così come voluto dagli imprenditori; o, ancora, il più delle volte l'accordo illecito è stato concluso tra imprenditori ed esponenti politici, piuttosto che tra imprenditori e pubblici funzionari, sottomessi al volere dei politici, traendone benefici in denaro o di carriere.
Infine, l'importo della tangente generalmente è gravato sugli enti pubblici e non sugli imprenditori perché questi, attraverso vari sistemi, ne trasferivano il costo sull'ente pubblico; gli ammontare complessivi delle tangenti sono stati destinati in parte all’arricchimento personale, e in parte al pagamento delle spese sostenute dai partiti politici per la gestione ordinaria e per le campagne elettorali; l'ammontare delle tangenti accertate per anno è, allo stato, di centinaia di milioni di dollari70.
Rispetto ad allora, oggi la corruzione è molto altro. E la corruzione sistematica profondamente radicata nei diversi settori della vita politico amministrativa, che riguarda non solo il corrotto ed il corruttore, ma una corruzione che abbraccia una realtà più vasta: faccendieri, intermediari, professionisti, imprese, burocrazia, finanza.
Nel rapporto tra corruzione e mafia è sbagliato dire che viene prima la mafia e poi la corruzione. Compare prima la corruzione e poi la mafia. Si delinea, quindi, un sistema di corruzione che assume carattere di sistema mafioso. Abbiamo così una realtà del Paese dove la corruzione si fa mafia e la mafia si fa corruzione, e la stessa mafia si sconfigge contrastando la corruzione.
In tal senso, le mafie nuove si trasformano nei colletti bianchi che diventano la stessa figura. In questo modo le mafie, hanno avuto la disponibilità ad interfacciarsi con le istituzioni, gli imprenditori ed i politici. Perciò, la mafia agisce più con la corruzione che con la mafia. Infatti, la vera forza della mafia sta fuori la mafia: imprenditori, collusioni, politica, società71.
L’altro tema che riguarda gli amministratori è il rapporto tra corruzione ed appalti. «segui i soldi e troverai la mafia.», è l'intuizione del Giudice Giovanni Falcone, spunto di analisi che non sempre ha trovato coerente attuazione nelle politiche di prevenzione e negli interventi di pressione antimafia e anticorruzione. Seguendo i soldi si trovano gli appalti pubblici.
Una stima della Commissione Europea quantifica in 251 miliardi di euro, pari al 15,9% del PIL, il valore di tutte le attività contrattuali per opere forniture e servizi del settore pubblico in Italia nel 2011. Questa massa ingenti di capitali pubblici ha naturalmente fatto nascere consistenti interessi occulti che si sono moltiplicati in anni di crisi economica e restrizioni dei bilanci pubblici: zone d'ombra, dove si realizzano le più insidiose infiltrazioni delle organizzazioni criminali nel tessuto politico-amministrativo. Il mercato degli appalti inquinati, dove l'esercizio dell'autorità pubblica diventa merce di scambio e i decisori pubblici sono a libro paga dei corruttori, genera profitti illeciti in modo superiore ai tradizionali mercati illegali, come la droga. Il condizionamento mafioso degli appalti può investire ogni livello d’attività, penetrando ogni ambito di attività contrattuale e pubblica72. In questo quadro, sono sempre più gli amministratori minacciati in Italia.
A livello regionale, il primato degli atti intimidatori e minacciosi nei confronti degli amministratori locali e del personale di P.A., per il 2014 spetta alla Sicilia, 70 casi pari al 20% del totale, seguita dalla Puglia, che ha fatto 54 casi, pari al 15% del totale, dalla Calabria e dalla Campania con 52 casi, pari al 15% del totale, e la Sardegna col 6%. Seguono il Lazio (8%), la Lombardia (4%), il Veneto e la Liguria al (3%)73.
Considerando nello specifico il legame tra corruzione e criminalità organizzata, esso si mostra nei seguenti settori strategici:
a) Ambiente ed edilizia.
Nell'ambito del crimine ambientale, si distinguono due filoni principali: il ciclo del cemento, attività come movimentazione del terreno, produzione di cemento e calcestruzzo ' ed il ciclo dei rifiuti, che comprende raccolta, trasporto e smaltimento. Sul punto va sottolineata la grande rilevanza del fenomeno, sia per il livello degli interessi economici in gioco (in particolare, in Campania e in Sicilia gli interventi in questo settore rappresentano una delle principali fonti di reddito per la criminalità di riferimento in quei territori) sia per la pericolosità degli effetti, sotto il profilo delle devastazioni ambientali, nonché sotto il profilo della tossicità e insalubrità connessa all'illecito smaltimento dei rifiuti.
b) Gli appalti per la realizzazione di opere pubbliche e servizi.
Un’area in cui è particolarmente elevato il rischio che si registrino fenomeni correttivi: i decisori pubblici, in ragione dell'accordo illecito, agirano, o mancano di adottare del tutto, quei meccanismi concorrenziali che dovrebbero garantire l'assegnazione della gara all'impresa che presenta la migliore offerta per l'ente pubblico.
c) I finanziamenti pubblici e della Comunità Europea.
Anche in questo settore si registra una pluralità di metodologie e condotte, variabili, a seconda del tipo di fondo e di programma. La costituzione di società non operative ai soli fini di veicolare i fondi de quibus, costituisce una tra le tante modalità rilevate.
d) Riciclaggio e investimenti nell'economia legale.
Si registra un’estrema varietà di forme per realizzare lo scopo del reimpiego del denaro illecito, con una fioritura di attività commerciali in vari settori quali, abbigliamento, prodotti alimentari tipici, ristorazione ecc.
e) La sanità.
Settore in cui grandi quantità di denaro vengono gestite in fasi amministrative, che si rinnovano frequentemente, dunque esposte ai tentativi idi condizionamento illecito, attraverso spese inutili, contratti conclusi senza gara, gare illegali, assunzioni illegittime ecc.74.
Per queste considerazioni, oggi, possiamo sostenere che la lotta alla corruzione è più difficile della lotta alle mafie. Colpire la corruzione è fondamentale, perché amplia la spesa pubblica, incide sull'economicità delle opere pubbliche, scoraggia le imprese, saccheggia finanziamenti, depreda gli investimenti, frena lo sviluppo. Insomma, esiste una vera e propria economia della corruzione, difficile da accertare, ma che si colloca su ingenti valori75.
8. La nuova legge anticorruzione
La politica di contrasto alla corruzione si contraddistingue prima di tutto sia con l'introduzione nel codice penale di nuove ipotesi di reato, la riformulazione di altre già esistenti e l'aggravamento dell'impianto sanzionatorio per tale tipologia di delitti e sia con la politica di prevenzione per colpire il rapporto tra corrotto e corruttore.
In quest'ultimo fronte è importante la legge del 6 Novembre 2012 n.190, "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", c.d. "Legge Severino", che ha inciso in modo significativo sulle norme dei reati dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, e i decreti attuativi nn. 33 e 39 del 201376.
La nuova normativa ha la qualità di dare rilievo alle nuove politiche di prevenzione mirate a potenziare le responsabilità dei pubblici ufficiali e della classe politica, è composta da un primo gruppo di disposizioni dedicato alla prevenzione degli illeciti con strumenti amministrativi, e un secondo gruppo che mira alla repressione penale, integrando e modificando il codice di rito anche con nuove figure di reati. La legge 190/2012, quindi, si basa su specifici elementi quali la trasparenza, l'analisi del rischio e la pianificazione delle misure di contrasto, la formazione, i codici di comportamento, le autorità preposte alla vigilanza.
Successivamente, interviene una nuova legge che in parte consolida ed in parte innova il precedente quadro normativo. La legge anticorruzione del 27 Maggio 2015 n. 69, Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio, che si compone di 12 articoli, suddivisi in due capi77. In generale si evidenzia l'inasprimento delle pene per i delitti contro la pubblica amministrazione (come il peculato o la corruzione in atti giudiziari), per quelli riferiti alle associazioni di stampo mafioso (artt. da 1-8) e una riformulazione della fattispecie di falso in bilancio applicabile sia alle società quotate sia a quelle non quotate (artt. 9 e ss.).
Il Capo I (artt. 1-8) si riferisce alle disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura penale, alle relative norme di attuazione e alla legge 6 Novembre 2012 n. 190. In particolare, all'art. 1 sono elencate le modifiche alla disciplina sanzionatoria dei reati di peculato, corruzione, induzione indebita e concussione. All'art. 5 si determina l'inasprimento della repressione nei confronti del delitto di associazioni di tipo mafioso, anche straniere, di cui all'art. 416-bis c.p., infatti, la pena prevista per la mera partecipazione passa da 10 a 15 anni di reclusione, anziché da 7 a 1278.
La legge n. 69/2015 rappresenta un passo avanti che il legislatore ha voluto compiere per dare un segnale forte di politica criminale in primo luogo per i reati contro la Pubblica Amministrazione e quelli di stampo mafioso.
9. Il nuovo Codice Antimafia (legge 17 ottobre 2017, n. 161)
Misure applicabili anche ai consorti, sono previste nel nuovo Codice Antimafia79.
Le misure previste dal nuovo Codice Antimafia riguardano80: l'estensione delle misure di prevenzione personali e id natura patrimoniale (ad esempio la confisca di beni), oltre a chi è indiziato per aver aiutato latitano mafiosi anche a chi è accusato di terrorismo, stalking, o di associazione a delinquere finalizzata a gravi delitti contro la Pubblica Amministrazione, tra i quali rientrano il peculato, la corruzione, anche in atti giudiziari; il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie si estende a tutti i beni aziendali.
Il nuovo codice rafforza anche la confisca che diventa obbligatoria per alcuni ecoreati e per l’autoriciclaggio e trova prescrizione anche in caso di amnistia, prescrizione o morte di chi l'ha subita. Non si potrà inoltre giustificare il possesso di beni come acquisti fatti con denaro proveniente dall’evasione fiscale; più trasparenza negli incarichi.
Il magistrato che si occupa del processo non potrà attribuire l'incarico di amministratore giudiziario delle imprese sottoposte a sequestro o confisca, al proprio coniuge o a parenti e affini. L'amministratore giudiziario a tre mesi dalla nomina dovrà presentare una relazione sull'attività dell'azienda. In mancanza di prospettive l'impresa sarà liquidata o chiusa. Per quelle meritevoli è invece previsto un sostegno economico. Inoltre, viene introdotto un fondo da 10 milioni di euro l'anno per favorire la ripresa delle aziende sequestrate, riorganizzando l'Agenzia nazionale per i beni confiscati e fornendo un organico di 200 persone.
Fabio Roja, Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, dichiara che: «il Codice Antimafia con la previsione di misure di prevenzione sia personali, sia patrimoniali, è nato per combattere la criminalità organizzata. L'allargamento, sia pure con il vincolo associativo introdotto al Senato, chiama l'autorità giudiziaria ad un’assunzione di responsabilità importante. Ci vorrà una grande cautela nell'applicazione, si tratta di misure invasive prese con materiale probatorio limitato. Bastano semplici indizi. Lo standard probatorio andrà innalzato sui singoli reati, non tanto sull'associazione, visto che basta la semplice iscrizione nel registro degli indagati81.»
Sul punto si dichiarava soddisfatta anche la ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, che affermava: «i beni confiscati ai mafiosi sono utilizzati a fini di sviluppo sociale ed economico e mettono in movimento un patrimonio da 25 miliardi di euro che spesso finisce inutilizzato» ed aggiunge «[..] il principio nel Codice Antimafia è semplice, chi non riesce a dimostrare nel corso di un procedimento giudiziario che le sue ricchezze sono frutto di attività lecite, si vedrà privato di quei beni che illecitamente ha sottratto alla comunità e che alla comunità vanno restituiti82».
Ugualmente positiva è l'opinione di Libera associazione ed altre associazioni antimafia e sindacati 83: «l'espropriazione delle ricchezze alle organizzazioni criminali ed ai corrotti, insieme alla loro restituzione alla collettività, costituiscono lo strumento più concreto per dimostrare che le mafie e la corruzione sono fenomeni che possono essere affrontati e debellati, che lo Stato è presente e autorevole, che si possono rigenerare e riconoscere i diritti fondamentali, a partire da quello del lavoro e della sicurezza, laddove per lungo tempo essi sono stati negati».
In definitiva, è pacifico ritenere che l'approvazione del nuovo codice antimafia è sicuramente un piano importante per combattere le organizzazioni mafiose ed il fenomeno corruttivo.
10. Racket delle estorsioni
Negli ultimi anni ritroviamo studi e ricerche accurati sugli effetti distorsivi in economia scaturenti dal peso delle attività illegali del crimine organizzato e sulla commistione tra attività legali e illegali. Questi studi economici hanno influito sui nuovi approcci criminologici e sociologici, spiegando così alcuni tratti dell'origine e dello sviluppo dell'attività estorsiva84.
L'attività che caratterizza i gruppi mafiosi è la protezione/estorsione come segno della signoria territoriale della mafia85.
La "teoria dei diritti di proprietà della mafia" è stata estesa ad altri casi, come il Giappone, la Russia post sovietica e la Cina, per spiegare come le mafie possano affermarsi in epoche di transizione rapida ma imperfetta verso l'economia di mercato. Sulla base di questa impostazione si è prodotta una più generale teoria esplicativa dell'origine della mafia che si compendia nella protezione: è un servizio offerto per eliminare la concorrenza; proteggere lavoratori e sindacati; intimidire gli imprenditori; salvaguardare anche contro l'estorsione, contro i furti, le vessazioni della polizia, per recuperare crediti, regolare e ricomporre una vasta gamma di controversie e conflitti86. È cosi che Cosa Nostra, Ndrangheta e Camorra esercitano la protezione regolando i mercati, stabilendo i prezzi e facendo rispettare i patti, imponendo obblighi e fornendo un apparente protezione ai lavoratori dagli abusi, quando in realtà sono le stesse organizzazioni a perpetrare l’eccessivo sfruttamento. Tali processi, conducono ad una modificazione dei livelli organizzativi della mafia, con l'ingresso nelle attività imprenditoriali lecite.
Secondo la tesi sostenuta da Raimondo Catanzaro87, è l’offerta di protezione a creare la domanda: i mafiosi in quanto imprenditori della violenza, possono trovare le condizioni per imporre il meccanismo della estorsione/protezione.
E Fantò88, ex deputato calabrese e studioso della Ndrangheta, rileva un inedito modello imprenditoriale, dove alla proprietà tradizionale dal volto pulito, si aggiungono capitali di provenienza illecita e personaggi legati alle organizzazioni mafiose.
Lo storico Isaja Sales, cita il paragrafo che Norbert Elias89 dedica alla sociogenesi dell'imposizione fiscale, dove evidenza le affinità in origine dell'estorsione con le imposizioni statuali. I. Sales, sostiene che “all'inizio la tassazione dello Stato era senza benefici immediati, tutte le formi fiscali dello Stato erano sinonimo di imposizione, vessazione, sottrazione di reddito individuale senza benefici collettivi. È indubbio che la percezione dell'imposizione fiscale dello Stato come forma di predazione legittima non faceva avvertire la violenza privata del camorrista o del mafioso come assolutamente illegittima, soprattutto se questa violenza privata nell'esigere corrispondeva una qualche utilità.
Sintomatico, a tale riguardo, che nel 1751 Carlo III, Re delle Due Sicilie, dovette far affiggere, a seguito di vivaci proteste, davanti all'ufficio della Dogana di Portici, comune alle porte di Napoli, un’iscrizione, ancora oggi visibile, in cui stigmatizzava il comportamento degli esattori doganali che con la violenza e intimidazione, chiedevano ai commercianti ed ai contadini del comprensorio tributi non dovuti. Non era facile in quei territori, differenziare il comportamento degli esattori della camorra da quelli delle Dogane90.
Bisogna ammettere che «l'estorsione di massa è presente quasi esclusivamente in Italia tra i Paesi dell'Occidente, e in Italia in alcune regioni meridionali. Se l'estorsione è limitata come attività criminale solo ad alcune nazioni ed all’interno di esse solo ad alcuni territori, ciò ha a che fare con la formazione "debole" dello Stato nei luoghi coinvolti nell’accettazione di un duopolio del potere, nell'attribuzione a forze criminali della capacità di ordine e di sicurezza. [..] chi paga riconosce indirettamente l'appannaggio di quel territorio a quel mafioso, a quel clan, gli attribuisce una potestà. È nelle prerogative di chi comanda sottoporre a tassazione chi fa parte del territorio che controlla91».
L'estorsione, quindi, è il riconoscimento pubblico di una potestà territoriale. Infatti, come si dimostra di controllare un territorio assoggettandolo a tassazione.
Nelle estorsioni criminali non è tanto importante il guadagno che si ricava, quanto stabilire una gerarchia del comando sul territorio, poiché attraverso essa si riceve dalla vittima sia un guadagno materiale, sia una legittimazione di podestà.
A partire dagli anni 70 del 900, il fenomeno si è modificato e ci sono state le prime denunce; la ribellione sociale comincia quando la fiscalità criminale si unisce a quella ufficiale dello Stato. Un importante figura nella lotta al racket dell'estorsione fu l'imprenditore palermitano Libero Grassi, il quale, in una lettera pubblicata il 10 Gennaio del 1991 sul Giornale di Sicilia, ebbe a dire: «Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi nelle mani della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere (..) Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui92».
Per questa sua attività di contrasto, e per aver spronato pubblicamente tutti gli imprenditori, commercianti ed esercenti, a denunciare e non sottomettersi al giogo estorsivo delle mafie, venne ucciso da Cosa Nostra in modo spietato, il 29 Agosto 1991 a Palermo, alle 7:30 del mattino, con ripetuti colpi di arma da fuoco.
Nel quadro delineato, comunque, non sono tante le denunce da parte delle vittime di estorsione, nonostante i molteplici danni che provoca all’economia e alla sicurezza del territorio. Probabilmente è mutato l'approccio culturale e il modo in cui è considerata l'attività estorsiva da parte dei gruppi criminali e dalle vittime. I primi sembrerebbero non considerare più l'estorsione un’attività predatoria, piuttosto sempre più come l'offerta organizzata in forma imprenditoriale di beni, servizi e diritti da esigere che non necessariamente vanno imposti con la forza; gli imprenditori ed i commercianti, invece, trovano spesso nelle offerte elementi di convenienza o utilizzano la protezione mafiosa per ottenere impropri vantaggi competitivi sul mercato ambientale. Chi trae vantaggi, allora, dall'affidamento protettivo del clan non denuncia93.
Pertanto il fenomeno estorsivo intreccia diversi aspetti, e si realizza perché: rende immediatamente visibile il gruppo mafioso; permette di impossessarsi, in tempi brevi di risorse economiche; esercita, quando l'organizzazione criminale assume il carattere imprenditoriale, un azione economica di offerta, imposizione di beni, prodotti e servizi; consente, attraverso il controllo del territorio, l'ingresso di altre lucrose attività illegali come la droga, l'usurala contraffazione e l'ingresso negli affari legali con l'utilizzo delle risorse pubbliche locali e consente la costruzione di network politico-imprenditoriali, tramite connivenze, collusioni e protezioni94. Di fatto, l'estorsione si pratica nonostante i vantaggi economici siano inferiori ad altre attività illegali come la droga, il traffico dei rifiuti, il gioco d'azzardo, perché soddisfa più esigenze:
1. In primo luogo, perché è la forma primaria di accumulazione di risorse economiche. Se una famiglia mafiosa o un clan di camorra ha necessita di acquisire immediate risorse, liquidità, ricorre alle estorsioni;
2. in secondo luogo l'estorsione è il modo migliore per garantirsi il dominio di un territorio, esercitare il potere, rendere fattiva la dimensione locale nel caso in cui il clan abbia assunto anche la dimensione di impresa. Se un clan intende appropriarsi di una fetta di territorio e su esso esercitare il controllo ha bisogno innanzitutto di assoggettare in maniera sistemica tutti coloro che producono ricchezza, in forma sia legale che illegale;
3. proprio perché è una forma arbitraria di tassazione che grava su chiunque produce ricchezza, vende merci o svolge provenendo dall'esterno un’attività economica m un territorio considerato di proprietà privata;
4. è una cassa destinata primariamente e funzionalmente al pagamento degli avvocati, al mantenimento delle famiglie dei detenuti, alla retribuzione dei gregari;
5. è una sorta di “dote”, un capitale o una rendita assicurativa;
6. è l'esercizio selettivo e strumentale di una strategia di lenta acquisizione di patrimoni, aziende la cui finalità è, attraverso il riciclaggio del denaro, proveniente dalla stesa attività e da altre collaterali, l'estromissione delle vittime dal controllo dell'impresa economica, e l'entrata nel mercato legale;
7. è un’attività a carattere imprenditoriale non solo perché ci sono clan che impongono prodotti, servizi, forniture e beni, ma perché si concretizza come forma di scambio di gare, appalti che, se non posso esser gestiti in prima persona, vengono girati ad imprese colluse;
8. è un’attività che genera nei segmenti marginali degli strati sociali consenso sociale dal momento che i clan impongono l'occupazione di persone, offrono lavoro alla manodopera locale;
9. infine, è un’attività che nella sua forma estrema rappresenta una modalità di socializzazione al crimine organizzato, ed ingresso in esso. (...) L'attività estorsiva alimenta la coesione interna al gruppo, assicura solidità al gruppo di persone legate da vincoli delinquenziali e garantisce compattezza tra i membri e fedeltà agli obiettivi preordinati95.
Per queste considerazioni, possiamo dire che, la criminalità tende ad infiltrarsi in ogni modo nelle risorse della pubblica amministrazione, cercando di dominare gare, appalti, concessioni in modo silenzioso e talvolta forzato. Perciò occorre vigilare, controllare amministratori, funzionari, politici, cosi come bisogna motivare a denunciare chi si trova nelle mani degli estorsori criminali. Non mancano però dei segni positivi dai Comuni del nostro Paese che incentivano la denuncia del racket. Il Comune di Vibo Valentia e la F.A.I. (Federazione italiana antiracket) a Marzo 2016, hanno promosso uno sportello di ascolto e prevenzione del racket e dell’usura96.
Non basta la denuncia, comunque decisa, per combattere la mafiosità. Nella contrapposizione tra illegalità e legalità ci sono ampi strati marginali e fasce sociali escluse dai più elementari diritti di cittadinanza, che rappresentano un terreno fecondo per le organizzazioni criminali che li utilizzano strumentalmente e selettivamente per recuperare nuove leve97. Pertanto il problema non sono solo le mafie, ma la "società mafìogena", cioè una società che, per alcune caratteristiche essenziali, produce le mafie98.
11. Misure patrimoniali contro la criminalità organizzata
Le mafie, hanno assunto oggi una connotazione tipicamente imprenditoriale, in quanto tendono ad accumulare ricchezze e ad acquisire in modo diretto o indiretto la gestione, il controllo di attività economiche, appalti, concessioni e servizi pubblici. Confiscare i beni mafiosi per prosciugare le ricchezze dell’organizzazione diventa decisivo. Pertanto, il tema delle misure patrimoniali è centrale nella lotta alla criminalità mafiosa, insieme ad una valida strategia che di lotta che deve colpire le basi economiche del crimine organizzato.
Il bisogno di rendere ancor più efficace il contrasto patrimoniale al crimine organizzato ha prodotto una progressiva trasformazione nel nostro ordinamento, con una pluralità di forme di confisca. Relativamente all'indagine seguita nell'elaborato ne tratteremo solo alcune. Partiamo dal modello classico di confisca, previsto dall'art 240 c.p.: «Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto [..]99.» In seguito, si è constatato che gli accertamenti imposti all'art 240 c.p. per la confisca rendevano tale misura inadeguata allo scopo di sottrarre al crimine organizzato il patrimonio illecito acquisito, «proprio in quanto restava la possibilità di un impiego relativamente sicuro dei proventi delle più gravi imprese delittuose100.» Inoltre la Giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: «soprattutto alla luce della legislazione speciale [..] che ha ampliato in maniera significativa le ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del profitto ricavato, è stata incrinata la ricostruzione di una categoria dogmatica unitaria, si sono gettate le basi per un superamento dei ristretti confini tracciati dalla norma generale di cui all’art 240 c.p., ed è stata resa più difficoltosa la formulazione di principi uniformi validi per tutte le tipologie di confisca legislativamente previste [..]» così si è riconosciuto che «nel caso di estinzione del reato dichiarata con provvedimento di archiviazione, il giudice dell'esecuzione dispone di poteri d'accertamento finalizzati all'applicazione della confische non solo sulle cose oggettivamente criminose per la loro intrinseca natura (art. 240,c.p., comma secondo, n.2), ma anche su quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato101».
Risulta, così, che anche nel caso di estinzione del reato l'applicazione della confisca sui proventi connessi all'appartenenza del soggetto ad associazione di tipo mafioso, la legge preveda l'operatività della confisca di prevenzione, nonostante il decesso dell’indiziato, e sanziona penalmente il trasferimento fraudolento degli stessi proventi ad altri soggetti attraverso la fattispecie dì cui all'art. 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in L. 7 Agosto 1992 n. 356.
Si è poi passati progressivamente, dal singolo reato commesso in danno al patrimonio dei singoli, ai fenomeni di vera e propria criminalità economica organizzata, ai fenomeni illeciti contro il patrimonio, alle imprese criminali. Sono state introdotte, pertanto, nuove ipotesi di reato come il riciclaggio ex art. 648-bis c.p., e nuove ipotesi di confisca come la confisca speciale obbligatoria, ex art 416-bis, comma 7, c.p., "Associazione di tipo mafioso", secondo cui nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego. Si tratta di una misura di sicurezza patrimoniale in conseguenza della condanna per associazione mafiosa, e si applica ai beni di cui il soggetto condannato abbia il controllo diretto o indiretto anche se intestati fittiziamente a terzi estranei, o che siano definite come le cose che servirono o furono destinate, o del nesso causale con tale attività che ne costituiscono il prezzo, il prodotto, il profitto, o reimpiego102.
In tal senso, la Suprema Corte precisa che la confisca in esame, «non concerne tutti i beni comunque acquistati dai singoli associati in un determinato periodo, ma va riferita esclusivamente ai beni che servirono [..] o che ne costituiscono l’impiego103» ai fini dell’attività dell’associazione. Ciò che si richiede è l'accertamento di una «relazione specifica e stabile [..] (tra il bene e l'illecito) [..] che testimoni l'esistenza di rapporto strutturale e strumentale104» con l'attività criminosa. Pertanto, oggetto della confisca patrimoniale sono prima di tutto le cose mobili ed immobili che sono strumentali rispetto all'attività dell'associazione e alle sue finalità, ad esempio i locali in cui ha sede un’impresa mafiosa con le relative attrezzature; tra le cose costituenti il prezzo e il profitto del reato, esse sono rappresentate dai profitti delittuosi e dagli utili dell'impresa mafiosa. In questo quadro, ai fini del sequestro, funzionale alla confisca, del patrimonio di un'azienda amministrata da un soggetto indagato del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, serve dimostrare una correlazione tra i cespiti e l’ipotizzata attività illecita del soggetto105, e una correlazione tra la gestione dell'impresa alla quale appartengono i beni da sequestrare e le attività riconducibili all’ipotizzato sodalizio criminale, non essendo sufficiente la sola circostanza che il soggetto eserciti la funzione di amministratore della società.
In tal senso, la sentenza della Cassazione n. 6766 del 2014 scrive che: «ai fini del sequestro e della successiva confisca dei beni in questione è necessario, infatti, che venga positivamente dimostrata una qualsivoglia correlazione (come ad esempio la comproprietà dei beni) tra i beni medesimi e l'attività illecita attribuita agli indagati del delitto di cui all'art. 416-bis c.p. La dimostrazione dell'esistenza di tale rapporto, è necessaria anche in caso di confisca obbligatoria, come quello previsto all'art. 416-bis c.p., al comma 7, in quanto l'obbligatorietà della confisca non comporta alcuna presunzione sotto il profilo della strumentalità delle cose che si intendono assoggettate ad un vincolo cautelare reale. Dunque, occorre il rigoroso accertamento, e la correlativa congrua indicazione, della presenza di concreti e significativi elementi di collegamento fra la gestione dell'azienda che si intende porre sotto sequestro e le attività riconducibili all'ipotizzata associazione criminale di stampo mafioso-'ndranghetistico, (..) ivi prospettandosi, (..) l'esistenza di una relazione di strumentalità e funzionalità della società alla commissione dell'ipotizzato delitto associativo106».
L’ipotesi di confisca obbligatoria trova applicazione anche per i reati quali peculato, corruzione, concussione, all’art. 322 ter c.p107. È altresì prevista la confisca nei confronti degli enti per responsabilità amministrativa dipendente da fatti dei dirigenti108.
Il d.lgs. 231/2001 ha introdotto la punibilità degli enti forniti di personalità giuridica, e anche delle società ed associazioni che ne sono prive, quali soggetti responsabili dei fatti illeciti ad essi riconducibili, ed è stato emanato in attuazione degli obblighi comunitari, superando il principio "societas delinquere non potest", per accogliere nel nostro ordinamento uno specifico sistema punitivo nei confronti degli enti, conseguente alla responsabilità da reato delle persone fisiche.
La presa di coscienza empirica della “capacità a delinquere” degli enti (in questo caso "societas delinquere potest"), o comunque del loro attivo coinvolgimento in meccanismi criminosi, ha creato l'humus culturale per superare i tradizionali ostacoli teorici frapposti alla loro capacità di “essere anche puniti” ("et puniri"), evidenziandone la relatività giuridica, legata a concezioni superate, della dogmatica del reato e della teoria della colpevolezza, che ben può essere adattata alle peculiarità della responsabilità della societas109.
Dal decreto in esame, gli enti possono essere ritenuti responsabili in relazione a taluni reati puntualmente indicati, commessi o tentati nell’interesse o a vantaggio degli Enti stessi da: persone fisiche che rivestono posizioni apicali di rappresentanza, amministrazione, direzione dell'ente, pochi, invece, da persone che esercitano anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso.
Il d.lgs. 231/2001 ha introdotto una corresponsabilizzazione dell'ente giuridico per i reati commessi dai propri dirigenti, ma all’art. 6 si prevede che l’ente giuridico non risponde se prova di aver attuato "il modello di organizzazione e gestione" idoneo a prevenire tali reati. Quindi, in caso di accertata responsabilità dell'ente, alle sanzioni pecuniarie si aggiunge quella della confisca, che è di tre tipi:
a) la confisca del profitto, ex art 6, n.5 del D.lgs., n. 231/2001;
b) la confisca dei profitti derivanti da prosecuzione dell’attività dell’ente, ex art. 15;
c) la confisca del prezzo o del profitto, ex artt. 9 e 19 110. I presupposti di queste ipotesi di confisca sono: sentenza di condanna o di patteggiamento per l'autore del reato, che sia dirigente dell'ente; identificazione del profitto/prezzo del reato; collegamento diretto tra il profitto/prezzo ed il reato; appartenenza del profitto/prezzo all'ente giuridico.
Un’altra forma di confisca è la "confisca estesa"111. Tale ipotesi di confisca obbligatoria ha il carattere di misura patrimoniale atipica e presuppone la condanna, ovvero il patteggiamento, del soggetto per taluno dei reati presupposto indicati dalla norma, tra cui rientrano anche l'associazione mafiosa e i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste all'art. 416bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività della stessa associazione112. È chiara la differenza strutturale tra l’ipotesi prevista dalla norma e l'ipotesi di confisca obbligatoria, in quanto l'art. 12 sexies esprime una presunzione juris tantum di origine illecita del patrimonio sproporzionato a disposizione del condannato per una serie di delitti particolarmente allarmanti idonei a creare accumulazione economica che, inoltre, costituisce strumento di ulteriori delitti113.
Ergo, la condanna per uno dei reati indicati dall'art. 12-sexies L. 356/1992, implica la confisca dei beni nella disponibilità del soggetto quando sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni, e non risulti una giustificazione attendibile circa la loro provenienza. In questo senso la Suprema Corte ha dichiarato che la confiscabilità di singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna114.
A conclusione, si fa presente che la norma nella pratica ha avuto un’ampia applicazione per effetto del meccanismo di semplificazione probatoria che essa ha introdotto. Si tratta di uno strumento idoneo ad incidere su quelle fasce di economia criminale consolidate da tempo, delle quali risulta impossibile ricostruire in maniera documentata le trasformazioni più remote e, di conseguenza, la loro origine ultima.
12. Considerazioni conclusive
Il lavoro condotto in queste pagine ha voluto evidenziare l’importanza del tema, complesso ed attuale, della criminalità economica e di quella mafiosa., e di come tali forme di criminalità condizionino, in modo preponderante rispetto alla criminalità comune, la società in generale e la vita economica del Paese.
È notorio oggigiorno come la criminalità di stampo mafioso nella sua nuova dimensione internazionale, si avvale di tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e gestione dell’informazione. Infatti, affinché possa considerarsi efficace il contrasto, deve ritenersi funzionale la lotta internazionale a tali fenomeni che minacciano gravemente i sistemi economici e finanziari mondiali, di modo che lo stesso processo di globalizzazione possa procedere tranquillamente.
Spostandoci alla dimensione locale del fenomeno, se in un primo momento la mafia si origina come un fenomeno rudimentale e agropastorale, successivamente con l’evoluzione dei mercati e con l’innovazione del settore pubblico la stessa diviene imprenditrice, costituendo un elemento fondante, purtroppo, dell’economia nazionale. Appalti, impresa, corruzione, eliminazione della concorrenza, disponibilità illimitata di capitale sociale, espansione di mercato, sono le basi delle holding mafiose e ndranghetistiche.
Il modello aziendale mafioso, però, non è il solo ad inquinare l’economia sana, poiché è emerso dall’indagine condotta come molteplici fenomeni criminali ed illeciti che impattano sull’economia e sulla finanza vengono orchestrati da soggetti imprenditori, non criminali tradizionali, che della impresa ne fanno crimine organizzato. In particolare, nell’attuazione di condotte economico-criminali, gli operatori economici perpetrano anche reati molto gravi quali la corruzione, funzionale all’espletamento ed al raggiungimento dell’obiettivo economico, e criminale, prefissatosi. L’inchiesta giudiziaria “mani pulite”, a cui si è accennato, ne è un esempio lampante poiché in esso si ritrova quella triangolazione criminale fatta da imprenditori, politici e funzionari pubblici, che col sistema delle tangenti, pagate dai primi ai secondi, garantivano una equa spartizione illecita delle commesse d’appalto pubbliche. Inoltre, la forza di tale vincolo era tale da ingenerare timore nei confronti delle società non rientranti nel sistema, le quali nemmeno partecipavano al bando di gara delle opere. Quindi, che rileva nel reato lato sensu economico è che queste condotte criminali tendono a dissimularsi sui meccanismi di funzionamento dell’economia, come nel caso del riciclaggio, incidendo sui mercati e sui flussi economici e connotandosi con una complessità tale da comportare problemi di definizione della fattispecie criminale. Tali reati, vengono compiuti da soggetti imprenditori e finanzieri, dalla reputazione pubblica impeccabile, anche con l’ausilio dei funzionari pubblici e referenti istituzionali.
Relativamente all’intreccio tra mafia e criminalità economica, emerge una particolare intersezione tra le due figure criminose, riscontrabile più per le organizzazioni mafiose che per i gruppi imprenditoriali criminali, poiché questi ultimi non vengono identificati dalla Giurisprudenza come dei fenomeni criminali associativi, bensì come fenomeni criminali concorsuali.
Dal punto di vista delle differenze tra le due figure criminose, questa emerge se si guarda agli obiettivi d’associazione che si prefiggono gli appartenenti a tali gruppi criminali.
Se nelle associazioni mafiose ex art. 416bis c.p., ed anche nelle associazioni criminali ex art. 416 c.p., vi è una solidità e lealtà del vincolo associativo che presume una durata indeterminata dell’associazione ed una indeterminatezza del programma criminoso che è improntato alla commissione di più svariati delitti, nei comportamenti criminali posti in essere dai gruppi imprenditoriali la commissione di condotte criminali riguarda un numero esiguo e definito di reati. Ciò si evince, in particolare modo, dalla sentenza Traghetti Sankey, oggetto di studio dell’indagine, in cui si dimostra l’impossibilità dell’applicazione della disciplina prevista all’art. 416 c.p., sul rilievo che i reati oggetto dell’accordo associativo fossero assolutamente determinati nel numero e nella tipologia, e che la durata dell’associazione non risultava affatto indeterminata, essendo strettamente correlata alla durata del dazio antidumping sulle merci fabbricate in Cina.
Invece, dal punto di vista della criminalità organizzata la intersezione tra tale fenomeno criminale e la criminalità economica risulta possibile, poiché una stessa tipologia di illeciti economici può esser commessa indistintamente sia da un gruppo di imprenditori, sia da un gruppo della criminalità organizzata.
L'evidenza di tale intersezione si ha, maggiormente, nella c.d. "impresa mafiosa". È assodato in Giurisprudenza come le mafie si immettono nel circuito economico legale, reimpiegando, e quindi riciclando, capitali di provenienza illecita ossia derivanti dai proventi delle tradizionali attività criminali. Inoltre, le stesse mafie si fanno impresa, creando aziende proprie tramite il sistema dei prestanome, cioè affidando a soggetti all’apparenza puliti la loro gestione e direzione formale, oppure entrando in rapporti di compartecipazione con imprese legittime, fornendo capitale economico.
In entrambi i casi, la mafia con la sua impresa, condiziona pesantemente l'economia pubblica dell'intero Paese, specialmente nel Meridione d'Italia, in quanto, una volta sul mercato, impone alle imprese lecite beni, servizi e forniture economicamente più convenienti ma, quasi sempre, qualitativamente più scadenti. In più, così facendo, crea monopolio di mercato in determinati settori o attività economiche, ricorrendo all'intimidazione e alla violenza per distruggere ogni possibile concorrenza economica e, attuando l'estorsione, anche per assicurarsi un sicuro introito e mantenere il controllo sul territorio, prosciugando le ricchezza di un’impresa legittima che non appena si vede svuotato il patrimonio economico chiude o, molto peggio, viene conquistata dall'organizzazione mafiosa, che scalza il precedente titolare appropriandosi dell’attività.
Sulla base di queste considerazioni e dell'indagine effettuata, a parer di chi scrive, mentre la criminalità economica non può essere criminalità organizzata, la criminalità organizzata può essere criminalità economica. L'unico modo per poter prospettare un'ipotetica figura di "criminalità economica organizzata", da non intendersi in riferimento alle classiche organizzazioni criminali, bensì ai reati economici di grandi dimensioni perpetrati da autori eterogenei, è quello di creare una nuova categoria concettuale di tale figura, con riferimento alla struttura, alle finalità dell'associazione, alla natura dei reati perpetrati, ai mezzi utilizzati per la loro commissione, nonché alle modalità d'attuazione e all'ambito operativo.
1. Cfr., E. BASILE, Gli incerti confini dell'associazione per delinquere nel contesto della criminalità d'impresa, in Giur. Comm., 2014, 511/II.
2. L'inchiesta era partita nel 2006 da una segnalazione dell'Olaf, l’Ufficio europeo per la lotta alle frodi, che contestava alla Traghetti Sankey s.p.a. la violazione delle normative doganali europee. Nel 2001 la Commissione Europea aveva istituito dei dazi sulle lampadine fluorescenti a basso consumo prodotte in Cina per proteggere le industrie europee del settore, in particolare Philips e Osram dalla concorrenza dei prodotti cinesi a basso costo. Secondo le accuse, la Targetti aveva continuato a fabbricare lampadine in Cina con la controllata Duralamp, ma per evitare di pagare i pesanti dazi doganali europei fra il 2001 e il 2007 aveva simulato la provenienza della merce dalle Filippine, finché questo Paese era rimasto nel «Sistema delle preferenze generalizzate» (con accesso più favorevole ai Paesi industrializzati), e poi dalla Malesia dopo l'imposizione di dazi antidumpmg anche sulle lampadine provenienti dalle Filippine. Il tutto utilizzando falsi certificati di origine. Secondo la Procura, in tal modo la Targetti aveva evaso 10 milioni di dazi doganali. Cosi in www.laRepublica.it, Archivio, 5 Maggio 2015, Contrabbando di lampadine Targetti Sankey.
3. Dumping: Nel linguaggio economico la vendita all’estero di una merce a prezzi inferiori a quelli praticati sul mercato interno. Si parla in tal caso anche di discriminazione del prezzo. Di tale pratica servono imprese e soprattutto gruppi di imprese, che operano in regime di quasi monopolio nel mercato interno cosi da poter vendere in esso a prezzi superiori al costo e che godono di una protezione doganale tale da garantirli contro il pericolo che la merce rifluisca dall'estero a prezzi inferiori a quelli praticati sul mercato nazionale. Il d. rappresenta un potente strumento di lotta commerciale per la conquista di mercati esteri, ma provoca in genere l'erezione di barriere doganali difensive ( dazi antidumping), così in Enciclopedia online Treccani su www. treccani.it.
4.Sul punto v., PELISSERO, Associazione per delinquere ed assistenza agli associati, in Reati contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico, a cura di Pelissero, in Trattato teorico-pratico di dir. pen., dir. da Palazzo-Paliero, IV, Torino Giappichelli, 2010, 254 ss.
5. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, II, a cura di Grosso, Milano Giuffrè, 2008, p. 248.; ANTERINI, voce "Associazione per delinquere", in Enc. Giur. Treccani, III, Roma, 1988, 4; BARAZZETTA, (sub) Art 416, in Cod. pen. commentato, Il, dir. da Dolcini-Marinucci, coord. Da Gatta, Milano fiori-Assago, Ipsoa, 2011, 4194.
6. A. CAVALIERE, Il concorso eventuale nel reato associativo. Le ipotesi di associazione per delinquere e di tipo mafioso, Napoli, E.S.l. 2003, 123 ss; ID., Associazione per delinquere, in Delitti contro l'ordine pubblico, a cura di Moccia, in Trattato di dir. pen. parte speciale, dir. da Moccia, V, Napoli, E.S.I. 2007, 268; FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale. Parte speciale, I, Bologna, Zanichelli, 2012, 489; G. lnsolera, L'associazione per delinquere, Padova,. Cedam, 1983, 91; G. FORTI ( agg. Caputo), (sub) Art. 416, in Commentario breve al cod. pen., dir. da Crespi-Forti-Zuccalà, Padova, Cedam, 2008, 974; In termini di "non inadeguatezza", si esprime SPAGNOLO, in voce "Reati associativi", in Enc. Giur. Treccani, Agg., V, Roma, 1996, 4.
7. Si veda ad esempio, Cass. sez. IV pen.,21 aprile 2006, Qose, in CED Cass., riv. 234576. La preminenza della c.d. affectio societas scelerum è affermata in modo ancor più netto da Cass., sez IV pen., 11 Marzo 1992, Piastrelloni, in CED Cass., rv. I 90879; Cass. sez. IV pen., 30 Marzo 1998, Pareglio, in Rass. avv. stato, 1999, I, 262.
8. Sul punto v., Cass. Sez I pen., n.34043 del 22 Settembre 2006, D' Attis, in CED Cass., rv. 234800; Cass., sez. VI pen., n.3886 del 7 Novembre 2011, Papa, in CED Cass., rv. 251562.
9. Cass. Pen., Sez. I. 25 marzo 2003, Faci, in Cass. pen., 2004, p. 2346. Più recente, Cass. Pen., Sez. VI, 12 luglio 2011, n. 29581, in Riv. it. med. leg., 2011, p. 1743 ss; Cass. Pen., Sez. I, 13 febbraio 2008, n. 12681, ivi, 2009, p. 1541.
10. Cass., sez. IV pen., 27 Novembre 2003, Marchianni, in CED Cass., rv. 228600.
11. Cass., sez. I pen., 22 Settembre 2016 (nt. 5); Cass., sez. VI pen., Novembre 2011 (nt. 5).
12. Cfr. Cass., sez. IV pen., 21 Aprile 2006 (nt. 4), secondo cui sotto il profilo ontologico [..] è sufficiente anche un'organizzazione minima”. Nel medesimo senso, Cass., sez. IV pen 7 Novembre 2011. (nt. 5).
13. Si veda, ad esempio, Cass., sez. I pen., 5 Febbraio 1991, Aceto, in CED Cass., rv. l87207
14. Così, Cass., sez.V pen., 25 Giugno 1985, Cavolini, in Giust. Pen. 1986, Il, 552
15. G.i.p. del Tribunale di Firenze 16 Aprile 2012.
16. Ibidem.
17. C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale dell’impresa, in Riv. trim. dir. pen. econ.,1988, 126 (anche in ID, Diritto Penale, III, Scitti di diritto penale dell’economia, Milano, Giuffrè, 2003, 221) ha con lungimiranza rilevato il possibile intreccio tra la criminalità d’impresa e quella organizzata, che da vita a formazioni ambigue, bivalenti, assoggettabili alle rispettive discipline”; egualmente A. ALESSANDRI, Attività d'impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 535; nonché G. INSOLERA, Sicurezza e ordine pubblico, in ind. pen., 2010, 34.
18. Si veda ad esempio, Cass sez. III pen. 11 Gennaio 1984, Landi, in CED Cass., rv. 163562: «In tema di reati relativi al trasporto illecito e alla consegna truffaldina di prodotti petroliferi nonché all’emissione di falsi certificati di provenienza, sussiste il delitto di associazione a delinquere, i cui elementi costitutivi sono il vincolo associativo permanente al fine di commettere una serie indeterminata di delitti e la predisposizione comune di attività e mezzi, qualora ciascuno degli imputati, nell ‘esercizio delle mansioni affidategli, qualora socio dell’azienda, dipendente o autista trasportatore, sia consapevole dell’uso del sistema mediante il quale sono consegnate ai clienti quantità inferiori a quelle apparentemente indicate dal misuratore e dichiarate; della finalità della mancata consegna, ad alcuni dei clienti, delle “figlie” dei certificati di provenienza mod. Hter 16; della finalità del recupero del combustibile; delle modalità di reimmisisone, sul mercato, di tale combustibile, accompagnato da certificati di provenienza falsi sin dall’origine o falsificati; del profitto che, in qualunque forma, vada concretamente e periodicamente a conseguire.»
19. Cfr. Cass., sez V pen., 13 Febbraio 2006, Caimmi, in CED Cass., rv. 234232, concernente un ipotesi associazione per delinquere costituita allo scopo di ottenere il controllo di una società di capitali, distrarne il patrimonio e commettere una pluralità di reati fallimentari, societari e contro la fede pubblica.
20. Cass., sez I pen., 4 Ottobre 2006, n. 35893, Barone, in Sistema leggi d'Italia, banca dati Gruppo Walkers Kluwer.
21. Cosi in, Cass., sez I pen., 3 Ottobre 1989, Pintacauda, in Cass. Pen., 1991, 744 ss., a proposito di una fattispecie relativa ad amministratori d'impresa esportatrice e cooperative agrumicole, i quali, utilizzando le rispettive società, avevano architettato una serie di falsi conferimenti di prodotto al fine di giustificare una maggiore quantità di merce da esportare, cosi da ottenere contributi ed agevolazioni in danno all’ Aima ed altri enti; Nel medesimo senso, si vedano Cass., sez I pen., 28 Settembre 2005, Quarato, in Giur. it., 2006, 1483; Cass., sez V pen., 5 Maggio 2009, Occioni, in CED Cass., rv. 244486; Cass., sez VI pen., 25 Novembre 2010, Bartocci, in CED Cass., rv. 248816.
22. Cass., sez I pen., 4 Ottobre 2006 (nt. 18).
23. Ibidem.
24. Cfr. Cass., sez. I pen., 26 maggio 1994, Margotti, in CED Cass., rv 198897: Fattispecie in cui l'attività del sodalizio consisteva nel piazzare libretti di risparmio falsificati presso imprenditori bisognosi di finanziamenti e nel garantire l'autenticità dei titoli consegnati alle banche in deposito dagli imprenditori con comunicazioni via fax falsificate; Cass., sez. I pen., 4 Maggio 2007, n. 20643, P. F., in Sistema Leggi d'Italia ( nt.18) ipotesi di organizzazione di un falso istituto di credito, la "Cassa d'Acerra", finalizzata alla perpetrazione di truffe mediante la fornitura di carnet di assegni ed offrendo quindi assicurazioni circa la copertura dei medesimi titoli di credito posti in circolazione; Cass., sez. II pe., 24 Maggio 2007, n. 32838. C. G., in Sistema Leggi d'Italia (nt. 18) attività delittuosa facente capo ad una serie di società cooperative dedite, tra l'altro, alla truffa di un ente pubblico per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità; V., altresì Cass. Sez. V pen., 21 Novembre 2003, Perrone, in CED Cass., rv. 227372, che ammette la configurabilità di «un associaizone a delinquere finalizzata alla commissione di reati di insolvenza fraudolenta, allorché il programma criminoso dei compartecipi preveda un unendo indeterminato di delitti di truffa o di insolvenza fraudolenta o la consecutiva distrazione dei beni dell'impresa, nel cui nome gli associati svolgono l'attività contrattuale, fino a quando la stessa non venga dichiarata fallita».
25. Si vedano, Cass., sez VI pen., 27 Novembre 2003 (nt. 7); Cas., sez. III pen., 11 Luglio 2006, n. 35223, L. S. F. In Sistema Leggi d'Italia (nt.18); Tnb. Lecco, 8 Marzo 2006, in Giur. Merito, 2006, 203 ss ..
26. Cfr. Cass., sez V pen., 11 Ottobre 2006, Fellini, in CED Cass., rv. 236294, a proposito di un 'associazione per delinquere strutturata come gruppo di società dedita alla commissione di una serie indeterminata di delitti concernenti il traffico illecito organizzato di rifiuti non pericolosi e pericolosi (tra cui rifiuti cancerogeni), la falsificazione di documenti di trasporto dei predetti rifiuti il c.d. abbancamento dei rifiuti in luoghi non idonei ed in modo tale da mettere in pericolo la pubblica incolumità. Le modalità operative risultavano essere quelle del c.d. sistema del "girobolla": i rifiuti, in ingenti quantità, erano "declassificati" mediante documenti falsi e venivano fatti confluire in stabilimenti privi dei requisiti necessari per il trattamento.
27. Si vedano, Cass., sez. I pen., 24 Ottobre 2006, n. 37783, P. S. In Sistema Leggi d'Italia (nt.18), in cui è stata ritenuta sussistente un associazione per delinquere volta alla stabile, organizzata e sistematica attività di commercializzazione di vini con la falsa attribuzione di "Indicazione Geografica Tipica" - I.G.T., o "Denominazione d'origine controllata" - D.O.C., mentre si trattava in realtà di vini da tavola di provenienza meridionale, acquistati come tali da società appositamente costituite e controllate. Quali reati-scopo sono stati contestati episodi di frode in commercio, reati tributari e contraffazione di timbro.
28. Per tutto il secolo scorso, con la rilevante eccezione costituita dal c.d. "concorso esterno in associazione di tipo mafioso", ha avuto luogo una sorta di conventio ad escludendum dei colletti bianchi e delle attività criminose commesse da costoro nel contesto politico-affaristico della sfera applicativa dell'art. 416 c.p., nonostante molteplici vicende ben si prestassero a siffatto inquadramento: emblematico l'esempio dell'inchiesta milanese "Mani Pulite" che ha svelato un malsano apparato in cui "politici, funzionari pubblici, boiardi di stato, grandi medi e piccoli imprenditori, hanno stipulato intese durature per spartire appalti pubblici secondo criteri concordati e per procurare vantaggi imprenditoriali indebiti dietro il pagamento di tangenti. Cosi GROSSO, Le fattispecie associative: problemi drammatici e di politica criminale, in Criminalità organizzata e risposte ordinamentali, a cura di Moccia, Napoli, E.S.l., 1999, 145 ss..
29. Per approfondimenti cfr., A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, Bologna, Il Mulino, 2010, 105 ss.
30. A proposito di Parmalat, è significativo osservare che le corpose motivazioni della sentenza di primo grado si soffermano sul capo di imputazione A, contenente la contestazione della fattispecie associativa, soltanto dopo aver ampiamente trattato le accuse concernenti i fatti di bancarotta e gli ulteriori delitti-scopo dell’ipotizzata societas sceleris. Sulla vicenda “Parmalat” v., R. PARDOLESI, A. PORTOLANO, Latte, lacrime (da coccodrillo) e sangue (dei risparmiatori). Note minime sul caso Parmalat, in Merc. cong. reg., Il Mulino, 2004, 194 ss; F. BENEDETTO, S. DI CASTRI "Il caso Parmalat" e l'indipendenza dei controllori: amministratori, sindaci e revisori alla prova del crack, in Banca, impr. soc., 2005, 211 ss.
31. «Alla contestazione di cui all’art. 416 c.p. non è di ostacolo la formazione di una persona giuridica, costituendo al contrario la creazione di tale centro di imputazione un connotato evidente della stabilità del vincolo, e della presenza di un mezzo finalisticamente volto alla commissione di reati, ove si possa desumere un costante modus procedendi della compagine in tal senso. Provata la presenza in capo ad una società commerciale di un modulo operativo illecito costantemente seguito e condiviso dai consociati, a maggior ragione deve ritenersi provato il delitto associativo». Cosi, in motivazione, Cass., sez. VI, Pen., 25 Novembre 2010 (nt.19).
32. E. BASILE, Gli incerti confini dell’associazione per delinquere, cit., 517/II
33. La ricostruzione del nesso di causalità in termini di contributo del partecipe all’apparato organizzativo dell’associazione per delinquere è sostenuta tra gli altri, da FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, Volume I, cit., 465;. L'impostazione in esame è stata fatta propria dalla Suprema Corte nella sua autorevole composizione: Cass., sez. Un., Pen., 12 Luglio 2015, Mannino, in Foro it., 2006, II, 86 ss, con nota di FIANDACA-VISCONTI, il patto di scambio politico-mafioso al vaglio delle sezioni unite.
34. E. BASILE, Gli incerti confini dell’associazione per delinquere, cit., 517/II
35. VISCONTI, Continuità alla mafia e responsabilità penale, Torino, Giappichelli, 2003, 74.
36. La tesi ermeneutica maggioritaria, secondo la quale il principale elemento caratterizzante la societas sceleris sarebbe l'indeterminatezza del programma criminoso, è stata elaborata in epoca anteriore al codice Zanardelli: V. MANASSERO, Il delitto collettivo e la teoria del concorso, Milano, 1914, 59 ss; Salerno Concorso delittuoso e associazione a delinquere, in Scuola Pos., I, 1930, 52.
37. «Solo in un momento successivo, quando l’illecito, già genericamente prefigurato come oggetto del programma al momento della costituzione dell'associazione, viene concretamente deciso e messo “in cantiere” connotandosi di una precisa identità nel tempo e nello spazio che consente di collocarlo in un contesto di circostanze ben determinato, solo allora inizierà la fase della preordinazione e della organizzazione dell’eventuale concorso di persone.» Cosi Spagnolo (nt.3), in Giurisprudenza cfr. Cass.sez IV, Pen., 1997, 576; «L’indeterminatezza dell’intesa non può tuttavia esser concepita in termini di generica criminalità criminosa, che altrimenti risulterebbe violato il canone giuspenalistico di offensività, ne segue che è ammissibile un indeterminatezza limitata al profilo quantitativo dei delitti-scopo, ma non anche quello qualitativo, con riferimento quantomeno alle tipologie degli stessi.» Sul punto V. IACOVIELLO, Ordine pubblico e associazione per delinquere, in Giust. Pen., 1990, Il, p. 57 ss.
38. In dottrina per tutti, DE FRANCESCO, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, in Dig. Disc. Pen., I, Torino, Utet, 1987, 292; in giurisprudenza di legittimità si vedano, Cass., sez. V, Pen., 20 Gennaio 1999, Stolder, in CED Cass., rv. 212816; Cass., sez V pen., 4 Ottobre 2004, Collodo, in CED Cass, rv. 229906.
39. Cass., sez., VI pen., 23 Novembre, 2004, Tahiri, in foro.it, 2005, II, 448.
40. Si veda tuttavia, Cass., 25 Novembre 2010 (nt.19), secondo cui non «è necessario che il vincolo associativo assume carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, ne consegue che non si richiede un notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche un attività associativa che si svolga per un breve periodo.»
41. G.i.p. Firenze (nt.129)
42. Ibidem.
43. A. DI NICOLA, La criminalità economica organizzata: le dinamiche dei fenomeni, una nuova categoria concettuale e le sue implicazioni di policy, Franco Angeli, Milano, 2006, 44.
44. V. RUGGIERO, Crime e Markets, Oxford University press, New York, 200.
45. D.C. SMITH, R.D. ALBA, Organized crime and american life, in Society, n.16, .32-38
46. P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1983, 108.
47. Ivi, 125.
48. Ivi, 135.
49. cfr. E. FANTO’, L’impresa a partecipazione mafiosa. Economia legale ed economia criminale, Dedalo, Bari, 1999.
50. Ivi, p. 39.
51. Ivi, p. 57.
52. A. PANSA, Il riciclaggio in Italia, in L. Violante (a cura di ) I soldi della mafia, La Terza, 1998.
53. A. BECCHI, G.M. REY, L’economia criminale, La Terza, Bari, 1994.
54. G. LO FORTE, Criminalità organizzata ed economia illegale, in A. La Spina (a cura di) I costi dell’illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia, Il Mulino, Bologna 2008.
55. U. SANTINO, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, 25-26
56. R. CATANZARO, Impresa mafiosa economica e sistemi di regolazione sociale: appunti sul caso siciliano, in G. Fiandaca, S. Costantino (a cura d1) La legge antimafia tre anni dopo, Franco Angeli, Milano 1986 p 178.
57. R. CATANZARO, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana, Padova 1988.
58. cfr. M. RICCIARDI, When criminals invest in business: are we looking in the right direction. An exploratory analysis of companies by mafias. In Organized Crime and Crime prevention, Essays in honor of Ernesto U. Savona in F. Calderoni, S. Caneppele (a cura di) Springer, NY, 2014.
59. D. GAMBETTA, La mafia siciliana. Un industria della protezione privata, Einaudi, Torino, 1992, p. XIX.
60. U. SANTINO, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, cit., Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, 42-43.
61. E. U. SAVONA, L. MEZZANOTTE, La corruzione in Europa, Carocci, Roma, 1998.
62. E.U. Savona, Economia e criminalità, in Enciclopedia delle scienze sociali, I supplemento 2001, www.Treccani.it , p.98.
63. A. LAMBERTI, Camorra come “metodo” e “sistema”, in G. Gribaudi, Traffici criminali. Camorra, Mafie e reti internazionali dell’illegalità, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp.490-491.
64. Ivi, 496.
65. Ivi, 497.
66. Cort. Ass. di Napoli, III sezione 19 Maggio 2003, sent. N. 43/01 R.G.
67. R.RAZZANTE, La nuova fisionomia del delitto di corruzione nel diritto italiano, in R.Razzante (a cura di), La nuova regolamentazione anticorruzione, Giappichelli, Torino, 2015, pp.1-2.
68. L. LIMOCCIA, “Criminalità economica e casi studio”, Edizioni scientifiche italiane , Napoli, 2017, 71.
69.Cfr. G.COLOMBO, Stato di diritto e corruzione. I risultati delle indagini milanesi contro la Pubblica Amministrazione, Relazione tenuta a San Paolo del Brasile, 1994.
70. Ibidem.
71. L. LIMOCCIA, "Criminalità economica e casi studio", cit. 74.
72. A. VANNUCCI, La corruzione e gli appalti “sottotiro”, in Amministratori sotto tiro. Rapporto 2014. Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie. Novembre 2014, 17-18.
73. P. ROMANI, Amministratori sotto tiro. Dal rischio alla resistenza, in Amministratori sotto tiro. Rapporto 2014. Avviso Pubblico. Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie. cit., 21-22.
74. R. RAZZANTE, La nuova fisionomia del delitto di corruzione nel diritto italiano, in R. Razzante ( a cura di), La nuova regolamentazione anticorruzione, cit., 6-8.
75. A. VANNUCCI, La corruzione sistemica. Sintomi e anticorpi, in Narcomafie, n.5, settembre/ottobre 2016, 13-14.
76. Legge del 6 Novembre 2012 n.190, disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, pubblicata in G.U. 13 Novembre 2012, n. 265.
77. Per approfondimenti cfr., Legge 27 maggio 2015, n. 69, Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio, GU Serie Generale n.124 del 30-05-2015, entrata in vigore del provvedimento: 14/06/2015.
78. Ibidem.
79. Legge 17 Ottobre 2017, n. 161, Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 Settembre 2011, n.159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate. Gazzetta ufficiale n.258 del 4 Novembre 2017.
80. E. Pucci, "Corrotti come mafiosi, ok al Codice il no di Renzi: Errore gravissimo", in Il Mattino, 28 Settembre 2017, 2.
81 G. NEGRI, Giudici chiamati a grande cautela, in Il Sole 24 ore, 28 Settembre 2017, 29.
82. G. CASSADIO, Bindi: "un regalo al Paese sbaglia chi critica la legge non c'è nulla da correggere", in La Repubblica, 28 Settembre 2017, 2.
83. Approvato il Codice Antimafia: un risultato straordinario che rafforza la lotta contro le mafie e la corruzione, in www.Libera.it, 27 Settembre 2017.
84. Cfr. V. RUGGIERO, Crime and markets, cit., S. Zamagni a cura di, Mercati illegali e mafie. L'economia dei crimine organizzato, cit., R. Sciarrone (a cura di), Alleanze nell'ombra. Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno, Donzelli, Roma, 2011; Transcrime, Study on extortion racketeering the need for an lnstrument to Combat Activities of Organized Crime, Final Report prepared for The European Commission, Bruxelles, 2009.
85. U. SANTINO, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Saveria Mannelli 1995.
86. G DI GENNARO,Come spiegare origine, sviluppo e decadenza del fenomeno estensivo, in G. di Gennaro (a cura di) Le estorsioni in Campania. Il controllo dello spazio sociale tra violenza e consenso, Rubbettino, 2015. P. 50.
87. R. CATANZARO, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, cit., Liviana, Padova, 1988
88. Cfr. E. F ANTÒ, L’impresa a partecipazione mafiosa. Economia legale ed economia criminale, Dedalo, Bari, 1999.
89. N. ELIAS Potere e civiltà, Il Mulino, Bologna 2010.
90. I. SALES, Storia dell’Italia mafiosa. Perché le mafie hanno avuto successo, Rubbettmo Soveria Mannelli, 2015,p.150.
91. Ivi, p. 151-152
92. L. GRASSI, "Caro estortore", Lettera pubblicata il 10 Gennaio del 1991 sul Giornale di Sicilia.
93. I. SALES, Storia dell'Italia mafiosa. Perché le mafie hanno avuto successo, cit..
94. A. LA SPINA, (a cura di) I costi dell'illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia. il Mulino Bologna 2008.
95. G. DI GENNARO, Il peso dell'attività estorsiva a Napoli e provincia. Cosa sappiamo e come contrastare tale reato, in G. DI Gennaro, R. Marselli (a cura di), Criminalità e sicurezza a Napoli. Primo rapporto, Federico II, Open Access University Press, (FEDOAPressNapoli), Napoli, 2015, 300-3002.-(Studi e ricerche in scienze criminologiche, giuridiche e sociali, 1) accesso alla versione elettronica: http://www.fedoabooks.unina.it.
96. Vibo, Comune contro il racket: il Sindaco Costa incontra Tano Grasso, 14 Marzo 2016, in www.zoom24.it.
97. G. DI GENNARO, il peso dell'attività estorsiva a Napoli e provincia. Cosa sappiamo e come contrastare tale reato, cit., in G. DI Gennaro, R. Marselli (a cura di), Criminalità e sicurezza a Napoli. Primo rapporto, cit. 316.
98. L. LIMOCCIA, Cittadinanza Digitale e legalità in Terra di Lavoro, ESI Ed. Scientifiche Italiane, Napoli 2012. 158.
99. Per approfondimenti v., Art. 240, 1 e 2 comma, Confisca, in codice penale italiano.
100. Cfr., Atti Parlamentari preliminari alla novella legislativa in tema di riciclaggio (d.l. 21 Marzo 1978, n.59, convertito nella legge 18 Maggio 1978, n. 191).
101. Cass., sez. 1, 4 Dicembre 2008, n.2453, Squillante e altro, Riv. 243027, in giur.it, 2009.
102. G. TURONE Problematiche giuridiche attinenti alla dimensione economiche delle associazioni mafiose, in, I delitti della criminalità organizzata, Vol. I, Roma 1996, Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 99 ·
103. Cass., Sez. 1, 1 Aprile 1992, Bruno e altro, in Cass. pen. 1993
104. Cass., Sez. II, 4 Marzo, 2005, n. 9954, De Gregorio, in Cass. pen. 2006.
105. Cass., sez. VI, 24 Ottobre 2013, n.47080.
106. Cass., sez., pen., n.6766/2014
107. V. art. 322 ter, comma I, c.p., Confisca, «Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli artt.. 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».
108. D.lgs 8 Giugno 2001, n. 231.
109. Cfr., F.RAMELLA, La responsabilità penale e le associazioni, in Trattato del Coglilo, II, 1985, 960; F. FERRATA, La responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. dir. comm., 1914, I, 513ss; R. ORESTANO, “Persona” e “Persone giuridiche” nell’età moderna, in Azioni, Diritti soggettivi. Persone giuridiche, 1978, 209.
110. L. ESPOSTIO, M. VALLONE, Le confische antimafia e le indagini patrimoniali. Dal sequestro alla sinergia tra confiscate, in R. Razzante (a cura di) , Corruzione riciclaggio e mafie. La prevenzione e repressione nel nostro ordinamento giuridico, ARACNE, Ariccia (RM) 2015, 272.
111. V. art. 12sexies, d.lgs. 6 Giugno 1992, n.306, conv. L. n.356, 7 Agosto 1992, aggiunto dall’art.2 del D.L. 20 Giugno 1994, n.399, con. L. n. 501, 8 Agosto 1994, e modificato da numerosi atti legislativi successivi.
112. L’art. 12sexies prevede che: «[..] è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta esser titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica [..].»
113. A. BALSAMO, Il sistema delle misure patrimoniali antimafia tra dimensione internazionale e normativa interna, in A. Balsamo, V. Contraffatto, G. NICASTRO, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Giuffrè, Milano 2010, 2ss.
114. Cass. sez. Un., 17 Dicembre 2003, n. 920, Montella, in Cass. Pen., 2004.