Pubbl. Mar, 29 Dic 2020
Luci ed ombre in materia di preliminare di preliminare: uno scenario da tracciare
Modifica paginaL´annosa questione del preliminare di preliminare si è ripresentata nel provvedimento Cass. civ., Sez. II, 28.10.2020, n. 23736, dal quale scaturisce l´assunto secondo cui nel caso si incorra nel diritto della contrattazione immobiliare occorrerà verificare se tale accordo pre-prenegoziale rappresenti già di per se un contratto preliminare valido dal punto di vista degli effetti giuridici, confermando l´orientamento del 2015 che prevedeva la non mera duplicazione dei due atti preparatori bensì la scissione e diversificazione degli stessi.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Il caso; 3. La questione pregiudiziale; 4. L’ermeneutica contrattuale quale linea direttrice del diritto dei contratti; 5. I principi di correttezza e buona fede: due postulati intramontabili; 6. L’ammissibilità e gli effetti del cd. preliminare di preliminare dopo cinque anni dall’intervento delle Sezioni Unite; 6.1. L’evoluzione della nozione di causa nelle teorie negoziali
1. Introduzione
Il presente commento, che trae spunto dal provvedimento Cass. civ., Sez. II, 28.10.2020, n. 23736, si propone l’obiettivo di far chiarezza su alcune questioni di ordine generale che costituiscono il substrato della materia contrattuale e, più specificatamente, dell’importanza attribuita da dottrina e giurisprudenza al ruolo rivestito dalla normativa legata all’ermeneutica contrattuale, nonché dalla oramai superata controversia in tema di ammissibilità del contratto preliminare di preliminare e degli effetti che quest’ultimo produce sulle parti,
Si ritiene, infatti, che tale forma negoziale possa avere una propria “causa in concreto” meritevole di tutela e verificabile alla stregua della concreta intenzionalità dei paciscenti di proseguire nelle trattative negoziali. Per effettuare tale disamina il giudice, a cui viene demandato questo complesso compito, avrà l’obbligo di seguire in maniera pedissequa la disciplina codicistica contenuta negli artt. 1362 ss. c.c., pur rimanendo discrezionale la valutazione in ordine alla natura e al nomen iuris da attribuire al contratto stesso.
Oggetto di indagine non potrà essere solamente il testo scritto della dichiarazione, in quanto andranno, in modo particolare, indagati tutti quegli aspetti extratestuali utili alla ricostruzione della concreta volontà riposta dalle parti nell’affare, anche alla luce del principio di buona fede, ex 1366 c.c. e di conservazione dell’accordo negoziale.
2. Il caso
Con la predetta ordinanza, i giudici di Piazza Cavour accoglievano parzialmente il ricorso n. 2689/2016 presentato dal legale rappresentante della ditta commerciale S. avverso la società costruttrice P. s.r.l. e contestualmente rinviavano una delle questioni oggetto di ricorso alla Corte di Appello competente.
Al fine di comprendere appieno le questioni giuridiche sollevate nella presente diatriba giurisprudenziale, attinenti alla validità legale del contratto preliminare di preliminare e alla corretta applicazione della disciplina sulla interpretazione dei negozi, pare opportuno effettuare un rapido excursus sulla vicenda fattuale accorsa.
Nello specifico, nell’anno 2003 veniva sottoscritta dalle odierne parti in giudizio scrittura privata relativa alla vendita di una superficie, corrispondente a metri 1950 di un immobile ancora da realizzare destinato ad uso commerciale e costruito a seguito di concessione edilizia rilasciata nell’anno 2005. Contestualmente, al fine di bloccare l’affare, veniva versata da parte del promissario acquirente una caparra iniziale di euro 2500.
Il giudice di prime cure aveva parzialmente accolto la domanda attorea sostenendo che con il suddetto accordo la ditta costruttrice si obbligava ad addivenire alla stipula del contratto preliminare salvo la possibilità di risolverlo unilateralmente con il versamento del doppio della caparra ricevuta, qualificata quale caparra penitenziaria.
A seguito di impugnazione, la Corte di Appello escludeva che l’accordo concluso potesse ritenersi contatto preliminare e lo definiva quale contratto preliminare di preliminare negandone ogni validità e dichiarandone la nullità per difetto di causa.
Alla luce di ciò, la ditta commerciale adiva la Corte di Cassazione per sentire ivi accogliere i propri motivi di ricorso.
3. La questione pregiudiziale
Preliminarmente, va esaminata l’eccezione presentata dalla controparte relativa al vizio di legittimità ad agire, ex art. 380 bis, comma 1, c.p.c., in capo a P. quale amministratore unico della ditta individuale ricorrente.
Di tale profilo ne è stata dichiarata l’improcedibilità, in quanto il contro-ricorrente si era limitato ad indicare le vicende storiche riguardanti la trasformazione della ditta commerciale da s.r.l. a società individuale senza riportare ed indagare i motivi relativi alla illegittimità ad agire del legale rappresentante della ditta S.
Difatti, affinché il motivo fosse ammettibile avrebbe dovuto immediatamente contestare il diritto ad agire di P. negandone l’efficacia e fornendo le prove a sostegno della propria pretesa.
4. L’ermeneutica contrattuale quale linea direttrice del diritto dei contratti
I canoni ermeneutici[1] a cui il ricorrente fa riferimento, nel primo motivo di ricorso, permettono di determinare effettivamente quali siano le conseguenze produttive del contratto o dell’accordo de quo.
Infatti, ogni qualvolta sopraggiunga una controversia interpretativa, in riferimento ad una determinata clausola contrattuale ovvero ad un negozio giuridico, verrà in ausilio il dettato normativo contenuto negli artt. 1362 ss. c.c. necessario al fine di indagare le ragioni sottese all’operazione economica realmente intrapresa dai contraenti.
Prima di addentrarsi nella trattazione è necessario fare una breve premessa circa i caratteri differenziali sottesi ai concetti di interpretazione e qualificazione.
L’interpretazione si definisce quale procedimento ermeneutico finalizzato all’attribuzione dell’esatto significato di un accordo intercorso fra due o più parti al fine di individuare la comune e concreta volontà; la qualificazione invece mira a inquadrare la fattispecie contrattuale nello schema legale che di fatto corrisponde ad esso sulla base degli elementi fattuali identificati per mezzo della attività interpretativa.
Tale ricostruzione è utile in quanto permette di estrapolare, dalla disciplina legale sottesa al complesso affare posto in essere, i reali effetti che da esso ne deriveranno sia per le parti che per gli eventuali terzi che ne potrebbero essere coinvolti.
Tanto il primo procedimento quanto il secondo seppur diversi risultano inscindibilmente connessi.
Spesso può accadere che una delle parti ponga in essere un comportamento di cd. “abusività interpretativa”, la quale si estrinseca nella "condotta della parte che ascrive al testo un significato contrario alla comune intenzione, confidando unicamente nella chiarezza lessicale di quanto contrattualmente espresso. L'abusività di tale condotta ermeneutica si giustifica nella misura in cui gli indici contestuali reperibili all'interno di un contesto valutabile in termini contrattualmente rilevante sono addirittura contrari a ciò che la parte pretende di ottenere ascrivendo quel determinato significato alla clausola. Ciò dimostra che la parte non intende applicare il testo in maniera conforme all'operazione economica divisata, ma utilizza il testo contrattuale alla stregua di un pretesto per ottenere un vantaggio abusivo[2]".
Al fine di porre rimedio a tale pratica il legislatore ha emanato una serie di disposizioni contenenti i canoni di ermeneutica contrattuale individuando quali destinatari delle stesse non solo i giudici, a cui è demandato il complesso compito di interpretazione degli atti, ma anche le parti ed i terzi eventualmente coinvolti.
Bisogna, però, precisare che alle parti, in virtù del principio di autonomia negoziale, ex art. 1322 c.c., è data la possibilità, secondo parte della dottrina, di derogare alle norme sull’interpretazione e di stabilire, già a priori, la portata delle dichiarazioni contenute nel documento predisposto, soprattutto nel caso di operazioni economiche complesse, al fine di porre un freno alla “libertà interpretativa” del giudice, di cui si disquisirà più innanzi.
Sembra opportuno esaminare dapprima il testo dell’art. 1362 c.c. che, secondo la tradizione dottrinale e giurisprudenziale, pare abbia riconosciuto l'esistenza di un principio di sussidiarietà nell'applicazione dei criteri interpretativi rispetto all'interpretazione letterale, che potranno essere adottati solo laddove risulti ancora oscura la volontà pattizia.
Difatti, si è soliti distinguere fra interpretazione cd. soggettiva, che raggruppa le disposizioni contenute negli artt. 1362-1365 c.c., indirizzata alla ricerca della volontà collettiva e i criteri di interpretazione cd. oggettiva riferibili agli artt. 1367-1371 c.c., che consentono comunque di stabilire, anche qualora la prima interpretatio risulti vana, il significato dell’accordo sottoscritto verificandolo alla luce dell’ambiente sociale nel quale il negozio ha preso vita.
«Chiarita l'ineludibile vaghezza ed ambiguità del linguaggio, appare evidente come il senso (o meglio, i sensi) delle parole non costituisca(no) altro che un significato ipotetico di ciò che le parti hanno inteso esprimere nel regolamento contrattuale. In tal modo, risulta coerente quanto argomentato in dottrina, laddove si ritiene che lo stesso significato letterale non costituisca un punto di partenza, bensì un approdo dell'indagine interpretativa. Ad ulteriore sostegno di un processo ermeneutico che vada oltre l'elemento testuale, si consideri come il contratto è espressione degli interessi perseguiti dagli stipulanti nella fattispecie concreta, così che non si tratta (...) di attribuire in termini assoluti un significato ad una parola o ad un'espressione, bensì di individuare il significato giuridicamente rilevante del contenuto letterale del contratto e contestualizzarlo, alla luce dei rispettivi interessi delle parti, all'interno dell'operazione economica da queste posta in essere[3]».
Ovviamente, come indicato nell’art. 12 disp. prel. c.c., non bisognerà in alcun modo superare il limite linguistico emergente dal dato testuale manipolandolo e modificandolo totalmente al fine di estrapolare la volontà dei contraenti.
Tuttavia, al fine di una corretta interpretazione non ci si potrà soffermare unicamente sul dato letterale emergente dal testo, piuttosto andrà ricercata la comune intenzione delle parti, poiché ogni espressione, ogni parola, è caratterizzata da un alto grado di incertezza desumibile unicamente da una necessaria coordinazione e armonizzazione degli elementi letterali e logici.
Oltretutto, nemmeno la scelta del nomen iuris individuato dai contraenti ed attribuito all’atto potrà costituire un limite all’interpretazione del giudice, atteso che l’autonomia ad essi attribuita non impedisce agli stessi la possibilità di introdurre ulteriori elementi atipici rispetto a quelli previsti e dunque di influenzare o celare la reale volontà riposta nell’affare.
Anche il comportamento globale tenuto dalle parti sarebbe in grado di costituire un utile elemento di indagine per ricostruire la comune volontà pattizia, come espresso dallo stesso art. 1362, comma 2, c.c. e, dunque, andranno osservate le reali intenzioni che potrebbero mutare nel lungo iter delle trattative.
Quanto detto supera la regola racchiusa nel brocardo latino in claris non fit interpretatio, vale a dire nelle questioni chiare non si fa luogo a interpretazione, in quanto non va in alcun modo confusa la chiarezza della comune intenzione delle parti con quella testuale, posto che solo la prima rappresenta l’obiettivo dell’indagine del giudice; la legge, invero, deve sempre trovare corrispondenza nella volontà dei paciscenti.
Nell’affrontare il motivo del ricorso gli Ermellini ne dichiarano l’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, difettando quest’ultimo del testo della fonte pattizia oggetto di contestazione, atteso che non è possibile far rinvio a fonti esterne attinenti ai pregressi gradi di giudizio di merito, ragione per la quale è onere della parte inserire specificatamente nel corpo dell’atto tutti gli elementi essenziali ai fini del controllo, valutazione e decisione da parte dei giudici.
La sentenza aderisce al costante indirizzo che limita il giudizio di legittimità; effettivamente occorre rammentare che, in ogni caso, l'interpretazione del contratto costituisce un'attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto "per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è, peraltro, sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato[4]".
5. I principi di correttezza e buona fede: due postulati intramontabili
La buona fede[5], ex artt. 1175 e 1375 c.c., costituisce il postulato fondamentale a cui è improntata tutta la disciplina contrattuale e rappresenta il principio etico – sociale, inteso quale totale affidamento inter vivos delle parti posto alla base della negoziazione. «Il fenomeno della cd. “contrattazione etica”, o della cd. “solidarietà contrattuale”, trova la sua fonte principale nell’art. 2 Cost.
Infatti, in relazione all’esecuzione negoziale, la buona fede in senso oggettivo impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extra contrattuale del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a proprio carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte[6]».
Difatti, quest’ultimo costituisce il canone di reciproca lealtà, correttezza e chiarezza nella condotta tenuta dalle parti ed è rivolto alla tutela dell’affidamento che ciascun contraente pone nel significato delle parole dell’altro. Il giudice dovrà esplicare la sua opera interpretativa, ex art. 1366 c.c., in un’ottica di contemperamento ed equilibrio degli interessi coinvolti, ponendo alla base il principio di correttezza richiesto dall’uomo medio, cd. principio della diligenza del buon padre di famiglia e proprio della morale sociale.
Di talché andrebbe conferita importanza agli elementi individuati dai contraenti quali: la superficie di metri 1.950; il luogo di costruzione, cioè Foligno; il prezzo di euro 750 al metro quadro; nonché il versamento della caparra di euro 2500, al fine di comprendere se sia stato o meno assunto un impegno contrattuale.
6. L’ammissibilità e gli effetti del cd. preliminare di preliminare dopo cinque anni dall’intervento delle Sezioni Unite
Dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate circa l’ammissibilità del “contratto preliminare di preliminare”[7].
Esso può definirsi quale accordo finalizzato alla sottoscrizione di un contratto preliminare e di un contratto definitivo, delineando un complesso di atti a formazione progressiva; occorrerà, pertanto, distinguere il contratto preliminare sic et simpliciter dal preliminare di preliminare, entrambi prodromici del contratto definitivo, ove il primo è inquadrato come “accordo aperto”, che contiene unicamente informazioni sommarie circa gli aspetti fondanti il contratto e il secondo come “contratto chiuso”[8].
Infatti, tale scissione la ritroviamo solitamente nella contrattazione che ha ad oggetto beni immobili, ove la vendita avviene mediante tre fasi: l’accordo, o contratto preliminare di preliminare; redazione e sottoscrizione del contratto preliminare; stipulazione del contratto definitivo.[9]
Addentrandosi nella trattazione del secondo motivo di ricorso occorre far menzione di quell’orientamento divampato nelle pronunce giurisprudenziali, racchiuso nella citata sentenza delle Ss.Uu. n. 4628/2015, volto a riconoscere la validità e produttività degli effetti di tale tipo di patto che costituirebbe fonte di responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica.[10]
Tuttavia, la Corte di Appello, nelle conclusioni presentate, dichiarava la nullità di tale tipo di modulo per mancanza di causa, prendendo in considerazione l’orientamento ormai superato dalla Cassazione[11], limitandosi a qualificare il documento come mero accordo, senza soffermarsi sull’analisi concreta degli eventuali elementi ivi contenuti al fine di inquadrare, piuttosto, la scrittura privata nella fattispecie del contratto preliminare.
I giudici di legittimità, sulla scorta delle precedenti premesse, ed atteso il contrasto con il thema decidendum su cui si erano pronunciati i giudici di merito, dichiaravano l’inammissibilità del motivo di ricorso e conseguentemente rinviano a quelli la questione.
I giudici di secondo grado, infatti, avrebbero dovuto valutare, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dalle parti, i dati fattuali caratterizzanti l’accordo de quo; come è evidente, la scrittura privata definisce fin da subito oggetto e prezzo della compravendita e rimanda ad una fase successiva le ulteriori precisazioni, tenuto conto che l’immobile in questione era, all’epoca, in fase di costruzione.
Come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, dunque, l’atto avrebbe dovuto essere già qualificato quale contratto preliminare, considerando che è facilmente riscontrabile un’attuale volontà a concludere il contratto definitivo o comunque un negozio che definisca gli ulteriori elementi ed i vari interessi in fase progressiva.
Questa visione, alquanto arcaica, seguita dalla Corte di Appello, riproduce il binomio contratto preliminare – contratto definitivo che rispecchia il principio di scissione tra il momento del consenso – obbligo ad impegnarsi e l’effettivo momento traslativo dei diritti.
Anche in questo caso, la giustificazione è rinvenibile nella possibilità per i contraenti di fissare l’affare e avere, successivamente, il tempo per valutarne effettivamente le opportunità. Dunque, l’ulteriore passaggio dall’obbligo di impegnarsi ad obbligarsi all’obbligo di stipulare il definitivo per il trasferimento appariva non meritevole di tutela in quanto privo di praticità.
La teoria negazionista del contratto preliminare di preliminare prende le mosse dal dictum contenuto nella sentenza della Cass. civ. n. 8038/2009, in quanto giustificava la nullità della funzione di obbligarsi ad obbligarsi affermando che questa "darebbe luogo ad una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito[12]".
La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella predetta sentenza, mira infatti a mettere ordine ai differenti orientamenti prospettati dalla dottrina e dalla giurisprudenza circa la configurabilità del “contratto pre-preliminare”, dato che appare difficile sostenere la tesi secondo la quale "la nullità dell’obbligo di concludere un contratto preliminare riproduttivo di un contratto preliminare già perfetto possa travolgere anche l’obbligo, che si potrebbe definire finale, di concludere il contratto definitivo[13]".
L‘attenzione rivolta a questa figura negoziale nasce proprio dalla diffusione, su larga scala, della applicazione pratica di questo modello, in particolar modo nelle trattative commerciali, che prevede una divisione in sottofasi della formazione del contratto definitivo con il conseguente abbandono del classico binomio preliminare – definitivo, al fine di poter meglio indagare e verificare la correttezza dell’affare che si ha la volontà di porre in essere.
Invero, è proprio nei contratti di mediazione mobiliare, nonostante ciò, si realizzi anche in assenza di mediazione, che compare tale pratica; questi ultimi prevedono una definizione dell’affare in maniera scaglionata: il promissario venditore affida l’affare ad un mediatore, il quale lo “blocca” e sottopone l’atto, denominato nella maggior parte dei casi proposta irrevocabile di acquisto, alla firma del promissario acquirente e successivamente viene posto alla firma del promissario venditore.
La caratteristica peculiare di questo documento è rinvenibile nella presenza di una clausola che rinvia ad un successivo contratto preliminare per la prosecuzione delle trattative.
La riconosciuta legittimità al contratto preliminare di preliminare da parte della giurisprudenza di legittimità, nonché della dottrina, deriva dalla presa di consapevolezza che la dichiarazione di nullità del negozio apparisse troppo categorica e limitativa della libertà privata; dovendosi piuttosto prendere in considerazione gli elementi fattuali costituenti l’accordo e analizzando il tutto alla luce delle concrete circostanze del caso.
Già in precedenza, ad ogni modo, la giurisprudenza aveva riconosciuto in qualche misura rilievo giuridico alle dichiarazioni che le parti sottoscrivevano e si scambiavano nel corso del complesso iter negoziale, documenti consistenti in puntuazioni o minute che, tuttavia, in mancanza di completezza adeguata al sorgere del vincolo contrattuale, erano prive di qualsivoglia efficacia, eppure davano luogo a responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c. Infatti, le parti, tanto nella fase delle trattative quanto in quella costitutiva del contratto, devono, a norma del richiamato articolo, comportarsi secondo buona fede.
Qualora un contraente venga improvvisamente meno all’impegno assunto risponderà a titolo di responsabilità precontrattuale seppure nei limiti del cosiddetto interesse negativo, cioè nell’interesse dell’altra parte che aveva ragionevolmente fatto affidamento su quell’affare, non iniziando proprio le trattative e non sprecando dunque tempo e denaro.
Tuttavia, il dictum della Cassazione costituisce una mera, seppur rivoluzionaria sotto alcuni aspetti, precisazione e non un orientamento diverso per due motivazioni: in primo luogo l’ambito applicativo è quello dei soli contratti immobiliari ed in secondo luogo poiché l’ipotesi di nullità non si realizzerà solamente in presenza di accordi succedenti aventi contenuto sostanzialmente differente, ossia quando non sussista una situazione di cosiddetto ne bis in idem.
Ragione per la quale per l’attribuzione di una qualche utilità giuridica al contratto preliminare di preliminare occorrerà indagare l’effettivo scopo economico-individuale posto in essere dalle parti che dovrà ovviamente divergere da quello perseguito con il contratto preliminare, cosa che non potrebbe accadere qualora i due contatti avessero contenuto identico. L’unica caratteristica differenziale tra i due accordi rileva sul piano proprio dell’intenzionalità: con il contratto pre-preliminare vi è accordo sul contenuto dell’atto, con il contratto preliminare invece viene realmente maturata l’intenzione di concludere l’offerta; di talché il preliminare di preliminare costituisce soltanto l’impegno a proseguire le trattative.
Tuttavia, questo andrà valutato in concreto considerando le esigenze dei paciscenti addivenuti alla stipula del definitivo non utilizzando il classico binomio preliminare-definitivo quanto piuttosto una “distinzione tripartita” pre-preliminare – preliminare – definitivo; giacché è solo mediante il contratto preliminare che sorge per i contraenti un obbligo giuridico e spesso questi ultimi, non avendo un alto grado di conoscenza di determinati elementi di fatto, funzionali alla manifestazione di una consapevole volontà, preferiscono differire al futuro la stipulazione di un accordo vincolante.
Qualora però nel primo accordo si manifesti l’intenzione di concludere l’affare, il secondo contratto assumerà un mero ruolo integrativo della volontà.
La tutela offerta alla parte adempiente in tema di contrattazione antecedente al preliminare prevede la possibilità di ricorrere alla disciplina contenuta nell’art. 1218 c.c. che comporta un obbligo risarcitorio per il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta, considerato che il contratto preliminare di preliminare è fonte di una obbligazione a contrarre.
Tale responsabilità viene ricondotta sotto l’alveo della terza categoria contemplata nell’art. 1173 c.c. relativo ad ogni atto o fatto produttivo di obbligazioni. «Non sono mancate critiche in dottrina a tale ricostruzione sul presupposto che la violazione del preliminare di preliminare non comporterebbe una responsabilità propriamente contrattuale e quindi un risarcimento dell'interesse positivo, ma del “mero” interesse negativo[14]».
Qualora l’accordo oggetto di contestazione venga qualificato dai giudici di merito competenti quale contratto preliminare il rimedio esperibile si rinverrà nella disciplina indicata nell’art. 2932 c.c., con il quale il legislatore ha previsto la possibilità per il promissario acquirente di agire in giudizio, richiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligazione contrattuale assunta, per ottenere una sentenza costitutiva.
Su tale differenziazione delle tutele predisposte dal Codice civile emergono delle obiezioni in ordine al verificarsi della mancata certezza giuridica del processo di formazione della volontà pattizia, obiettivo e garanzia che dovrebbero essere sempre protetti dall’ordinamento. Sul punto resta da capire se il combinato disposto dagli artt. 1374 e 2932 c.c. sia effettivamente applicabile pedissequamente al preliminare di preliminare, piuttosto che individuare nuovi ed alternativi strumenti di tutela processual-civilistica.[15]
6.1. L’evoluzione della nozione di causa nelle teorie negoziali
Effettivamente è lo stesso codice a prevedere che «l'incontro della proposta con l'accettazione sia preceduto da attività destinata a rendere possibile che la trattativa abbia a definirsi in una proposta cui segua l'accettazione. Ma tale attività non ha giuridica rilevanza, se non sotto l'aspetto dell'obbligo di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.).»[16]
Come si è avuto modo di cogliere è oramai pacificamente riconosciuta la legittimità giuridica alla formazione contrattuale mediante un susseguirsi di accordi prima di addivenire alla stipula del contratto definitivo. "L'argomento con cui è fondata la tesi favorevole è ora fornita dalla c.d. “causa concreta”, vero e proprio strumento che tutto sembra consentire e risolvere"[17], che costituisce il concetto principale attorno a cui ruota la sentenza a Ss.Uu. della Cassazione n. 4628/2015 e che è il mezzo attraverso il quale si dà rilevanza "alla meritevolezza di un complesso di interessi che stanno realmente alla base della operazione negoziale."[18]
La causa, infatti, costituente uno degli elementi essenziali del contratto, ex art. 1325 c.c., senza i quali si avrebbe la nullità dello stesso, è stata oggetto di numerosi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sviluppatisi nel tempo. Il contesto normativo è pressoché scarno, difatti la sezione dedicata a tale argomento consta di soli tre artt.: 1343, 1344 e 1345 c.c., nei quali non vi è traccia di alcuna definizione di causa.
Inizialmente, sulla scorta della teoria bettiana, veniva definita causa la funzione economico-sociale, in quanto si dava rilevanza allo scopo pubblico che le parti intendevano perseguire, oltre ovviamente all’ottenimento di un vantaggio economico.
Analizzata da questa prospettiva "la causa perde di vista il singolo contratto concreto, rifugiandosi in una dimensione astratta che la rende elemento unificatore di tutti i contratti appartenenti al medesimo “tipo” (emblematico l'esempio secondo cui causa della vendita è lo scambio tra una res ed un pretium), a prescindere dalle diverse componenti (economiche, motivazionali ecc.) che hanno determinato la sua formazione, spesso considerate del tutto irrilevanti per l'ordinamento, come nel caso dei . In tal modo di fatto, la causa finisce con l'essere appiattita fino ad essere sovrapposta al tipo negoziale adoperato."[19]
Successivamente, a seguito dell’evoluzione storica intervenuta, detta teoria è stata superata dal concetto di causa in concreto che prendeva in considerazione l’intento individuale perseguito dalle parti. Dunque, si è avuta, mediante l’applicazione al contratto della normativa dettata in tema di obbligazioni, il sorgere della cosiddetta figura dell’aliud pro alio.
Numerose sono state le critiche rivolte a questo secondo orientamento, atteso che si disapprovava il fenomeno della sovrapposizione fra il motivo, ove i motivi strettamente personali muovono l’individuo a stipulare un determinato contratto e la causa che rendeva tali elementi indistinguibili.
Tuttavia, l’orientamento maggioritario, come si deduce anche dalla pronuncia de quo, predilige una definizione di causa come causa in concreto del negozio grazie alla quale si attribuisce meritevolezza al documento pre-prenegoziale.
Anche la causa, oltretutto, è sottoposta ad un controllo giurisdizionale serrato e di tipo negativo, inteso a verificare che non sussistano ipotesi di illeceità rispetto ai dettami legislativi.
Alla luce di quanto ut supra delineato, può concludersi che, pur essendo difficile individuare nella pratica la linea di confine fra la figura del contratto preliminare di preliminare e l’atto preparatorio predisposto per un futuro contratto, nel caso de quo appare inverosimile e ingiustificato il ricorso alla figura del contratto preliminare di preliminare sotto la veste di un mero accordo interlocutorio a cui non viene riconosciuta alcuna efficacia; dovendosi piuttosto qualificare l’atto quale contratto preliminare o se anche, si desse credito alla prima tesi, comunque bisognava riconoscere la meritevolezza ed idoneità dello stesso dato che i contraenti manifestano incontrovertibilmente la volontà di proseguire le avviate trattative, stante i dati fattuali rinvenibili, non essendoci alcun mutamento di intensità della volontà di vincolarsi; ragione per la quale spetterà, a seguito di rinvio della questione, ai giudici di merito verificarne concretamente l’idoneità anche alla luce del principio del ragionevole affidamento e della corretta applicazione dei canoni ermeneutici.
[1] Sui criteri di interpretazione, si v. D. Achille, Metodo dell’interpretazione contrattuale e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2017, 1 , p. 155; P. Leocani, A. Capogrosso, Prospetto informativo e interpretazione del contratto – il commento, in Società, 2017, 5, p. 576; F. Sangermano, L’interpretazione del contratto, in Contr., 2011, 11, p. 1025; R. G. Piscitelli, Preliminare ed interpretazione del definitivo – il commento, in Contr., 2002, 12, p. 1094; M. D’Auria, Note sull’interpretazione del contratto su caso di condizione inespressa, in Contr., 2015, 5, p. 465; E. Buda, Condizioni di inadempimento e interpretazione del contratto – il commento, in Contr., 2015, 5, p. 465.
[2] M. D’Auria, Causa in concreto, operazione economica e procedimento ermeneutico contrattuale: spunti di riflessione, in Corr. giur., 2015, 11, p. 1375.
[3] S. Corallo, Criteri ermeneutici e sindacato di legittimità nell’interpretazione del contratto, in Nuova giur. civ., 2014, 7-8, p. 10616.
[4] Cfr. Cass. civ., Sez. III, 20.12.2019, n. 34191.
[5] Su buona fede e autonomia contrattuale, si v. F. Cesareo, La “contrattazione etica” nel diritto privato moderno. Il microcredito solidale, in Annali 2019 del Dipartimento Jonico, Edizioni DJSGE, 2020, p. 113-115, n. 2; F. Piraino, Il diritto europeo e la «giustizia contrattuale», in Eur. dir. priv., 2015, p. 233; Id., Il divieto di abuso del diritto, in Eur. dir. priv., 2013, p. 75 ss.; Id., La buona fede in senso oggettivo, Giappichelli, Torino, 2015, passim; V. Roppo, Il contratto nel duemila, Giappichelli, Torino, 2011, p. 78 ss.; R. Sacco, L’esercizio e l’abuso del diritto, in G. Alpa, M. Graziadei, U. Mattei, R. Sacco (a cura di), La parte generale del diritto civile. 2. Il diritto soggettivo, in R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Utet, Torino, 2001, p. 279 ss.; U. Breccia, L’abuso del diritto, in G. Furgiuele (a cura di), Diritto privato 1997. III. L’abuso del diritto, Cedam, Padova, 1998, pp. 42-43; U. Perfetti, L’ingiustizia del contratto, Giuffrè, Milano, 2005, p. 365 ss.; V. Scalisi, Giustizia contrattuale e rimedi: fondamento e limiti di un controverso principio. Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 337 ss.; G. Vettori, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2006, p. 53 ss.; Id., Il contratto europeo tra regole e principi, Giappichelli, Torino, 2015, p. 149; V. Calderai, Giustizia contrattuale, in Enc. dir., Ann. VII, Giuffrè, Milano, 2014, p. 448 ss.; S. Mazzamuto, Il contratto di diritto europeo, Giappichelli, Torino, 2012, p. 143 ss.; G. Alpa, Il contratto in generale. I. Fonti, teorie, metodi, in A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni (già diretto da), P. Schlesinger (continuato da), Tratt. dir. civ., Giuffrè, Milano, 2014, p. 755 ss.; A. Somma, Il diritto privato liberista. A proposito di un recente contributo in tema di autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 263 ss.
[6] F. Cesareo, La nel diritto privato moderno. Il microcredito solidale, op. cit., p. 115.
[7] Sul contratto preliminare di preliminare si v. G. Salvi, Contratto preliminare e risarcimento del danno – riflessioni su un uso consapevole del pre-preliminare e sul conseguente danno da risoluzione, in Giur. it., 2020, 4, p. 809; C. Scognamiglio, La causa concreta una proposta dottrinale di successo, in Riv. dir. civ., 2020, 3, p. 588; D. Laurino, L’altra faccia del “preliminare di preliminare”, in Immobili e proprietà, 2018, 8-9, p. 485; G. Bordolli, Il preliminare del preliminare nella mediazione immobiliare, in Immobili e proprietà, 2017, 6, p. 348; M. Barafani, Tutela processuale frazionata del credito – i fondamenti concettuali del dibattito sul frazionamento del credito, in Giur. it., 2017, 5, p. 1089; G. Visintini, Il dibattito sulla natura della responsabilità precontrattuale rivisitato alla luce della casistica, in Contr. impr., 2017, 2, p. 335; G. D’Amico, Sul c.d. preliminare di preliminare, in Riv. dir. civ., 2016, 1, p. 10040; C. Cicero, La responsabilità (pre)contrattuale come responsabilità da contratto sociale, in Corr. giur., 2016, 12, p. 1504; A. Celeste, Fallimento delle trattative nella vendita di un immobile e risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, in Immobili e proprietà, 2016, 7, p. 417; M. Capecchi, Riflessi operativi della sentenza delle Sezioni Unite sul preliminare di preliminare, in Nuova giur. civ., 2015, 7-8, p. 20397; R. De Matteis, Accordi preliminari e modularità de vincolo a contrarre, in Nuova giur. civ., 2015, 7-8, p. 20389; F. Festi, Il contratto preliminare di preliminare, in Corr. giur., 2015, 5, p. 609; G. E. Napoli, Il riconoscimento giurisprudenziale del contratto preliminare di preliminare, in Riv. dir. civ., 2015, 5, p. 11252; G. Carapezza Figlia, O. Clarizia, Puntuazione vincolante o preliminare di preliminare? (A proposito di una pronuncia delle Sezioni Unite), in Contr. impr., 2015, 4-5, p. 874; U. Stefini, Il preliminare di preliminare e le intese precontrattuali nella contrattazione immobiliare, in Riv. dir. civ., 2015, 5, p. 11230; G. Buset, Le Sezioni Unite sul preliminare di preliminare di vendita immobiliare, in Nuova giur. civ., 2015, 7-8, p. 10601; M. Garofalo, F. Mezzanotte, F. P. Patti, L’insegnamento del diritto civile: prospettive metodologiche (a proposito di un recente convegno), in Riv. dir. civ., 2015, 3, p. 10643; M. Monegat, La sentenza del mese – valido ed efficace il preliminare, in Immobili e proprietà, 2015, 4, p. 255.
[8] F. Cesareo, Il cosiddetto preliminare di preliminare nella contrattazione immobiliare, Mandese, Taranto, 2015, p. 75 ss.
[9] A. M. Benedetti, M. Capecchi, R. De Matteis, A. Fusaro, A. Luminoso, G. Palermo, V. Roppo, La contrattazione preliminare: Dall'inquadramento teorico alle questioni nella pratica giudiziaria, Giappichelli, Torino, 2017, passim.
[10] Sul punto si l. Cass. civ., Sez. un., 06.03.2015, n. 4628, secondo cui: si «riterrà produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale.»
[11] Cfr. Cass. civ., Sez. II, 02.04.2009 n. 8038 e Cass. civ., 10.09.2009, n. 19557.
[12] R. Benigni, le Sezioni Unite sulla validità del preliminare di preliminare – il commento, in Notariato, 2015, 4, p. 426.
[13] R. Benigni, le Sezioni Unite sulla validità del preliminare di preliminare – il commento, op cit.
[14] R. Formisani, Mediazione – provvigione del mediatore e “preliminare di preliminare”, in Giur. it., 2020, 6, p. 1400.
[15] V. Brizzolari, Il preliminare di preliminare: l’intervento delle Sezioni Unite – il commento, in Contr., 2015, 6, p. 545.
[16] A. Di Majo, Preliminare di preliminare – la causa concreta nel preliminare di preliminare, in Giur. it., 2019, 6, p. 1309.
[17] A. Di Majo, Preliminare di preliminare – la causa concreta nel preliminare di preliminare, op. cit.
[18] A. Di Majo, Preliminare di preliminare – la causa concreta nel preliminare di preliminare, op. cit.
[19] P. L. Carbone, Contratti collegati, aliud pro alio, causa concreta: uno slancio verso il futuro o ritorno al passato?, in Corr. giur., 2016, 6, p. 759.