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Pubbl. Gio, 27 Ago 2015

Il concordato preventivo: controllo sulla fattibilità del piano, affitto e continuità aziendale

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Ludovica Di Masi


Un rapido sguardo nel mondo del concordato preventivo, procedendo dal controllo del giudice in fase di ammissione al concordato, con commento alla sentenza n. 1521 del 2013 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, fino al tema del concordato con continuità aziendale in relazione all’affitto d’azienda.


1. Introduzione

Il concordato preventivo è un mezzo posto a disposizione del debitore in stato di crisi o di insolvenza per evitare le più gravose conseguenze della procedura fallimentare. Il concordato si sostanzia in un accordo fra debitore e creditori circa le modalità con le quali dovranno essere estinte tutte le obbligazioni.

La procedura di concordato inizia con la domanda di ammissione e si svolge in tre fasi:

  • ammissione al concordato;
  • approvazione della proposta da parte dei creditori;
  • omologazione.

2. Controllo del giudice sulla fattibilità del concordato preventivo

La disciplina relativa alla prima fase (ammissione al concordato) è stata oggetto di modifiche (L. 80/2005 e D.lgs 169/2007). 

Nella disciplina precedente alle modifiche era previsto che il tribunale, dopo aver ricevuto la domanda, procedesse alla valutazione della sua ammissibilità. Nell'ipotesi in cui fossero stati riscontrati i requisiti di regolarità della documentazione, la domanda sarebbe stata accolta con la contestuale dichiarazione di apertura del concordato. Il punto è che, prima delle modifiche legislative, il tribunale andava ad esaminare la proposta nel merito, compiendo un giudizio sulla convenienza della proposta stessa. Dopo le novità legislative il tribunale non avrebbe dovuto più compiere un giudizio nel merito bensì un mero controllo formale sui documenti, un controllo di legalità, cioè verificare la conformità della domanda alle norme di legge .

Il problema è che il Tribunale, forse per forma mentis, ha continuato a giudicare la proposta nel merito, così si è creato, come conseguenza, un contrasto giurisprudenziale (1) culminato nella sentenza n.1521 del 23 gennaio 2013 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. A prima lettura la sentenza sembra essere un cappello magico che risolve tutti i dubbi sul tipo di controllo che il Tribunale debba svolgere in sede di ammissione al concordato, ma in realtà restano ancora molti i casi di difficile regolamentazione.

La sentenza ha espresso il seguente principio di diritto: "il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo eslcuso dall'attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti;il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato; quest'ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro".

Andiamo per gradi.

Prima di tutto la sentenza definisce il concetto di  fattibilità del concordato, come la previsione circa la probabilità che il piano possa o meno essere realizzato.

La sentenza distingue poi il controllo sulla fattibilità giuridica dal controllo sulla fattibilità economica. La prima spetterebbe al tribunale e consisterebbe in un controllo sull'esistenza o meno di violazioni di norme; la fattibilità economica invece consisterebbe nella concreta possibilità di realizzazione del piano. Rispetto al dettato della riforma, la Suprema Corte ha ampliato i poteri del tribunale, perchè il tribunale, afferma la Corte, non si deve limitare solo a verificare che "le carte siano a posto"  ma occorre verificare anche se l'utilizzazione che s'intende fare dello strumento concordatario sia corretta, cioè compatibile con la funzione del concordato preventivo.

Dunque, al tribunale spetta un giudizio sulla fattibilità giuridica del concordato e non sulla fattibilità economica che invece spetta ai creditori, ma i poteri del tribunale vanno oltre la fattibilità giuridica e rientrano nella fattibilità economica quando risulta chiaro ed evidente che il piano non possa realizzare la causa concreta del concordato. 

La causa concreta del concordato va ad indentificarsi, da un lato nel superamento della crisi, dall'altro nel soddisfacimento, sia pur minimale, del diritto dei creditori in tempi ragionevolmente contenuti.

Il controllo del tribunale è, dunque, controllo sulla causa contrattuale, che dovrà svolgersi sia nella fase di ammissione, sia in quella di omologazione e di eventuale revoca ex art. 173 l.f. (2). 

3. Affitto d'azienda nel concordato preventivo con continuità aziendale

Il concordato preventivo con continuità aziendale ha lo scopo di soddisfare i creditori tramite la continuazione dell'attività d'impresa. Nell'ambito del concordato preventivo è possibile utilizzare lo strumento "affitto d'azienda",  però bisogna fare delle distinzioni.

In caso di affitto di azienda successivo alla domanda, il concordato sarà da qualificarsi come "con continuità"; in caso di affitto di azienda anteriore alla domanda, il concordato non può essere qualificato "con continuità" ai sensi dell'art. 186-bis perchè in questo caso l'affitto è stato posto in essere prima della procedura e al di fuori di essa (secondo le regole del codice civile).

Dunque, il fatto di aver stipulato un contratto di affitto in sè non ci consente di dire che siamo nell'ambito del concordato con continità aziendale, perchè non c'è la cessione in quanto, alla scadenza del contratto d'affitto, l'azienda ritornerà nel patrimonio del debitore.

La giurisprudenza ha aggiunto che se il contratto d'affitto è a canoni bloccati sussiste una mera liquidazione dell'azienda, considerato che, invece, l'oggetto materiale del concordato con continuità è la continuità dell'azienda e la causa è data dal fatto che, in conseguenza del funzionamento dell'azienda, l'imprenditore dovrebbe avere i proventi tali da soddisfare i creditori, i quali dovrebbero sopportare il rischio d'impresa.

Dunque, la struttura del concordato con continuità è fatta in modo tale da prevedere una continuazione dell'azienda anche come rischio per i creditori, tant'è vero che bisogna indicare i presumibili costi e ricavi che derivano dall'azienda in funzione.

Ma dobbiamo domandarci se il concordato che prevede l'affitto e successiva vendita dell'azienda, rientri nell'ambito di un concordato con continuità aziendale. E' il caso in cui con l'omologa l'affittuatario avrà l'obbligo di acquistare l'azienda: cioè, prima di entrare in concordato si affitti l'azienda e si condizioni sospensivamente il contratto all'omologa del concordato (o risolutivamente alla mancata omologa del concordato); diventa una sorta di vendita ad efficacia differita nel tempo con pagamento di acconto. Sul punto  il Tribunale di Avezzano (22 ottobre 2014) ha affermato che non è sufficiente il mero affitto d'azienda a far configurare il concordato con continuità, ma è necessaria comunque una prospettazione di vendita.Secondo un'altra tesi, avanzata dal Tribunale di Busto Arsizio (1 ottobre 2014), ciò che rileva non è tanto la prospettazione in sè di vendita, quanto il fatto che nel concordato si preveda o meno un rischio d'impresa, cioè il rischio non deve essere sopportato solo dal terzo.

L'unico tema che i tribunali non affrontano è il caso in cui il canone non sia fisso. Cioè, è configurabile un concordato in continuità aziendale se si prevede un contratto d'affitto con un canone che varia in ragione dell'andamento dell'azienda, come una sorta di cointeressenza?

Il tema resta irrisolto ma sembrerebbe possibile parlare di concordato con continuità considerato che vi è comunque un rischio sul debitore e sui creditori. (3)

 

Note e riferimenti bibliografici

(1) vedi sentenza della Corte di Cassazione n.13817 del 23 giugno 2011; sentenza della Corte di Cassazione n. 18864 del 15 settembre 2011.

(2) Tribunale di Pesaro 13 novembre 2014:" Non è omologabile il progetto concordatario allorchè la percentuale promessa risulta evidentemente irrisoria e quindi non idonea a soddisfare le finalità della procedura concordataria)

(3) tra le fonti di questo articolo è mio dovere annoverare le lezioni del Corso di Diritto Fallimentare (tenute dal prof. Giovanni Capo) e i relativi Seminari di studio (tenuti dal prof. Clemente Pecoraro) dell'anno 2014/2015 dell'Università degli Studi di Salerno.

In copertina "Disperazione e fallimento", matita, di Ludovica Di Masi.