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Pubbl. Mer, 17 Feb 2021

La prova della tardività del ricorso nel processo amministrativo

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Benedetta Greco



Il presente contributo analizza la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 giugno 2020, n. 3629. Confermando un orientamento oramai consolidato e costante nella giurisprudenza amministrativa, la pronuncia in esame ribadisce come, nell’ambito di un processo amministrativo, debba essere la parte che ha eccepito la tardività dell’impugnazione a fornire la prova rigorosa della stessa. Sotto altro e diverso profilo, la sentenza ha poi il merito di aver nuovamente chiarito i requisiti legittimanti l’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 108 c.p.a. come strumento di tutela del terzo che si trovi ad aver subito un pregiudizio diretto dalla sentenza amministrativa.


ENG This paper analyses the Supreme administrative court’s decision (8 June 2020, n. 3629). According to a well-established administrative case-law, the judgment states that those who plead that appeal is late, must prove it. In additio, the judgment clarifies the requirements to propose the third-party opposition as an instrument of protection of the third party who is affected by the administrative decision.

Sommario: 1. Premessa: il fatto storico da cui origina la sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 giugno 2020, n. 3629; 2. L'opposizione di terzo nel processo amministrativo: genesi ed evoluzione; 2.1 Il termine per proporre l'impugnazione; 2.1.1. L'onere probatorio della tardività dell’opposizione di terzo; 2.2. I soggetti legittimati; 3. Conclusioni.

1. Premessa: il fatto storico da cui origina la sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 giugno 2020, n. 3629

Una società Immobiliare S.r.l., a fronte della dichiarata e non meglio qualificata disponibilità di un complesso di capannoni industriali sito in Napoli, presentava al Comune, nel gennaio 2015, dapprima una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) avente ad oggetto un progetto di risanamento finalizzato alla realizzazione di un complesso commerciale per la grande distribuzione e, successivamente, nel maggio 2015, una DIA (dichiarazione di inizio attività) con oggetto un intervento riconfigurato come ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione.

Nell’agosto 2015, il Comune dichiarava l’inefficacia tanto della SCIA quanto della DIA per asserita difformità dalle norme urbanistiche vigenti e ordinava la remissione in pristino delle opere abusivamente realizzate ai responsabili.

La società provvedeva ad impugnare dinanzi al TAR Campania, Sez. Napoli, i suddetti atti e ne otteneva il relativo annullamento.

Il Comune proponeva, allora, appello dinanzi al Consiglio di Stato, Sez. IV, che lo accoglieva, respingendo, dunque, il ricorso di I grado e confermando la legittimità dei poteri inibitori esercitati dal Comune (sentenza 8 maggio 2017, n. 2120)

Avverso la sentenza del Consiglio di Stato, gli eredi di Um. Pr., titolare di licenza edilizia n. 241 del 17 ottobre 1950 relativa all’immobile per cui vi era causa, proponevano opposizione di terzo. Gli stessi, infatti, deducevano che il loro dante causa, ultimato l’immobile, lo avesse locato presso il Comune di Napoli con contratto stipulato il 12 maggio 1962, per poi venderlo con riserva di proprietà alla società immobiliare opposta, a seguito della riconsegna dell’immobile da parte del Comune avvenuta nel febbraio 2015, senza, però, che fosse loro pagato il prezzo convenuto.

Dichiaravano, altresì, di essere venuti a conoscenza della sentenza opposta solo il 13 dicembre 2018 in seguito alla notifica di un ricorso proposto dalla stessa società immobiliare dinanzi al TAR Campania, Sez. Napoli ed avente ad oggetto un atto del Comune relativo al suddetto immobile.

Gli opponenti ritenevano, allora, di essere legittimati a proporre la suddetta impugnazione in qualità di litisconsorzi necessari pretermessi nel giudizio instauratosi dinanzi al Consiglio di Stato: gli stessi, in quanto effettivi proprietari del bene, affermavano di vantare una posizione giuridica autonoma e non derivata volta alla conservazione dell’immobile conteso.

Si costituiva nel giudizio di opposizione il Comune di Napoli il quale chiedeva la declaratoria di irricevibilità, per tardività, della impugnazione proposta e quella di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione.

2. L'opposizione di terzo nel processo amministrativo: genesi ed evoluzione

Prima di analizzare e, dunque, comprendere le statuizioni del Consiglio di Stato in ordine alle domande giudiziali come sopra evidenziate, è necessario ripercorrere brevemente quel processo, inizialmente giurisprudenziale e solo successivamente legislativo, che ha definitivamente sancito la piena compatibilità dello strumento dell’opposizione di terzo con il processo amministrativo.

Come noto, ogni impugnazione - da intendersi come strumento volto a far valere l’erroneità, l’illegittimità o l’ingiustizia della sentenza - risulta essere prerogativa delle parti del giudizio. 

D’altronde, le consuete condizioni dell’azione processuale, in sede di impugnazione, si concretizzano proprio nella soccombenza o insoddisfazione (interesse ad impugnare) e nella titolarità della qualità di parte del precedente giudizio (legittimazione ad impugnare), oltre che, naturalmente, nella possibilità giuridica dell’impugnazione.

Ciò significa che, almeno in linea generale, i terzi non possono impugnare una sentenza resa tra altri soggetti e ciò principalmente per il fatto che, di regola, la sentenza fa stato esclusivamente tra le parti, gli aventi causa e gli eredi a norma dell’art. 2909 c.c.

La logica conseguenza che ne deriva è che tutti coloro che non sono parti, loro eredi o aventi causa, non essendo pregiudicati dalla sentenza, non possono azionare alcuno strumento di impugnazione.

Tuttavia, accade spesso che proprio quel “fare stato” pregiudichi la situazione giuridica soggettiva del terzo che si affermi, invece, titolare di un diritto incompatibile e, a suo dire, prevalente rispetto a quello oggetto del processo e, conseguentemente, della sentenza[1].

Proprio le criticità suesposte hanno giustificato, a suo tempo, in ambito processualcivilistico, l’introduzione di una disposizione normativa (art. 404 c.p.c.) disciplinante un mezzo di impugnazione straordinario (l’opposizione di terzo), in quanto proponibile, in entrambi gli aspetti ivi contemplati, nonostante il passaggio in giudicato della sentenza[2]

Mentre, infatti, il comma 1 dell’art. 404 c.p.c.[3]  fa dipendere la proponibilità dell’opposizione di terzo cd. “ordinaria” dal fatto che la sentenza pregiudichi i diritti del terzo, il successivo comma 2[4] contempla, invece, l’opposizione di terzo “revocatoria”: questa, a differenza di quella disciplinata al comma precedente, è tesa alla radicale eliminazione di una sentenza frutto di dolo o collusione preordinata a provocare un danno ingiusto ad un soggetto (creditore o avente causa) estraneo al processo.

Ora, se è vero che in entrambe le ipotesi l’opposizione di terzo va proposta davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza opposta con atto di citazione, è pur vero che nel caso di cui all’art. 404, co. 2, c.p.c., l’atto introduttivo deve necessariamente contenere pure l’indicazione del giorno in cui il creditore o l’avente causa sono venuti a conoscenza del dolo o della collusione delle parti del giudizio. Tale previsione aggiuntiva trova la sua ragion d’essere nel fatto che solo ed esclusivamente con riferimento a questa seconda ipotesi, il combinato disposto di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., in materia di termini per impugnare, prevede che il termine breve di trenta giorni per proporre l’opposizione (art. 404, co. 2, c.p.c.) decorra dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la collusione. Nessun termine perentorio, invece, è previsto e, quindi, può essere applicato all’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404, co. 1, c.p.c. Vengono fatti salvi, in questo caso, solo gli effetti della prescrizione, dell’estinzione per non uso o dell'usucapione.

Delineate brevemente le caratteristiche proprie dello strumento in questione, occorre ribadire come, per un certo periodo di tempo, nell’ambito del processo amministrativo, la tutela del terzo che avesse subito un pregiudizio diretto dalla sentenza amministrativa veniva garantita solo da una serie di strumenti processuali, individuati in via interpretativa prevalentemente dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e riassumibili in «una nozione estesa della legittimazione ad appellare; - un’ampia possibilità di intervento nel giudizio di secondo grado; - la teorizzata possibilità di introdurre nel giudizio amministrativo la chiamata di terzo jussu judicis»[5].

La lunga assenza del mezzo di impugnazione dal panorama amministrativo si fondava, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, sul dato oggettivo della mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso e sul carattere asseritamente meno forte e pregnante della posizione giuridica soggettiva (interesse legittimo) oggetto del giudizio amministrativo[6].

Non solo, si riteneva che la natura propria del giudizio amministrativo, da intendersi come processo volto esclusivamente a sindacare la validità di un atto[7] e non anche a restaurare il rapporto sotteso, fosse ontologicamente incompatibile con le caratteristiche proprie dell’opposizione di terzo: parti del processo non potevano essere, dunque, i soggetti interessati al rapporto sottostante ma soltanto coloro i quali fossero stati espressamente individuati dall’atto impugnato (i c.d. controinteressati formali o di diritto)[8].

In dottrina, invece, si assisteva a prese di posizione meno rigide e certamente più variegate: essa, infatti, era divisa tra quanti avallavano gli arresti della giurisprudenza[9] e coloro che, al contrario, ritenevano che il silenzio normativo sul punto non potesse comunque rappresentare una valida ragione per impedire l’applicazione, pure in via interpretativa, della disciplina contenuta nel codice di procedura civile in tema di opposizione di terzo[10].

Solo negli anni Novanta, però, la tutela del terzo ottiene finalmente un vero e proprio riconoscimento formale. 

Il Consiglio di Stato, infatti, adito con un’opposizione di terzo, dopo aver accolto l'eccezione d'inammissibilità del ricorso in ossequio all’orientamento al tempo prevalente, ritenne comunque non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale[11] sollevata dall'istante in riferimento agli artt. 46 e 48 del R.D. 26 giugno 1924, n.1054, quali sostituiti dall’art. 36 L. 6 dicembre 1971, n.1034.

Con sentenza “additiva” n.177 del 17 maggio 1995, la Corte Costituzionale colmò, dunque, una grande lacuna della giustizia amministrativa: dichiarò, infatti, «l’illegittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) nella parte in cui non prevede l'opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato; dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede l'opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del tribunale amministrativo regionale divenute giudicato».

La pronuncia della Corte costituzionale muoveva dalla considerazione che, così come nel processo civile l’introduzione di tale rimedio nasceva dall'esigenza di garantire il rispetto del principio del contraddittorio (art. 24 cost.) anche a quei soggetti che, non avendo partecipato al giudizio, potevano comunque risultare pregiudicati dalla pronuncia, così, la medesima esigenza di garanzia doveva ritenersi preminente pure in sede di giustizia amministrativa[12].

Tale strumento, introdotto per la prima volta nell’ordinamento processuale amministrativo con la sentenza n. 177/1995 della Corte Costituzionale, è stato poi definitivamente disciplinato dal Legislatore con l’art. 108 D.lgs n. 104/2010 (codice del processo amministrativo).

2.1 Il termine per proporre l'impugnazione

Esaminando, ora, le caratteristiche proprie che il mezzo di impugnazione ha assunto in sede amministrativa, occorre evidenziare come pure il c.p.a. non contempli alcuna disposizione in tema di termini per proporre l’opposizione di terzo.

Poiché, allora, anche nel processo civile l’opposizione di terzo ordinaria non è assoggettata a termini perentori, verrebbe da pensare che il medesimo principio debba valere anche per il processo amministrativo. D’altronde, anche in questa sede il soggetto interessato potrebbe di fatto acquisire la legittimazione a proporre l’opposizione in data successiva rispetto al termine entro cui è possibile esperire i comuni mezzi di impugnazione. 

Tuttavia, è bene rammentare come, nel sistema di giustizia amministrativa, il ricorso giurisdizionale avente ad oggetto la tutela delle situazioni giuridiche soggettive definite come di interesse legittimo è però sottoposto ad un termine di decadenza.

Di tale specifica questione e, dunque, dell’adattamento dell’istituto dell’opposizione di terzo alle peculiarità del processo amministrativo, si è occupata approfonditamente proprio la IV Sez. del Consiglio di Stato, con sentenza 4 agosto 1998, n. 1128. 

Tale decisione, muovendo dalla considerazione oggettiva che, nella maggior parte dei casi, la posizione soggettiva fatta valere in sede di giustizia amministrativa è subordinata a rigorosi termini di decadenza rispetto al provvedimento amministrativo lesivo della stessa, ha statuito l’impossibilità che l’opposizione di terzo possa essere proposta sino a quando il diritto non sia prescritto[13].

Tutto ciò, precisa il Consiglio di Stato, almeno per quanto riguarda gli interessi legittimi ed in genere tutte le posizioni soggettive che vengono in rilievo a fronte dell’esercizio di un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione. 

Questa conclusione, tra l’altro, sembrerebbe suffragata pure da un dato testuale rinvenibile nell’articolo 406 cod. proc. civ., in forza del quale «davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti a lui».

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n.1128/1998, non ha però ritenuto necessario stabilire se il termine di cui sopra debba essere quello di sessanta giorni previsto per il ricorso contro gli atti amministrativi[14] ovvero quello per l’impugnazione delle sentenze, sulla falsariga di quanto avviene nel processo civile per la cd. “Opposizione revocatoria”.

2.1.1. L'onere probatorio della tardività dell’opposizione

Le diverse soluzioni rinvenibili in relazione al quesito lasciato insoluto dal Consiglio di Stato ed evidenziato nel paragrafo che precede, non incidono comunque sull’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di decadenza: esso è dato certamente dal giorno in cui l’opponente ha avuto conoscenza piena o legale della sentenza lesiva del suo interesse[15].

Orbene, poiché secondo i generali criteri di riparto dell’onere probatorio, chi si afferma titolare di un diritto deve dare prova dei fatti costitutivi dello stesso, mentre chi ne deduce l’inefficacia, l’estinzione o la modificazione ha l’onere di provare i fatti sottesi alla relativa eccezione, la prova della tardività dell’impugnazione, secondo la costante giurisprudenza amministrativa, incombe, evidentemente, sulla parte che la eccepisce e deve essere assistita da riscontri rigorosi, ossia da elementi da cui sia possibile derivare con assoluta certezza il momento della piena conoscenza dell'atto o del fatto[16].

La sentenza oggetto del presente contributo[17], allora, si inserisce nel solco della soluzione già tracciata, non ponendo alcuna soluzione di continuità con l’orientamento consolidatosi sul punto: la IV Sezione del Consiglio di Stato, infatti, ha nuovamente ribadito che la prova della tardività dell'impugnazione incombe sulla parte che la eccepisce la quale è, dunque, tenuta a dimostrare quale sia la data alla quale la controparte ha avuto piena conoscenza dell’atto da impugnare[18].

Proprio sulla base di questo ineludibile avamposto, il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha ritenuto di respingere l’eccezione preliminare - formulata dal Comune - di irricevibilità del ricorso perché tardivo. A detta del Giudice Amministrativo, infatti, non solo la prova nel caso in esame non è stata data, ma gli opponenti hanno pure allegato elementi chiari ed univoci da cui si desume, incontrovertibilmente, che gli stessi ebbero conoscenza dei fatti di causa solo il 13 dicembre 2018 a fronte, invece, di un ricorso introduttivo dell’opposizione notificato in data 7 febbraio 2019.

2.2. I soggetti legittimati

Da ultimo, in ordine alla declaratoria di inammissibilità dell’opposizione di terzo richiesta dal Comune per difetto di legittimazione degli opponenti, occorre precisare quanto segue.

Il testo originario dell’art. 108 c.p.a. menzionava come legittimato a proporre l’opposizione, soltanto il terzo titolare di una posizione autonoma e incompatibile. Tale previsione, però, è stata soppressa dal D.lgs n.195/2011 con la conseguenza che, attualmente, il codice del processo amministrativo non menziona più i soggetti legittimati.

Ad oggi, dunque, si può certamente affermare come dottrina e giurisprudenza siano concordi nel ritenere che l’opposizione di terzo possa senz’altro essere proposta dal terzo titolare di una situazione giuridica soggettiva autonoma e incompatibile[19], così come pure dal litisconsorte necessario pretermesso[20].

L’art. 108 del c.p.a., nella sua formulazione attuale, ha infatti allineato, almeno in linea di principio, il processo amministrativo a quello civile, prevedendo, proprio come l’art. 404 c.p.c., tanto l’opposizione di terzo “ordinaria”, quanto quella “revocatoria”.

Allo stesso modo di quanto dispone l’art. 404, co. 1, c.p.c., invero, anche l’attuale formulazione dell’art. 108, comma 1, c.p.a., riconosce la legittimazione a proporre opposizione di terzo al ricorrere della mancata partecipazione al giudizio conclusosi con la sentenza opposta (l’essere, dunque, “terzo”) e del pregiudizio arrecato ad una posizione giuridica di cui l’opponente risulti titolare.

Con riferimento proprio alla condizione di “terzo”, la giurisprudenza ha precisato come soggetto “terzo” debba sì ritenersi il litisconsorte necessario pretermesso, ma non anche i successori delle parti a titolo universale o particolare, ovvero i creditori o aventi causa, che possono, invece, utilizzare lo strumento della cd. opposizione revocatoria[21].

Per ciò che attiene, invece, alla delimitazione del secondo dei due presupposti, ossia quello del “pregiudizio”, l’orientamento prevalente ha ritenuto che, mentre nel caso del litisconsorte necessario pretermesso (il controinteressato[22] pretermesso), la lesione della posizione giuridica da lui vantata deriva direttamente dal riconoscimento della sua condizione processuale e dalla sentenza che abbia annullato l’atto per lui favorevole, nel caso di un soggetto non qualificabile come controinteressato pretermesso[23], questi è chiamato a dar prova della titolarità di una situazione giuridica soggettiva autonoma e incompatibile, proprio come richiesto in tutte le altre ipotesi in cui un terzo proponga opposizione ai sensi dell’art. 108 c.p.a.

Resta a questo punto da chiarire cosa debba intendersi per posizione giuridica autonoma e incompatibile.

La situazione giuridica - quindi, non un interesse di mero fatto - deve essere “autonoma” e, dunque, non deve essere direttamente pregiudicata dalla sentenza opposta, né deve porsi in posizione di derivazione o dipendenza rispetto a quella oggetto dell'accertamento giudiziale[24]. Deve poi essere “incompatibile”, nel senso che «l’accertamento giudiziale deve aver prodotto la contemporanea esistenza di poteri e facoltà su di un bene della vita che non possono coesistere, sotto forma di convergenza di interessi ovvero di divergenza di interessi»[25].

Risulta pacifico, allora, come la legittimazione a proporre opposizione di terzo (a norma degli artt. 108 e 109 c.p.a.) nei confronti della decisione del Giudice Amministrativo resa tra altri soggetti, vada riconosciuta, in generale, - oltre che ai controinteressati pretermessi, a quelli sopravvenuti ed ai controinteressati non facilmente identificabili - ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile rispetto a quella riferibile alla parte vittoriosa per effetto della sentenza opposta.

Certo, se affini sono le finalità del rimedio esperito ed identiche le modalità concrete di introduzione dell’opposizione, il fatto che l’impugnazione venga ad essere proposta da un soggetto piuttosto che da un altro non è del tutto esente da conseguenze.

Mentre nel caso di litisconsorte necessario pretermesso in primo grado, infatti, l’eventuale accoglimento dell’opposizione di terzo dinanzi al Consiglio di Stato comporta l’annullamento della sentenza opposta con rinvio al T.A.R. (proprio in ragione della violazione del contraddittorio), nel caso in cui sia stato il terzo titolare – ma non controinteressato – di una posizione soggettiva pregiudicata dalla sentenza opposta ad esperire il rimedio de quo, la sentenza di primo grado non va annullata e il giudice dell’appello decide direttamente sull’opposizione.

Tale differenziazione, pure alla luce della accurata analisi svolta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con sentenza n. 699/2020, appare ragionevole e coerente se sol si pensa al fatto che, in quest’ultimo caso, nessuna lesione del contraddittorio viene ad essere lamentata.

3. Conclusioni

In chiusura rispetto alla ricostruzione come sopra effettuata, si sottolinea come alla pronuncia da cui origina il presente contributo[26], debba essere riconosciuto il merito di aver ulteriormente chiarito quali siano i requisiti che debbono ricorrere proprio al fine di poter identificare un soggetto come legittimato a proporre l’opposizione di terzo: un requisito formale, identificato nel mancato intervento del soggetto nel processo concluso con la sentenza opposta e l’altro, sostanziale, nel senso che questi deve essere titolare di una «situazione soggettiva autonoma ed incompatibile con quella accertata nel processo, ovvero con quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza opposta e quindi, in termini sintetici ha interesse al mantenimento dell’atto impugnato. È questo il caso del controinteressato pretermesso, del controinteressato occulto perché non facilmente identificabile, ovvero del controinteressato sopravvento e non intervenuto nel processo»[27].

Nel caso posto all’attenzione del Consiglio di Stato sussisteva evidentemente il requisito formale ma non anche quello sostanziale. Se, infatti, è dato di fatto che tutti gli atti adottati dal Comune non menzionavano in alcun modo gli opponenti - consentendo di ritenere provato, dunque, che gli stessi non ebbero a conoscere dell’impugnazione da cui è scaturita, poi, la sentenza opposta - non poteva dirsi sussistente la qualità di litisconsorti necessari pretermessi: «in quanto asseriti proprietari dell’immobile sul quale l’abuso fu commesso, essi sono cointeressati, perché sono obiettivamente portatori di un interesse all’annullamento dell’atto che l’abuso sanziona».


Note e riferimenti bibliografici

[1] Così B. SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2015, 625 ss.

[2] Sul punto anche A. PANTALEO, Opposizione di terzo nel processo amministrativo. L’introduzione dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo, in www.ambientediritto.it.

[3] Art. 404, co. 1, c.p.c.: «Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti».

[4] Art. 404, co. 2, c.p.c.: «Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l'effetto di dolo o collusione a loro danno».

[5] Cons. St., Sez. V, 28 settembre 2011, n. 5391, in www.gazzettaamministrativa.it.

[6] Cons. St., Ad. Pl., 24 maggio 1961, n. 12, in Giur. It., 1992, 113 e ss: «il controinteressato […] rimane […] in ombra rispetto al principale e necessario resistente, che è la Pubblica Amministrazione, alla quale principalmente spetta difendere le sorti del provvedimento. Tanto è vero che, contro le decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non è ammessa l’opposizione di terzo. Il cittadino rimasto estraneo al giudizio amministrativo, ignorando che un provvedimento emesso dalla Pubblica Autorità in suo favore è stato da altri impugnato […] se vede poi inaspettatamente quel provvedimento annullato dal Consiglio di Stato con gravissimo pregiudizio del proprio interesse, non ha alcuna possibilità di gravarsi contro la decisione. Questa minore tutela dell’interesse legittimo del terzo […] costituisce uno dei cardini del sistema, pur non presentando alcun carattere di incostituzionalità, poiché la stessa Costituzione ha fatto propria la tradizionale distinzione tra giurisdizione su diritti e giurisdizioni su interessi».

[7] E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, Padova, 1954, 191 ss.

[8] A. POLICE, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo: la Corte costituzionale anticipa il legislatore, in Giur. It., 1995, I, 513. Così pure F. BENVENUTI, Contraddittorio, in Enc. Dir., IX, 1961, 741.

[9] Sul punto E. CANNADA BARTOLI, In tema di controinteressato pretermesso, in Giur. It., 1990, III, 1, 186 e M. OCCHIENA., Controinteressato, intervento «ad opponendum» e opposizione di terzo: il processo amministrativo tra declamazione e applicazione, in Giur. It., 1993, III, 1, 855.

[10] Di questo avviso A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1989, 1494.

[11] Come si legge nell’ordinanza di rimessione del 4 giugno 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 20 luglio 1994) «[la mancanza dell’opposizione di terzo ordinaria tra le norme che disciplinano i mezzi di impugnazione avverso le sentenze del giudice amministrativo] appare in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini (art. 3 Cost.), nella particolare espressione delle possibilità di tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) nei confronti degli atti della Pubblica Amministrazione (art. 113 Cost.)».

[12]  In Corte Cost., sentenza 17 maggio 1995, n. 177, in www.cortecostituzionale.it, si afferma infatti: «Il mezzo di impugnazione di cui si tratta […] trae perciò ispirazione da tale evenienza e consente a coloro che non sono stati coinvolti nel processo di far valere le loro ragioni, infrangendo lo schermo del giudicato per rimuovere il pregiudizio che da esso possa loro derivare. Ciò sia nel caso che la situazione vantata dall'opponente ed incompatibile con quella affermata dal giudicato venga considerata dal diritto sostanziale prevalente rispetto a quest'ultima, sia nel caso che la sentenza cui ci si oppone risulti pronunziata senza il rispetto di regole processuali»

[13]  A differenza, invece, di quanto avviene nel processo civile, e ciò per l’evidente considerazione che, in ambito amministrativo, vengono in rilievo posizioni giuridiche non soggette a prescrizione ma a decadenza. In tal senso pure L. CARBONE, Qual è il termine per proporre opposizione di terzo nel processo amministrativo? in Corr. Giur., 1998, 1144.

[14] Così Cons. St., Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 322, in banca dati De Jure, ritiene applicabile, in via analogica rispetto al termine prescritto per l’azione di annullamento, il termine di sessanta giorni decorrenti dalla conoscenza della sentenza.

[15] A. PANTALEO, Opposizione di terzo nel processo amministrativo. Il termine per proporre l’opposizione, in www.ambientediritto.it

[16] Cons. St., Sez. IV, 13 dicembre 2013, n. 6007 e 27 marzo 2013, n. 1740 in banca dati De Jure.

[17] Cons. St., Sez. IV, 08 giugno 2020, n. 3629, in banca dati De Jure.

[18] In tal senso anche Cons. St., Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588, in banca dati De Jure, secondo cui «la prova della piena conoscenza dell'atto deve risultare incontrovertibilmente da elementi oggettivi, ai quali il giudice deve riferirsi, nell’esercizio del suo potere di verifica di ufficio della eventuale irricevibilità del ricorso, o che devono essere rigorosamente indicati dalla parte che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio».

[19] A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2016, 341. L’autore sostiene che «terzo titolare di una posizione autonoma e incompatibile è il soggetto a cui non sia opponibile la sentenza (e perciò “terzo” in senso proprio) e che sia titolare di una posizione giuridica non dipendente da quella delle parti in causa (“autonoma”) e non passibile di essere soddisfatta unitamente a quella della parte vittoriosa (“incompatibile”)».

[20] Cfr. Cons. St., Sez. V, 27 novembre 2017, n. 5550 e Cons. St., Sez. IV, 22 gennaio 1999, n. 55, in banca dati De Jure.

[21] Cons. St., Sez. IV, 3 settembre 2008, n. 4109, in banca dati De Jure.

[22] Per “controinteressato” si deve intendere quel soggetto titolare di un interesse alla conservazione dell’atto o alla mancata adozione dell’atto, che il ricorrente intende superare, individuato nell’atto stesso o facilmente individuabile, come chiarito da Cons. St., Ad. Plen., 8 maggio 1996, n. 2.

[23] Accanto a quest’ultima figura, Cons. St, Ad. Pl., 11 gennaio 2007, n. 2, in www.altalex.it, ha chiarito che esistono altre tipologie di controinteressato, individuandole nei controinteressati sopravvenuti (beneficiari di un atto conseguenziale, quando una sentenza abbia annullato un provvedimento presupposto all’esito di un giudizio cui siano rimasti estranei); nei controinteressati non facilmente identificabili; in generale nei terzi titolari di una situazione giuridica autonoma ed incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione.

[24] In questi termini Cons. St., Sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451, in www.gazzettaamministrativa.it.

[25] Cons., St., sez. V, 28 settembre 2011, n. 5391, cit.

[26] Cons. St., Sez. IV, 8 giugno 2020, n. 3629, cit.

[27] Ibidem.