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Pubbl. Lun, 4 Gen 2021

I cambiamenti climatici. Spunti e prospettive

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Pietro Cucumile



Il presente lavoro si pone l’obiettivo di approfondire l’attuale e stringente tematica sui cambiamenti climatici osservandola, dal punto di vista delle normative ed azioni internazionali, europee e nazionali approntate per contrastare alcuni suoi effetti deleteri quali il surriscaldamento globale, la desertificazione ed il consumo eccessivo di suolo. Inoltre, si aggiornerà il lettore sullo stato di attuazione di alcune importanti strategie sui cambiamenti climatici.


ENG This work aims to investigate the current and stringent issue on climate change by observing it, from the point of view of international, European and national regulations and actions prepared to counter some of its deleterious effects such as global warming, desertification and excessive consumption of soil. In addition, it will update the reader on the implementation status of some important climate change strategies.

Sommario: 1. Excursus storico sulla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici; 2. I principali accordi internazionali sul cambiamento climatico; 3. Prospettive nell’immediato futuro; 4. La ratifica europea e quella italiana; 5. I negoziati sui cambiamenti climatici; 6. Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e Accordo di Parigi ovvero Action for Climate Empowerment (A.C.E.); 7. Alcuni spunti sul riscaldamento globale; 8. Spunti e proposte per le "soluzioni basate sulla natura"; 9. Sul Progetto italiano “Caschi verdi per l’UNESCO” e sul Progetto “UNESCO International environmental experts network”; 10. Sulla conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione (UNCCD); 11. Sul consumo eccessivo di suolo; 12. Considerazioni conclusive

 

1. Excursus storico sulla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici

Una delle principali e più urgenti crisi ambientali è, sia nella convinzione diffusa che nell’opinione pubblica, il cambiamento climatico; a tal proposito, all’atto dell’approvazione dell’Agenda 2030 da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU[1], il negoziato climatico multilaterale era in divenire. Per questa ragione "l’obiettivo 13" non ha definito con precisione i targets climatici, lasciando che fosse la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, COP21, a stabilire tempi, modi e obiettivi. Con l’Accordo di Parigi di dicembre 2015, parte integrante dell’Agenda 2030, si è stabilito di contenere l’incremento della temperatura media globale molto al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, perseguendo tutti gli sforzi per limitarlo a 1,5°C.

Si ridurrebbero così i rischi e gli impatti del cambiamento climatico e si potrebbe raggiungere la neutralità carbonica[2] nella seconda metà del XXI secolo. Per questo saranno necessari profondi cambiamenti del modello di sviluppo globale e dei singoli Paesi, una rapida avanzata della green economy e una drastica riduzione del consumo di combustibili fossili.

Secondo i dati diffusi dall’organizzazione meteorologica mondiale, OMM, il 2015 è stato il primo anno nella storia dell’umanità in cui la presenza di anidride carbonica in atmosfera ha superato stabilmente la soglia di 400 parti per milione.

Al riguardo, il segretario generale dell'O.M.M., Petteri Taalas, ha ricordato che

il vero elefante nella stanza è l'anidride carbonica, che rimane nell'atmosfera per migliaia di anni e negli oceani ancora più a lungo. Se non si affrontano le emissioni di CO2 non saremo in grado di affrontare i cambiamenti climatici e di mantenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto al livello dell'era pre-industriale”.

2. I principali accordi internazionali sul cambiamento climatico

Al fine di approfondire il contesto di riferimento normativo, si ritiene utile proporre, di seguito, i principali accordi internazionali, ratificati, per contrastare il cambiamento climatico.

L’Agenda 21, risalente al 1992, esprime il programma di azione scaturito dalla Conferenza ONU su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992 e mette, per la prima volta, al centro dei propri interventi il cambiamento climatico.

Successivamente, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (1994 – UNFCCC) si pone l’obiettivo di raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico. 

È intervenuto, poi, il Protocollo di Kyoto, un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, redatto l’11 dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della Conferenza delle Parti "COP3" della UNFCCC. Il trattato, entrato in vigore nel 2005, impegna i Paesi industrializzati alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Inoltre, con gli Accordi di Parigi del 2015, i 196 paesi partecipanti hanno concordato, all’unanimità, un patto globale per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Nel documento i membri hanno concordato di ridurre la produzione di anidride carbonica per mantenere il riscaldamento globale "ben al di sotto di 2°C" in più rispetto ai livelli pre-industriali.

Ciò detto, la Convezione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) è una delle tre convenzioni ambientali multilaterali adottate durante il ‘'Rio Earth Summit’' del 1992 ed è la prima risposta politica internazionale ai cambiamenti climatici. Tale Convenzione ha istituito una struttura legalmente vincolante tesa a stabilizzare le concentrazioni di gas-serra per evitare “dannose interferenze atmosferiche con il sistema climatico”. Entrata in vigore il 21 marzo del 1994, la Convenzione si estende ad oggi a 196 parti contraenti.

Alla ventunesima riunione della Conferenza delle parti, COP21, nel 2015, della Convenzione sui cambiamenti climatici, nella capitale francese, è stato adottato un accordo che rappresenta una grande e nuova rivoluzione. L’accordo segna il punto di svolta verso una profonda modifica del modello di sviluppo del pianeta, dei rapporti fra i paesi, dei sistemi di approvvigionamento e gestione dell’energia. 

Un impegno solenne che l’attuale generazione assume nei confronti dei propri figli e nipoti e di tutti gli esseri viventi che in futuro abiteranno la Terra. Il nuovo accordo per la lotta contro i cambiamenti climatici è stato adottato a Parigi il 12 dicembre 2015 ed è stato aperto alla firma dal 22 aprile 2016 al 21 aprile 2017.

L’Accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016, decorsi trenta giorni da quando 55 Parti della UNFCCC, in rappresentanza di almeno il 55% delle emissioni globali, hanno depositato lo strumento di ratifica (soglia raggiunta il 5 ottobre 2016). Ad oggi, 194 stati e l'Unione europea hanno firmato l'accordo. Ebbene, 184 stati e l'Unione europea, che rappresentano oltre l'88% delle emissioni globali di gas serra, hanno ratificato o aderito all'accordo, tra cui la Cina, gli Stati Uniti e l'India, i paesi con tre tra i quattro maggiori emettitori di gas serra dei membri UNFCC totali[3].  La prima sessione della Conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti dell'Accordo di Parigi (CMA1) si è tenuta a Marrakech in concomitanza con le sessioni della COP22 e della CMP 12.

La decisione della Conferenza delle Parti (COP) che accompagna l’Accordo di Parigi prevede un intenso programma di lavoro che doveva essere concluso entro il 2018, al fine di dare piena implementazione alle disposizioni previste nell’Accordo di Parigi.

Tale programma doveva essere concluso attraverso l‘adozione di un pacchetto di decisioni che garantiscano la piena attuazione dell'accordo di Parigi.

La COP24 in Polonia (2018) si è chiusa con l’adozione del ‘Katowice Climate Package’, ossia l’atteso “libro delle regole” con cui attuare l’Accordo sul clima di Parigi.  Il Katowice Climate Package contiene norme e linee guida dettagliate per attuare l’accordo globale sul clima adottato a Parigi nel 2015. Il pacchetto stabilisce innanzitutto in che modo i Paesi forniranno informazioni sui loro contributi nazionali per ridurre le emissioni – i cosiddetti NDC – comprese le misure di mitigazione e adattamento e i dettagli sulla finanza climatica destinata alle economie in via di sviluppo. Si tratta di un elemento chiave che definisce gli standard a cui le parti dovranno adeguarsi, rendendo più difficile svincolarsi dall’impegno preso. Il pacchetto include anche le linee guida per stabilire nuovi obiettivi in ​​materia di finanziamento dal 2025 in poi e per valutare i progressi nello sviluppo e nel trasferimento della tecnologia.

Un buon risultato consensuale è stato raggiunto anche sul fronte dell’adattamento. Le parti dispongono ora di una guida e di un registro per comunicare le loro azioni in merito all’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici.

 

3. Prospettive nell’immediato futuro.

L’ONU si incontrerà di nuovo in Cile (COP25) per mettere a punto gli ultimi elementi del regolamento di Parigi e iniziare a lavorare sui futuri obiettivi emissivi. Il momento cruciale si manifesterà quando i Paesi dovranno mostrare d’aver rispettato la scadenza per i loro attuali impegni in materia di emissioni e produrre nuovi obiettivi per il 2030.

Per la COP26 si sono candidate sia l’Italia che il Regno Unito (quest'ultimo, bisognoso di mantenere un ruolo primario sulla scena mondiale dopo la Brexit). A tal proposito, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha avvertito che il mondo ha poco più di un decennio per portare le emissioni sotto controllo e dimezzarle.

 

4. La ratifica europea e quella italiana

L’Unione Europea e gli Stati membri, condividendo l’importanza politica di essere e rimanere capofila nell’attuazione dell’accordo e la necessità di dare un segno forte di impegno precoce, hanno optato per una approvazione rapida dello strumento di ratifica europeo e il suo deposito, a prescindere da quelle nazionali. Il deposito anticipato ha consentito all’Unione Europea di essere Parte alla CMA1, ovvero alla prima Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi che si è riunita a Marrakech in occasione della COP22.

L'Accordo è, dunque, stato formalmente ratificato dal Consiglio Ambiente dell'Unione europea il 4 ottobre 2016, subito dopo aver ottenuto il consenso del Parlamento europeo. Tutti gli Stati Membri sono ad oggi Parti dell’Accordo di Parigi e l’Italia ha depositato lo strumento di ratifica nel novembre 2016.

Ad oggi, l’Accordo di Parigi ha 184 Parti, il che sottolinea la sua universalità; i Paesi che non hanno ancora ratificato sono i seguenti: Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Kyrgyzstan, Libano, Libia, Oman, Federazione Russa, Sudan, Suriname, Turchia e Yemen.

 

5. I negoziati sui cambiamenti climatici

La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo decisionale che governa la Convenzione ed è responsabile dell’attuazione della Convenzione e di ogni altro strumento legale che la COP adotti, inclusa l’organizzazione istituzionale e amministrativa; la COP si riunisce annualmente.  Le Parti del protocollo di Kyoto si incontrano, invece, nella CMP, ovvero la Conferenza delle Parti che agisce come Conferenza delle Parti del Protocollo.

Inoltre, la COP e la CMP si riuniscono annualmente verso la fine dell’anno. La CMA è la Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi che si è riunita, per la prima volta, a Marrakech in occasione della COP22 e si consulta, regolarmente una volta l’anno, congiuntamente a COP e CMP.

COP, CMA e CMP si servono di due organi sussidiari permanenti che, di norma, si riuniscono due volte l’anno, ovvero il Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA), che supporta il lavoro della COP e del CMP fornendo input di tipo scientifico e tecnologico relativi a materie inerenti alla Convenzione e il Protocollo di Kyoto nonchè il Subsidiary Body for Implementation (SBI) supporta il lavoro della COP e del CMP attraverso la valutazione e la revisione della efficace implementazione della Convenzione e del Protocollo. 

Il regime per la lotta contro i cambiamenti climatici presenta molti aspetti tecnici e filoni negoziali tra i quali si segnalano: la mitigazione, le azioni pre-2020, gli obiettivi e le azioni di lungo periodo, la trasparenza e regole, gli aspetti metodologici e di rendicontazione, gli aspetti scientifici e climatologici, il management delle emissioni/assorbimenti forestali e agricoli, i meccanismi di mercato, l'adattamento; la quantificazione dei danni e delle perdite causati dai cambiamenti climatici, la finanza per il clima, il trasferimento di tecnologie, la capacity building; gli aspetti legali e istituzionali e il controllo della compliance con gli obblighi assunti.

Il negoziato tecnico durante la COP, così come la partecipazione ai coordinamenti europei e alle riunioni dei gruppi di esperti, è un compito affidato alla delegazione tecnica[4].

 

6. Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e Accordo di Parigi ovvero Action for Climate Empowerment (A.C.E.)

L’articolo 6 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ripreso nell’articolo 12 dell’Accordo di Parigi, prevede la promozione dell'istruzione, della formazione e della sensibilizzazione del pubblico sui cambiamenti climatici.

L'articolo 6[5], identificato dal 2015 con l’acronimo A.C.E. (Action for Climate Empowerment), comprende sei aree prioritarie di attività che sono determinate dall'UNFCCC come essenziali per coinvolgere tutti i livelli della società nel processo di cambiamento climatico, ovvero: programmi educativi relativi al cambiamento climatico a livello primario e secondario, campagne di sensibilizzazione pubblica, accesso pubblico alle informazioni pertinenti, partecipazione pubblica, la formazione di esperti e il rafforzamento della cooperazione.

A.C.E. invita i Governi a sviluppare e attuare programmi educativi e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, a formare personale scientifico, tecnico e manageriale, a favorire l'accesso alle informazioni e promuovere la partecipazione pubblica nell'affrontare il cambiamento climatico e i suoi effetti. Esorta, inoltre, i paesi a cooperare in questo processo, scambiando buone pratiche e lezioni apprese, rafforzando le istituzioni nazionali. Questa vasta gamma di attività è guidata da obiettivi specifici che, insieme, sono considerati cruciali per l’efficace attuazione delle azioni di adattamento e di mitigazione del clima e per il raggiungimento dell’obiettivo finale dell'UNFCCC.

Oltre ai dettami dell'UNFCCC, i Paesi hanno elaborato e avviato un meccanismo speciale - il “programma di lavoro di Doha” - per garantire una migliore attuazione delle disposizioni dell'articolo 6[6] e ribadire l'importanza dell'educazione ai cambiamenti climatici, della formazione, della sensibilizzazione del pubblico, della partecipazione pubblica, dell’accesso del pubblico all'informazione e della cooperazione internazionale per raggiungere il massimo obiettivo della Convenzione. Le parti hanno, inoltre, chiesto che l'S.B.I.[7] organizzi un dialogo annuale sull’articolo 6 della Convenzione per rafforzare il proprio lavoro, per condividere le proprie esperienze e scambiare idee, migliori pratiche e lezioni apprese sull'attuazione del programma di lavoro.

Poiché l'attuazione dell'A.C.E. è un processo a lungo termine, che richiede un quadro per sostenere gli sforzi nazionali, sono stati istituiti Focal Point nazionali in diverse regioni.

I National Focal Point (NFP) dell’articolo 6 svolgono un ruolo fondamentale nell'attuazione delle disposizioni del “programma di lavoro di Doha” nei rispettivi paesi, tenendo conto delle condizioni e delle caratteristiche specifiche di ciascun paese. Sono elencati, per paese, sul sito UNFCCC e sono periodicamente invitati a workshop e incontri ad hoc organizzati dal segretariato delle nazioni unite sui cambiamenti climatici per portare avanti la discussione sulle tematiche A.C.E. e per la condivisione di buone pratiche ed esperienze.

L'importanza dell'A.C.E. è ripresa, inoltre, in altri framework internazionali come gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs, 2015), il Global Action Programme for Education for Sustainable Development (GAP su ESD, 2014), la Convenzione di Aarhus (2011) e le linee guida di Bali (2010) in ambito UNFCCC.

 

7. Alcuni spunti sul riscaldamento globale

Ebbene, sul punto, la COP 21 dell’Accordo di Parigi si è incentrata sulla riduzione delle emissioni di CO2 per contrastare e ridurre il riscaldamento globale. Riduzione da attuare, il più presto possibile, per mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto di 2 °C in più rispetto ai livelli pre-industriali.

L’accordo non diventerà vincolante per gli Stati membri fino a quando almeno 55 Paesi che producono oltre il 55% dei gas serra non avranno ratificato l'accordo. Ogni paese che ratifica l'accordo sarà, poi, tenuto a fissare un obiettivo di riduzione delle emissioni ma il quantitativo sarà volontario.

Ci sarà, poi, un meccanismo per forzare un paese ad impostare un obiettivo entro una data specifica ma nessuna “conseguenza” qualora l’obiettivo fissato non sia soddisfatto: name and shame, con l’obiettivo di incoraggiarli ad attuare il piano sul clima.

La COP 21 è un segnale di una maggiore consapevolezza da parte dei decisori politici mondiali sulla gravità della situazione relativa ai cambiamenti climatici che hanno origine prevalentemente, ma non solo, dalle emissioni dei processi energetici.

È, però, necessario un notevole sforzo aggiuntivo rispetto agli impegni presi dai singoli Paesi firmatari per contenere il riscaldamento globale entro un aumento di temperatura compreso tra 1,5 e 2 °C rispetto all’era preindustriale.

Gli strumenti chiave per la riduzione delle emissioni sono vari, classificabili almeno sotto quattro macro-argomenti. Il primo è la riduzione dei consumi energia (efficienza energetica): industria, residenziale, terziario, usi finali in genere, smart city. Il secondo è la produzione di energia non da combustibili fossili (uso di FER): eolico, fotovoltaico, idroelettrico, geotermia e bioenergia generazione distribuita, comunità energetica e autoconsumo. Il terzo è la riduzione emissioni nei trasporti (non solo CO2, ma anche inquinamento): mobilità sostenibile, biocarburanti, efficienza motori, veicoli elettrici, FC. L'ultimo è la riduzione emissioni nelle industrie (CCUS): siderurgiche, cementifici e così via.

L’Unione europea ha già superato l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e, inoltre, le emissioni totali di gas a effetto serra dell’U.E.-27 sono ai minimi storici dal 1990.

Nel complesso l’Unione Europea è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi per il 2020 in materia di energie rinnovabili ma alcuni Stati membri devono ancora compiere maggiori progressi.

Nel 2018, la quota di rinnovabili nel consumo finale lordo di energia è aumentata al 18% nell’Unione europea. Nello stesso anno, 12 Stati membri hanno superato i rispettivi obiettivi nazionali vincolanti per il 2020, mentre altri cinque sono rimasti al di sotto delle traiettorie indicative del periodo 2017-2018 per il conseguimento degli obiettivi.

Secondo la relazione sull'avanzamento dei lavori in materia di energie rinnovabili, nel 2020 la loro quota sarà compresa tra il 22,8% e il 23,1% del consumo finale lordo di energia.

 

8. Spunti e proposte per le "soluzioni basate sulla natura"

Con l'espressione “soluzioni basate sulla natura (Natural based solutions, NBS)” si intende un ampio spettro di soluzioni tecniche – alternative a quelle tradizionali– che usano, si ispirano o imitano elementi naturali per proteggere, gestire in modo sostenibile e ripristinare gli ecosistemi naturali o alterati dall’uomo, che affrontano le sfide della società in modo efficace e flessibile, incrementando il benessere umano e della biodiversità.

L’evidenza ed il riconoscimento del ruolo NBS per affrontare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità hanno acquisito una notevole attenzione negli ultimi anni e sono sempre più integrate nei piani e nelle strategie nazionali di lotta ai cambiamenti climatici.

Nel 2019 durante la Climate Action Summit si è costituita la Coalizione sulle soluzioni NBS guidata da Cina e Nuova Zelanda. In tale contesto, è stato lanciato il Manifesto NBS per il Clima, un piano per sbloccare il pieno potenziale della natura per l’azione sul clima, con il sostegno di oltre 70 governi, settore privato, società civile e organizzazioni internazionali ed accompagnato da quasi 200 iniziative.

Le NBS sono state un elemento centrale del Summit sulla Biodiversità delle Nazioni Unite nel 2020 (incluso nella Leaders Pledge for Nature), e degli obiettivi del Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino degli Ecosistemi (2021-2030). Inoltre, IUCN[8] ha recentemente lanciato lo standard globale per le NBS; questo apre a ulteriori prospettive per integrare tali soluzioni nelle politiche europee e renderle operative al fine di raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo.

L’Italia darà continuità nell’ambito del G20 italiano a quanto considerato dalla Presidenza del G20 dell’Arabia Saudita. La Presidenza Saudita ha fatto dell’adattamento ai cambiamenti climatici una priorità e, in questo contesto, ha indicato le soluzioni basate sulla natura tra le azioni di adattamento che possono produrre, contemporaneamente, mitigazione del clima, benefici per la biodiversità e molteplici co-benefici in altri settori e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Dalle discussioni legate al report della Presidenza Saudita è emersa l’esigenza di discutere le NBS nel contesto di rigenerazione urbana[9], come tema per coniugare la riduzione delle emissioni e l’adattamento alla conservazione della biodiversità, miglioramento della qualità dell’aria e tutela della salute.

Nell’ambito del programma di eventi virtuali Youth4ClimateLive Series, dedicato ai giovani, un episodio dal titolo “Driving Nature Based Solutions” (il 25 settembre 2020) è stato dedicato a questo tema.

La Presidenza italiana del G20 ha deciso di dare continuità alla discussione avviata dalla presidenza saudita mantenendo il focus sul potenziale delle NBS ma incentrando l’attenzione sul contesto urbano e delle grandi metropoli, destinate ad accogliere una quota crescente della popolazione mondiale.

L’iniziativa del G20 si inserisce in un contesto più ampio in cui le NBS saranno trattate sotto diversi aspetti; per citare le più importanti: Conferenza sul clima COP26, Presidenza UK G7, Conferenza sulla diversità biologica (COP 15 CBD), Congresso mondiale sulla conservazione dell'IUCN nel gennaio 2021. Tutti questi eventi hanno in seno iniziative volte a rafforzare l’impegno politico e ad aumentare i flussi finanziari per soluzioni naturalistiche.

Il dialogo al G20 si inserisce in maniera trasversale a questi eventi internazionali in modo da dare la continuità necessaria per cooperare a obiettivi di lungo termine e, allo stesso tempo, individuare soluzioni concrete da attuare, nel breve termine e nel contesto delle città, con immediati benefici per aumentare la resilienza e la qualità della vita negli ambienti urbani.

Nelle aree urbane il cambiamento climatico rappresenta solo un fattore esasperante di criticità pregresse dovute, in larga parte, ad una miope pianificazione e gestione delle risorse. In questo senso, il processo di urbanizzazione scarsamente controllato nel corso dell’ultimo secolo, unito alla scarsità di vegetazione, ha intensificato la vulnerabilità agli aumenti di temperatura e la perdita di biodiversità.

La perdita di biodiversità, il cambiamento climatico e l’insicurezza alimentare sono intrinsecamente legati e le NBS rappresentano un modo efficace, sinergico e sostenibile per contribuire al raggiungimento dei rispettivi obiettivi di lungo termine.  Per raggiungere tale scopo, oltre a diffondere le potenzialità di queste soluzioni, è necessario garantire le risorse necessarie alla loro implementazione e manutenzione. D’altra parte, le NBS sono spesso viste come attività di sostituzione ad una rapida decarbonizzazione dell’economia, necessaria a mantenere le temperature al di sotto dei 2°.

Le ultime evidenze scientifiche hanno, però, dimostrato come il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi non possa prescindere dall’azione congiunta di un immediato cambio di tendenza nelle emissioni e dall’aumento degli assorbimenti degli ecosistemi terrestri, nonché alla loro protezione e salvaguardia.

La pandemia ha reso ancora più impellente una trasformazione profonda, per affrontare l'emergenza sanitaria, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità in maniera sinergica ed efficace. Si ricorda il motto di quest’anno della Giornata internazionale per la diversità biologica:

"Le nostre soluzioni sono nella natura".

Questo motto sottolinea la speranza, la solidarietà e l'importanza di lavorare insieme, a tutti i livelli, per costruire un futuro migliore e una società più resiliente. 

L’opportunità è unica per dimostrare ambizione e accelerare l'azione sul clima e sulla biodiversità. Il rinvio di importanti eventi internazionali[10] offrono la possibilità di allineare i pacchetti di riforme strutturali con il Green Deal, con gli obiettivi di Parigi e con il nuovo Quadro Globale per la Biodiversità post 2020, che traccerà gli obiettivi e target globali da perseguire nel prossimo decennio per fronteggiare la perdita di biodiversità. 

Le soluzioni basate sulla natura hanno uno spiccato potenziale per essere più efficienti dal punto di vista energetico e delle risorse. Possono aiutare a proteggere le comunità dagli impatti del cambiamento climatico, fornendo, al contempo, una serie di altri benefici, anche legati alla salute. Possono contribuire a un’economia circolare e contrastare gli impatti negativi dell’urbanizzazione attraverso la fornitura di servizi ecosistemici.

Nonostante il difficile contesto attuale, il nostro governo è fortemente impegnato nell’implementazione di una strategia di ripresa economica post-emergenza per il paese che sia profondamente focalizzata sulla sostenibilità, incluso l'aumento della resilienza attraverso l’utilizzo di soluzioni naturali.

In un momento storico di rilievo, l'Italia ha assunto la Presidenza del G20. Si tratta di uno degli appuntamenti internazionali più importanti per il 2021, contestualmente all’organizzazione della Pre-COP e dell'evento dedicato ai giovani “Youth4Climate: Driving Ambition”, nel quadro del partenariato con il Regno Unito per l'organizzazione della COP26.

L’Italia nell’ambito del G20 affronterà il ruolo delle NBS in ambiente urbano, periurbano e nelle grandi metropoli, destinate ad essere sempre più agglomerati di residenza di quote crescenti di popolazione mondiale.

Si ritiene che le soluzioni basate sulla natura siano uno strumento chiave della transizione, ove attuate in un quadro di pensiero sistemico volto a favorire politiche di lungo periodo.

Attraverso il G20 si potrà avviare una cooperazione rafforzata e costruire un percorso coordinato che consenta la ripresa dell’economia globale, affrontando le sfide globali: clima, biodiversità e salute.

L’evidenza e il riconoscimento del ruolo delle soluzioni basate sulla natura hanno permesso una maggiore integrazione nei piani e nelle strategie nazionali ma le sfide da affrontare per diffonderle e renderle operative rimangono numerose.

Si tratta di una politica europea che abbia l’obiettivo di fermare la perdita della biodiversità e degli ecosistemi nell’Unione europea.

Di fronte alla gravità di questa crisi, la Commissione ha optato per una profonda trasformazione: il piano è proteggere e ripristinare l’ambiente naturale, affrontare le principali cause della perdita di biodiversità, intraprendere un percorso di reale trasformazione e assumere, in questo senso, il ruolo di leader a livello mondiale.

A tal proposito, i principali obiettivi della Commissione sono ridurre del 50% dell’uso di pesticidi chimici entro il 2030, dimezzare la perdita di nutrienti, garantendo, al tempo stesso, che la fertilità del suolo non si deteriori. In questo modo si ridurrà di almeno il 20% l’uso di fertilizzanti entro il 2030, ridurre del 50% le vendite totali di antimicrobici per gli animali d’allevamento e di antibiotici per l’acquacoltura entro il 2030, trasformare il 25% dei terreni agricoli in aree destinate all’agricoltura biologica entro il 2030, far diventare parte di aree ad alta biodiversità almeno il 10% della superficie agricola, come fasce tampone e terreni a rotazione colturale (il cosiddetto maggese), vietare l'utilizzo di pesticidi chimici nelle aree urbane dell’Unione europea.

 

9. Sul Progetto italiano “Caschi verdi per l’UNESCO” e sul Progetto “UNESCO International environmental experts network”

L’iniziativa “Caschi verdi per l’ambiente” è volta a creare una task force internazionale di esperti per la difesa e la conservazione delle riserve naturali e degli ecosistemi, da sperimentare anzitutto in Italia, e da replicare, in seguito, con l’obiettivo di supportare le autorità di gestione dei siti a qualunque titolo riconosciuti dall’UNESCO che ricadano nel sistema delle aree protette nazionali[11] per le attività di gestione e formazione relative agli aspetti naturalistici.

L'UNESCO ha pienamente condiviso la proposta ed è stato deciso di avviare il progetto, in via sperimentale, in Italia, con la creazione di una task force italiana di esperti ambientali.

Ad Agosto 2018, l’iniziativa viene richiamata nell’Atto di indirizzo tra le priorità politiche per il 2019 ed il triennio 2019-2021 del Ministero dell’Ambiente e inserita, nel febbraio 2019, nella Direttiva generale sull’azione amministrativa per il 2019 con la previsione di costituire una task force indipendente (denominata “caschi verdi per il patrimonio naturale”) a carattere nazionale e di adottare uno specifico accordo in ambito UNESCO e in altri contesti internazionali come la FAO per mettere a sistema l’iniziativa italiana denominata “caschi verdi” e trasformarla in una “best practice” mondiale.

Nel mese di marzo 2019, veniva sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Ambiente e l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), in forza del quale è stata avviata e conclusa una prima selezione di esperti.

Gli esperti sono stati assegnati, sulla base delle loro competenze, alle richieste di assistenza da parte di otto autorità di gestione delle aree naturali (5 Riserve della Biosfera, 2 Siti Patrimonio dell'Umanità e 1 Geoparco) per la definizione di piani di gestione nonché per le attività di tutela ambientale, promozione e comunicazione.

Gli esperti hanno avviato consultazioni con le autorità di gestione delle suddette aree protette e svolto ispezioni e analisi anche della documentazione fornita allo scopo di raccogliere qualsiasi informazione utile per definire e sviluppare il supporto richiesto. Questa fase preliminare ha permesso a ciascun esperto di preparare una nuova proposta operativa e il relativo calendario delle attività da condividere e concordare con le autorità di gestione.

nel mese di dicembre 2019, il Parlamento italiano ha riconosciuto l’importanza di questa iniziativa ed il suo legame con le politiche di contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici e ha convertito, con legge n. 141 del 2019, il “Decreto Legge Clima” istituendo così il programma sperimentale denominato “Caschi Verdi per l’ambiente” e destinandovi risorse complessive pari a sei milioni di euro per il triennio 2020-2022.

Lo scopo del programma è di realizzare, d’intesa con il Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, iniziative collaborazione internazionale

 “per la tutela e la salvaguardia ambientale di aree nazionali protette e di altre aree riconosciute in ambito internazionale, tra cui anche le Riserve della Biosfera UNESCO nonchè per contrastare gli effetti derivanti dai cambiamenti climatici”.

Il legame stretto tra climate change, biodiversità e aree naturali emerge anche nei più recenti lavori della Convenzione sulla diversità biologica e nel Quadro Globale sulla Biodiversità per il post 2020 che definirà gli impegni per il prossimo decennio della Comunità Internazionale.

Nel mese di febbraio 2020, il gruppo di lavoro della Convenzione sulla diversità biologica per preparare il Quadro Globale post 2020, riunitosi a Roma, ha ribadito il ruolo di biodiversità ed ecosistemi come contributo alle soluzioni per l'adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

A maggio 2020, la Rappresentanza permanente italiana presso l’UNESCO, il Ministero degli Esteri e il Ministero dell’Ambiente, hanno delineato una road map di lavoro comune per la definizione di un accordo, nella quale gli Uffici UNESCO si sono impegnati a presentare al riguardo un concept note.

A Giugno 2020, gli uffici UNESCO hanno inviato un concept note contenente i primi elementi di base per elaborare uno strumento operativo e un possibile accordo con l'Italia per l'implementazione del progetto[12].

Il progetto Green expert team, sulla base dell’esperienza italiana dei “caschi verdi per l’ambiente” già testata con successo, e del relativo programma sperimentale istituito con il c.d. “D.l. Clima” nel dicembre 2019, si propone di costituire presso l’Unesco una rete di esperti ambientali incaricati di fornire assistenza tecnica e formazione nell’ambito di progetti di tutela e salvaguardia delle aree protette UNESCO, quali riserve della biosfera, geoparchi, siti del patrimonio mondiale naturali e misti, elementi iscritti nel patrimonio immateriale[13].

Da parte dell’UNESCO è stato confermato il forte interesse verso l’iniziativa ed è stato formulato un apprezzamento per i contenuti innovativi e la capacità del progetto di fornire risposte concrete alle aspettative degli Stati Membri verso la capacità di intervento sul terreno.

Sul piano operativo, l’UNESCO ha formulato una proposta progettuale per attuare l’iniziativa che prevede l’istituzione di un “Multi-Partner Trust Fund/ MPTF”, vale a dire uno strumento che venga alimentato inizialmente solo dall’Italia ma aperto da subito alla partecipazione anche di altri potenziali donatori.

Tale prospettiva, nell’ottica UNESCO, risponderebbe alla volontà di istituire un meccanismo sostenibile con l’auspicio, nel medio-lungo periodo, di aggregare un significativo numero di partner. La costituzione di un “MPTF” avrebbe, inoltre, un impatto particolarmente positivo in termini di visibilità, permettendo di sottolineare la volontà italiana di avviare con l’UNESCO una “buona pratica” a livello internazionale, in linea con la natura universale dell’Organizzazione.

La prospettiva di costituire un MPTF – rispetto all’altra possibile ipotesi di un single donor trust fund – si preferirebbe da parte dell’UNESCO perché, oltre a presentare subito il progetto in un formato potenzialmente universale, offre uno strumento privilegiato di cooperazione multilaterale in grado di canalizzare la crescente domanda di capacity building da parte degli Stati Membri. Dal punto di vista della governance del fondo, esso verrebbe gestito da uno steering committee nel quale siederebbero, all’inizio, rappresentanti dell’Italia e dell’UNESCO e, quando ricorreranno le condizioni, anche quelli di eventuali altri donatori. Ultimo aspetto pratico, l’MPTF beneficerebbe anche di un regime più favorevole di spese di gestione[14].

Il testo dell’Accordo, proposto dall’UNESCO, è stato più volte revisionato da ambo le parti ed è in fase di finalizzazione; da parte dell’UNESCO il progetto è stato rinominato da “Green expert team” a “UNESCO International environmental experts network”.

 

10. Sulla conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione (UNCCD)

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione (UNCCD) è una delle tre Convenzioni ambientali di Rio, insieme alla Convenzione sulla diversità biologica (CBD) e a quella sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Entrata in vigore nel 1996, essa è l’unico strumento giuridico internazionale vincolante che lega ambiente e sviluppo alla gestione sostenibile del suolo, e, essendone Parti 197 Paesi, ha una portata universale. Obiettivi della Convenzione sono il contrasto della desertificazione e la mitigazione degli effetti della siccità nelle aree aride, semi-aride e secche sub-umide, tramite la prevenzione e/o la riduzione del degrado dei suoli, la riabilitazione dei suoli parzialmente degradati e il risanamento di quelli desertificati.

Il Segretariato della Convenzione promuove la cooperazione al riguardo fra le Parti, vincolate all’adozione di programmi nazionali e rapporti periodici, facilita la mobilitazione di risorse finanziare e conduce attività di analisi, assistenza e condivisione delle conoscenze.

I Paesi che si sono dichiarati affetti sono organizzati in “Allegati”, ovvero gruppi di Paesi che condividono analoghe situazioni geografico-ambientali, che costituiscono i cosiddetti “Annessi”. Essi costituiscono il quadro regionale di attuazione della Convenzione: Annesso I Africa, Annesso II Asia, Annesso III America Latina e Caraibi, Annesso IV Nord Mediterraneo (oltre l’Italia, Albania, Cipro, Croazia, Grecia, Israele, Malta, Portogallo, Spagna, Slovenia, Turchia e Ungheria), Annesso VO Europa Centrale e Orientale.

Organi della Convenzione sono la Conferenza delle Parti (COP)[15], con il compito di regolare l’applicazione della Convenzione, costituendo così l’unico organo decisionale, il Comitato Tecnico Scientifico (CST), che ha il ruolo di fornire alla COP le informazioni e i pareri su questioni scientifiche e tecnologiche e, infine, il Comitato per la Revisione e l’Attuazione della Convenzione (CRIC), che assiste la COP nel rivedere regolarmente l’applicazione della Convenzione, alla luce dell’esperienza maturata a livello internazionale, nazionale, sub-regionale.

La Convenzione UNCCD ha vissuto un processo di rilancio globale, dapprima con l’inclusione nell’Agenda 2030 del target 15.3 sulla neutralità del degrado dei suoli (LDN) - stabilità o aumento della quantità e qualità delle risorse del suolo necessarie a supportare le funzioni e i servizi dell’ecosistema e a rafforzare la sicurezza alimentare – e, in seguito, con l’adozione del Quadro Strategico 2018-30 alla 13° Conferenza delle Parti (COP 13) nel 2017, focalizzato proprio sulla LDN al fine di ripristinare la produttività delle terre degradate, migliorare le condizioni di vita delle persone e mitigare gli impatti della siccità sulle popolazioni più vulnerabili.

È stato fornito, inoltre, un forte impulso a una più stretta collaborazione con le altre due Convenzioni di Rio, in considerazione delle interconnessioni fra clima, biodiversità e suoli e nell’interesse di un approccio integrato alla gestione delle rispettive sfide.

Dal punto di vista del contesto nazionale, l’Italia è una dei pochi Paesi ad essere, allo stesso tempo, Paese donatore e Paese affetto da desertificazione (insieme a Spagna, Portogallo, Grecia, Malta).

In qualità di paese donatore, l’Italia sostiene con forza l’attuazione di un approccio sinergico tra le tre convenzioni di Rio nei suoi programmi di cooperazione, che si rivolgono alle aree più vulnerabili, soprattutto in Africa e nei piccoli stati insulari, in coerenza con i principi enunciati nella dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti e gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Come Paese, si è impegnato anche ad attuare politiche di gestione sostenibile del suolo e strategie specifiche, anche avvalendosi delle più moderne tecnologie disponibili e ad adottare e attuare un National Action Plan (NAP).

L’Italia ha ratificato l’adesione alla Convenzione il 6 giugno 1997 con la legge n. 170/97 ed è inclusa nell’Allegato IV Paesi Nord Mediterranei, con Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia e, successivamente, dopo il 2002, anche con Albania, Croazia, Cipro, Israele, Malta e Slovenia più Monaco e Francia, considerati osservatori. Ogni allegato si dota di un suo meccanismo di coordinamento con l’obiettivo principale di realizzare un Regional Action Plan (RAP).

Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia hanno costituito un “Sottogruppo di Paesi dell’Annesso IV”, rilevando l’esperienza comune accumulata nella prima fase dell’Allegato IV, adottando le linee guida per l’implementazione di un “Piano di Azione Regionale[16].

L’Italia ha una collocazione speciale in seno alla Convenzione e ha partecipato attivamente ai lavori dei relativi organi: la prima Conferenza delle Parti si tenne proprio a Roma nel 1997; l’Italia è l’unico membro europeo ad aver finora presentato un Rapporto sulla neutralità del degrado dei suoli e sostiene l’integrazione delle tre tematiche ambientali “post-Rio” nel quadro dell’attuazione dell’Agenda 2030. Negli ultimi anni l’Italia ha aderito al progetto pilota sulla Land Degradation Neutrality (LDN) ed al programma LDN Target Setting lanciato da Segretariato della UNCCD per aiutare e affiancare i paesi nell’individuazione dei target volontari di LDN e nella definizione delle misure associate per il raggiungimento del target 15.3 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) di cui la UNCCD è Custodian Agency[17].

La quattordicesima Conferenza delle Parti (COP14) della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione (UNCCD) si è tenuta dal 2 al 13 settembre 2019 a New Delhi, in India, con il tema “Investing in Land; Unlocking Opportunities”.

Sono state svolte contemporaneamente le sessioni ufficiali degli Organi sussidiari della Convenzione, ovvero la diciottesima sessione del Committee for the Review of Implementation of the Convention (CRIC 18) e la quattordicesima sessione del Committee on Science and Technology (CST 14). I temi più rilevanti hanno riguardato le azioni per il raggiungimento della LDN nel contesto dell’attuazione dello SDG 15, le relazioni e sinergie con altre convenzioni e organizzazioni, le questioni tematiche specifiche (siccità, tempeste di sabbia e polvere, migrazioni e ordinamento fondiario), le iniziative nazionali e indicatori di siccità per i rapporti nazionali e i programmi di lavoro 2020-2021.

 

11. Sul consumo eccessivo di suolo

La Commissione Europea con la Comunicazione “Strategia tematica per la protezione del suolo[18] ha identificato le principali minacce del suolo nell’Unione europea come erosione, inondazioni e smottamenti, perdita di materia organica del suolo, salinizzazione, contaminazione, compattazione, impermeabilizzazione e perdita di biodiversità del suolo. La strategia nasce con l’obiettivo di consentire un uso sostenibile del suolo, attraverso la prevenzione di un ulteriore degrado, la tutela delle funzioni e il ripristino dei suoli degradati, contrastando le minacce che generano il peggioramento della qualità dei suoli.

Consiste in una comunicazione (COM (2006) 231), una proposta di direttiva quadro (COM (2006) 232) e una valutazione d'impatto (SEC (2006) 620).

Dopo l’adozione della proposta di direttiva da parte della Commissione (2006) su di essa si è avuta un’intensa attività interistituzionale e di negoziazione. Dal 2007 in poi, a livello di Consiglio, vi è stata una discussione politica molto difficile e delicata e, nonostante gli sforzi di molti, non si è mai raggiunti ad un accordo politico a maggioranza qualificata per una posizione comune. La Commissione Europea, nel 2012, ha predisposto un rapporto sull’attuazione della “Strategia Tematica per la protezione del suolo”[19]e, nel 2013, con la comunicazione (COM (2013)685 definitivo) “Adeguatezza ed efficacia della regolamentazione (REFIT): Risultati e prossime tappe” ha comunicato che intendeva ritirare la proposta di direttiva per la protezione del suolo per poi presentare, ex novo, un’iniziativa alternativa. Nel maggio 2014 la proposta di direttiva è stata ritirata, dopo otto anni di negoziati e opposizione da parte di alcuni Stati Membri in seno al Consiglio, per motivi legati alla sussidiarietà, ai costi ritenuti eccessivi e al carico amministrativo.

Gli sforzi profusi per integrare il tema “suolo” sia nelle politiche dell’Unione europea che nelle legislazioni nazionali non sono stati sufficienti per ridurre il degrado del suolo. Nasceva pertanto la necessità della Commissione di avere un confronto diretto con gli Stati Membri.

La Commissione aveva espresso il suo impegno sulla protezione del suolo, come anche il Consiglio e il Parlamento europeo, con la decisione n. 1386/2013/UE del 20/11/2013 in forza della quale è stato adottato il “Settimo Programma d’Azione dell’Unione Europea in materia di ambiente fino al 2020 “(7°PAA). Il 7° PAA stabiliva che l’Unione Europea e gli Stati Membri avrebbero dovuto affrontare i problemi della qualità del suolo attraverso un approccio mirato e proporzionato basato sul rischio in un quadro giuridico vincolante. Nel settembre 2014 nell’ambito del “Gruppo di Revisione” della politica ambientale dell’Unione europea, la Commissione Europea ha ritenuto necessario aprire una riflessione con gli Stati Membri.

L’Italia, attraverso il Ministero dell’Ambiente, ha partecipato alle attività del “E.U. Expert Group on soil Protection”, offrendo un quadro delle politiche e delle misure esistenti, a livello nazionale, che direttamente o indirettamente contribuiscono alla protezione del suolo, per l’implementazione della piattaforma WIKI SUOLO “Inventario delle politiche del suolo negli Stati Membri dell’U.E.” della Commissione europea.

Va aggiunto che vi sono anche chiari impegni internazionali relativamente al suolo.

Il suolo e il territorio sono al centro della maggior parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SGD) dell'Agenda delle Nazioni unite 2030 ma, in particolare, l’SDG 15.3 per

"combattere la desertificazione, ripristinare la terra e il suolo degradato, compresi terra colpita da desertificazione, siccità e inondazioni, e si sforzano di raggiungere un degrado neutro mondo entro il 2030 ".

Esiste un invito all'azione relativa al suolo e al territorio a livello internazionale anche ai sensi della Convenzione per la diversità biologica (CBD), il Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), la Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD) ed il Global Soil Partnership (GSP).

Il Quadro Strategico 2018–2030 della UNCCD ha come focus il raggiungimento della Land Degradation Neutrality (LDN) e chiede ai paesi contraenti di inserire questo target nei Piani Nazionali di Lotta alla Desertificazione che contengono gli obblighi nazionali per l’attuazione della Convenzione UNCCD. Negli ultimi anni, l’Italia ha aderito al progetto pilota sulla Land Degradation Neutrality (LDN) ed al programma LDN Target Setting lanciato da Segretariato della UNCCD per aiutare e affiancare i paesi nell’individuazione dei target volontari di LDN e nella definizione delle misure associate per il raggiungimento del target 15.3 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) di cui la UNCCD è Custodian Agency.

Recentemente anche Istituzioni dell’Unione europea hanno avanzato richieste per un’efficace azione sul suolo.

La Corte dei Conti europea, con la Relazione speciale n.33 del 2018 “Lotta alla desertificazione nell’U.E.: una crescente minaccia in difficoltà” ha raccomandato alla Commissione di mirare a una migliore comprensione di degrado del suolo e desertificazione nell’Unione europea, per valutare la necessità di migliorare il quadro giuridico europeo per il suolo e per intensificare le azioni volte a mantenere gli impegni europei ed internazionali, in particolare di più azione neutralità rispetto al degrado del suolo entro il 2030.

Il Consiglio nelle sue conclusioni del 23 ottobre 2020 sulla Strategia per la biodiversità per il 2030 ha sostenuto la Commissione nell’intensificare gli sforzi per proteggere meglio il suolo e la biodiversità del suolo e ha ribadito l'impegno dell’Unione europea a raggiungere la neutralità del degrado del suolo; ha sottolineato, inoltre, la necessità di affrontare prontamente la desertificazione e degrado del suolo e ha ribadito la volontà di compiere progressi verso l'obiettivo “azzeramento del consumo di suolo netto” entro il 2050.

Il Parlamento europeo ha invitato l’Unione europea e gli Stati Membri a prendere impegni forti verso sistemi alimentari sostenibili, agricoltura e silvicoltura, compresi i requisiti e le strategie per la protezione dei suoli.

Oltre alla Strategia tematica per la protezione del suolo, numerosi altri sono gli strumenti comunitari e internazionali che richiamano alla tutela del suolo e del patrimonio ambientale. Si segnalano, ad esempio, la comunicazione COM (2011) 571 del 20.09.2011 “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse”, la decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 1386/2013/UE concernente il “Settimo programma d'azione per l'ambiente dell'UE (7°PAA)”, la risoluzione A/RES/70/1 del 25 settembre 2015 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la quale è stata approvata l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il documento di lavoro dei servizi della Commissione “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo” del 15 maggio 2012 nonchè la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione nei paesi gravemente colpiti dalla siccità e/o desertificazione, in particolare in Africa (UNCCD).

I richiamati strumenti chiedono di azzerare il consumo del suolo netto entro il 2050, di proteggere il suolo anche con l’adozione di obiettivi relativi al suolo in quanto risorsa essenziale del capitale naturale entro il 2020, di allineare il consumo alla crescita demografica reale entro il 2020 e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030.

La Commissione Europea, in data 5 novembre 2020, ha lanciato la roadmap dell’iniziativa dal titolo “New Soil Strategy - healthy soil for a healthy life ovvero la “Nuova Strategia dell’UE per la protezione del suolo - Suolo sano per una vita sana”, evidenziando come la salute del suolo sia essenziale per conseguire gli obiettivi in materia di clima e biodiversità del Green Deal europeo.

L’iniziativa è stata lanciata nel quadro della “Strategia dell’U.E. sulla biodiversità per il 2030” ed ha lo scopo di aggiornare l’attuale “Strategia tematica per la protezione del suolo” del 2006 in modo da affrontare anche le tematiche del degrado del suolo e della salvaguardia delle risorse della terra ("Neutralità in termini di degrado del suolo").

È una iniziativa di rilievo sia perché viene riconosciuta l’importanza della salvaguardia dei suoli e sia perché apre la strada ad un processo di consultazione per una futura proposta legislativa specificatamente mirata alla tutela ed alla salvaguardia del suolo.

Il degrado del suolo è stato inclusi tra i dodici settori considerati prioritari dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (SNAC) e nel redigendo Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), nonché nella Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS).

Le prospettive future nazionali sono necessariamente connesse alla sfida del Green Deal italiano e all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e, pertanto, legate ad un doppio binario di intervento: da un lato, all’attuazione delle misure di mitigazione dei cambiamenti climatici e, dall’altro, alla definizione delle misure di adattamento, destinate a ridurre la vulnerabilità alle catastrofi naturali.

Risulta, quindi, prioritario intensificare gli sforzi in materia di resistenza ai cambiamenti climatici, per sviluppare resilienza, prevenzione e preparazione ai rischi idrogeologici, puntando, in particolar modo, a soluzioni ispirate alla naturalità dei sistemi ambientali che, al contempo, possano contribuire a proteggere le risorse naturali e a contrastare il consumo di suolo.

Inoltre, in coerenza con le proposte politiche del Green Deal, sarà necessario perseguire pratiche di produzione sostenibili da un punto di vista ambientale in linea con i principi dettati dalla “Zero Pollution Initiative” e con la “Farm to Fork strategy”.

A livello nazionale non esiste una norma specifica di protezione del suolo né per il contenimento del consumo di suolo. L’azione di protezione del suolo è contemplata, e a volte imposta, dalle norme tecniche di attuazione dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) in termini di pratiche da adottare o obblighi da soddisfare, in quanto la funzione del suolo è di indiscutibile importanza per garantire la stabilità fisica del territorio, ovvero l’assetto idrogeologico. Inoltre, i Piani di Gestione del Rischio Alluvioni (PGRA) e la legge n. 164/2014 introducono le misure degli interventi integrati, finalizzati alla riduzione del rischio idrogeologico e al miglioramento della qualità della risorsa idrica. Tra questi assumono considerevole importanza le infrastrutture verdi, che forniscono un ampio spettro di servizi ecosistemici e garantiscono la contestuale funzione di contrasto al dissesto idrogeologico e alla desertificazione e di tutela del suolo.

Negli ultimi anni, tra le proposte di legge presentate, alcune fanno riferimento al tema della riduzione del consumo di suolo in una ottica urbanistica, altre affrontano il tema in modo intersettoriale finalizzato alla protezione e alla gestione sostenibile del suolo. Altri disegni di legge trattano, invece, il tema del consumo di suolo da un punto di vista strettamente economico o sociale. Alcune proposte comprendono temi settoriali che non hanno una relazione diretta con la riduzione del consumo di suolo ma attengono, invece, alla tutela e alla pianificazione paesaggistica o a specifiche normative di settore.

Nella materia urbanistico-edilizia le competenze demandate allo Stato non sono esclusive: gran parte della relativa disciplina, infatti, viene adottata a livello sub-statale e, in particolare, dalle Regioni e dalle Province Autonome. Ciò vale, ovviamente, anche per la materia del consumo di suolo, nell’ambito della quale le Regioni svolgono un ruolo fondamentale.

Molte Regioni hanno approvato leggi e disposizioni sul contenimento del consumo del suolo ed il quadro della normativa regionale risulta piuttosto eterogeneo, comprendendo disposizioni o principi inseriti in leggi finalizzate al contenimento del consumo del suolo e alla rigenerazione urbana. Tale iniziativa sembra essere riuscita marginalmente (e solo in alcune parti del territorio) ad arginare l’aumento delle aree artificiali, rendendo evidente l’inerzia del fenomeno e il fatto che gli strumenti attuali non abbiano mostrato ancora l’auspicata efficacia nel governo del consumo di suolo. Le singole regioni, inoltre, con le proprie disposizioni legislative, hanno definito obiettivi di contenimento e modalità di quantificazione del consumo del suolo diverse tra loro, con criteri di monitoraggio disomogenei[20].

Quindi, in Italia, le azioni per la salvaguardia del suolo e la lotta al suo degrado, come la desertificazione, l’erosione, la salinizzazione, sono ricomprese nelle principali pianificazioni settoriali di riferimento, quali la pianificazione di bacino – piani di gestione delle acque approvate ai sensi della direttiva 2000/60/CE, i piani di gestione del rischio alluvioni approvati ai sensi della direttiva 2007/60/CE, i piani di tutela delle acque, i piani di bilancio idrico, i piani di assetto idrogeologico.

Le misure di protezione del suolo derivano anche dall’attuazione di azioni individuate dalla norma italiana e finalizzate alla riduzione del rischio idrogeologico o al contrasto del dissesto idrogeologico. In particolare, sono stati definiti i cosiddetti interventi integrati[21], a cui viene riconosciuta anche la funzione di tutela degli ecosistemi e della biodiversità. 

È evidente che gli scenari futuri non potranno prescindere da un incremento della quota parte di questi interventi sulle “infrastrutture verdi” a cui viene riconosciuta anche la funzione di tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità.

Alcune Regioni e Autorità di Bacino Distrettuali hanno elaborato strategie per la lotta al degrado del suolo e alla desertificazione, con le quali è stato definito il modello di governance unitario basato su approcci multisettoriali e multilivello per assicurare un quadro di orientamento e riferimento delle politiche settoriali e territoriali e della pianificazione e programmazione, con riferimento particolare ai settori prioritari del comparto agricolo, forestale, delle risorse idriche, dell’assetto del territorio e dei rischi idrogeologici.

Inoltre, sul punto è intervenuto il c.d. “D.L. Clima” (Decreto Legge n. 111 del 14 ottobre 2019), modificato con conversioni dalla Legge n. 141 del 12 dicembre 2019, che prevede la definizione delle modalità per il rimboschimento delle fasce ripariali e delle aree demaniali fluviali, al fine di mitigare il rischio idrogeologico e preservare la tutela del suolo.

Il degrado del suolo e la desertificazione sono stati, inoltre, inclusi tra i dodici settori considerati prioritari dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (SNAC).

I cambiamenti climatici influiscono, infatti, direttamente sull’intensità dei processi fisici, chimici e biologici che regolano il complesso equilibrio degli ecosistemi terrestri e del suolo, soprattutto nelle aree climaticamente caratterizzate da condizioni secche, attraverso le variazioni dell’aridità. I cambiamenti climatici avranno dunque un forte impatto sui processi di desertificazione a causa del progressivo assottigliarsi delle riserve idriche e dell’aumento degli eventi siccitosi, di cui, peraltro, occorre ancora costruire un quadro conoscitivo esaustivo, specialmente nelle regioni meridionali ed insulari, maggiormente sensibili ai fenomeni di desertificazione e degrado del territorio.

La strategia individua, per il settore, una serie di azioni di adattamento di tipo green (basate sulla valorizzazione dei servizi ecosistemici), soft (basate su investimenti sul comportamento degli attori, implicando approcci gestionali, giuridici e politici) e grey (che sono quelle più tradizionali, che includono soluzioni tecnologiche e ingegneristiche) a breve (2020) e lungo temine (dopo il 2020).

Per dare attuazione alla Strategia, nel 2016, il Ministero dell’Ambiente ha avviato l’elaborazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) che è, attualmente, in fase di stesura definitiva. La metodologia adottata nell’elaborazione del Piano ripropone l’organizzazione per settori chiave presente nella SNAC[22].

A livello nazionale, lo strumento per la messa a sistema dell’attuazione dell’Agenda 2030 è rappresentato dalla Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS), presentata al Consiglio dei Ministri a ottobre 2017 e approvata dal CIPE a dicembre dello stesso anno. La SNSvS 2017-2030 si configura, anche alla luce dei cambiamenti intervenuti a seguito della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, come lo strumento principale per la creazione di un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali, come, ad esempio, la perdita di biodiversità, la modificazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo. Al fine di garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali, l’arresto del consumo del suolo e della desertificazione è stato individuato come uno degli obiettivi strategici che, quindi, potrebbe essere anticipato al 2030.

 

12. Considerazioni conclusive

Le conseguenze socio-economiche della pandemia da Covid 19 si innestano in un contesto reso già complesso dalle crisi economiche e dal complicato processo di adattamento delle nostre economie ai cambiamenti climatici.

Le calamità naturali, indotte anche dai cambiamenti climatici, che hanno ripetutamente colpito il Paese, dai terremoti alle alluvioni e alle frane, provocano enormi danni, aggravati dall’obsolescenza delle infrastrutture e dall’abbandono di alcuni territori.

Ebbene, ogni politica green efficace non potrà che tendere verso la realizzazione di un Paese più verde, con sistemi di produzione e trasporto dell’energia compatibili con gli obiettivi di riduzione dei gas, con clima alterante e più resiliente rispetto agli eventi climatici estremi.

Infatti, proprio la resilienza a fronte di calamità naturali e cambiamenti climatici sarà un altro dei principali obiettivi delle sfide future in campo ambientale.

De iure condendo, non può non evidenziarsi che il Consiglio dell'Unione Europea ha informato dell'avvio dei triloghi sulle questioni tecniche della nuova "Legge Clima europea"; in incipit, il Consiglio ha richiamato l'orientamento generale parziale raggiunto in "Consiglio Ambiente" in data 23 ottobre e, nell'attuale assenza di un posizione politica sul target emissioni clima-alternanti al 2030, ha sottollineato l'importanza della neutralità climatica come obiettivo comune degli Stati membri, insieme ai principi di equità e giustizia. 

 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Settembre 2015

[2] Emissioni uguali agli assorbimenti

[3] Circa il 42% complessivamente

[4] La delegazione tecnica italiana è composta da esperti del Ministero dell’Ambiente, Sogesid, Ispra, CNR e CMCC e raccoglie le competenze tecniche necessarie per coprire l’insieme degli aspetti tecnici e tecnico scientifici afferenti ai filoni negoziali trattati.

[5] Ora articolo 12

[6] Decisione 15/CP.18

[7] Organo sussidiario per l’implementazione della Convenzione

[8] International Union for Conservation of Nature

[9] Esempi di NBS in questo contesto includono: aumento della copertura vegetale degli edifici (es. tetti e pareti verdi), la creazione e il mantenimento di spazi verdi (foreste urbane e periurbane, agricoltura urbana), la gestione, recupero e trattamento delle acque reflue (canali vegetati, trincee infiltranti, aree di bioritenzione vegetate, impianti di fitodepurazione, eccetera), riforestazione, gestione ecosistemi per ridurre erosione coste e così via

[10] Come la COP 26 sul clima e la Cop 15 sulla biodiversità

[11] Patrimonio Mondiale nonché i componenti naturali riconosciuti come Patrimonio Mondiale Immateriale, Riserve della Biosfera MAB e Geoparchi

[12] A Settembre 2020, si è svolta presso il Segretariato UNESCO una riunione tra il Capo di Gabinetto del Ministero dell’Ambiente Prof. Pier Luigi Petrillo, la Direttrice del Centro del Patrimonio Mechtild Roessler, il Direttore della Divisione Scienze ecologiche, Miguel Clusener-Godt e i Consiglieri Scienze e partenariati del Gabinetto della Direttrice Generale. L’incontro ha consentito di fare importanti passi avanti nella definizione del concept note, degli obiettivi e modalità d’attuazione.

[13] Il nucleo di esperti, che opereranno in maniera volontaria, con il solo rimborso delle spese di missione, sarà istituito attraverso un bando internazionale gestito dall’Unesco e sarà chiamato ad operare sulla base delle richieste di assistenza che perverranno dai gestori dei siti protetti, valutate da un Comitato scientifico appositamente creato.

Il progetto, della durata iniziale di tre anni, è finanziato dal Ministero dell’Ambiente, attraverso i fondi a tale scopo previsti dal “D.l. Clima”, con un contributo di circa un milione di euro l’anno.

[14] 7% rispetto al 9%, ed esenzione dalla "UN levy" aggiuntiva dell'1%

[15] Le Conferenze delle Parti si tengono ogni biennio

[16] Il Ministero dell’Ambiente ha ospitato, dal 1997 al 2007, il Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità e alla Desertificazione (CNLSD) non più attivo, organismo tecnico multidisciplinare che ha elaborato e approvato il 22 luglio del 1999 le Linee-Guida del Programma di Azione Nazionale di lotta alla siccità e desertificazione sulla base delle quali è stato adottato, dal CIPE, il Programma di Azione Nazionale per la Lotta alla Siccità e alla Desertificazione (PAN) con Delibera n. 229 del 21 dicembre 1999.

[17] Tale target deve essere valutato tramite l’indicatore "Percentuale di territorio degradato/superficie totale del territorio".

[18] COM(2006) 231 del 22.9.2006

[19] COM (2012)46 definitivo

[20] Il Ministero dell’Ambiente ha istituito, recentemente, un Tavolo nazionale permanente sull’uso sostenibile del suolo per fissare obiettivi comuni, stante l’attuale situazione che, in mancanza di una precisa norma nazionale sul tema, ha comportato la disomogeneità dei criteri di monitoraggio e degli scopi da perseguire da parte degli enti regionali. Tale Tavolo avrà il compito di formulare proposte operative e di sistema per il riuso dei suoli edificati, per la rigenerazione del patrimonio insediativo ed infrastrutturale attraverso la redazione della “Carta dei principi per l’uso sostenibile del suolo”.

[21] Detti anche win-win in quanto coniugano gli effetti della riduzione del rischio idrogeologico con il raggiungimento di obiettivi di qualità della risorsa idrica

[22] Risorse idriche, desertificazione degrado del territorio e siccità, dissesto idrogeologico, biodiversità ed ecosistemi, foreste, agricoltura, acquacoltura e pesca, zone costiere, turismo, salute, insediamenti urbani, infrastruttura critica, energia.

 

Bibliografia

B. Conforti, Diritto internazionale, ES, Napoli, 2010.

T. Treves, Diritto internazionale - Problemi fondamentali, Milano, ult. edizione

N. Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, II ed., Torino, 2007.