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Pubbl. Ven, 19 Feb 2021

Il rapporto di presupposizione tra atti amministrativi: la recente sentenza del Consiglio di stato

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Simona Iachelli
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Catania



L’articolo si propone di analizzare brevemente la complessa nozione di atto presupposto, alla luce della recente sentenza del Consiglio di stato n. 6922 del 10 novembre 2020 che, in linea con la dottrina e l’orientamento prevalente della giurisprudenza, ne chiarisce i caratteri e il rapporto con il provvedimento amministrativo conseguente. Quest´ultimo, nel costituire emanazione diretta e necessaria dell’atto presupposto, ne risulta condizionato nella statuizione e nelle conseguenze, sicché l’illegittimità dell’atto presupposto e il conseguente annullamento determinano l’illegittimità di quello conseguente che è travolto e caducato


ENG The article analyzes the complex notion of presupposed act by Council of State (sentence 6922 of 10 November 2020) identifies the characteristics of the relationship between acts, like doctrice and jurisprudence. Invalidity of the presupposed act deletes the following act when the relationship is necessary and direct.

Sommario: 1. Il rapporto di presupposizione tra atti amministrativi: atto preparatorio, atto presupposto e atto consequenziale; 2. I riflessi dell’invalidità dell’atto presupposto sull’atto successivo: l’invalidità derivata; 3. Il recente intervento del Consiglio di stato sulla nozione di atto presupposto; 4. Considerazioni conclusive. 

1. Il rapporto di presupposizione tra atti amministrativi: atto preparatorio, atto presupposto e atto consequenziale

In passato prevaleva una visione atomistica, piuttosto che funzionale del provvedimento amministrativo, per cui si riteneva che quest'ultimo, essendo previsto dall’ordinamento per la cura di determinati interessi pubblici, non poteva interferire con gli altri.

Secondo tale visione, quindi, il principio della tipicità dei provvedimenti amministrativi in funzione del quale i singoli provvedimenti sono previsti per il conseguimento di ben determinate finalità, si è posto come "un ostacolo insormontabile" per affermare che esiste un rapporto tanto tra atti adottati all’interno di uno stesso procedimento, quanto per i provvedimenti emessi in base a procedimenti diversi. La visione atomistica è stata superata: è un dato di comune esperienza che anche tra provvedimenti distinti -aventi ad oggetto il perseguimento di interessi distinti, possono esistere, al pari dei singoli atti emessi all’interno di uno stesso procedimento, dei rapporti di interferenza reciproca, di collegamento e di presupposizione.[1]

Ciò nonostante, manca una definizione legislativa di rapporto di presupposizione - consequenzialità tra atti amministrativi, nonché una base normativa che consenta di distinguere l'atto presupposto in senso stretto dall'atto preparatorio.

Si riconosce alla dottrina il merito di aver elaborato tali nozioni, nonché tentato di ricostruirne il regime giuridico e il loro rapporto con il provvedimento finale.  

Occorre, anzitutto, partire da una nozione lata di atto presupposto, ivi comprensiva dell'atto preparatorio.

In questa prospettiva ampia, si possono definire come presupposti rispetto ad un provvedimento amministrativo tutti quegli atti che abbiano reso possibile o doverosa l'adozione o che abbiano comunque influito sul suo contenuto. Tra l'atto presupponente (definito anche "successivo" o "conseguente") e l'atto presupposto esiste un rapporto di dipendenza logica, in forza del quale l'esistenza e il contenuto del primo dipendono dall'esistenza e dal contenuto del secondo.[2]

L'atto presupposto è l’atto che rappresenta l’antecedente logico - giuridico dell’atto successivo, nel senso che è funzionale all’adozione di quest'ultimo. Il rapporto di presupposizione, quindi, è caratterizzato dall'esistenza di questo collegamento funzionale: l’atto precedente fornisce in parte la base giuridica che consente l’adozione dell’atto conseguente.

Questa definizione ampia di presupposizione consente di qualificare come presupposti sia gli atti appartenenti allo stesso procedimento amministrativo (cosiddetti "endoprocedimentali" o "preparatori"), preordinato all'adozione del provvedimento che assume il ruolo di atto presupponente, sia gli atti che appartengono a procedimenti diversi e precedenti (cosiddetti "esoprocedimentali" o "atti presupposti in senso stretto"), ma costituiscono la base per l'adozione di un provvedimento successivo.

La riconducibilità nella definizione di atto presupposto rispetto al provvedimento finale tanto degli atti preparatori quanto degli atti presupposti in senso stretto evidenzia un aspetto comune: entrambi esplicano effetti nel procedimento di formazione dell'atto presupponente. Tuttavia, le due categorie di atti si distinguono sotto il profilo del regime giuridico.

In particolare, l'atto preparatorio è un atto endoprocedimentale, ossia un atto privo di autonoma rilevanza giuridica e, quindi, improduttivo di effetti giuridici propri, in quanto esso si inserisce in una sequenza procedimentale destinata a concludersi con l’adozione del provvedimento finale.

Tale atto, di regola, non è immediatamente lesivo della sfera giuridica dei terzi, salvi casi eccezionali e, pertanto, non è autonomamente impugnabile. Ne discende che eventuali vizi dell’atto preparatorio potranno essere fatti valere soltanto mediante l’impugnazione del provvedimento finale, il quale è l'unico atto in grado di arrecare una lesione diretta, immediata e concreta nella sfera giuridica del destinatario.

L’atto presupposto, invece, è un atto esoprocedimentale, poiché, nonostante il collegamento funzionale con l'atto presupponente, è l’atto conclusivo di un procedimento autonomo, che rappresenta la base giuridica per iniziare un successivo e diverso procedimento destinato a concludersi con il provvedimento finale che lo presuppone. Pertanto, esso è produttivo di effetti giuridici propri, che si propagano a prescindere dall’atto conseguente.

2. I riflessi dell'invalidità dell'atto presupposto sull'atto successivo: l'invalidità derivata

Quando un atto trova in un atto anteriore il suo antecedente logico-giuridico, i vizi dell'atto presupposto si ripercuotono su quello successivo, il quale, pure in mancanza di autonomi vizi, può risultare comunque invalido, perché viziato in via derivata.

L’invalidità derivata si basa sul cosiddetto “principio di derivazione”, ossia il principio secondo cui i vizi di un atto possono riverberarsi su un altro, in virtù del rapporto che li lega. Tale rapporto può intercorrere non solo tra provvedimenti autonomi, ma anche tra atti endoprocedimentali e provvedimento finale, o addirittura tra atti ontologicamente diversi, ma legati dal vincolo della presupposizione.[3]

Nell’ambito del fenomeno generale dell’invalidità derivata occorre distinguere tra la figura dell’invalidità “ad effetto caducante” e quella dell’invalidità “ad effetto viziante”: nella prima, l'annullamento in sede giurisdizionale dell'atto presupposto comporta la caducazione automatica dell'atto consequenziale, senza che occorra un ulteriore specifica impugnativa; nella seconda, invece, gli effetti dell'atto presupposto sull'atto presupponente sono meramente vizianti, nel senso che l'atto sarà semplicemente invalido e, pertanto, annullabile. Ne discende l'onere di proporre un'autonoma impugnazione contro l'atto successivo, al fine di ottenerne l'annullamento, in mancanza della quale l'atto resta efficace. 

Tale distinzione dipende dalla natura del rapporto di connessione tra atto presupposto e atto presupponente, il che determina una diversa incidenza del primo sul secondo. 

In particolare, l'invalidità ad effetto viziante si configura in tutti i casi in cui tale rapporto sia generico, occasionale o indiretto: il difetto di uno specifico e stretto legame di dipendenza o di presupposizione tra i due atti impedisce il travolgimento ipso iure dell'atto successivo per il venir meno dell'atto presupposto.

Occorre, pertanto, una esplicita pronuncia giurisdizionale di annullamento per l’eliminazione dell’atto consequenziale a seguito o della sua contestuale impugnazione con lo stesso ricorso principale o della sua successiva impugnazione con i motivi aggiunti o con autonomo ricorso.

L'invalidità derivata ad effetto caducante, invece, ricorre solo in presenza di un rapporto di presupposizione – consequenzialità immediata, diretta e necessaria tra i due atti, nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi. Diversamente, quando l’atto successivo, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto precedente, non ne costituisce conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implica nuove e ulteriori valutazioni di interessi, specie se di terzi soggetti, la immediata impugnazione dell’atto presupponente non fa venire meno la necessità di impugnare l’atto successivo, pena la improcedibilità del primo ricorso.[4]

L’istituto della caducazione automatica ha rappresentato storicamente uno strumento per consentire di perseguire esigenze di economia processuale a tutela delle posizioni del ricorrente, al fine di sollevare quest’ultimo dall’onere di impugnare autonomamente di volta in volta, con distinti ricorsi, tutti i successivi provvedimenti consequenziali, onde evitare un'inutile duplicazione di giudizi sullo stesso rapporto processuale. [5]

Tuttavia, la figura dell’invalidità derivata ad effetto caducante ha subito numerose critiche da parte della dottrina, in quanto si pone in contrasto con alcuni principi fondamentali del processo amministrativo, in particolare: con il principio dell'inoppugnabilità degli atti amministrativi, corollario della necessaria certezza delle manifestazioni dell'attività della pubblica amministrazione, in base al quale la possibilità di impugnare l'atto amministrativo lesivo è consentita ai privati solo entro un breve termine di decadenza, per non lasciare indefinitamente esposti i provvedimenti amministrativi alla possibilità della loro caducazione; con il principio del contraddittorio, precipitato del diritto di difesa, espressamente riconosciuto dall’art. 24 Cost., giacché i destinatari degli atti amministrativi consequenziali non sono, di regola, parti necessarie del giudizio di impugnazione avverso l'atto preparatorio e, quindi, per effetto dell’operatività del meccanismo della caducazione automatica, verrebbero ad essere pregiudicati da decisioni rese in giudizi inter alios;[6] con il principio della tipicità delle forme di invalidità, che contempla la nullità e l’annullabilità, non la caducazione automatica.

Alla luce delle critiche sollevate dalla dottrina, soprattutto quelle che fanno leva sul possibile vulnus al principio del contraddittorio, la giurisprudenza ha affermato, da un lato, la natura eccezionale dell’istituto della caducazione automatica e, dall’altro, ne ha ristretto l’operatività alle ipotesi di configurabilità di un nesso di pregiudizialità particolarmente intenso, in forza del quale l'atto presupposto si pone come l'unico antecedente logico-giuridico dell'atto presupponente, che ne costituisce conseguenza inevitabile e diretta, quasi automatica: in questi casi, l’annullamento dell’atto presupposto produce un’invalidità derivata ad effetto caducante dell'atto presupponente, laddove quest’ultimo non attribuisca alcuna utilità a terzi ovvero nel caso in cui il soggetto destinatario di tale utilità sia giuridicamente qualificato come parte necessaria del giudizio avente ad oggetto l’atto presupposto.

3. Il recente intervento del Consiglio di stato sulla nozione di atto presupposto

Il Consiglio di stato è recentemente intervenuto sulla nozione di atto presupposto, con la sentenza n. 6922 del 10 novembre 2020.

In particolare, nel richiamare i precedenti della giurisprudenza amministrativa, il Consiglio di stato ha ribadito che

la nozione di atto presupposto è fondata, in relazione ad atti di un unico procedimento o anche ad atti autonomi, sull’esistenza di un collegamento fra gli atti stessi, così stretto nel contenuto e negli effetti, da far ritenere che l’atto successivo sia emanazione diretta e necessaria di quello precedente”.

In virtù di tale collegamento, l'atto successivo è in concreto tanto condizionato dall'atto precedente nella statuizione e nelle conseguenze da non potersene discostare.[7]

Secondo la dottrina, il rapporto di presupposizione tra atti amministrativi postula un elemento strutturale ed uno funzionale. 

Sotto il primo profilo, “gli atti sono in una relazione di successione giuridica e cronologica, o di necessario concatenamento”, nel senso che “l’atto presupposto non soltanto precede e prepara quello presupponente, ma ne è il sostegno esclusivo”. Ne discende che gli effetti del primo sono i fatti costitutivi del secondo o, meglio, del relativo potere. I due provvedimenti sono caratterizzati da una consequenzialità necessaria, in base alla quale l’esistenza e la validità dell’atto presupposto sono “condizioni indispensabili” affinché l’atto presupponente “possa legittimamente esistere e produrre la propria efficacia giuridica”. 

Sotto l’aspetto funzionale, gli atti sono “preordinati alla realizzazione di un unico rapporto amministrativo, riguardano, cioè, un unico bene della vita”: ciascun atto produce da solo taluni effetti giuridici, ma soltanto congiuntamente all’altro costituisce il rapporto giuridico, “che rappresenta l’oggetto dell’interesse pubblico considerato dai più poteri funzionalmente collegati”.

Questo rapporto tra i due atti si riflette sul piano della disciplina, in quanto

l’illegittimità ed il conseguente annullamento dell'atto presupposto determinano l’illegittimità di quello conseguente, venendo meno la situazione giuridica che costituisce la condizione unica e necessaria per la sua legittima esistenza (c.d. "invalidità derivata"): l'annullamento del provvedimento presupposto si ripercuote su quello presupponente, che è travolto e caducato”.

L'atto presupposto, infatti, è “fondamento esclusivo di quello applicativo, nel senso che l’esistenza e la validità del primo sono condizioni necessarie affinché il secondo possa legittimamente venire ad esistenza”. Pertanto, “non è possibile che l’atto presupposto non esista o, qualora emanato, sia successivamente eliminato (dal giudice o dalla P.A. in via di autotutela) e che rimanga legittimamente in vita quello dipendente”. Ciò in quanto “le sorti dell'atto presupposto si ripercuotono inevitabilmente su quelle dell'atto presupponente”, in quanto gli atti sono concatenati. Ne consegue che gli effetti sostanziali prodotti dall'atto presupponente “postulano l’avvenuta realizzazione di quelli prodotti dall’atto presupposto”, sicché “se questi, a seguito dell’annullamento dell’atto presupposto, sono stati eliminati con efficacia retroattiva, il rapporto amministrativo originato dall’atto dipendente non può sussistere”.

4. Considerazioni conclusive

Il recente intervento del Consiglio di stato si inserisce nell’ambito di un orientamento consolidato della giurisprudenza in materia di rapporto di presupposizione – consequenzialità tra atti amministrativi. Si tratta di una tematica abbastanza complessa sia per la mancanza di una norma di riferimento sia per la circostanza che, sempre più spesso, sussiste un collegamento tra gli atti amministrativi, non solo tra quelli che si inseriscono nella stessa sequenza procedimentale, ma anche tra gli atti che appartengono a procedimenti diversi e precedenti, ma costituiscono la base per l’adozione di un provvedimento successivo, che li presuppone.

L’invalidità derivata dell’atto successivo per vizi dell’atto presupposto richiede un esame attento del rapporto tra i due atti, perché proprio in base alla diversa intensività dello stesso, cambia la tutela giurisdizionale: soltanto quando l’atto successivo costituisce emanazione diretta e necessaria di quello precedente, l’illegittimità e il conseguente annullamento dell’atto presupposto determinano l’illegittimità di quello presupponente, che è travolto e caducato.


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. VIRGA, I provvedimenti amministrativi collegati, in lexitalia.it.

[2] M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del diritto, 2020-2021.

[3] R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Nel diritto editore, 2014.

[4] Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5559; Cons. St., sez. I, 30 aprile 2010, n. 1969; Cons. St., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 432.

[5] E. DAMIANI, La caducazione degli atti amministrativi per nesso di presupposizione, in Dir. proc. amm., 2003.

[6] Cons. St., sez. V, 30 marzo 1994, n. 212; Cons. St., 7 maggio 1994, n. 447. In tali pronunce, i giudici di Palazzo Spada hanno affermato che “l'art. 24 della Costituzione non consente che una pronuncia giurisdizionale (anche del giudice amministrativo) possa arrecare pregiudizio a colui che non ha potuto difendersi nel corso del processo... pertanto... il principio della portata caducante della sentenza di annullamento non è invocabile quando l'atto consequenziale abbia conferito un bene, un'utilità o uno status ad un soggetto che non è qualificabile come parte necessaria nel giudizio che ha per oggetto l'atto presupposto”.

[7] Cons. St., sez. IV, 23 marzo 2000, n. 1561; Cons. St., sez. V, 15 ottobre 1986, n. 544.