L´elemento soggettivo nella responsabilità amministrativa: indici rivelatori e onere probatorio nel dialogo fra le Corti
Modifica paginaIl lavoro, partendo dalla disamina della giurisprudenza della Corte di Giustizia e interna, si sofferma sull´evoluzione dell´istituto della responsabilità amministrativa della p.a. ex art. 2043 c.c., con particolare riguardo al caso di adozione di atto amministrativo illegittimo per contrarietà al diritto dell’Unione o nazionale. Viene evidenziata la progressiva “oggettivazione” dell´elemento psicologico, fondato su indici sintomatici di costruzione pretoria, in ragione dei quali il giudice accerta la rilevanza del dolo o colpa, fermo restando l’onere della prova contraria sulla p.a. L´A. si interroga sulla eventualità che la disciplina della responsabilità della p.a. sia ormai soggetta un regime peculiare, basato sulla esigenza di accordare la massima protezione all’interesse sostanziale
Sommario: 1. Premessa; 2. Il trend: verso un archetipo comune; 3. Gli orientamenti della Corte di Giustizia: la violazione grave e manifesta; 4. Le elaborazioni del giudice amministrativo interno: l’errore scusabile; 5. Dalla oggettivazione dell’elemento psicologico alla responsabilità oggettiva della p.a.; 6. Conclusioni.
1. Premessa
Gli orientamenti della Corte di Giustizia in tema di responsabilità per inadempienze dello Stato-Legislatore hanno influenzato da tempo le pronunce del giudice amministrativo interno. In merito, si rileva un processo di cross fertilization[1] fra le Corti, che ha determinato conseguenze rilevanti: la giurisprudenza amministrativa ormai sembra convergere verso un sistema nel quale l’adozione del provvedimento contrastante col diritto europeo produce effetti analoghi a quelli del provvedimento amministrativo adottato in violazione del diritto interno, con particolare riguardo al regime della responsabilità della p.a., alla presenza dell’elemento psicologico e al conseguente obbligo di risarcimento.
L’approdo della giurisprudenza è rilevabile dalla lettura delle più recenti pronunce del giudice interno: l’istituto della responsabilità della p.a. non risulta ingessato all’interno di categorie statiche. Piuttosto, come si vedrà oltre, il dolo o la colpa dell’amministrazione potranno fondarsi su meri indici presuntivi; oppure, perdere rilevanza, sino a sfociare in forme di responsabilità oggettiva della p.a. In tal guisa, l’elemento psicologico può comprimersi e confluire in una rilevanza indiretta, o giungere a una completa oggettivazione. Sicché, le indicazioni Corte di Giustizia, così come rielaborate dai giudici interni, hanno costruito un modello di responsabilità della p.a. a geometria variabile, cioè dipendente di volta in volta dalla diversa fattispecie concreta emersa in ambito processuale.
In questa osmosi tra ordinamenti emerge, quindi, un certo favor verso il ricorrente, con particolare riguardo all’onere probatorio su di questi gravante: l’orientamento maggioritario sembra infatti propendere per un sistema in cui, a fronte di una dimostrazione del dolo o colpa dell’amministrazione fondata su meri indici sintomatici, sussiste l’onere della prova contraria a carico di quest’ultima, la quale sarà tenuta a dimostrare la cd. scusabilità dell’errore e della condotta adottata.
Pertanto, l’influenza del giudice europeo da un lato è stata dirimente, come è noto, ai fini del superamento del dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi e dell’apertura verso un sistema processuale fondato sulla atipicità delle azioni esperibili dal portatore dell’interesse sostanziale correlato al bene della vita. Dall’altro, ha condizionato in maniera rilevante la giurisprudenza interna in merito alla prova dell’elemento soggettivo della responsabilità aquiliana della p.a., offrendo al privato uno strumento privilegiato volto ad assicurare una tutela piena ed effettiva alle diverse posizioni soggettive, così come riconosciute dalla evoluzione della giurisprudenza comunitaria e nazionale.
Si ripercorreranno, quindi, le tappe di questo percorso che, partendo dall’inquadramento della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario “grave e manifesta”, ha aperto la strada al riconoscimento della responsabilità della p.a. fondata sul cd. errore inescusabile, fino ad arrivare al riconoscimento di una vera e propria responsabilità oggettiva della medesima. Aperture che sembrano preludere a una nuova stagione, appena inaugurata ma certo non conclusa, nella quale viene riconosciuto un peculiare regime alla responsabilità extracontrattuale della p.a.
2. Il trend: verso un archetipo comune
È stata già indicata in premessa la tendenza a inquadrare i provvedimenti amministrativi anticomunitari analogamente ai provvedimenti contrastanti col diritto interno: tale evidenza appare confermata dalla constatazione di tre assunti, di seguito riportati.
In primis, la responsabilità risarcitoria dello Stato per eventuale contrasto tra atto interno e normativa UE è da attribuirsi al cd. Stato apparato. In altri termini, non vi è organo dello Stato che possa sottrarsi al giudizio relativo al potenziale conflitto tra atto interno e diritto UE, e non vi è provvedimento (sia esso normativo, amministrativo o giurisdizionale) che non possa essere travolto a seguito della dichiarazione di tale contrasto[2].
In secondo luogo, la responsabilità risarcitoria della p.a. per adozione di un atto anticomunitario tende ormai a basarsi sulle categorie proprie della patologia dell’atto amministrativo per contrasto col diritto interno. Difatti, come è noto, in caso di contrasto del provvedimento amministrativo rispetto al diritto UE immediatamente applicabile – cioè non mediato da atto interno, o mediato da atto normativo interno meramente regolativo del potere amministrativo – secondo la tesi ormai prevalente la categoria invocabile sarà quella della illegittimità del provvedimento per violazione di legge di cui all’art. 21-octies, l. 241/90, come tale impugnabile secondo gli ordinari termini decadenziali. Invece, in caso di contrasto con diritto UE immediatamente applicabile ma mediato, tuttavia, da atto normativo interno attributivo del potere amministrativo, la disapplicazione della norma interna anticomunitaria comporterà la declaratoria di nullità del provvedimento amministrativo per carenza assoluta di potere.
In terzo luogo, la tendenza appare altresì confermata dal fatto che anche l’elemento psicologico risulta ormai assoggettato a un regime comune, sia esso riferibile alla responsabilità della p.a. per violazione del diritto comunitario o per violazione del diritto interno.
In altri termini, in entrambi i casi la dimostrazione del dolo o della colpa della p.a. si fonda su meri indici presuntivi (cd. rilevanza indiretta). Sul punto gli ultimi orientamenti del g.a. sembrano aderire alla tesi per cui, a fronte delle doglianze del ricorrente, l’onere della prova contraria spetti alla p.a., la quale sarà tenuta a dimostrare la scusabilità dell’errore. Il g.a., in tal guisa, si conforma alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, e alleggerisce l’onere probatorio in capo a chi pretende il risarcimento per violazione del diritto, sia esso interno o di matrice comunitaria.
Il dialogo fra le Corti ha dato quindi luogo alla cd. oggettivazione dell’elemento psicologico nell’ambito della responsabilità della p.a. Tale fenomeno è da intendersi non nel senso che l’elemento soggettivo manchi o, se presente, risulti irrilevante, ferme restando le eccezioni di cui si dirà oltre; piuttosto, la componente psicologica potrà desumersi indirettamente, ovvero dall’accertamento della presenza di indici presuntivi valevoli iuris tantum. L’individuazione dei cd. indici sintomatici rivelatori del dolo o della colpa dello Stato inadempiente, inaugurata dalla Corte di Giustizia, è stata infatti progressivamente importata, rielaborata e arricchita dalla giurisprudenza interna in tema di responsabilità aquiliana della p.a. Emerge, pertanto, la progressiva costruzione pretoria di un modello comune, nel quale la violazione del diritto UE da parte dell’atto amministrativo si fonda sulle medesime categorie concettuali che determinano la responsabilità della p.a. per violazione del diritto interno.
Le considerazioni suesposte consentono di ritenere che appare ormai superata la tesi per cui il provvedimento amministrativo anticomunitario sarebbe sottoposto a un regime giuridico speciale rispetto all’atto amministrativo illegittimo per violazione del diritto interno. Il regime giuridico delle violazioni normative da parte dei pubblici poteri prescinde, pertanto, dal tipo di fonte dalla quale la norma violata è posta; e segnatamente se si tratta rispettivamente di fonte di diritto nazionale ovvero di fonte di diritto europeo[3].
A ciò si aggiunga la considerazione che, a ben riflettere, la costruzione di un modello di responsabilità amministrativa a carattere uniforme – sia essa derivante dalla violazione del diritto UE, sia esso derivante dalla violazione del diritto interno – appare soluzione auspicabile, se non l’unica via percorribile. Tale orientamento, infatti, appare pienamente conforme al principio di primazia del diritto comunitario; inoltre, essa rende concretamente operativa la funzione nomofilattica delle sentenze della Corte di Giustizia, le cui pronunce, come è noto, assumono lo stesso valore della norma interpretata[4], rivitalizzando il dialogo tra i giudici,
A sostegno di quanto sin qui descritto è possibile aggiungere, inoltre, ulteriori considerazioni. Ammettere un regime di responsabilità della p.a. “semplificato” dal punto di vista probatorio (in quanto fondato su indici presuntivi e sull’inversione dell’onere della prova a carico dell’amministrazione convenuta) in caso di provvedimento anticomunitario, ma escluderlo in caso di provvedimento in contrasto con il diritto interno, determinerebbe una sorta di favor alla rovescia per il diritto dell’Unione[5]. In altri termini, concepire un regime di responsabilità della p.a. a binario doppio significa rendere più semplice il ricorso avverso violazioni di norme di diritto europeo rispetto al caso di violazione di norme di diritto interno, consentendo una discriminazione alla rovescia che appare incompatibile con gli artt. 3, 24 e 117 Cost. Inoltre, tale scelta determinerebbe un regime di responsabilità della p.a. dipendente dal parametro normativo di riferimento rispetto al provvedimento amministrativo adottato, con ripercussione sul principio di certezza del diritto. Tale ultimo aspetto appare ancora più rilevante allorquando la violazione si manifesti rispetto al parametro comunitario e, contemporaneamente, rispetto a quello interno, con evidenti ripercussioni in tema di incertezza giuridica in ordine al regime di responsabilità applicabile.
Una volta stabilito che un provvedimento amministrativo debba ritenersi illegittimo allorquando sia contrastante con il parametro comunitario, analogamente alla fattispecie relativa al provvedimento contrastante con il diritto interno, ne discendono conseguenze precise. In particolare, sussiste l’esigenza di applicare, nell’una e nell’altra ipotesi, le medesime categorie concettuali previste per il riconoscimento della responsabilità dell’amministrazione ex art. 2043 c.c.., come si vedrà di seguito.
3. Gli orientamenti della Corte di Giustizia: la violazione grave e manifesta
La Corte di Giustizia, come è noto, inaugurò i capisaldi della responsabilità risarcitoria dello Stato con le decisioni Francovich e Brasserie du Pecheur/Factortame.
Innanzitutto, il principio che accomuna entrambe afferma che lo Stato, inteso in tutte le sue componenti (legislativa, amministrativa e giurisdizionale), è responsabile nei confronti dei singoli per le violazioni del diritto europeo poste in essere, poiché «…la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario non può variare in funzione della natura, nazionale o comunitaria, dell’organo che ha cagionato il danno».
In particolare, il caso Francovich[6] introdusse il principio della responsabilità dello Stato membro per i danni conseguenti dalla omessa o inadeguata trasposizione delle direttive (anche prive di efficacia diretta). Affinché sorga il diritto al risarcimento del danno in capo al singolo, tuttavia, la pronuncia stabilì la necessaria presenza di alcune condizioni rilevabili dal giudice del caso concreto, ossia che: a) il risultato prescritto dalla direttiva implichi l’attribuzione di diritti a favore dei singoli;
b) il contenuto di tali direttive possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva; c) si verifichi un nesso di causalità tra violazione dell’obbligo a carico dello stesso e il danno subìto dai soggetti lesi.
A ben riflettere, quindi, inizialmente la Corte di Giustizia non si soffermò sull’elemento psicologico dell’autore della violazione ai fini della individuazione degli obblighi di risarcimento, la cui presenza era implicita, ossia rinvenibile in re ipsa.
Dal canto loro, le sentenze Brasserie du Pecheur e Factortame LTD [7] svilupparono le conclusioni della precedente sentenza Francovich, ancorando la responsabilità dello Stato alla presenza di una «violazione manifesta e grave». In particolare, la Corte individuò i criteri in ragione dei quali una violazione da parte dello Stato potesse qualificarsi tale. A tal proposito, la Corte stabilì gli indici sintomatici che il giudice nazionale investito della richiesta risarcitoria dovesse accertare: a) il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, nel senso che quanto più la norma risulti ambigua, tanto più difficile sarà individuare una violazione “grave e manifesta”; b) l’ampiezza del potere discrezionale, nel senso che quanto maggiore è la discrezionalità di uno Stato in sede di esecuzione e/o di recepimento, tanto minore sarà la possibilità di ritenere “grave” la violazione di un obbligo comunitario; c) il carattere intenzionale o volontario della violazione commessa; d) è del pari considerato indiziante, infine, mantenere un comportamento violativo anche a seguito di un intervento chiarificatore della Corte in ordine alla norma comunitaria di riferimento così come dopo l’avvio di una procedura per infrazione.
Le categorie concettuali elaborate Corte in tema di violazione grave e manifesta, unitamente al principio del primato del diritto europeo, per cui tutti gli organi dello stato apparato sono responsabili delle eventuali violazioni comunitarie, sono state riutilizzate dal giudice interno ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico nell’ambito della responsabilità della p.a.
4. Le elaborazioni del giudice amministrativo interno: l’errore scusabile
In forza dei principi sanciti dalle decisioni riguardanti la responsabilità dello Stato-legislatore, i criteri elaborati per il riconoscimento di quest’ultima sono stati estesi allo Stato-amministrazione. In particolare, secondo il g.a. resta indenne lo schema tipico della responsabilità extracontrattuale o aquiliana, che richiede, ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni, la dimostrazione del danno, del nesso di causalità (componente oggettiva) nonché della presenza della colpa o del dolo (componente soggettiva). Proprio riguardo all’elemento psicologico il Consiglio di Stato[8] ha sottolineato la rilevanza del principio, costituzionalmente rilevante, della imputabilità soggettiva del fatto al suo autore, anche ai fini dell’effettività del giudizio di disvalore (in termini di riprovevolezza e di rimproverabilità) che l’ordinamento esprime verso determinate condotte.
Tuttavia, ferma restando la centralità dell’elemento soggettivo, il g.a. ha aperto la strada a una sorta di sua “oggettivazione”, recuperando la funzione rivelatoria e accertatrice degli indici elaborati dalla precedente giurisprudenza europea[9]. In tal guisa, la componente soggettiva della responsabilità della p.a. viene desunta in via indiretta, attraverso l’individuazione e l’accertamento, nel caso concreto, di indicatori oggettivi, ancorché presuntivi di una negligenza grave nell’agere amministrativo.
Proprio sugli indici rivelatori dell’elemento soggettivo, e sulle modalità di riparto dell’onere probatorio, si è registrato un considerevole numero di pronunce.
In quelle più risalenti il Consiglio di Stato[10] ha statuito che, al fine di ritenere sussistente la colpa della p.a., è necessario tenere conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità della violazione commessa dall’amministrazione, dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo agente, dei precedenti giurisprudenziali, dell’apporto dato dai privati durante il procedimento e della eventuale scusabilità dell’errore. La presenza di tali elementi denota, ancorché in via indiretta, la presenza della componente soggettiva, elemento indispensabile ai fini della individuazione della responsabilità e dei conseguenti obblighi risarcitori.
Nelle pronunce più recenti i giudici interni hanno confermato la necessità di verificare la presenza degli indici sintomatici. Nello specifico, secondo l’orientamento del g.a. il risarcimento del danno non può considerarsi, in ambito amministrativo, una conseguenza dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento illegittimo: occorre, invece, la dimostrazione del fatto, del nesso di casualità, dell’elemento psicologico.
In particolare, l’illegittimità del provvedimento lesivo non si traduce nella automatica dimostrazione di una condotta colposa della p.a.: l’illegittimità costituisce piuttosto un indizio (grave, preciso e concordante) idoneo a fondare una presunzione (semplice) di colpa ai sensi degli artt. 2727 e 2729, comma 1, c.c. Conseguentemente, il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni relativi a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato[11].
In tal guisa, il criterio della certezza del quadro normativo di riferimento, che a sua volta determina un minor grado di discrezionalità in capo all’amministrazione, può fungere da bussola di orientamento per il giudice. Per la configurabilità della colpa dell’amministrazione è infatti necessario valutare la regola di azione violata; qualora la stessa risulti chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se sussiste un alto grado di discrezionalità dell’amministrazione, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità[12].
Specularmente, la responsabilità dell’amministrazione agente deve essere negata nel caso in cui l’indagine porti al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto o di diritto, determinatasi anche a seguito di pronunce intervenute sulla vicenda contenziosa[13].
A tal proposito, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, si deve verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi; segue da ciò che in sede di accertamento della responsabilità della p.a. per danno a privati conseguenti ad atto illegittimo da essa adottato, il g.a. può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento[14].
Alla luce delle pronunce esaminate può dunque ritenersi che il dialogo fra le Corti abbia dato vita a una importazione rivisitata delle medesime categorie concettuali: sicché, gli indici sintomatici della violazione grave e manifesta (del Legislatore rispetto al diritto europeo) sono stati traslati in quelli significativi della scusabilità dell’errore (dell’amministrazione che ha adottato l’atto illegittimo per contrasto col diritto interno). Come è stato sottolineato, «…la posizione prevalente della giurisprudenza del giudice amministrativo può così sintetizzarsi: l’illegittimità dell’atto amministrativo (...) fa presumere (iuris tantum) la presenza dell’elemento soggettivo che l’amministrazione può vincere dimostrando l’errore scusabile». Pertanto - «…può dirsi che l’elemento soggettivo è relativamente oggettivato, sulla falsa riga dell’ordinamento comunitario che richiede la illegittimità "grave e manifesta" per affermare la responsabilità[15]».
Secondo il Consiglio di Stato[16] appare «…del tutto legittimo, all’interno dei singoli Stati membri, prevedere un sistema della responsabilità dei pubblici poteri (e di quello amministrativo in particolare) fondato sul principio dell’elemento soggettivo (dolo o colpa, in questo caso la colpa dell’apparato amministrativo)» quale nesso strutturale che consente di “legare” il fatto al suo autore sotto il profilo causale, secondo i criteri generali della responsabilità aquiliana ex art. 2043 applicati all’azione amministrativa.
Pertanto, nei campi di attività diversi dagli appalti pubblici rimane necessario, ai fini del risarcimento, il carattere colpevole della violazione, in ottemperanza al disposto dell’art. 2043 del Codice civile. Né tale diverso assetto viola i principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Tale diversità risponde all’interesse costituzionalmente garantito della valorizzazione dell’imputabilità soggettiva del fatto al suo autore.
Gli orientamenti del giudice interno hanno avuto quindi rilevanti ripercussioni in tema di onere probatorio, su cui denota un andamento più ondivago.
Secondo un certo orientamento spetta al ricorrente l’onere della prova anche in relazione all’elemento psicologico. Grava pertanto su colui che propone la domanda di risarcimento dei danni subiti dal comportamento di una amministrazione l’onere di provare la sussistenza dell’elemento oggettivo, nonché di quello soggettivo[17]. È quindi necessario che il danneggiato alleghi e provi non solo la lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, ma anche la sussistenza di un danno ingiusto, il nesso causale tra condotta ed evento, nonché la colpa o il dolo della pubblica amministrazione[18].
Appare chiaro che una impostazione troppo radicale, cioè che addossi sul ricorrente la dimostrazione dell’elemento soggettivo a prescindere dall’utilizzo degli indici sintomatici, finisca con il limitare le esigenze di effettività di tutela, atteso che risulterebbe ardua una prova tesa a dimostrare il dolo o la colpa dell’amministrazione agente, id est del funzionario o dell’organo collegiale che abbiano adottato l’atto.
Appare invece maggiormente condivisibile una impostazione che, fermo restando l’onere probatorio degli elementi di cui all’art. 2043, fondi la dimostrazione della componente psicologica su presunzioni superabili dalla p.a., gravandola dell’onere della prova contraria. Secondo la maggior parte della giurisprudenza l’onere della prova relativo all’assenza di dolo o colpa grava sull’amministrazione convenuta. Il ricorrente ha quindi l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento dell’amministrazione e, inoltre, il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno conseguente[19]. Tuttavia, il privato che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno derivante da un provvedimento amministrativo considerato illegittimo può limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, mentre l’Amministrazione ha l’onere di dimostrare di aver commesso un errore scusabile[20]. Spetta quindi all’Amministrazione dimostrare di non aver avuto colpa nell’adottare un atto illegittimo[21], provando la scusabilità dell’errore per la presenza, ad esempio, di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma (o di improvvisi revirement da parte delle Corti supreme), di oscurità oggettiva del quadro normativo (anche a causa della formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore), di rilevante complessità del fatto, dell’influenza determinante dei comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivate da successiva declaratoria di incostituzionalità della norma applicata dall’Amministrazione[22].
In sintesi, l’approdo della giurisprudenza amministrativa è nel senso che non possa considerarsi accoglibile sic e simpliciter la seguente equazione: illegittimità dell’atto quale sinonimo di colpa della p.a. agente. L’errore, invece, può ritenersi dal giudice scusabile quando la p.a., a fronte di una scelta valutativo-discrezionale ha optato per una soluzione che si è rivelata contraria al diritto (comunitario o interno), mentre al momento della decisione sussisteva una obiettiva situazione di incertezza (normativa, interpretativa), un apporto fattuale di altri soggetti, e/o un alto tasso di discrezionalità dell’amministrazione agente.
5. Dalla oggettivazione dell’elemento psicologico alla responsabilità oggettiva della p.a.
È stato sin qui sottolineato come l’elemento soggettivo della responsabilità della p.a., pur restando il cardine per l’imputazione dell’evento dannoso, è stato progressivamente “oggettivato”: sicché esso viene presuntivamente ricavato dalla presenza di indici rivelatori, mentre l’onere della prova contraria, secondo l’indirizzo prevalente, deve attribuirsi all’amministrazione resistente.
Il regime comporta una evidente semplificazione dell’onere probatorio in capo al ricorrente, ma al contempo configura un inquadramento della responsabilità dipendente da fattori esterni, quali il grado di incertezza normativa o l’intensità della discrezionalità richiesta nel caso specifico.
La configurazione a geometria variabile dell’elemento soggettivo[23] ha trovato una conferma nella impostazione più radicale assunta in materia di appalti pubblici. Come è noto, coerentemente con l’impostazione assunta dalla Corte di Giustizia[24], la responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la responsabilità, in questa fattispecie, si fonda su di un modello di tipo oggettivo, disancorato dall’elemento soggettivo, coerente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio. In tal guisa, è stato affermato il principio in forza del quale è incompatibile con il diritto europeo qualsiasi disciplina nazionale che subordini in materia di appalti pubblici la responsabilità dello Stato alla prova che gli atti illegittimi a questo imputabili siano stati posti in essere con dolo o con colpa.
L’oggettivazione dell’elemento soggettivo trova una ulteriore conferma nel c.p.a.: ai sensi dell’art. 112, comma 3, l’impossibilità o la mancata esecuzione in forma specifica del giudicato presuppone una responsabilità oggettiva della p.a.
Come è noto, in base all’art. 1218 c.c. il debitore si libera dall’obbligazione se prova che l’inadempimento è stato determinato da un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; l’art. 112, comma 3, c.p.a., al contrario, prevede una responsabilità della p.a. nel caso analogo in cui l’esecuzione del giudicato sia divenuta impossibile per un fattore esterno. Esso dispone che l’impossibilità non estingue l’obbligazione (ossia il bene della vita cui aspira il privato), ma la converte ex lege in un’obbligazione di tipo risarcitorio che si fonda su di una di responsabilità oggettiva, non essendo ammessa alcuna prova liberatoria fondata sull’assenza del dolo e della colpa.
Sebbene la responsabilità oggettiva della P.A, sia relegata a casi specifici, mentre l’impostazione generale vuole che l’elemento psicologico venga ancorato ai noti indici presuntivi, devono nondimeno ravvisarsi fattispecie nelle quali l’accertamento del dolo o della colpa appare così evidente da essere desumibile in re ipsa.
Si pensi ad esempio, all’adozione di un provvedimento amministrativo contrastante con un principio consolidato stabilito dalla Corte di giustizia o dalla Corte costituzionale. Al caso di una p.a. che, a fronte di fattispecie del tutto analoghe, assuma determinazioni opposte. O il caso di una p.a. che non abbia rispettato un obbligo di non facere. Si può intravedere, in altri termini, una rilevante casistica nella quale la dimostrazione dell’elemento psicologico, ai fini del riconoscimento della responsabilità, non richiede uno sforzo probatorio, mentre la componente valutativa del giudice assume, per lo più, la natura di accertamento mero.
6. Conclusioni
Il danno derivante dall’illecito provvedimentale della p.a. si basa sulle categorie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 e quindi, come tale, si fonda fra l’altro, sulla dimostrazione dell’elemento soggettivo (dolo o colpa)[25]; conseguentemente, per accedere alla tutela risarcitoria è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali[26].
D’altro canto, è stato rilevato come la giurisprudenza abbia progressivamente basato la presenza del dolo e della colpa su meri indici presuntivi; mentre in materia di appalti, e di aggiudicazione illegittima in particolare, le direttive europee hanno imposto un modello oggettivo di responsabilità della p.a. per danno, senza necessaria dimostrazione dell’elemento soggettivo della colpa; l’impostazione, accolta internamente, ha aperto la strada al riconoscimento di una responsabilità oggettiva della p.a., ravvisabile, d’altronde, anche in caso di impossibilità di esecuzione del giudicato.
Si tratta di meccanismi in grado di semplificare al privato il raggiungimento del bene della vita sotteso all’interesse per cui agisce, nella misura in cui alleggeriscono in capo a questi l’onere probatorio, e agevolano il percorso processuale intrapreso per il riconoscimento della propria pretesa.
Può dunque concludersi che, alla luce del prevalente orientamento della giurisprudenza interna, la responsabilità della p.a. per atto illegittimo (in quanto contrastante con diritto europeo o interno) continui a fondarsi sulle categorie concettuali poste dall’art. 2043 c.c., ma che la dimostrazione dell’elemento psicologico non rilevi, o rilevi soltanto in via indiretta, in quanto ancorata a parametri esterni e oggettivi che spetta al giudice accertare caso per caso.
Una responsabilità per atto illegittimo, in quanto adottato in violazione del diritto europeo o interno, ma nel quale la componente soggettiva assume dimensione proteiforme, accertabile dal giudice caso per caso, sino a oggettivarsi del tutto.
Il tempo dirà allora se l’influenza europea sull’istituto della responsabilità aquiliana della p.a. abbia inciso soltanto su di un aspetto, quello relativo alle modalità di rilevazione dell’elemento psicologico. Oppure se, al contrario, questa abbia esercitato una capacità dirompente tale da inaugurare un regime speciale della responsabilità extracontrattuale della p.a., rielaborata dai giudici interni in funzione della massima protezione da accordare all’interesse sostanziale facente capo alla parte lesa.
- A. Pajno, Il giudice amministrativo italiano come giudice europeo, in Diritto Processuale Amministrativo, 2, 2018, 585; dello stesso A., Diritto europeo e trasformazioni del diritto amministrativo. Alcune provvisorie osservazioni, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2, 2017, 466.
- CGCE, Factortame, 19 giugno 1990, causa C 213/89.
- V. Cerulli Irelli, Violazioni del diritto europeo e rimedi nazionali, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 3, 2014, 657.
- Consiglio di Stato, Ad. Plen., 22/12/2017, n. 13 e Ad. Plen., 03/11/2019, n. 2.
- CGCE, 7 giugno 2007, C-222/05, C-225/05, Van der Weerd, in www.curia.europa.eu; CGCE, C-430/93 e C- 431/93, cit.; CGCE, C-312/93, cit.. V. anche CGCE, 12 febbraio 2008 C-2/06, Kempter.
- CGCE 19 novembre 1991, Francovich, C-6 e 9/90.
- CGCE 6 marzo 1996, Brasserie du pécheur - Factortame, C-46/93 e C-48/93.
- Consiglio di Stato, n. 2429/2019.
- In tema, si v., fra i tanti, D. Sorace, La responsabilità risarcitoria delle pubbliche amministrazioni per lesione di interessi legittimi dopo 10 anni, in Dir. amm., 2009, 2; E. Scotti, Appunti per una lettura della responsabilità dell’amministrazione tra realtà e uguaglianza, in Dir. amm., 2009, 3, 521; G. D. Comporti, La responsabilità della pubblica amministrazione tra colpa e danni: la difficile ricerca di un filtro, in Dir. pubbl., 2, 2013, 521; O. Ciliberti, L’elemento soggettivo nella responsabilità civile della pubblica amministrazione conseguente a provvedimenti illegittimi, in E. Follieri (a cura di), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Milano, 2004, 251; F. Fracchia, L’elemento soggettivo nella responsabilità dell’amministrazione, in Atti del Convegno di Varenna, 2008, Milano, 2009, 211; S. Valaguzza, Percorsi verso una “responsabilità oggettiva” della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1, 2009, 49; C. Feliziani, L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa. Giurisprudenza europea e nazionale a confronto, in M. Andreis - R. Morzenti Pellegrini (a cura di), Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa, Atti del Convegno preliminare AIPDA (Università degli Studi di Bergamo, 7 giugno 2016), Torino, 2016, 169 ss..; Id., L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa. Dialogo a-sincrono tra Corte di giustizia e giudici nazionali, in Federalismi, 6, 2018.
- Consiglio di Stato, sez. IV, 14/06/2001, n. 3169, in Urb. app., n. 7, 2001, 757-765.
- Consiglio di Stato sez. VI, 04/09/2015, n. 4115; Consiglio di Stato sez. III, 20/04/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 20/04/2020), n.2528).
- Consiglio di Stato, sez. III, 11/09/2019, n.6138.
- Consiglio di Stato, sez. III, 26/02/2020, n.1419.
- T.A.R. Trieste, sez. I, 06/04/2020, n. 115; Consiglio di Stato, sez. IV, 04/02/2020, n.909.
- E. Follieri, L'elemento soggettivo nella responsabilità della p.a. per lesione di interessi legittimi, in Urb. e app., 6, 2012, 689.
- Consiglio di Stato, sez. IV, 15/04/2019, n. 2429.
- Consiglio di Stato, sez. III, 12/11/2018, n. 6345.
- Ancora, da ultimo, T.A.R., Roma, sez. I, 16/03/2020, n. 3272. In senso analogo, T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia) sez. I, 06/04/2020, n.115, secondo il quale «Anche il processo amministrativo, infatti, è regolato dal principio dell'onere della prova, contenuto nell'art. 2697 c.c., in base al quale chi vuole far valere in giudizio un diritto deve indicare e provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, come chiaramente disposto dall'art. 64 c.p.a. Grava, conseguentemente, sul danneggiato il preciso onere di allegare e provare i citati elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito, dato che, in presenza di fattispecie di danno risarcibile, la condanna all'effettivo risarcimento non è conseguenza automatica dell'illegittimità dell'atto».
- Consiglio di Stato, sez. III, 14/06/2018, n. 3684.
- Consiglio di Stato, sez. VI, 19/03/2019, n. 1815.
- Consiglio di Stato, sez. IV, 27/08/2019, n.5907.
- T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 06/06/2019, n.1288.
- V. Bontempi, Illecito costituzionale e responsabilità dello Stato: verso un regime oggettivo?, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 4, 2017, 1083.
- CGCE, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica portoghese del 2004 e con la successiva sentenza Stadt Graz c. Strabag AG e altri del 2010.
- Il danno per mancata, tardiva o idonea trasposizione delle direttive da parte del legislatore viene ricondotto a una responsabilità contrattuale: si v., da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 13/05/2020, n. 8889Il danno per lesione del legittimo affidamento del privato nei confronti della P.A. viene ricondotto nell’abito del contatto sociale qualificato: Cassazione civile, sez. un., 28/04/2020, n. 8236.
- Ex multis, Consiglio di Stato, A.P. 19.4.2013, n. 7; sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441; sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974; sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957; sez. III, 30 maggio 2012, n. 3245; sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291.