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Pubbl. Sab, 28 Nov 2020

Il controverso binomio tra la disciplina antiusura e gli interessi moratori

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Lucrezia Trulli



L´ordinanza interlocutoria in commento affronta la discussa tematica circa l´applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori. Alla base di un quadro giurisprudenziale tanto controverso l´intervento chiarificatore delle Sezioni Unite (ord. n. 26946/2019) sul punto è apparso imprescindibile.


ENG The intervention of the Supreme Court has been requested to answer to an issue that has been under discussion for years. In particular, the Court wonders if the usury law n. 108/1996 is applicable to interest resulting from the debtor´s delay.

Sommario: 1. La vicenda. - 2. L’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori. - 3. L’intervento chiarificatore della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. - 4. Conclusioni.

1. La vicenda

La prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 22 ottobre 2019, n. 26946, ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la rilevante questione circa l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori nonché le conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia.

La pronuncia in analisi origina da una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, proposta da una cliente di un istituto di credito, con il quale le veniva intimato il mancato pagamento di rate insolute, del capitale residuo e degli interessi moratori relativi ad un finanziamento concesso con contratto di credito al consumo stipulato il 23 aprile del 2002.

Le censure dedotte dall’attrice concernevano tra l’altro la nullità della clausola che prevedeva la misura degli interessi moratori per la violazione dell’art. 1815 c.c. sostenendo in particolare l’applicabilità della legge “anti-usura” n. 108 del 1996 anche agli stessi, relativamente ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore. 

Nel caso di specie, in ordine agl’interessi, la Corte ha confermato l’applicabilità della suddetta legge 7 marzo 1996, n. 108 ritenendola “riferibile sia agl’interessi corrispettivi che a quelli moratori ed escludendone l’operatività soltanto ai contratti stipulati in epoca anteriore alla sua entrata”. Invero, ha precisato, specificamente, che sebbene il contratto di finanziamento fosse stato sottoscritto in data anteriore all’emanazione del d.m. 25 marzo 2003[1] - che per la prima volta aveva provveduto alla rilevazione del tasso di mora - già il precedente d.l. 29 dicembre 2000 n. 394 aveva fatto riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti individuando il limite oltre il quale gli stessi avrebbero dovuto considerarsi usurari.

Tale limite era ravvisabile nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazione in cui il credito era compreso, aumentato della metà. 

Alla luce di tale criterio la Corte nella specie, ha rilevato che il tasso del 18% annuo, previsto dal contratto di mutuo, risultava superiore al tasso soglia e ne ha quindi affermato la nullità ex art. 1815, co. 2 cod. civ.[2]

La Corte territoriale, condividendo le censure sul punto sollevate dalla cliente dell’istituto di credito, ha accolto parzialmente l’opposizione, revocando così il decreto ingiuntivo.  

Avverso la sentenza d’appello predetta ha proposto ricorso per Cassazione la Santander (in qualità di avente causa della Banca Ifis per effetto della retrocessione del credito precedentemente ceduto) censurando in particolare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815 c.c.; 644 c.p.; art. 2 l. 7 marzo 1996, n. 108; art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394 convertito dalla l. 28 febbraio 2001, n. 24, e del d.m. 22 marzo 2002 nella parte in cui la Corte di merito estendeva l’applicabilità della normativa antiusura agli interessi moratori.

La ricorrente, con il suddetto motivo, mira a evidenziare la distinta funzione degli stessi – rispetto agli interessi corrispettivi - da ravvisarsi nel risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’adempimento. 

Gli interessi moratori hanno infatti un ruolo deterrente rispetto all’inadempimento del debitore e trovano la loro disciplina nell’art. 1224 c.c., che non è stato modificato dalla normativa antiusura; al contrario sia l’art. 1815 c.c., sia l’art. 644 c.p. hanno ad oggetto i soli interessi promessi in corrispettivo.  

Secondo la Santander la Corte di Appello, nel ritenere applicabile la disciplina antiusura, avrebbe omesso di rilevare che il contratto di finanziamento è stato stipulato nel 2002, dunque, in epoca anteriore all’emanazione del d.m. 25 marzo 2003 che per primo ha proceduto alla rilevazione del tasso medio degli interessi moratori; dal momento che la disciplina antiusura non ha efficacia retroattiva non si applicano agli interessi pattuiti in epoca precedente alla loro emanazione. 

2. L’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori

Tra le diverse questioni sollevate con i dieci motivi di impugnazione la Suprema Corte ha evidenziato l’esistenza di controversi orientamenti di legittimità tesi a ricondurre o meno gli interessi di mora alla diretta applicazione della disciplina antiusura. 

La tesi restrittiva ha risolto la suddetta problematica in senso negativo sulla base di svariati argomenti. Primo fra tutti certamente il tenore letterale delle norme: l’art. 1815, comma 2 c.c. infatti si riferisce ai soli interessi corrispettivi così come l’art. 644, comma 1 c.p. che incrimina chi si fa “dare o promettere” interessi usurari “in corrispettivo di una prestazione di denaro”.

Alla luce del tenore letterale delle summenzionate disposizioni ne discenderebbe una diversità di funzione e di causa tra interesse corrispettivo e interesse moratorio. 

L’interesse corrispettivo costituisce la remunerazione concordata per il godimento diretto di una somma di denaro erogata, mentre l’interesse di mora ,econdo quanto previsto art. 1224 c.c., ha la funzione di risarcire il danno derivante dal ritardo nell’inadempimento: è dunque legato alla sfera volontaria del debitore.

Alla luce di tale tesi la pattuizione di interessi moratori in misura superiore al tasso soglia non comporta la nullità della relativa clausola e l’esclusione dell’obbligo di corrispondere qualsiasi interesse, ma solo l’inefficacia della clausola, ai sensi degli art. 1469bis e 1469-quinquies c.c. o la possibilità di chiedere la restituzione, ai sensi dell’art. 1384 c.c. 

I fautori della tesi più estensiva oppongono una medesima funzione degli interessi, siano essi moratori o corrispettivi, entrambi infatti costituiscono la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente. 

Sottolineano, inoltre, l’interpretazione finalistica della normativa antiusura e l’eventuale paradosso cui si incorrerebbe nel caso si propendesse a favore dell’orientamento maggiormente restrittivo. 

La disciplina antiusura mira a mitigare il “rischio bancario” attraverso la tutela del contraente più debole; si tratta di una tecnica che pur restando nella logica negoziale, intende sanzionare eventuali regolamenti iniqui[3] e reprimere le condotte devianti rispetto alle dinamiche spontanee del merco dei capitali.

La nuova legge n. 108 del 1996 ha ridisegnato il reato di usura sanzionandolo con la nullità della clausola degli interessi c.d. “usurari” e la non debenza di alcun interesse ex art. 1815, co. 2, cod. civ. 

Rilevata la ratio della legge appare evidente che l’esclusione della disciplina antiusura agli interessi moratori condurrebbe al “paradosso del vantaggioso inadempimento” tale per cui il creditore gioverebbe maggiormente del mancato pagamento stesso piuttosto che dell’adempimento.  

L’applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratori, comportando, infatti, il totale azzeramento del debito degl’interessi potrebbe favorire, per converso, il debitore che adotti sulla scia di tale inapplicabilità comportamento opportunistici. 

A fronte di tali ambiguità rilevate dal suddetto orientamento è opportuno precisare che, con le istruzioni impartite sulla questione dalla Banca d’Italia nel 2001[4] e dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 25 marzo 2003, gli interessi moratori sono stati costantemente esclusi dalla base di calcolo nel procedere alla rilevazione del tasso effettivo globale medio (TEGM).

In realtà tale esclusione è risultata essere ragionevole poiché gli interessi moratori, avendo la loro fonte nella mora del debitore, costituiscono una voce di costo meramente eventuale. 

Con una nota di chiarimenti intervenuta il 3 luglio del 2013 la Banca d’Italia ha precisato che gli stessi sono esclusi dal calcolo del tasso effettivo globale in quanto non dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma soltanto a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente e comunque tali da determinare un innalzamento del tasso soglia – data la loro superiorità rispetto agli interessi corrispettivo – con un chiaro danno alla clientela. 

L’esclusione dunque degli interessi moratori dalla base di calcolo del tasso effettivo globale medio ha fatto sorgere il problema dell’individuazione del parametro di riferimento da adottare ai fini della valutazione del carattere usurario degli stessi. 

Non appare possibile infatti impiegare come termine di paragone il tasso medio rilevato ai soli fini conoscitivi dalla Banca poiché oltre a non essere vincolante, la sua rilevazione è rimasta per lungo tempo sospesa per poi essere ripresa solo negli ultimi anni. 

A tale questione è stata proposta una risoluzione sostenendo di doversi adottare un riscontro confrontando semplicemente il tasso degli interessi concordato dalle parti con il tasso soglia calcolato in riferimento al tipo di contratto stipulato, senza alcun tipo di maggiorazione. Così tuttavia vi è l’inconveniente di porre a confronti dati disomogenei. Il confronto degli interessi moratori con il tasso soglia calcolato sulla base dei tassi degli interessi dei corrispettivi favorisce ingiustificatamente il debitore[5].

Il tasso effettivo globale medio che costituisce la base per la determinazione del tasso soglia e il tasso effettivo globale applicabile al contratto concretamente stipulato tra le parti devono essere calcolati sulla base di dati omogenei tra loro. 

Il principio di simmetria su cui si fonda il sistema della L. 108/1996 impone che gli elementi ricompresi nel calcolo del T.E.G.  siano gli stessi da considerare anche ai fini di calcolo della individuazione del T.E.G.M. ovvero del “tasso soglia”. Si tratta di un criterio di affidabilità giuridica logica e scientifica pienamente accolto dalle Sezioni Unite[6].

La Terza Sezione Civile alla luce di tale principio di simmetria ha sollecitato un intervento delle Sezioni Unite volto a fare chiarezza, chiedendosi appunti se l’evidenziato principio di simmetria consenta o meno di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura - pur se non costituenti gli stessi oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio - e nel caso di risposta negativa, quale sia il parametro di riferimento.

3. L’intervento chiarificatore della Corte di Cassazione a Sezioni Unite

Con la recente sentenza n. 19597 del 2020 le Sezioni Unite sono intervenute tentando di risolvere tutte le questioni sollevate dall’Ordinanza interlocutoria in commento. 

A seguito di un ampio excursus storico e normativo volto ad analizzare le argomentazioni alla base delle posizioni più restrittive ed estensive in materia, la Corte è giunta ad affermare l’applicabilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratori.

La normativa antiusura intende infatti sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessi di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. 

Prosegue poi affermando che la mancata indicazione dell’interesse di mora nel Tasso Effettivo Globale Medio non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria perché “fuori mercato”. 

Al fine di fornire un più equo parametro di riferimento la Corte ha individuato la seguente formula “T.E.G.M. più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza del predetto decreto”.

Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.E.G.M., così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista. 

Nel caso in cui dall’adozione della suddetta formula emergano interessi moratori usurari è previsto quale rimedio sanzionatorio applicabile l’art. 1815, co. 2 c.c., onde non sono dovuti interessi moratori pattuiti, ma vige art 1224 cod. civ. con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti[7].

4. Conclusioni

In presenza di un quadro normativo e giurisprudenziale particolarmente controverso e frammentato, l’intervento della Corte a Sezioni Unite volto a fornire risposta alle sollecitazioni dell’ordinanza interlocutoria in commento è stato chiarificatore.

I principi di diritto espressi sul punto dalla Corte hanno avuto il merito di offrire soluzioni concretamente possibili da adottare in tutti i diversi casi, sempre nel rispetto della ratio della disciplina antiusura, ponendo al riparo il debitore ma anche lo stesso creditore da eventuali comportamenti opportunistici dell’altro contraente.

Il tutto alla luce di un superiore interesse pubblico all’ordinato e corretto svolgimento delle attività ecomiche.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’art. 3, comma 4 del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 marzo 2003 ha stabilito che l’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia ha rilevato che la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali. Sono quindi stati stabiliti i criteri per la determinazione del tasso effettivo globale medio relativo agli interessi moratori pari alla percentuale del TEGM stabilita per gli interessi corrispettivi nelle diverse operazioni, aumentata però del 2,1 per cento.

[2] Art. 1815, co. 2, cod. civ.: “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

[3] Cass. civ., S.U., sent. n. 19597 del 2020.

[5]  Ord. civ., sez. I, n. 26946, dep. 22/10/2019.

[6] Cass. civ., S.U., sent. n. 16303 del 2018.

[7] Cass. civ., S.U., sent. n. 19597 del 2020.