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Pubbl. Gio, 17 Dic 2020

Le norme in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi si applicano anche al direttore generale delle AUSL

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Giuliano Libutti
Funzionario della P.A.LUISS Guido Carli



Secondo le Sezioni Unite Civili della Cassazione (sent. n. 25369/2020), la disciplina prevista in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, ex art. 53 del d.lgs. 165 del 2001, e quella specifica per titolari di incarichi dirigenziali, ex d.lgs. 39 del 2013, si applicano anche al direttore generale della Azienda sanitaria, in quanto norme imperative e inderogabili riferibili a qualsiasi ”agente dell´Amministrazione Pubblica”.


Sommario: 1. Introduzione. il thema decidendi. - 2. Il direttore generale della AUSL. Cenni ai principali riferimenti normativi e qualificatori. - 3. I fatti oggetto della pronuncia e le sentenze di primo grado e appello. - 4. Il Giudizio in Cassazione. - 4.1. I motivi di ricorso e l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite. - 4.2. La decisione delle Sezioni Unite. 4.3. Il principio di diritto affermato.

1. Introduzione. Il thema decidendi

Con sentenza n. 25369 del 11 novembre 2020, le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione hanno affrontato una importante questione giuridica attinente alla natura del rapporto di lavoro del direttore generale delle AUSL e, più nel dettaglio, all’applicabilità a carico del predetto soggetto della disciplina prevista in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi dei dipendenti pubblici.

In particolare, la vexata quaestio oggetto della pronuncia è la seguente: è applicabile nei confronti del direttore generale degli enti del Servizio Sanitario Nazionale la normativa prevista in tema di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi (con conseguente applicazione delle relative sanzioni), disciplinata dall’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 (nonché, ratione temporis, dalla disciplina specifica per titolari di incarichi dirigenziali di cui al d.lgs. n. 39 del 2013)?

Prima di entrare nel merito delle valutazioni della Suprema Corte, è fornito un inquadramento sintetico dei principali riferimenti qualificatori e normativi inerenti alla figura del direttore generale della AUSL.

2. Il direttore generale della AUSL. Cenni ai principali riferimenti normativi e qualificatori

Il direttore generale, le cui funzioni sono in special modo disciplinate dal d.lgs. 1992, n. 502, è innanzitutto qualificabile come la figura giuridica destinataria di tutti i poteri di gestione e di rappresentanza dell'unità sanitaria locale, responsabile dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa.

A tal proposito, tra le più rilevanti prerogative riferite a tale soggetto, vanno annoverati il potere di adozione dell'atto aziendale di diritto privato disciplinante l’organizzazione e il funzionamento delle unità sanitarie locali, la definizione degli obiettivi aziendali da attuare nel quadro della programmazione sanitaria nazionale, l'adozione di direttive generali e la verifica dei risultati della gestione in rapporto alle predette direttive.

Tra gli altri compiti, spetta a tale figura la nomina del direttore amministrativo e del direttore sanitario, i quali, nel rispetto delle diverse attività e prerogative, coadiuvano il direttore generale nell’esercizio delle funzioni assegnate.

Con spunto descrittivo, dunque, è stato plasticamente evidenziato che il direttore generale, avendo riguardo a funzioni e prerogative, sia in concreto qualificabile come il “destinatario della funzione di garanzia dell'osservanza e della corretta applicazione delle norme legali e contrattuali che disciplinano i rapporti di lavoro degli addetti[1].

Per quanto attiene alla procedura di nomina vigente, la normativa a tal proposito prevista dal d.lgs. 1992, n. 502 è stata negli ultimi anni modificata e modellata al fine di rendere quanto meno discrezionale possibile la procedura di selezione e assicurare che la stessa avvenga sulla base della migliore valutazione dei candidati.[2]

La procedura di nomina avviene attingendo obbligatoriamente dall'elenco regionale degli idonei, ovvero agli analoghi elenchi delle altre regioni, costituito previo avviso pubblico e mediante selezione effettuata, secondo modalità e criteri individuati dalla regione, da parte di una commissione costituita dalla regione medesima in prevalenza tra esperti.

Alla selezione si accede con il possesso di laurea magistrale e di adeguata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel campo delle strutture sanitarie o settennale negli altri settori, con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, nonché di eventuali ulteriori requisiti stabiliti dalla regione.

Infine, dal punto di vista della natura giuridica dell’atto di nomina (altro tema rilevante ai fini del presente commento), a tenore dell’art. 3 bis del d.lgs. 502 del 1992, il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del codice civile.

3. I fatti oggetto della pronuncia e le sentenze di primo grado e appello

Casse di risparmio dell’Umbria S.p.a. proponeva al Tribunale di Perugia - Sezione distaccata di Foligno opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione e la successiva cartella di pagamento con cui l'Agenzia delle entrate aveva provveduto ad intimarle il pagamento di una somma di denaro, per la cifra di complessivi euro 751.390,81.

Il predetto pagamento veniva intimato a titolo di sanzione amministrativa per la violazione dell'art. 53, commi 9 e 11, del d.lgs. 165 del 2001, asseritamente realizzata per mezzo del conferimento, nel periodo 2003-2006, dell'incarico di Presidente del Consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Foligno S.p.a. all'Ing. D. D., all'epoca Direttore generale dell'AUSL di Terni, senza previa autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza del D.

Il Tribunale, con sentenza n. 273 del 2012, respingeva l’opposizione e la Corte d’Appello di Perugia, in seguito adita, confermava la decisione di primo grado con sentenza n. 650 del 201, sulla scorta dei seguenti rilievi:

1) gli artt. 3 e 3-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 stabiliscono che il rapporto di lavoro instaurato con il direttore generale delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sia regolato da contratto di diritto privato, ma la selezione del direttore generale trae a monte origine da un procedimento amministrativo;

2) il regime previdenziale e retributivo relativo al direttore generale è simile a quello dei pubblici dipendenti;

3) la legge prevede un obbligo di esclusiva da parte del direttore generale, a riprova del quale era stato previamente instaurato a carico di D. un giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti, concluso con la condanna dello stesso per danno erariale;

4) più in generale, il rapporto di lavoro del direttore generale è soggetto alla stessa disciplina che regola i rapporti di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche, essendo con riguardo al medesimo attribuiti alla P.A. tutti i poteri volti al perseguimento dell'interesse pubblico;

5) nel caso de quo, nessun pregio avrebbe avuto la circostanza che, al momento della nomina di D. a direttore generale della AUSL, egli fosse un dipendente pubblico in quiescenza.

4. Il Giudizio in Cassazione

4.1. I motivi di ricorso e l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite

Avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello, Casse di risparmio dell’Umbria S.p.a. proponeva ricorso per Cassazione, strutturato in due motivi, entrambi imperniati e modellati sulla base della inapplicabilità nei confronti del direttore generale delle Ausl delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro subordinato alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.

Con il primo motivo, il ricorrente denunciava la violazione e/o errata applicazione degli artt. 1, 2 e 53 d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 6 d.l. n. 97 del 1997, degli artt. 3 e 3-bis d.lgs. n. 502 del 1992, del d.P.C.M. n. 502 del 1995, poiché tali disposizioni andrebbero considerate applicabili unicamente ai rapporti di lavoro subordinato a tempo pieno alle dipendenze della P.A.

Conseguentemente, tale disciplina non sarebbe riferibile ai rapporti di lavoro subordinato part-time e ai rapporti di lavoro non dipendente instaurati con le Pubbliche Amministrazioni, come le collaborazioni coordinate e continuative e i rapporti di natura libero-professionale, categoria entro la quale includere la figura del direttore generale delle AUSL.

Quanto al secondo motivo di ricorso, si denunciava l’erronea assimilazione del rapporto di lavoro del direttore generale della AUSL con quello dei dipendenti pubblici, con susseguente violazione del principio di legalità contenuto nell'art. 1 L. n. 689 del 1981 e del divieto di applicazione analogica in materia di illeciti amministrativi.

A tal proposito, inoltre, si evidenziava che il carattere di esclusività del rapporto lavorativo previsto dall'art. 3-bis, comma 8, d.lgs. n. 502 del 1992 avrebbe potuto certamente rilevare per fini diversi, ad esempio quale motivo di risoluzione del contratto del direttore generale con la Regione, ma non avrebbe potuto determinare l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Dal canto suo, la seconda Sezione civile della Cassazione, depositaria del ricorso, rilevava in primo luogo che l’omessa comunicazione dei corrispettivi per l'espletamento di incarichi non autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza non fosse più suscettibile di sanzione ex art. all'art. 53, comma 15, del d.lgs. n. 165 del 2001, per effetto della sentenza di accoglimento della questione di legittimità costituzionale positivamente valutata dalla Corte costituzionale[3] nel corso del giudizio de quo (con necessità di cassare la parte della sentenza impegnata relativa a tale profilo).

Ciò premesso, la Sezione rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, al fine di sciogliere il seguente nodo gordiano: l’applicabilità, a carico del direttore generale della AUSL, della normativa sulle incompatibilità di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 e, segnatamente, se tale figura sia da includere tra i destinatari dell'obbligo di preventiva autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza al fine del conferimento di incarichi retribuiti da parte di enti pubblici economici o soggetti privati, previsto dal comma 9 dell'art. 53 appena citato.

4.2. La decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite hanno ritenuto di non accogliere il ricorso, sulla base dei rilievi di seguito esposti.

La Suprema Corte ha provveduto dapprima ad evidenziare che le sanzioni de quo siano state irrogate nei confronti della società ricorrente ai sensi del comma 9 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 (per essersi avvalsa dell'attività del D., senza la previa autorizzazione della AUSL di Foligno, P.A. di appartenenza) e ai sensi del comma 11 della stessa norma (per la mancata comunicazione alla medesima Amministrazione dei compensi elargiti).

A proposito del secondo tra gli addebiti citati, tuttavia, si è rilevato che tale omissione, come già evidenziato, non sia più soggetta alla sanzione di cui all'art. 53, comma 15, del d.lgs. n. 165 del 2001, per effetto della sentenza di accoglimento della Corte costituzionale n. 98 del 2015 intervenuta nel corso del giudizio e dunque, per la parte della sentenza impugnata a ciò riferita, debba essere disposta la cassazione della sentenza.

Alla Cassazione non è rimasto, dunque, che affrontare l’ipotesi sanzionatoria prevista dal comma 9 dell’art. 53 e, in particolare, di valutare se l'obbligo di preventiva autorizzazione per il conferimento di incarichi a dipendenti pubblici si applichi anche con riguardo al soggetto che rivesta l'incarico di direttore generale di una AUSL.

A tal riguardo, al fine di cogliere la ratio dell’istituto delle incompatibilità e del cumulo degli incarichi, le Sezioni Unite hanno evidenziato i tratti fondamentali della normativa vigente, anche alla luce del d.lgs. n. 39 del 2013 (pur non applicabile ratione temporis al caso in oggetto), in quanto norma di dettaglio introdotta in aggiunta alla disciplina posta dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001.

Per mezzo del citato d.lgs. n. 39 del 2013, si è assistito ad un significativo rafforzamento dalla preesistente normativa vigente in tema di inconferibilità e di incompatibilità degli incarichi.

In particolare, tra le novità di maggior rilievo, va annoverata innanzitutto la disposizione ex art. 22, la quale qualifica le norme contenute nel decreto quali norme di attuazione degli articoli 54 e 97 della Costituzione, prevalenti rispetto alle diverse disposizioni di legge regionale in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e presso gli enti privati in controllo pubblico.

L’articolo 17 del medesimo testo, invece, ha decretato la nullità degli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del decreto e dei relativi contratti.

In tema sanzionatorio, inoltre, l’art. 19 ha disposto che lo svolgimento degli incarichi di cui al presente decreto in una delle situazioni di incompatibilità previste comporti la decadenza dall'incarico e la risoluzione del relativo contratto, di lavoro subordinato o autonomo, decorso il termine perentorio di quindici giorni dalla contestazione all'interessato dell'insorgere della causa di incompatibilità.

A tenore dell’art. 20, infine, nel corso dell'incarico l'interessato deve presentare annualmente una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui al presente decreto e, in caso di inadempienza di tale obbligo, l'ente di appartenenza è tenuto ad effettuare un autonomo accertamento della insussistenza di cause di incompatibilità, esponendosi altrimenti al rischio di subire una seria sanzione interdittiva.

La normativa di cui è stata appena data nota, relativa al conferimento di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico, è stata seguita dall'emanazione, con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e successivamente dei Codici di comportamento delle singole Amministrazioni, in attuazione dell'art. 54 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

A fronte degli interventi normativi ora citati, le Sezioni Unite rilevano che i commi 1, 2, 9 del citato art. 53 non abbiano subito opere di riforma o di intervento del Giudice Costituzionale, ma, al contrario, sia stata in più occasioni affermata la natura cogente di tale normativa.

Sul punto, osservano efficacemente le Sezioni Unite che “si tratta di una normativa volta a garantire l'obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell'art. 98 Cost. con il quale i nostri Costituenti, nel prevedere che "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione" hanno voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all'art. 97 Cost., sottraendo tutti coloro che svolgono un'attività lavorativa "alle dipendenze" - in senso lato - delle Pubbliche Amministrazioni dai condizionamenti che potrebbero derivare dall'esercizio di altre attività.

Sulla base della predetta considerazione, la Suprema Corte rinnova l’adesione al consolidato orientamento pretorio che ritiene la predetta disciplina applicabile a tutti i casi in cui siano volte funzioni in qualità di agente della P.A., in virtù di un rapporto di servizio intercorrente con la Pubblica Amministrazione, dal quale, ex art. 98 Cost., deriva un obbligo di esclusività.

A cagione di ciò, si arguisce che l’ambito operativo della normativa in tema di inconferibilità e incompatibilità sia particolarmente ampio e, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, debba includere anche i seguenti soggetti: dipendenti il cui rapporto di lavoro sia stato contrattualizzato, quelli rimasti in regime di diritto pubblico, lavoratori professionali con rapporto a tempo determinato o part-time oltre taluni limiti, soggetti che svolgano incarichi onorari[4]e infine (punto focale della questione che qui interessa) coloro che siano legati alla P.A. per effetto di un contratto di diritto privato, come il direttore generale di un ente del SSN.

Orbene, ciò che rileverebbe ai fini dell’applicazione della citata disciplina è che il soggetto agisca nell’ambito dell’apparato organizzato della Pubblica Amministrazione, non assumendo pregnanza, invece, il titolo in base al quale la suddetta attività sia svolta, che potrà consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio o in un contratto di diritto privato.

All’interno della normativa in tal guisa ricostruita, va dunque considerato e analizzato il comma 9 dell'art. 53, il quale è rivolto agli enti pubblici economici e ai soggetti privati che conferiscono "incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'Amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi".

Tale violazione viene definita dalla Cassazione come “formale”, poiché integrata dal mero conferimento di un incarico ad un soggetto agente della P.A, in assenza della preventiva autorizzazione dell’Amministrazione presso cui lo stesso presti servizio.

Con particolare riguardo, invece, ai profili normati riguardanti il direttore generale, oltre a richiamare i compiti e le prerogative indicate in apertura del commento, la Suprema Corte evidenzia la rilevante portata di due disposizioni: il comma 10 dell'art. 3-bis del d.lgs. n. 502 cit., a tenore del quale “la carica di direttore generale è incompatibile con la sussistenza di altro rapporto di lavoro, dipendente o autonomo", e comma 14 dello stesso articolo in base al quale: "il rapporto di lavoro del personale del Servizio sanitario nazionale è regolato dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni".

Pertanto, l’incompatibilità della carica di direttore generale con la sussistenza di altro rapporto di lavoro, dipendente o autonomo, deve essere interpretata allo stesso modo in cui è valutata per tutti coloro che hanno un rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni, sulla base della disciplina generale di cui all'art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001, nonché della disciplina specifica per i titolari di incarichi dirigenziali dettata dal d.lgs. n. 39 del 2013 (ove applicabile ratione temporis).

Sarebbe, al contrario, errato ed irrazionale che la predetta normativa non riguardasse tali soggetti, destinatari di funzioni e compiti particolarmente significativi nel complessivo disegno del quadro operativo sanitario.

A tal proposito, andrebbe dunque condivisa l'impostazione seguita in precedenti pronunce della Cassazione, secondo cui la disciplina prevista dal d.lgs. n. 502/1992, nella parte in cui dispone che il rapporto di lavoro del direttore generale di un'azienda sanitaria abbia natura esclusiva e sia incompatibile con l'instaurazione di altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo, abbia carattere imperativo e inderogabile.

4.3. Il principio di diritto affermato

Sulla base delle argomentazioni di cui si è dato atto, le Sezioni Unite hanno dichiarato il rigetto del ricorso, con la precisazione che la sentenza sia cassata per la parte relativa alla sanzione irrogata per la violazione del comma 11 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 200, rinviando alla Corte D’Appello di Perugia per le opportune rideterminazioni della sanzione, con riferimento unicamente alla violazione del comma 9 dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001.

Inoltre, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto:

Ai direttori generali (e anche ai direttori sanitari e ai direttori amministrativi) degli enti del Servizio sanitario nazionale si applica la normativa in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi (oltre che quella sulla inconferibilità degli incarichi stessi) - con le relative sanzioni - dettata dall'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 (nonché, ratione temporis, dalla disciplina specifica per i titolari di incarichi dirigenziali di cui al d.lgs. n. 39 del 2013). Tale normativa ha carattere imperativo e inderogabile, essendo irrilevante il fatto che il rapporto del direttore generale di un ente del SSN - peraltro, dalla legge qualificato "esclusivo" - sia di natura autonoma e sia regolato da un contratto di diritto privato, perché, agli indicati fini, quel che conta è lo svolgimento di funzioni in qualità di "agente dell'Amministrazione pubblica", da cui deriva il rispetto del primario dovere di esclusività del rapporto con la P.A.”


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 febbraio 2019, n. 3469, Rv. 652873 - 01.

[2] Sul punto, Corte costituzionale, n. 87 del 2019, Presidente Lattanzi - Redattore Amato, pubblicata in G. U. 17/04/2019,  n. 16, : “la disciplina della nomina del direttore generale degli enti del SSR, in particolare, è il frutto di una progressiva evoluzione legislativa, tesa a meglio precisare i requisiti per la stessa nomina, al fine di ridurre l'ampio potere discrezionale che il d.lgs. n. 502 del 1992, specie nella formulazione successiva al decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, lasciava al Presidente della Regione”.

[3] Corte Costituzionale, n. 98 del 2015, Presidente Criscuolo - Redattore Grossi, pubblicata in G. U. 10-6-2015, n. 23. Nello specifico, è stata dichiarata incostituzionale la sanzione comminata agli enti pubblici ed ai soggetti privati che, avendo conferito un incarico professionale ad un dipendente pubblico, non comunichino nei termini di legge i compensi erogati nell’anno precedente.

[4] Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2020, n. 1869, Rv. 656704 - 01.