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Pubbl. Gio, 22 Apr 2021

Le problematiche sulla circolazione giuridica delle aree adibite a parcheggio: excursus legislativo e giurisprudenziale

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Davide Ianni
Praticante NotaioUniversità degli Studi dell´Aquila



Il presente contributo si pone come finalità la disamina della disciplina riguardante la circolazione giuridica delle aree adibite a parcheggio, mediante l´attenta analisi dei recenti interventi legislativi in materia, volti a soddisfare le esigenze di tutela e sicurezza dei negozi giuridici, da un lato, e a porre rimedio al noto problema del traffico urbano, dall´altro.


ENG The purpose of this paper is to examine the regulations concerning the legal circulation of parking areas, through the careful analysis of recent legislative interventions on the subject, aimed at satisfying the protection and safety needs of legal transactions, on the one hand, and to remedy the well-known problem of urban traffic, on the other.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Definizione; 3. Natura giuridica; 4. Le tre tipologie di parcheggi: la disciplina; 4.1. Parcheggi "Ponte"; 4.2 Parcheggi "Tognoli"; 4.3 Parcheggi "liberi"; 5. Conclusioni.

1. Introduzione

Con la crescita delle metropoli e la crescente espansione di infrastrutture, che permettono spostamenti rapidi da una città all’altra, è di riflesso aumentato in maniera corrispondente il traffico cittadino.

È così sorta l’esigenza, intorno alla seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso, di ristabilire l’ordine nelle arterie stradali cittadine. Tale necessità è stata soddisfatta mediante l’introduzione di una nuova ed innovativa disciplina normativa in materia di parcheggi.

2. Definizione

Senza necessità di ulteriori precisazioni, il parcheggio viene solitamente definito come l’area destinata alla sosta di veicoli. Al fine di ridurre la congestione del traffico stradale urbano, il legislatore si è così preoccupato di intervenire, attraverso due normative specifiche.

Come si analizzerà in seguito, tali interventi hanno dato impulso, sia in dottrina che in giurisprudenza, ad un ampio dibattito interpretativo.

Le questioni problematiche sollevate da tali norme non lambiscono esclusivamente il campo delle mere elucubrazioni giuridiche ed astratte del giurista esperto, ma, al contrario, hanno avuto ed hanno tuttora un importantissimo impatto nella prassi negoziale, soprattutto per quanto concerne la circolazione giuridica di tali beni.

Ad oggi, dunque, gli spazi adibiti a parcheggio devono sottostare ad una duplice disciplina: da un lato la disciplina del codice civile, dall’altro lato la normativa speciale che verrà esaminata nei paragrafi che seguiranno.

3. Natura giuridica

Il parcheggio, come già affermato, è un’area dedicata alla «sosta di veicoli, per un periodo di tempo piuttosto lungo, in uno spazio consentito o in una zona appositamente riservata dall’autorità competente[1]».

Nel linguaggio giuridico, il parcheggio viene ricompreso nel genus delle pertinenze. È lo stesso Legislatore che, all’art. 817 c.c., fornisce una definizione di pertinenze: «le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa»[2].

Da tale definizione si evince, sin da subito, come, nel rapporto pertinenziale, vi siano due elementi imprescindibili: bene principale e bene accessorio. Il “vincolo” che si instaura tra tali due termini comporta che il bene “accessorio” si trova in una posizione subordinata rispetto a quello “principale”.

L’art. 818 c.c. rafforza tale legame, prevedendo che «Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto[3]».

Nel silenzio della volontà delle parti, i due elementi seguono la stessa sorte. Tale principio è espresso e cristallizzato nel brocardo latino «accessorium sequitur principali». Il carattere accessorio, secondario, subordinato della pertinenza comporta un legame talmente stretto con il suo oggetto principale da venirne attratto sia nella disciplina che negli effetti.

Il secondo comma dell’art. 818 c.c., tuttavia, ripristina dei limiti al vincolo pertinenziale statuendo che comunque «le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici[4]».

È dunque possibile che, nonostante l’esistenza di un tale vincolo stringente, che lega i due elementi (pertinenza-bene principale), la pertinenza possa “affrancarsi” ed acquisire una disciplina autonoma e separata.

4. Le tre tipologie di parcheggi: la disciplina

Come già anticipato in precedenza, il Legislatore è intervenuto nella normativa relativa agli spazi adibiti a parcheggio attraverso due leggi fondamentali ed ancora oggi molto attuali: la c.d. “Legge-ponte” (L. 6 agosto 1967 n. 765) e la c.d. legge “Tognoli” (L. 24 marzo 1989 n. 122). L’aspetto “ingannevole” di tali novelle normative si annida nell’esiguo risalto che è stato ad esse riservato nella pratica negoziale. Un simile atteggiamento ha condotto gli operatori del diritto, ed in generale i cittadini stessi, a compiere atti, che apparentemente fossero pienamente validi ma che in realtà nascondevano molte insidie giuridiche nelle loro conseguenze ed effetti. A seguito di tali interventi normativi, in dottrina si è provveduto a categorizzare i parcheggi in tre diverse tipologie, aventi diverse discipline, peculiarità e problematiche proprie: (a) parcheggi “Ponte”; (b) parcheggi “Tognoli”; (c) parcheggi “liberi”.                                                                                                      

4.1. Parcheggi "Ponte"

Vengono definiti con l’epiteto “Ponte” tutti quei parcheggi che ricadono nell’ambito di applicazione – e dunque sono disciplinati- dalla c.d. Legge-ponte (L. 6 agosto 1967 n. 765). L’art. 18 della citata legge ha infatti introdotto il nuovo art. 41 sexies alla normativa vigente in materia urbanistica (L. 17 agosto 1942 n. 1150).

La norma, dopo le modifiche attuate dall’art. 1 della L. 24 marzo 1989 n. 122, prevedeva un solo comma dal seguente tenore letterale: «Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione».

Tale novella normativa fu, sin da subito, interpretata come norma di carattere pubblicistico, in quanto, di fatto, richiedeva quale condizione di legittimità per il rilascio del titolo edilizio abilitativo la riserva di una determinata area a parcheggi, nel rapporto tra superficie dell’area e volumetria della costruzione indicato dalla norma. Pertanto, l’ambito di applicazione che veniva riconosciuto a tale disciplina era il seguente:

-parcheggi realizzati contestualmente alla costruzione e previsti ab origine nel titolo edilizio abilitativo;

-costruzioni realizzate dopo l'1 settembre 1967 (data di entrata in vigore della L. 6 agosto 1967 n. 765);

- solo per nuove costruzioni, siano esse adibite ad uso commerciale o ad uso abitativo;

A fronte dello stretto legame che si veniva a creare tra licenza edilizia e parcheggio, tali parcheggi vengono anche definiti “obbligatori”.

Se il fine del legislatore, quantomeno negli ideali, era sicuramente lodevole, la nuova normativa ha portato l’insorgere di numerose difficoltà, soprattutto per quanto concerne la loro circolazione.

Se nessuna problematica veniva ravvisata nell’ipotesi in cui si alienasse il parcheggio insieme all’appartamento, i problemi nascevano invece nella diversa fattispecie in cui le parti decidessero di alienare esclusivamente il parcheggio, separatamente all’appartamento. In dottrina furono due le principali tesi che si contrapposero: da un lato si affermò la tesi c.d. «oggettiva», dall’altro quella «soggettiva».

Secondo la prima prospettiva[5], il legislatore aveva semplicemente voluto imprimere, su determinate aree, un vincolo oggettivo «di destinazione».

Si affermava infatti che dette aree dovevano restare adibite a parcheggio in modo permanente, in modo tale da contrastare il noto fenomeno della c.d. «sosta selvaggia» lungo i margini delle strade. Secondo tale orientamento dunque non vi era alcun tipo di limite “soggettivo”.

Diametralmente opposta è invece l’orientamento sostenuto da un’altra parte della dottrina[6] - e anche da parte della giurisprudenza di legittimità[7]- in base al quale sussiste invece un vero e proprio vincolo inderogabile di matrice soggettiva.

In particolare, secondo tale tesi si ritiene che il legislatore abbia voluto creare sia un vincolo di accessorietà tra appartamento e parcheggio, sia un legame di utilizzazione connesso all’unità abitativa legata al parcheggio.

In altri termini, il parcheggio dovrà essere sempre e comunque a servizio dell’immobile con cui è sorto, non potendo invece servire un altro immobile, neppure mantenendo la stessa destinazione.

Tali spazi devono essere necessariamente utilizzati dai fruitori o proprietari delle unità immobiliari ad essi connessi.

Laddove si vada a concludere un contratto di alienazione di un parcheggio ad un soggetto estraneo all’edificio ad esso connesso, tale negozio sarebbe colpito da nullità virtuale.

Ma v'è di più. La Cassazione[8] afferma che, a seguito di tale negozio, nascerebbe automaticamente ed ex lege, un «diritto reale d’uso atipico» in favore di coloro che abitano l’edificio di cui il parcheggio è pertinenza.

Tale evenienza può essere evitata solo laddove tale soggetti siano titolari di un diritto reale “più forte” (es. proprietà, enfiteusi, servitù, ecc.). In tali casi ovviamente il diritto d’uso verrebbe radicalmente meno, anzi non sorgerebbe affatto, in quanto mancherebbero i presupposti legali previsti dalla norma stessa.

Col fine di sopire tali dibattiti, il legislatore intervenne nuovamente con l’art. 26, quinto comma, della L. 28 febbraio 1985 n. 47, affermando che «gli spazi di cui all’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 cod. civ.».

La finalità del legislatore era quella di “liberare” la circolazione di tali aree, mediante l’applicazione del secondo comma dell’art. 818 c.c., laddove si prevede espressamente la possibilità di vendere separatamente le pertinenze dal bene principale a cui sono connesse.

Tuttavia, il risultato non fu quello sperato: la giurisprudenza[9] infatti rafforzava, ancor più di quanto avesse fatto in precedenza, la presenza di un indissolubile vincolo pertinenziale tra parcheggio e abitazione, prevedendo, da un lato, la libera alienabilità e, dall’altro, subordinando tale alienazione alla destinazione di dette aree adibite a parcheggio per gli immobili ad esse connessi.

Nonostante ciò, ci fu comunque una flebile apertura: non prevedere più la nullità di tali negozi, fermo restando il duplice vincolo di destinazione- oggettivo e soggettivo- a cui gli stessi devono sottostare.

Dopo il (quasi) fallimentare intervento normativo, il legislatore, al medesimo fine di porre fine ai dibattiti in merito alla controversa interpretazione della materia dei parcheggi, intervenne nuovamente attraverso la L. 28 novembre 2005 n. 246 (la c.d. Legge di semplificazione).

Attraverso l’art. 12, c.9 della citata legge, il Legislatore introduce un secondo comma all’art. 41 sexies della L. n. 1150 del 1942 prevedendo che «Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse»

Questa volta il dato letterale della diposizione è talmente chiaro e specifico che non lascia spazio ad interpretazioni: gli spazi adibiti a parcheggio non sono gravati da vincoli pertinenziali e non vi è nessun diritto d’uso a favore del proprietario di altre unità immobiliari site nell’edificio ad esso connesso.

I problemi, tuttavia, non finiscono qui ma, al contrario, si spostano sull’applicazione temporale della nuova disposizione e, dunque, quale natura riconoscere alla novella legislativa: si tratta di una norma di interpretazione autentica o di una norma innovativa? Il problema si snoda su due filoni: aderendo alla prima tesi (interpretazione autentica), l’efficacia temporale della disposizione si estenderebbe a tutti gli i negozi, a prescindere dalla data in cui questi furono posti in essere; diversamente, laddove si ritenesse che la disposizione sia una norma innovativa, essa non potrebbe trovare applicazione retroattiva, ma, al contrario, avrebbe efficacia ex nunc, solo per il futuro.

Ad onore del vero, sarà proprio quest’ultimo orientamento[10] a prevalere e ad affermarsi con decisione nel panorama giuridico, soprattutto giurisprudenziale. La novella L. n. 246/2005 si applica, dunque, esclusivamente alle sole costruzioni che non erano ancora sorte al momento dell’entrata in vigore di tale disposizione (16 dicembre 2005) o che, alla medesima data, non fosse ancora stata alienata nessuna delle unità abitative della costruzione. Deve tuttavia essere riportato come, in realtà, la dottrina prevalente risulti contraria a tale conclusione, ritenendo invece che tale disposizione debba trovare applicazione anche per il passato. A fronte della forte e netta chiusura della giurisprudenza sul punto, deve, tuttavia, affermarsi la necessità di agire con estrema prudenza ed attenzione in tale campo, informando di tutte le conseguenze giuridiche le parti di una eventuale compravendita interessate da tali disposizioni.

4.2. Parcheggi "Tognoli"

Diversamente da quanto accaduto per i parcheggi-Ponte appena esaminati, qualche anno più tardi il Legislatore è intervenuto nuovamente sul tema, prevedendo un’ulteriore disciplina e perseguendo gli stessi obiettivi che, però, con la Legge-ponte non furono pienamente raggiunti.

In particolare, l’obiettivo era estendere la possibilità di introdurre spazi adibiti a parcheggi anche per edifici già esistenti ma che ne erano sprovvisti.

Proprio per tale motivo, tali parcheggi vengono definiti “facoltativi” (in contrapposizione a quelli “obbligatori” della legge Ponte), in quanto sono gli stessi proprietari degli immobili che possono decidere liberamente se voler prevedere o meno tali spazi.

Il legislatore, in realtà, aveva previsto due diverse discipline, che si differenziavano sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. Quanto ai soggetti, il primo comma si riferiva ai privati “proprietari degli immobili”, mentre il quarto comma faceva riferimento ad enti pubblici ed in particolare ai “Comuni”.

Quanto all’oggetto, il primo comma si riferiva ad aree di private e faceva riferimento al diritto di proprietà dei privati su tali aree, mentre il quarto comma faceva riferimento ad aree comunali, quindi pubbliche, in cui ai privati era riconosciuto solo un diritto di superficie.

Per quanto concerne i primi – denominati anche “parcheggi privati” -, la legge aveva previsto la possibilità, per i privati cittadini proprietari di immobili, di realizzare, nel sottosuolo degli stessi, nei locali siti al pian terreno o, a determinate condizioni, anche nel sottosuolo delle aree pertinenziali esterne al fabbricato, delle aree di parcheggio.

Tali parcheggi dovevano inoltre essere destinati a “pertinenza delle singole unità immobiliari” e dovevano essere realizzati ad “uso esclusivo dei residenti”.

Per quanto concerne i secondi -denominati anche “parcheggi pubblici” -, il legislatore stabiliva che un ente pubblico -il Comune-, su richiesta di privati, imprese di costruzione o società, poteva prevedere, nell’ambito della progettazione urbanistica, la realizzazione di aree di parcheggio su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse.

Anche in tal caso la legge richiedeva che tali aree fossero destinate a pertinenza di immobili privati.

A differenza della ipotesi prevista al primo comma, in tal caso non si parlava di diritto di proprietà, per quando concerne tali aree, bensì di diritto di superficie.

I privati avranno infatti un mero diritto di superficie sulle aree di parcheggio, il cui contenuto ed estensione dovrà essere determinato dal Comune stesso con una convenzione.

Il vincolo in oggetto sorge ex lege, senza necessità di alcun atto d’obbligo specifico.

Ulteriore peculiarità sta nel fatto che tale previsione ha ad oggetto esclusivamente unità immobiliari ad uso residenziale, escludendo invece altre categorie di fabbricati aventi una destinazione differente.

Come accennato in precedenza, tali parcheggi sono “facoltativi”, proprio perché la loro esistenza è rimessa alla volontà dei soggetti su indicati.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione, la legge Tognoli si applica esclusivamente ai parcheggi di edifici già realizzati e solo ad uso residenziali (si esclude l’applicabilità a edifici non ancora venuti ad esistenza o completati nonché ad edifici aventi una destinazione d’uso diversa da quella residenziale).

Fermo restando tali presupposti, la legge troverà applicazione solo ed esclusivamente ai parcheggi realizzati dopo l’entrata in vigore della norma in oggetto (L.n.122/1989), ovvero dopo il 7 aprile 1989.

Come nel caso dei parcheggi Ponte, anche per i parcheggi Tognoli, i problemi maggiori sono sorti per quanto concerne la disciplina della circolazione di tali aree di parcheggio, soprattutto se separatamente all’unità immobiliare di cui sono pertinenze.

Il quinto comma dell’art. 9 della legge Tognoli, nella versione previgente, il medesimo articolo prevedeva inoltre che tali parcheggi «non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale.

I relativi atti di cessione sono nulli». Il tenore letterale della norma era dunque chiaro e perentorio, pertanto si ritenevano assolutamente vietati tali atti.

La ratio sottesa al divieto era dovuta al fatto di evitare che coloro che avessero usufruito delle agevolazioni previste dalla legge per la realizzazioni di tali parcheggi, riuscissero poi ad aggirare le finalità della norma, annullando il vincolo tra i due beni e spogliando dette aree della loro destinazione a parcheggio.

La dottrina dell’epoca inoltre riteneva che fossero vietati non solo atti traslativi del diritto di proprietà, ma parimenti tutto gli altri, a qualsiasi titoli, costitutivi di diritto reale o personali di godimento sugli stessi.

Nonostante tale cristallino divieto, in dottrina sorse un dibattito sulle eventuali possibili deroghe a tale divieto, che non fecero altro che aggravare la sorte della circolazione di tali parcheggi.

Pertanto, il risoluto Legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia con l’art. 10 del D.L. 9 febbraio 2012 n. 5 convertito in l. 4 aprile 2012 n. 35., modificando il quinto comma del citato articolo 9 della legge Tognoli.

Nella prima parte del citato comma, il legislatore ribadisce i forti vincoli previsti dalla legge n. 1150/1942 nonché la immodificabilità dell’esclusiva destinazione a parcheggi di tali aree.

Subito dopo viene introdotta la novità: viene meno il divieto generalizzato di cessione separata e vengono previste delle condizioni legali in cii tale cessione è invece possibile e lecita.

Ancora una volta tuttavia è necessario distinguere tra parcheggi Tognoli “privati” e “pubblici”.

Per quanto concerne i primi, il Legislatore ammette la cessione separata laddove l’area di parcheggio venga destinata a pertinenza di un’altra unità abitativa sita nel medesimo comune.

Per quanto concerne i secondi, la cessione separata è ammessa in due ipotesi: ove ciò sia espressamente previsto e consentito nella relativa convenzione del Comune ovvero se il Comune, in un momento successivo, abbia autorizzato la cessione separata.

4.3. Parcheggi "liberi"

Vi è infine una categoria residuale di parcheggi, in quanto non rientrano né nel campo di applicazione della legge Ponte, né della legge Tognoli.

Tali parcheggi vengono generalmente definiti come parcheggi “liberi” o “in eccedenza”.

Quest’ultimo epiteto si giustifica tenendo conto del fatto che le due leggi sopra citate (Ponte e Tognoli) pongono dei ristretti presupposti di applicazione, al di fuori dei quali tali aree sono “liberate” dai vincoli legali.

Essi dunque sono quei parcheggi costruiti “in eccedenza” rispetto a quelli che, al contrario, sono sottoposti alla disciplina legale.

Per comprende a pieno quale sia la portata di tale residuale disciplina, è possibile elencare le varie tipologie di parcheggi rientranti in questa categoria: (a) Aree o spazi privati adibite a parcheggio edificati anteriormente all’entrata in vigore della legge ponte; (b) Parcheggi rientranti nella disciplina ponte ma costruiti in eccedenza rispetto ai parametri imposti dall’art. 41 sexies l. 1150/1942; (c) Aree e spazi privati destinati a parcheggio edificati successivamente il 16/12/2005 (data di entrata in vigore della L. 246/2005 che rilegge il dettato normativo della legge ponte); (d) Parcheggi realizzati senza usufruire delle previsioni legali della L. 122/1989 (agevolazioni fiscali).

5.  Conclusioni

L’intero impianto legislativo sopra menzionato, sorto per esigenze di natura prettamente pubblicistica, ha dunque avuto come effetto collaterale quello di incidere in maniera dirompente su tematiche squisitamente privatistiche.

Se, prima facie, il problema è stato sottovalutato e rimesso all’abilità del singolo operatore del diritto, in un secondo momento, la vastità della questione ha richiesto un diverso approccio.

È stata così la Giurisprudenza che, in via ermeneutica, ha tentato, per prima, di chiarire il quadro normativo, adottando delle soluzioni che, da un lato, non tradissero la ratio legis sottostante i vari interventi, e dall’altro lato, fossero sufficienti a ripristinare un quadro più lineare, volto a garantire una maggiore sicurezza della circolazione giuridica delle aree adibite a parcheggio.

Nonostante gli sforzi delle Corti, il dibattito è tuttavia sfociato in una diatriba dottrinale, la quale ha richiesto il necessario ed ineluttabile intervento del Legislatore. La circolazione dei parcheggi, spesso sottovalutata, è infatti intrisa di molteplici problematiche, dovute soprattutto alla scarsa conoscenza di una simile disciplina settoriale e molto tecnica.

Ad oggi, dunque, il dibattito intorno alla disciplina giuridica delle aree adibite a parcheggio sembra essersi definitivamente placato, soprattutto grazie agli interventi chiarificatori del Legislatore.

Gli spazi di libera interpretazione sono infatti stati definiti con estremo rigore ed in maniera granitica dal Legislatore e successivamente dalla stessa Giurisprudenza. L’incertezza che potrebbe residuare resta circoscritta all’identificazione dell’ambito di applicazione delle varie discipline e pertanto si ritiene opportuno l’ausilio di un esperto laddove si volesse procedere ad uno dei negozi sopra menzionati.


Note e riferimenti bibliografici

[1] www.treccani.it

[2] Art. 817, primo comma c.c.

[3] Art. 818, primo comma c.c.

[4] Art. 818, secondo comma c.c.

[5] In GENGHINI L., CAMPANILE T., CRIVELLARI F., Manuali notarili a cura di Lodovico Genghini, I diritti reali, vol. 5, Padova, 2011; Tra gli altri: A. LUMINOSO, Posti macchina e parcheggi tra disciplina pubblicistica e e codice civile, in Contr. e Impr. 1990.

[6] GENGHINI L., CAMPANILE T., CRIVELLARI F., Manuali notarili a cura di Lodovico Genghini, I diritti reali, vol. 5, Padova, 2011, si cita la teoria di L. SALIS, Il posto macchina nel condominio, in Riv. Giur. Edilizia, 1985.

[7] Cass. Sez. Un. 17 dicembre 1984 nn 6600,6601,6601, in Riv. Giur. Edilizia, 1985.

[8] Vedi nota 7.

[9] Cass., Sez. Un., 18 luglio 1989, n. 3363, in Foro it., 1989.

[10] Cass. 1 agosto 2008, n. 21003, in De Jure.