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Pubbl. Mar, 8 Set 2015

Il diritto allo studio. Parte seconda.

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Breve trattazione degli istituti volti a garantire il diritto allo studio nel pubblico impiego e, specificamente, nelle Forze Armate


 

1.    Università con fruizione a distanza

La sempre maggiore velocità della banda di connessione, le innovazioni legislative e gli strumenti tecnologici ormai capillarmente diffusi hanno favorito la crescita non solo delle c.d. Università telematiche, ma hanno consentito anche alle Università tradizionali di inaugurare singoli corsi o interi percorsi di laurea in modalità e-learning.

Per quanto di nostro interesse, nelle sezioni conclusive del saggio precedente ci si era chiesti in che modo si potesse conciliare la concessione delle centocinquanta ore di diritto allo studio con la fruizione on-line dei corsi.

Ebbene la direttiva applicativa della Difesa, cui s’è in precedenza fatto cenno, evidenzia come «la concessione del beneficio in argomento è subordinata all’assoluta necessità di far fronte agli impegni derivanti dall’iscrizione e alla frequenza, in senso lato, dei corsi esclusivamente quando detti impegni debbano essere assolti durante l’orario di servizio».

Le modalità di fruizione a distanza, avendo come ratio principale, quella di agevolare gli studenti lavoratori sono ideate proprio per incidere il meno possibile sull’orario di lavoro.

Qualora, dunque, non sussista contemporaneità tra l’orario delle lezioni e quello di servizio, il militare non potrà accedere al beneficio delle ore di diritto allo studio.

Nella sostanza, ove si dovesse partecipare in teleconferenza ad un esame ovvero ad una lezione, potrà essere concesso il beneficio. Ove si tratti di audio o video lezioni scaricabili detto beneficio decade.

Stesso principio vale per le ricerche bibliografiche: il beneficio potrà essere invocato solo in caso di documentata necessità di svolgere le stesse presso biblioteche altamente specialistiche, il cui periodo di apertura non ne consenta la frequenza al di fuori dell’orario di servizio dei militari interessati.

Infine, per il giorno o i giorni delle prove d’esame connesse al conseguimento di un titolo di studio di scuola media superiore o universitario è rilasciata la licenza straordinaria per esami[1].

Si evidenzia, in conclusione come la licenza straordinaria per esami possa essere concessa anche per esami inerenti bandi emessi dalle Pubbliche amministrazioni. Essa è concessa nella misura limitata al tempo necessario per sostenere l’esame e per i viaggi di andata e ritorno, fino ad un massimo di otto giorni l’anno.

 

2.    Dottorato di ricerca

Molto interessante, in materia, è il congedo straordinario per dottorato di ricerca, ovvero il livello massimo di istruzione universitaria.

La normativa che disciplina il dottorato di ricerca per i dipendenti pubblici è la Legge n. 476/1984; in particolare, l’art. 2 della predetta legge prevedeva originariamente come “il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza”.

Il legislatore consentiva, pertanto, al dipendente pubblico ammesso ai corsi di dottorato di ricerca di usufruire, a semplice domanda, di un congedo straordinario non retribuito per tutta la durata degli stessi.

Successivamente l’art. 52, comma 57, della Legge 28 dicembre 2001 n. 448 ha integrato l’art. 2 della Legge n. 476/1984 stabilendo come “in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro”

La ratio della disposizione era chiaramente quella di garantire al dipendente ammesso ai corsi di ricerca e studio non soltanto la conservazione del posto di lavoro già occupato, ma anche un trattamento retributivo in caso di oggettivo non percepimento di altro sostegno economico.

La norma de qua disponeva ulteriormente come “qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti”.

Si dava, quindi, la possibilità a coloro che non percepivano borsa di studio o che rinunciavano alla stessa di conservare il diritto alla retribuzione, a condizione che dopo il conseguimento del dottorato di ricerca il dipendente restasse in servizio presso l’Amministrazione pubblica per almeno due anni.

La Legge n. 240 del 30 dicembre 2010 (c.d. riforma Gelmini), intervenuta recentemente nella disciplina dell’istituto del congedo straordinario per motivi di studio dei dipendenti pubblici ammessi ai dottorati di ricerca, ha cancellato in un sol colpo tutta la normativa di favore fino allora vigente.

Infatti, l’art. 19, comma 3, della predetta legge, intervenendo ad ulteriore modifica dell’art. 2 della Legge n. 476/1984, ha, infatti, inserito al primo comma dello stesso articolo dopo le parole “è collocato a domanda” le seguenti “compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione”.

Pertanto, prima della legge n. 240/2010, il pubblico dipendente ammesso ad un dottorato di ricerca che volesse usufruire del congedo straordinario per frequentare il relativo corso di studio, altro non doveva fare che presentare alla propria amministrazione di appartenenza una domanda di congedo, corredata da un certificato di ammissione e frequenza del suddetto ciclo di istruzione post-universitario, rilasciato dall’Ufficio Dottorati della propria Università: il congedo straordinario era concesso automaticamente.

Ora, invece, a seguito della riforma “Gelmini”, a fronte dell’inciso “compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione”, per ottenere il congedo straordinario occorre anche il nulla-osta del dirigente del proprio Ufficio.

Da un punto di vista strettamente giuridico, quindi, prima della legge n. 240/2010 il congedo straordinario finalizzato alla frequentazione del dottorato di ricerca era oggetto di un provvedimento amministrativo vincolato e il dipendente pubblico aveva un diritto soggettivo al suo ottenimento.

Con la Legge 240/2010, invece, il congedo straordinario è diventato oggetto di un provvedimento discrezionale e il dipendente pubblico ha solo un diritto sospensivamente condizionato al congedo, ovvero un semplice interesse legittimo.

In sostanza, quindi, il dirigente potrà discrezionalmente concedere o meno il congedo straordinario, all’esito di una valutazione tra diversi contrapposti interessi (quello all’organizzazione e all’efficienza del suo ufficio e quello alla ricerca scientifica e tecnica di cui potrà beneficiare la stessa pubblica amministrazione).

E’ chiaro, quindi, che un congedo straordinario che può essere autorizzato “compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione” è un congedo concedibile dal dirigente ad libitum, a fronte di esigenze che potrebbero essere di qualunque tipo, tutte giustificate o plausibili alla luce del suddetto dettato normativo (il diniego potrebbe, infatti, essere giustificato dalla “carenza di personale in organico”, piuttosto che “all’insostituibilità di un valido elemento”, ecc..).

Con tale normativa il rischio che si corre è che la decisione da discrezionale diventi arbitraria: un dirigente poco incline alla cultura o allo sviluppo della ricerca o insensibile all’elevazione della qualificazione e della professionalità del singolo comparto pubblico, potrebbe non concedere l’autorizzazione al solo fine di non perdere per tre anni un funzionario che per l’amministrazione che rappresenta può essere utile già così, senza ulteriori corsi di studio.

Da ultimo, si tenga presente come le nuove disposizioni pongano ulteriori limiti al diritto di studio e ricerca; l’art. 19, comma 3, della L. 240/2010 prevede, infatti, come “non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, né i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo. I congedi straordinari e i connessi benefici in godimento alla data di entrata in vigore della presente disposizione sono mantenuti”.

 

3.    Premi in danaro

Ragguardevole, nonostante il periodo di difficile congiuntura economico-finanziaria, è lo sforzo compiuto dal Ministero della Difesa che ha disposto dei contributi volti a sostenere economicamente il personale militare in servizio che consegua titoli di studio utili all’accrescimento del proprio livello culturale e della preparazione professionale.

Titoli legittimanti la richiesta di contribuzione sono il diploma di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale, il diploma accademico in discipline musicali, artistiche e scienze religiose, tutti i diplomi di laurea ed i diplomi di specializzazione post lauream.

Le istanze possono essere presentate da tutto il personale militare, eccezion fatta per i volontari in servizio annuale e dell’Arma dei Carabinieri.

Il contributo, in misura variabile dai duecento ai cinquecento euro è erogato dal Ministero su richiesta del dipendente direttamente sul suo conto corrente e non concorre a formale reddito.

Onde accedere alla misura premiale sono presi in considerazione solo i titoli di studio rilasciati da istituti e/o università statali ovvero parificati e legalmente riconosciuti[2].

Ovviamente non sono idonei allo scopo in parola i titoli di studio conseguiti presso gli istituti militari o finanziati dal Ministero della Difesa. Questo perché, normalmente, non solo l’Allievo Ufficiale ovvero l’Allievo Sottufficiale durante il corso di laurea non sono soggetti né al pagamento di tasse o contributi universitari né all’acquisto dei libri di testo, ma anche perché essi, durante la frequenza del corso, vengono retribuiti.

 

 

 

 


[1] Cfr. per maggiori dettagli art. 37 del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 3 della legge n. 537 del 1993, art. 78 del D.P.R n. 782 del 1985, art. 48 del D.P.R n. 395 del 1995 e art. 2 delle “norme per la concessione delle licenze”.

[2] Non saranno presi in esame i diplomi di laurea triennale o specialistica conseguiti presso Università statali o private se oltre la metà dei crediti formativi, complessivamente previsti dai relativi corsi, sono stati riconosciuti in base alla pregressa formazione acquisita presso Collegi, Scuole o Accademie militari o, comunque, a seguito di convenzioni con le Forze armate.