Pubbl. Sab, 30 Gen 2021
Tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico e obbligo di ripubblicazione dei piani urbanistici
Modifica pagina
Angelantonio Pellecchia
Il presente contributo intende riflettere sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico mediante gli strumenti urbanistici. La scelta dell´amministrazione comunale di estendere il vincolo conservativo alle ville presenti nel territorio comunale è legittima. La Corte ha analizzato nello specifico il potere vincolistico riconosciuto agli enti locali e sugli effetti del vincolo. Inoltre, non sussiste in capo all´Amministrazione comunale l´obbligo di procedere alla ripubblicazione del piano regolatore generale allorquando le modifiche rivestano carattere obbligatorio.
Sommario: 1. Premessa; 2. La questione giuridica; 3. Osservazioni conclusive.
1. Premessa
Le osservazioni svolte al presente contributo prendono le mosse dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. II (in sede giurisdizionale), 14 novembre 2019 n. 7839, resa a fronte della richiesta di riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. 486/2008, concernente la delibera regionale di approvazione di variante al Piano regolatore generale.
Il presente contributo intende riflettere sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico mediante gli strumenti urbanistici.
In particolare, il Consiglio di Stato ha reputato legittima la scelta dell'Amministrazione comunale di estendere la zona di rispetto, mediante vincolo conservativo, alle ville storiche presenti nel territorio comunale.
Inoltre, non sussiste in capo all'Amministrazione comunale l'obbligo di procedere alla ripubblicazione del piano regolatore generale allorquando le modifiche rivestano carattere obbligatorio.
La pronuncia in esame fornisce uno spunto di riflessione per approfondire il tema relativo alla trasformazione edilizia del territorio.
2. La questione giuridica
La pronuncia di primo grado del Tar Puglia[1] respingeva il proposto gravame, ritenendolo infondato e condannava altresì le parti alla rifusione delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di Ruvo di Puglia, non essendosi costituita la Regione.
Quest’ultima ha esercitato in modo legittimo il proprio potere di intervento sugli strumenti urbanistici a tutela del patrimonio ambientale e storico.
In sintesi, il giudice di prime cure osservava: “La scelta di preservare tutte le ville di un determinato periodo storico, nel caso fine ottocento – primo novecento, è del tutto legittima perché ancorata ad un criterio razionale e predeterminato e di generale applicazione”.
Ciò in forza della distinzione esistente tra vincolo apposto dall’autorità pianificatoria e vincolo ex l. n. 1089 del 1939, che, al contrario, richiede un giudizio di valore sul singolo bene.
Nel caso di specie, dinanzi al Consiglio di Stato, parte ricorrente - nel formulare il ricorso - ha contestato, con un unico motivo di ricorso, la erroneità delle statuizioni rese dal giudice di primo grado, le seguenti censure: in primo luogo, la violazione della l. n. 1150/1942 e della L. R. della Puglia n. 56/1980, che non legittimerebbero una previsione a carattere costitutivo.
In secondo luogo, la violazione della richiamata normativa urbanistica statale e regionale anche sotto il profilo procedurale, stante l’incisività dell’intervento modificativo che avrebbe imposto la riedizione ab origine del potere pianificatorio, avuto riguardo in particolare alla necessità di nuova pubblicazione e conseguente acquisizione delle osservazioni degli interessati.
Infine, l’eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto, per disparità di trattamento e per illogicità e ingiustizia manifesta in quanto la villa, occupante una superficie minima rispetto al circostante terreno, avrebbe un valore storico scarso, se non inesistente, a maggior ragione in quanto inserita in un tessuto urbanistico di recente edificazione; non vi sarebbe poi ragione di estendere il vincolo al terreno circostante, senza previsione di alcun indennizzo per gli interessati, in assenza peraltro di un’istruttoria mirata sulla “consistenza” dell’edificio.
Il supremo consesso della giustizia amministrativa, in primo luogo, afferma che le lamentele addotte dalla parte appellante devono spostare l’attenzione dagli atti di pianificazione a monte agli atti di applicazione.
La quaestio iuris sottesa alla controversia è l’esatta estensione del potere pianificatorio degli Enti territoriali. Con riguardo alla tutela degli interessi paesaggistici, storici e ambientali che la Costituzione assegna allo Stato.
In sintesi, occorre esaminare da un lato l’estensione del potere vincolistico riconosciuto agli enti locali. Dall’altro, le ricadute delle scelte regionali sulla discrezionalità decisionale del Comune e le garanzie procedurali funzionali a garantire il rispetto delle relative prerogative.
Al fine di individuare correttamente i confini della vicenda occorre chiarire la natura del vincolo imposto sui beni di proprietà dei ricorrenti.
In ragione dell’insistenza sul terreno della villa individuato come di interesse storico architettonico ex art. 16/r delle N.T.A.[2]. del P.R.G.
Quindi, la zona nella quale si colloca la villa è assoggettata ad un particolare regime edificatorio, mirato a tutelarne la riconosciuta valenza di pregio.
Premesso che la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico è principio fondamentale della Costituzione[3] ed ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, di tal che anche le previsioni degli strumenti urbanistici devono necessariamente coordinarsi con quelle sottese alla difesa di tali valori.
La difesa del paesaggio si attua a mezzo misure di tipo conservativo, nel senso che la miglior tutela di un territorio qualificato è quella che garantisce la conservazione dei suoi tratti.
Le esigenze di tipo conservativo devono contemperarsi con lo sviluppo edilizio del territorio che sia consentito dalla disciplina urbanistica nonché con le aspettative dei proprietari dei terreni che mirano legittimamente a sfruttarne le potenzialità edificatorie.
È proprio in relazione al difficile equilibrio tra tali contrapposti interessi che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio.
Di conseguenza, il potere di pianificazione urbanistica, via via evoluto in senso propulsivo di miglioramento della vivibilità del suolo può rafforzare i limiti, anche conservativi, ampliando la soglia della tutela.
Da qui l’affermazione del giudice di prime cure per cui la tutela ex l. n. 1089/1939 riguarda il singolo bene laddove quella del luogo nel quale esso si inserisce può essere estesa in sede di pianificazione urbanistica al complesso che da quel singolo bene trae la sua esigenza di conservazione.
Per costante orientamento giurisprudenziale, risulta recepito il principio secondo cui il potere di pianificazione urbanistica non è limitato all’individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale ma anche ai limiti che incontrano tali potenzialità.
Tuttavia, come precisa il collegio tali finalità dell’urbanistica e degli strumenti che ne comportano attuazione già trovavano consacrazione nei principi generali della cosiddetta legge urbanistica fondamentale[4].
In definitiva, l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non sono mai stati intesi solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, bensì devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.
Per tale ragione è possibile una compenetrazione di vincoli che, senza esautorare lo Stato dai compiti di tutela che gli sono propri, ne rafforzi le finalità ed estenda la portata in una visione di valorizzazione, oltre che di protezione del bene tutelato.
Nel caso in esame il vincolo riguarda il “villino” di proprietà delle ricorrenti perché ritenuto di particolare pregio storico-architettonico.
Dopodiché il collegio si è soffermato sugli effetti del vincolo, che non comporta esproprio, ma si limita a prevedere che gli interventi edilizi concernenti tali immobili vengano realizzati nel rispetto della specifica disciplina di tutela dettata dallo strumento generale di governo del territorio.
Per costante orientamento giurisprudenziale, l’art. 1 della l. 19 novembre 1968, n. 1187[5], ha esteso il contenuto del piano regolatore generale anche all’indicazione dei vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico.
Si è cioè espressamente legittimata l’autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica a valutare autonomamente tali interessi e ad imporre nuove e ulteriori limitazioni.
Ne consegue che la sussistenza di competenze statali e regionali in materia di bellezze naturali o artistiche o storiche non esclude che la tutela di questi stessi beni sia perseguita anche in sede di adozione e approvazione dello strumento urbanistico comunale[6].
Si è del pari ritenuto che il piano regolatore generale, nell’indicare i limiti da osservare per l’edificazione nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico, può disporre che determinate aree siano sottoposte a vincoli conservativi, indipendentemente da quelli imposti dalle autorità istituzionalmente preposte alla salvaguardia delle cose di interesse storico, artistico o ambientale[7].
Appare cioè indubbio che “tutela” e “valorizzazione” esprimano - per esplicito dettato costituzionale e per disposizione del Codice dei beni culturali[8] - aree di intervento diversificate.
E che, rispetto ad esse, è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale, storico o artistico nonché alla loro protezione e conservazione; mentre alle Regioni, ai fini della valorizzazione, spettino la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e fruizione di quel patrimonio[9] ivi compresa la loro inclusione nelle previsioni urbanistiche locali.
Ciò comportando una situazione di concreto concorso della competenza esclusiva dello Stato con quella concorrente dello Stato e delle Regioni.
Una corretta lettura del combinato disposto degli artt. 7 e 10 della l. n. 1150/1942, da un lato, e degli artt. 14 e 16 della L.R. n. 56/1980 confermano sia il dovere della Regione di intervenire per esigenze di salvaguardia dei beni storici e artistici e del paesaggio, sia l’innesto di tali esigenze nel contenuto della pianificazione urbanistica.
Ed è proprio la doverosità della disciplina, pur discrezionale nei suoi contenuti concreti, che ne implica l’innesto nelle scelte pianificatorie originarie del Comune, senza necessità di un azzeramento della procedura con conseguente nuova pubblicazione del Piano.
Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che vada confermato il principio correttamente posto a base di pronunce risalenti del Consiglio di Stato secondo cui le modifiche allo strumento urbanistico introdotte d’ufficio dall’Amministrazione regionale, ai fini specifici della tutela del paesaggio e dell’ambiente, non comportano la necessità per il Comune interessato di riavviare il procedimento di approvazione dello strumento, con conseguente ripubblicazione dello stesso, inserendosi tali modifiche nell’ambito di un unico procedimento di formazione progressiva del disegno relativo alla programmazione generale del territorio[10].
La Corte ha precisato con riferimento all’obbligo di ripubblicazione del piano a seguito delle modificazioni che possono essere introdotte dalla Regione al momento dell’approvazione, che occorre distinguere tra modifiche “obbligatorie”[11], modifiche “facoltative”[12] e modifiche “concordate”[13].
Solo per le modifiche “facoltative” e “concordate”, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del Comune, diversamente, per le modifiche “obbligatorie” tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento regionale rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale, come risulta essersi verificato nella fattispecie in esame.
La necessità di ripubblicazione del piano, dunque, viene ritenuta sussistere quando vi è un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione presiedono[14].
Rileva infine il Collegio che debba escludersi che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano, quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree[15]; in altri termini, l’obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree[16].
Il che è quanto accaduto nel caso di specie, che ha riguardato le aree a contorno di ville storiche disseminate nel territorio comunale.
Interessante notare, come precisa la Corte, che la parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che vi sia stata una rielaborazione complessiva del piano adottato dal Comune, id est un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione presiedono e non solo la indebita natura di variante generale delle modifiche apportate al P.R.G. in recepimento della delibera di G.R. n. 7557/1996 come invece ha addotto.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello ed ha, di conseguenza, confermato la sentenza del T.A.R. per la Puglia n. 486/2008.
3. Osservazioni conclusive
La pronuncia in commento fornisce lo spunto per approfondire il tema di notevole interesse teorico e pratico-applicativo relativo al rapporto tra la difesa del paesaggio e il potere di pianificazione urbanistica degli enti territoriali e lo ius aedificandi dei titolari proprietari. Così da poter adottare un provvedimento edilizio che contemperi tutti gli interessi in gioco.
In particolare, la pronuncia del Consiglio di Stato si inserisce nell’orientamento giurisprudenziale relativo alla tutela del paesaggio come limite alle trasformazioni edilizie del territorio.
Pertanto, è possibile la partecipazione di più vincoli che sono espressione dei poteri attribuiti allo Stato ed agli altri enti per un corretto assetto urbanistico. Tale complementarità si evince anche dalla Costituzione a seguito della riforma del Titolo V.
È per questo che è previsto un esercizio progressivo del potere amministrativo, attraverso stadi diversi. Infatti, il piano regolatore comunale, assegnando una destinazione ad ogni parte del territorio comunale e toccando - quindi - una pluralità di interessi, e non solo quelli dei proprietari delle aree, è deliberato del consiglio comunale che dispone di un amplissimo potere di scelta.
Per evitare l'arbitrio, il favoritismo per taluno, il sacrificio indebito per altri, il pregiudizio per i valori storici e ambientali del territorio, la Legge urbanistica prevede che nella formazione del piano debbano essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, di rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici, spazi a verde, etc., e che questi ultimi siano determinati dal Ministro dei lavori pubblici per zone territoriali omogenee. [17]
Tra la Legge urbanistica e il provvedimento amministrativo, cioè la delibera del consiglio comunale, si interpone, quindi, un decreto ministeriale che delimita l'ambito delle scelte del consiglio comunale.
[1] T.A.R., Puglia, sent. n. 486/2008 in www.giustizia-amministrativa.it
[2] C.d. Norme tecniche attuative
[3] Art. 9 Costituzione Italiana
[4] L. 17 agosto 1942, n. 1150
[5] Modificando l’art. 7 della l. n. 1150/1942.
[6] Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 781
[7] Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 1990, n. 78, e 24 aprile 2013, n. 2265.
[8] Artt. 3 e 6, secondo anche quanto riconosciuto sin dalle sentenze n. 26 e n. 9 del 2004 della Corte costituzionale in www.cortecostituzionale.it
[9] Sentenza n. 194 del 2013 della Corte costituzionale in www.cortecostituzionale.it
[10] cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2008, n. 927; id., 30 settembre 2002, n. 4984; 5 settembre 2003, nn. 2977 e 4984 in www.giustizia-amministrativa.it
[11] In quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standard urbanistici minimi.
[12] Consistenti in innovazioni non sostanziali.
[13] Conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal Comune.
[14] cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1477; id., 25 novembre 2003, n. 7782; cfr. anche la più recente Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484 in www.giustizia-amministrativa.it
[15] Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484, cit. supra;
[16] cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 8 maggio 2017, n. 614; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 8 maggio 2017, n. 880 in www.giustizia-amministrativa.it
[17] così l'art. 41 quinquies, penultimo e ultimo comma, legge n. 1150/1942, nonchè il D.M. 2 aprile 1968