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Pubbl. Mer, 10 Mar 2021

Fecondazione eterologa praticata da due donne: indifferibile un intervento del legislatore

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Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte costituzionale ha depositato nella giornata del 9 marzo 2021 la sentenza n. 32/2021 dove ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e 250 c.c., affermando che spetta prioritariamente al legislatore individuare il “ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, per fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore nato da procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da due donne”.


Il Tribunale ordinario di Padova aveva rimesso alla Corte costituzionale la legittimità degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e 250 c.c. nella parte in cui non consentirebbero al figlio nato a seguito di fecondazione assistita praticata da due donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale acconsenziente alla pratica fecondativa, non essendoci le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore.

Avvalorando tale interpretazione, si lascerebbe così privo di tutela l’interesse del minore, nato a seguito di fecondazione assistita praticata da due donne, non potendo procedere al riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre intenzionale, poiché non sussisterebbero le condizioni per procedere all’adozione in casi particolari, prevista all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, a causa del mancato assenso del genitore biologico-legale, previsto quale presupposto.

Infatti, si è sottolineata la disparità di trattamento tra i figli nati da PMA praticata da coppie omosessuali e quelli nati da PMA eseguita da coppie eterosessuali o da coppie dello stesso sesso che possano accedere all’adozione in casi particolari avendo ottenuto il consenso da parte dalla madre biologica.

Di conseguenza, i figli nati da PMA eterologa praticata da coppie omosessuale sarebbero destinati a essere riconosciuti da un solo genitore e non dall’altro che ha altresì contribuito al progetto procreativo.  Tale disparità di trattamento sarebbe, quindi, in palesa violazione dell’art. 3 e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 CEDU.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2021[1] ha dichiarato inammissibili le questioni, constatando tuttavia, l’insufficienza della disciplina in esame che crea un vuoto di tutela nei confronti del minore, auspicando pertanto l’intervento del legislatore.

Infatti, si legge nella sentenza depositata il 9 marzo 2021 che

“Le questioni sollevate dal Tribunale di Padova confermano, in modo ancor più incisivo, l’impellenza di tale intervento. Esse rivelano in maniera tangibile l’insufficienza del ricorso all’adozione in casi particolari, per come attualmente regolato, tant’è che nello specifico caso è resa impraticabile proprio nelle situazioni più delicate per il benessere del minore, quali sono, indubitabilmente, la crisi della coppia e la negazione dell’assenso da parte del genitore biologico/legale, reso necessario dall’art. 46 della medesima legge n. 184 del 1983. La previsione di tale necessario assenso, d’altro canto, si lega alle caratteristiche peculiari dell’adozione in casi particolari, che opera in ipotesi tipiche e circoscritte, producendo effetti limitati, visto che non conferisce al minore lo status di figlio legittimo dell’adottante, non assicura la creazione di un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante (considerata l’incerta incidenza della modifica dell’art. 74 cod. civ. operata dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali») e non interrompe i rapporti con la famiglia d’origine.

Da quanto detto risulta evidente che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi.

La loro condizione rivela caratteri solo in parte assimilabili a un’altra categoria di nati cui, per molti anni, è stato precluso il riconoscimento dello status di figli (i cosiddetti figli incestuosi), destinatari di limitate forme di tutela, a causa della condotta dei genitori. Ciò ha indotto questa Corte a ravvisare una «capitis deminutio perpetua e irrimediabile», lesiva del diritto al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, che è «elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione», e in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza (sentenza n. 494 del 2002).

Al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore, che ha pieno riscontro nei richiamati principi costituzionali, questa Corte ritiene di non poter ora porre rimedio. Serve, ancora una volta, attirare su questa materia eticamente sensibile l’attenzione del legislatore, al fine di individuare, come già auspicato in passato, un «ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana» (sentenza n. 347 del 1998). Un intervento puntuale di questa Corte rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato.”


Note e riferimenti bibliografici

[1] https://www.cortecostituzionale.it