Procreazione post mortem e stato giuridico del nato
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Chiara Imbalzano
Il presente contributo analizza la sentenza n. 13000 del 15 Maggio 2019, con cui la Corte di Cassazione attribuisce anche al nato postumo lo stato di figlio del genitore premorto. Dalla pronuncia si sviluppa l´analisi delle ricadute civilistiche e bioetiche della PMA post mortem, che conduce a ritenere tale pratica incompatibile con i valori fondanti l´ordinamento giuridico.
Sommario : 1. Premessa : la vicenda processuale. 2. La procreazione c.d. post mortem: dal vulnus normativo alla L. 40 del 19 febbraio 2004; 3. Lo stato giuridico del nato. 4. La sent. n. 13000/2019 della Corte di Cassazione. - 5. Reazioni giurisprudenziali... - 5.1 ...e ricadute civilistiche della procreazione post mortem. 6. Procreazione: diritto, interesse o mera aspirazione? 7. Osservazioni conclusive.
1. Premessa: la vicenda processuale
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di procreazione medicalmente assistita c.d. post mortem e in particolare sulla legittimità del rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile di apporre il cognome paterno all’atto di nascita di una minore nata da fecondazione avvenuta a distanza di un anno dalla morte dell’ascendente.
La vicenda processuale trae origine da un vissuto familiare doloroso in cui l’aspirazione genitoriale di due coniugi si è scontrata con la morte di uno dei due a seguito di una patologia neoplastica. I genitori della minore avevano contratto matrimonio in Italia nel 2005, e appresa la patologia da cui era affetto il marito hanno deciso di rivolgersi ad un centro medico specializzato situato in Spagna ove hanno prestato il consenso a tecniche di fecondazione assistita, anche post mortem; si tratta di una pratica medica che in Italia è espressamente vietata dal combinato disposto degli artt. 5 e 12 della L. 40 del 19 Febbraio 2004. Il coniuge è venuto mancare nel 2015, e nel 2016 la moglie si è rivolta alla struttura medica spagnola per procedere alla fecondazione, andata a buon fine e dalla quale è nata la minore. La madre, al momento della formazione dell’atto di nascita, ha esibito all’ Ufficiale di Stato Civile la documentazione comprovante la paternità biologica in capo al coniuge defunto, nonché il consenso di quest’ultimo alla crioconservazione del proprio seme finalizzata ad una fecondazione anche post mortem; tuttavia, l’Ufficiale di Stato Civile ha opposto il rifiuto all’attribuzione del cognome paterno per contrarietà all’ordinamento giuridico vigente, stante l’inapplicabilità della presunzione di paternità prevista dall’art. 231 c.c., in quanto la nascita della minore era avvenuta ben oltre 300 giorni dopo lo scioglimento del matrimonio per causa di morte.
La madre, in proprio e nell’interesse della figlia ha proposto ricorso ex art. 95 del d.P.R 396/2000, volto ad ottenere la rettificazione dell’atto di nascita con l’indicazione della paternità della minore e la conseguente attribuzione del patronimico.
Il Tribunale[1] con decreto ha rigettato il ricorso affermando la legittimità dell’operato dell’Ufficiale di Stato civile, il quale è privo di poteri di accertamento della veridicità sia delle dichiarazioni che della documentazione esibita quale prova dell’effettiva paternità biologica della minore.
Il giudice di primo grado, preliminarmente ha chiarito la natura giuridica dell’atto di nascita quale “ titolo di stato[2]” ossia atto da cui risulta formalmente lo status di figlio, e rispetto al quale non esplica funzione costitutiva ma meramente pubblicitaria, nel senso di far risultare all’esterno il fatto costitutivo “nascita” rendendolo opponibile con effetti erga omnes.
L’art. 232 c.c. prevede una apposita preclusione di ordine temporale, fissando il limite di operatività della presunzione di concepimento a 300 giorni dallo scioglimento del vincolo matrimoniale. L’Ufficiale di stato civile ha formato l’atto di nascita sulla base delle dichiarazioni della parte non potendo esercitare alcun accertamento in merito alla rilevanza probatoria della documentazione relativa alla procreazione medicalmente assistita prodotta dalla ricorrente, valutazione riservata all’Autorità giudiziaria.
Se è vero che gli artt. 234e 241 c.c. ammettono la prova della filiazione con ogni mezzo, ciò è possibile solo nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto un’azione di stato volta ad accertare la paternità della minore. Tuttavia, si tratta di norme non applicabili al caso di specie per il sol fatto che la prova cui si riferiscono attiene alla circostanza che il figlio sia stato concepito in costanza di matrimonio, benché oltre il termine previsto dall’art. 232 c.c.; si tratta della gravidanza di eccezionale durata che non è assimilabile all’ipotesi in esame[3]. Peraltro, va evidenziato che la paternità del defunto non potrebbe essere giudizialmente accertata, dal momento che l’art. 269, co. 1, c.c. prevede che ciò sia possibile solo nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. E nel caso di specie il riconoscimento non è ammesso, non potendo applicarsi l’art. 232 c.c.[4].
Il giudice di prime cure non ha ravvisato alcuna violazione dei diritti della minore, garantiti in ogni caso dalla formazione dell’atto di nascita, benché privo dell’indicazione della paternità in capo al defunto genitore biologico.
Allo stesso modo non è stata ravvisata l’applicabilità al caso di specie dell’ art. 8[5]L. 40/2004 , ritenendo il Collegio che“la lettura evolutiva (… rectius sostanzialmente abrogativa) delle norme codicistiche proposta dalla ricorrente, confligge con la ratio stessa della Legge n. 40/2004 che, non solo non prende in considerazione l’ipotesi della procreazione medicalmente assistita post mortem, ma addirittura la vieta”.
La prefata decisione è stata oggetto di impugnazione innanzi alla Corte d’Appello[6] territorialmente competente, la quale ha respinto il reclamo, sostanzialmente confermando quanto statuito dai giudici di primo grado. In sede di reclamo, la ricorrente ha sollevato altresì questione di legittimità costituzionale[7] degli artt. 232 c.c., 5 e 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40.
La Corte d’Appello, dopo aver ribadito la fondatezza del decreto camerale impugnato, dichiara irrilevante e manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle norme censurate dalla reclamante in considerazione del fatto che la mancata previsione nell’ordinamento giuridico vigente, della fecondazione assistita post mortem, dalla quale traggono origine i diversi profili di illegittimità costituzionale dedotti, è ricollegabile ad una scelta del legislatore che appare giustificata dalla esigenza di garantire al nascituro il diritto al benessere psicofisico mediante il suo inserimento e la sua permanenza in un nucleo familiare ove siano presenti entrambe le figure genitoriali.
Tale pronuncia è stata oggetto di ulteriore gravame in sede di legittimità; con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso stabilendo il principio di diritto per cui : “In materia di procreazione medicalmente assistita, ai fini della determinazione dello status filiationis, l'art. 8 della legge n. 40 del 2004 è riferibile anche al nato da fecondazione omologa post mortem, mediante l'utilizzo del seme crioconservato del padre che, dopo aver prestato il consenso all'accesso alle tecniche di p.m.a., congiuntamente a quello della moglie, successivamente non lo revochi ed a ciò acconsenta per dopo la propria morte; ciò anche quando la nascita avvenga oltre i trecento giorni dalla causa di scioglimento del matrimonio”[8].
2. La Procreazione c.d. post mortem: dal vulnus normativo alla L. 40 del 19 Febbraio 2004
Necessario punto di partenza per l’analisi della pronuncia in epigrafe è la ricostruzione normativa e giurisprudenziale della procreazione medicalmente assistita c.d. post mortem, in termini di liceità e dunque di idoneità della stessa a produrre gli effetti giuridici oggetto del ricorso proposto dalla madre della minore. Preliminarmente è utile distinguere l’atto procreativo dal punto di vista puramente naturalistico e successivamente giuridico.
Nella prima accezione, la procreazione può essere definita come il passaggio necessario e indefettibile per la perpetuazione della specie; dal punto di vista giuridico esso è prodromico all’evento nascita quale fatto costitutivo del rapporto di filiazione in cui emergono ed eventualmente si contrappongono gli interessi dei genitori e quelli della prole. In passato la procreazione poteva avvenire solo attraverso copula carnale, ma l’evoluzione della scienza medica oggi consente l’accesso a pratiche di fecondazione medicalmente assistita. Se l’ attuazione di tali tecniche è ormai risalente, per lungo tempo vi è stato un vulnus normativo rispetto, sia alle modalità e alle condizioni di svolgimento delle stesse, sia allo status giuridico del nato in conseguenza di tali interventi[9].
Le tecniche di procreazione assistita c.d. post mortem si sostanziano in pratiche eterogenee la cui distinzione si rivela niente affatto irrilevante dal punto di vista giuridico per i motivi che saranno meglio illustrati nel prosieguo. Essa è realizzabile mediante l’impianto nel corpo della donna di un embrione crioconservato, in epoca successiva al decesso dell’altro genitore, ovvero attraverso la formazione di embrioni utilizzando gameti crioconservati di persona deceduta; è dunque possibile, come accaduto nel caso di specie, che il genitore presti (in paesi ove ciò è consentito) il consenso alla crioconservazione del proprio seme al fine di procedere alla fecondazione dell’ovulo, anche in tempi successivi alla propria morte[10].
Uno dei principali problemi che la procreazione post mortem pone, è relativo allo status giuridico del nato da siffatte pratiche; prima dell’entrata in vigore della L. 40/2004 in dottrina vi sono stati due contrapposti orientamenti[11]: alcuni autori, ritenendo la procreazione quale diritto fondamentale dell’individuo, non suscettibile di ingerenze da parte del legislatore, hanno ritenuto ammissibili tali pratiche con conseguente attribuzione al nato dello status di figlio legittimo del genitore premorto[12]. Altra dottrina, invece rinvenendo negli artt. 29 e 30 Cost. un autentico diritto costituzionalmente garantito del concepito a nascere e ad essere mantenuto, educato e istruito da entrambi i genitori[13], ha ritenuto la procreazione post mortem lesiva di tale interesse preminente, in quanto pratica mediante cui un solo genitore, la madre, può deliberatamente scegliere di mettere al mondo un figlio privo della figura paterna[14].
La questione giuridica sottesa alla pronuncia in esame impone la disamina della disciplina contenuta nel testo normativo di riferimento in materia di procreazione medicalmente assistita, con cui il Legislatore ha inteso tutelare le posizioni dei soggetti coinvolti, in primis quella del concepito[15], a cui in tale contesto viene riconosciuta la qualità di soggetto di diritto. La L. 40 del 19 febbraio 2004[16] disciplina gli artifici medico chirurgici atti a sopperire l’incapacità umana, femminile o maschile che essa sia, di poter generare prole naturalmente[17]; nel perseguire tale finalità il Legislatore del 2004 ha posto dei limiti soggettivi di accesso alle pratiche di PMA , stabilendo ai sensi dell’art. 5 che i soggetti legittimati a prestare il consenso debbano essere maggiorenni e di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Pertanto sembra esclusa la possibilità di prestare il consenso sia alla crioconservazione del seme finalizzata alla fecondazione dell’ovulo post mortem, sia di procedere alla crioconservazione di embrioni finalizzata ad un impianto successivo alla morte del genitore biologico ; tale divieto viene evidenziato dalla previsione di una specifica sanzione ai sensi dell’art. 12, c. 2[18].
Stando alla lettera dell’art. 5 L. 40/2004, sono esclusi dall’accesso alle pratiche di fecondazione artificiale non solo i soggetti non viventi, ma anche coloro i quali non siano in età potenzialmente fertile; si tratta di un assunto che suggerisce l’intento del legislatore di non consentire la procreazione a quei soggetti non in grado di svolgere affatto, o adeguatamente in virtù dell’età avanzata, la funzione genitoriale, privilegiando nel bilanciamento di interessi tra quello alla procreazione dei genitori e quello del concepito a nascere in un ambiente familiare adeguato, quest’ultimo. Non solo, ma la prefata norma nel fissare gli anzidetti requisiti soggettivi fa riferimento ad una fase specifica della procreazione, vale a dire la fecondazione.
Tale impostazione consente agevolmente di configurare il diritto della donna all’impianto in Italia di embrioni eventualmente crioconservati in paesi ove tale pratica è consentita, in quanto l’embrione stesso essendo successivo alla fecondazione presenta vocazione alla vita. Già la giurisprudenza di merito[19] precedente all’entrata in vigore della L. 40/2004 non ha avuto difficoltà a riconoscere tale diritto in capo alla donna .
In particolare un Tribunale ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da una vedova al fine di ottenere che venisse ordinato al Centro di medicina della riproduzione l’impianto di embrioni crioconservati , dal momento che il personale medico ha opposto il rifiuto sulla scorta del Codice di Autoregolamentazione per la Procreazione Medicalmente Assistita che all’art. 11 vieta di eseguire la procreazione medicalmente assistita dopo la morte di uno dei genitori. I giudici nel motivare l’ordinanza di accoglimento hanno richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 347/1998[20] con la quale la Consulta ha stabilito che nel silenzio del legislatore fosse compito del giudice effettuare un adeguato bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, operando un’ operazione ermeneutica del complessivo sistema normativo idonea ad assicurare protezione ai beni costituzionali ; in tal senso il Tribunale ha ritenuto che in un ragionevole contemperamento tra il diritto del nascituro ad essere allevato da entrambi i genitori, e quello dello stesso alla vita nonché quello della madre all’integrità psico-fisica, questi ultimi dovessero prevalere.
Tale decisione muove dal presupposto per cui la soppressione dell’embrione a seguito della morte del padre determinerebbe un duplice e certo pregiudizio ledendo sia il diritto alla vita del nascituro che quello della madre alla procreazione, mentre l’impianto di un embrione già formato determinerebbe un danno meramente eventuale al nascituro, vale a dire la crescita in una famiglia omogenitoriale. Devesi evidenziare che tale pronuncia anticipa quanto disposto successivamente dal Legislatore del 2004, che ha introdotto ai sensi dell’art. 14[21] il divieto di soppressione degli embrioni formati a seguito di fecondazione medicalmente assistita.
Successivamente all’entrata in vigore della L. 40/2004, con un’altra significativa pronuncia[22] è stata accolta in sede di reclamo, la domanda di una donna vedova, con conseguente ordine alla struttura sanitaria di procedere all’impianto di embrioni crioconservati , nonostante l’avvenuto decesso del coniuge. Si tratta di un caso interessante in quanto il Tribunale, superati gli ostacoli - rilevati in primo grado- relativi al diritto del nascituro a godere di entrambe le figure genitoriali e al divieto introdotto dalla L.40/2004, di accesso alla PMA per soggetti privi di partner, in sede di reclamo ha ricostruito la fattispecie come un’unica procedura di fecondazione assistita intrapresa dalla coppia nel momento in cui ha espresso il consenso e non ancora conclusa, vista la crioconservazione degli embrioni, nonostante la morte di uno dei genitori.
Pertanto, considerato che la L. 40/2004, all’art. 5 impone che i genitori siano entrambi viventi al momento della fecondazione, e che l’art.7 riconosce sempre alla donna il diritto all’impianto degli embrioni eventualmente crioconservati, è stato rilevato che in quel caso la fecondazione fosse avvenuta quando il genitore defunto era ancora in vita ed aveva espresso regolare consenso, di guisa che essendo già in esistenza l’embrione allo stato di blastocisti era indiscussa la vocazione alla vita dello stesso, di cui la Legge vieta la soppressione, nonché il diritto della madre al relativo impianto. Differente è il caso affrontato dalla pronuncia in commento, ove la madre della minore ha proceduto alla fecondazione mediante utilizzo del seme crioconservato del coniuge premorto, il quale aveva preventivamente prestato il proprio consenso anche a tale eventualità. Invero, la giurisprudenza, qualora al momento della morte dell’uomo si dispone solo del seme crioconservato, non essendo ancora stato formato l’embrione, si è mostrata in genere rigorosa[23], e contraria al completamento della pratica di PMA, anche nei paesi ove è consentita ostando al riguardo anche gli impegni negoziali intercorsi tra la coppia e il centro medico presso cui il materiale biologico è conservato. Infatti i modelli di consenso medico informato di cui all’art. 6 L.40/2004 prevedono che il consenso al prelievo e alla crioconservazione dei gameti maschili e femminili debba essere rinnovato di anno in anno e che il mancato rinnovo comporti la distruzione degli stessi.
Si rinvengono, tuttavia, nella recente giurisprudenza di merito, orientamenti più indulgenti; vi è in particolare una pronuncia con cui un Tribunale[24] ha accolto il ricorso ex art. 95 d.P.R. 3.11.2000 n. 396, ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di provvedere alla rettifica dell’atto di nascita di una minore nata in Italia a seguito di procreazione post mortem mediante utilizzo del seme crioconservato del defunto padre. Nel motivare detta pronuncia il Collegio muove dalla considerazione per cui distinguere i casi di procreazione post mortem a seconda che la fecondazione sia avvenuta prima o dopo la morte del padre, e dunque operare un discrimen tra l’impianto post mortem di embrioni crioconservati e l’utilizzo del seme crioconservato, determinerebbe una disparità di trattamento tra i nati da PMA post mortem a seconda del tipo di tecnica utilizzata. Alla luce di tale impostazione il Collegio ha ritenuto applicabile l’art. 8 L. 40/2004 sullo status giuridico del figlio.
3. Lo stato giuridico del nato
Proprio la questione giuridica relativa allo stato giuridico del nato da PMA è stata oggetto di attenzione da parte della Corte di Cassazione al fine di costruire la motivazione della sentenza in commento.
Allo stato attuale, nel nostro ordinamento si distinguono due discipline relative allo stato giuridico del nato, una codicistica riferibile ai nati da procreazione naturale, e una introdotta dal Legislatore agli artt. 8 e 9 della L.40/2004. Quanto alla prima, essa è stata oggetto di recente riforma; la legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, ha inteso unificare lo status giuridico dei figli rendendo la loro condizione giuridica indifferente rispetto al tipo di legame che intercorre tra i genitori[25]. Gli aspetti più rilevanti della riforma sono la centralità del minore ed il suo superiore interesse, capovolgendo quindi la prospettiva giuridica precedente. L’intervento normativo, per lungo tempo atteso, si è reso necessario al fine di adeguare il codice civile e l’intera legislazione nazionale al principio di eguaglianza ex art. 3 della Carta costituzionale, nonché al divieto di discriminazione contenuto nelle fonti sovranazionali[26]. Il principio cardine della riforma in esame è contenuto nell’art. 315 c.c., modificato dalla L. 219/2012 e rubricato “Stato giuridico della filiazione”, in cui è previsto che “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. Ferma restando la parificazione di diritti tra figli naturali e figli legittimi, permane una differenza in ordine al regime di accertamento del rapporto di filiazione. Quanto alla madre, nulla quaestio , posto che mater semper certa est, viceversa l’accertamento della paternità soggiace a due distinte discipline. L’art. 232 c.c. dispone che la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio non si applica decorsi 300 giorni dalla data di annullamento, scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Tuttavia, l’art. 234 c.c. riconosce a ciascuno dei coniugi e ai loro eredi la possibilità di provare che il figlio nato oltre 300 giorni dall’ annullamento, scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, sia stato concepito in costanza dello stesso. La costituzione del rapporto di filiazione per i nati fuori dal vincolo matrimoniale , nonostante la riforma del 2013, è subordinata al formale e volontario atto di riconoscimento da parte del padre, in assenza del quale il relativo accertamento è rimesso all’autorità giudiziaria competente per materia[27]. Nel caso di figlio nato a seguito di procreazione medicalmente assistita, l’ art 8 L.40/2004, rubricato “stato giuridico del nato”, dispone che qualora la coppia sia legata da vincolo coniugale il figlio si intende nato nel matrimonio, mentre qualora i genitori non siano coniugati il nato è figlio riconosciuto dalla coppia, pertanto è preclusa in ogni caso la possibilità di esperire l’azione di disconoscimento; parimenti l’art. 9 in caso di fecondazione di tipo eterologo, impedisce al coniuge o convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti di esercitare l’azione di disconoscimento della paternità ovvero l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, mentre la madre non può dichiarare la volontà di non essere nominata.
A ben vedere, il Legislatore del 2004 pare aver voluto discostarsi dal modello codicistico di attribuzione della genitorialità fondata sull’atto di riconoscimento ovvero sulla presunzione di paternità e concepimento ex artt. 231 e 232 c.c., radicando il rapporto di filiazione in caso di PMA sul consenso espresso dai genitori ex art. 6 L.40/2004[28]. Tale consenso ad avviso di taluni autori renderebbe superfluo un ulteriore atto accertativo della filiazione successivo alla nascita o al concepimento[29], essendo questo sufficiente a far sorgere in capo alla coppia la responsabilità genitoriale nei confronti dell’eventuale nascituro[30]; altra dottrina[31], in modo condivisibile, ha per converso rilevato che quanto previsto dagli artt. 8 e 9, l. n. 40/2004 non abbia inciso sulla modalità di accertamento della filiazione extramatrimoniale, che in ogni caso deve avvenire mediante un atto di riconoscimento come disposto dagli artt. 250 ss. c.c.; tale impostazione è corroborata dal dato normativo ex art.9 L. 40/2004, laddove il legislatore ha precluso in caso di fecondazione eterologa l’esperibilità dell’azione di disconoscimento ovvero l’impugnazione del riconoscimento, implicitamente affermando la perdurante applicazione delle norme civilistiche in tema di costituzione dello status[32].
La Corte di Cassazione nella sentenza in commento, tuttavia, aderisce al primo orientamento, e fonda di fatto l’applicabilità dell’art. 8 L.40/2004 anche alla fattispecie di fecondazione post mortem, valorizzando il consenso ex art. 6 L.40/2004 prestato dai coniugi ( e quindi anche dal genitore premorto) al momento dell’accesso alle tecniche di PMA presso il centro medico sito in Spagna.
4. La sent. n. 13000/2019 della Corte di Cassazione
Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione si pronuncia su quattro motivi di ricorso; con il primo motivo la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., comma 4 con riferimento al n. 3 in relazione al d.P.R. 3 novembre 2000, n. 395, artt. 29 e 30, in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente qualificato in termini di discrezionalità il potere dell’Ufficiale di stato civile rispetto alla veridicità delle dichiarazioni rese dalla madre circa la paternità biologica della minore. La Corte correttamente rigetta tale doglianza sulla scorta di una ricostruzione coerente della normativa[33] relativa al ruolo dell’Ufficiale di stato civile[34] nella formazione dell’atto di nascita e preliminarmente essa richiama propri precedenti[35], che benché risalenti e riferiti all’abrogato regolamento dell’ordinamento di stato civile, ritiene ancora applicabili dal momento che la disciplina della rettificazione è stata sostanzialmente recepita dal nuovo D.P.R. 396/2000.
Dalle pronunce richiamate emerge che l’azione di rettificazione “non investe, in sé, il fatto contemplato nell’atto dello stato civile, ma la corrispondenza fra la realtà del fatto e la sua riproduzione nell’atto suddetto” e che il relativo procedimento non può essere applicato in presenza di una controversia di stato[36]. Ad avviso della Corte è necessario valutare non tanto il sindacato spettante all’ufficiale di stato civile ma l’ambito della cognizione del giudice di merito; quest’ultimo proprio perché adito per accertare l’aderenza alla verità di quanto dichiarato e documentato dalla ricorrente, non ha limiti per decidere.
La Corte osserva che il giudice di prime cure avrebbe dovuto procedere in tal senso valutando la documentazione prodotta dalla madre della minore e comprovante la veridicità delle proprie dichiarazioni al fine di rettificare l’atto, non potendosi considerare tale procedura come accertamento dello status di figlio[37]. Il giudice di primo grado, invero, introduce la motivazione del rigetto precisando che :“L’oggetto di questo giudizio non è stabilire se il signor A. G. sia il padre biologico della bambina, ma se sia legittimo o meno il diniego dell’ufficiale di stato civile di iscrivere la paternità della bambina sull’atto di nascita. A tal fine appare utile evidenziare quale sia il ruolo dell’atto di nascita nel nostro ordinamento”[38]. Pertanto il giudice del merito non avrebbe potuto accertare la veridicità delle dichiarazioni della ricorrente, non trattandosi di un giudizio volto all’accertamento dello status, bensì alla rettificazione dell’atto di nascita.
La questione ruota attorno ad un profilo decisivo, in quanto bisogna comprendere se e quale stato giuridico spetta all’interno del nostro ordinamento al nato da PMA post mortem, e successivamente se tale status possa essere attestato dall’Ufficiale di stato civile sulla base di una valutazione delle dichiarazioni e documentazioni prodotte dall’istante e relative al consenso espresso dal genitore premorto, in applicazione dell’art. 8 L. 40/2004. Nonostante il vivo dibattito instauratosi in dottrina circa il confine tra azione di stato e azione di rettificazione[39] la questione appare ancora oggi aperta, non essendo riuscita nemmeno la giurisprudenza, ivi compresa la pronuncia in esame, a dirimerla.
Tuttavia vi è un dato normativo incontrovertibile contenuto negli artt. 29 e 30 dell’ordinamento dello stato civile che esclude qualsivoglia potere di accertamento in capo all’ufficiale di stato civile. La domanda della ricorrente in tutti e tre i gradi di giudizio pone come prima questione la presunta illegittimità del rifiuto opposto dal funzionario, e non la discordanza tra la verità biologica e la sua rappresentazione nell’atto di nascita. Accogliere il principio di diritto espresso in motivazione circa l’applicabilità dell’art. 8 L.40/2004 al nato da PMA post mortem implica l’attribuzione in capo all’Ufficiale di stato civile di funzioni che non gli competono.
In particolare nel caso di specie egli verrebbe investito di una valutazione circa la rilevanza probatoria della documentazione prodotta dall’istante e relativa rispettivamente al fatto che il minore di cui si richiede la registrazione sia nato dal ricorso a tecniche di fecondazione assistita con l’utilizzo del seme di un uomo che abbia prestato senza revoca il consenso all’eventuale utilizzo postumo del proprio patrimonio genetico; si tratta di una impostazione incompatibile con i principi di legalità e di tipicità particolarmente rigorosi cui è conformato l’intero ordinamento dello stato civile, e che sono finalizzati a garantire che l’espletamento di questa delicatissima funzione amministrativa avvenga in modo omogeneo e dia risultati certi, senza che possano residuare profili di discrezionalità nell’apprezzamento degli elementi “di fatto” quali le dichiarazioni di parte e atti da trascrivere o annotare che fondano il dovere di provvedere alla registrazione degli atti[40].
La Cassazione rigetta il primo motivo di ricorso, rilevando che la ricorrente al momento della formazione dell’atto di nascita della minore fece due distinte dichiarazioni all’Ufficiale di stato civile: una relativa all’evento nascita, l’altra inerente alla paternità della neonata da lei attribuita, giusta la documentazione comprovante l’avvenuta fecondazione mediante l’utilizzo del seme crioconservato, al defunto coniuge che aveva all’uopo prestato il proprio consenso; solo in ordine alla prima dichiarazione il funzionario nulla avrebbe potuto obiettare in ossequio all’art. 29 D.P.R. 395/2000, non spettando a lui stabilire se l’evento riferitogli potesse essere compatibile o meno con l’ordinamento giuridico, ma non in ordine alla seconda , dalla quale scaturiscono effetti giuridici relativi allo status del nato, se ritenuta in contrasto con l’ordinamento e con l’ordine pubblico.
Tuttavia, la Corte di Cassazione sembra spostare l’attenzione sulla cognizione del giudice della rettificazione , ampliandone i margini e rendendo sempre più labile il confine tra azione di rettificazione, di competenza camerale, e azione di stato, da incardinare mediante giudizio ordinario innanzi al giudice competente per materia. I successivi tre motivi di ricorso sono strettamente correlati, talché la Corte li esamina congiuntamente; in sostanza la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., c. 4 con riferimento al n. 3, in relazione agli artt. 8, 5 e 12 della L.40/2004, nella misura in cui la Corte d’Appello aveva ritenuto inapplicabile l’art. 8 della prefata legge che attribuisce lo status di figlio nato nel matrimonio a quello nato a seguito di tecniche di PMA , a ciò non ostando ad avviso della ricorrente il dedotto divieto di procreazione post mortem contenuto e sanzionato dagli artt. 5 e 12 L.40/2004, che non è ritenuto sufficiente a configurare come contrari all’ordine pubblico gli atti successivi al ricorso a quella tecnica procreativa, tra cui l’attribuzione della paternità e del patronimico. Pertanto viene dedotta l’erronea applicazione della disciplina codicistica in materia di accertamento del rapporto di filiazione e conseguente status giuridico del nato ex art. 232 c.c. in luogo di quella prevista dall’art. 8 L. 40/2004 . Muovendo da tali censure, la ricorrente lamenta che la decisione impugnata risulti contraria ai principi costituzionali, europei ed internazionali sulla tutela del fanciullo e del best interest of child. In via subordinata, la madre della minore ripropone le medesime eccezioni di incostituzionalità già sollevate nel giudizio di appello[41].
La Corte dopo un breve excursus dei fatti delimita l’ambito della controversia, precisando che non inerisca la trascrivibilità in Italia di un atto di nascita redatto in un Paese ove le tecniche di PMA post mortem sono consentite, quanto la possibilità di rettificare nei sensi invocati dalla ricorrente un atto di nascita già formato sul territorio nazionale. In tal senso la Corte precisa che non rilevi l’illiceità della fecondazione post mortem nell’ordinamento giuridico italiano quanto la corrispondenza tra la realtà del fatto come complessivamente dichiarato dalla ricorrente all’Ufficiale di stato civile e la sua riproduzione nell’atto di nascita come da quest’ultimo redatto; tanto premesso tenendo in ogni caso presente che una volta venuto ad esistenza il concepito da PMA post mortem, occorre valutare se i divieti previsti dalla L.40/2004 ostino alla tutela dei diritti del neonato. L’analisi normativa del Supremo Consesso prende le mosse dall’art. 232 c.c. che presume come concepito nel matrimonio il figlio nato quando non siano trascorsi trecento giorni dalla causa di scioglimento del matrimonio, in questo caso la morte del padre biologico della minore ( avvenuta un anno e mezzo prima della nascita); su tale dato normativo si fonda il rifiuto opposto dall’Ufficiale di stato civile.
La Corte dopo aver approfondito le diverse posizioni circa l’accertamento dello stato giuridico del nato da fecondazione post mortem giunge alla conclusione che stante la non corrispondenza tra verità biologica dichiarata all’ufficiale di stato civile e la sua riproduzione nell’atto di nascita così come concretamente redatto, debba trovare applicazione la disciplina prevista dall’art. 8 L.40/2004 anche nella fattispecie in esame, essendo ragionevole ritenere che il nato da PMA post mortem mediante l’uso del seme crioconservato del marito o convivente morto dopo aver prestato il consenso alle tecniche procreative ex art. 6 della medesima legge e prima della formazione dell’embrione, sia figlio nato nel matrimonio della coppia che abbia prestato e mai revocato il consenso medesimo prima della morte del coniuge e dunque dello scioglimento del matrimonio.
A sostegno di tale conclusione la Corte valorizza il consenso espresso dal coniuge prima della morte e mai revocato, ritenendo che proprio nella prestazione dello stesso sia da rinvenire il momento della scelta consapevole della genitorialità. Inoltre tale interpretazione garantisce, ad avviso della Corte, piena tutela al diritto fondamentale del nato all’identità personale[42] che comprende anche quello dello stato di figlio degli effettivi genitori. Infatti, il divieto posto dagli artt. 5 e 12 L. 40/2004 non può considerarsi idoneo a far prevalere l’interesse del nascituro a venire al mondo in una famiglia che possa garantirne l’esistenza e l’educazione, risultando l’unica alternativa possibile il “non nascere affatto”. L’interesse a nascere in un nucleo familiare bigenitoriale non può spingersi, ad avviso della Corte, al punto tale da preferire la non vita, essendo, invece, di primaria importanza, nella costruzione della propria identità personale, che il bambino acquisisca rapidamente certezza della proprie origini biologiche[43].
5. Reazioni giurisprudenziali...
Prima di procedere ad un’analisi critica della pronuncia, che potrebbe apparire strumento per la conquista di diritti altrimenti negati dall’ordinamento, e quindi di comprendere se essa sia effettivamente aderente all’ intenzione del legislatore del 2004, e compatibile con il vigente ordinamento giuridico, in un’ottica sistematica, giova osservare il panorama giurisprudenziale ad essa successivo. In particolare fa capolino un’ ordinanza[44] con cui un giudice di merito ha parzialmente accolto il ricorso cautelare proposto da una donna vedova, la quale aveva chiesto che venisse ordinato al titolare del centro medico il trasferimento intrauterino degli embrioni ivi conservati, provenienti da ella e dal marito deceduto, nonché in caso di esito positivo il riconoscimento in capo al nato dello status di figlio legittimo con conseguente attribuzione del cognome paterno. Il giudice in motivazione opera una pregevole ricostruzione normativa della disciplina prevista dalla L.40/2004, ritenendo di poterla applicare al caso di specie sulla scorta del fatto che la fecondazione dell’ovulo era avvenuta quando ancora il coniuge defunto era in vita, nel pieno rispetto del requisito della sussistenza in vita previsto dall’art. 5 L. 40/2004 che va riferito al tempo della fecondazione e non già oltre.
Tale interpretazione trova conforto negli artt. 1[45] e 14 della medesima legge , che rispettivamente sanciscono il diritto dell’embrione alla vita, e il divieto di soppressione dello stesso, l’impossibilità per il partner di revocare il consenso dopo la fecondazione , nonché il diritto della donna ad ottenere sempre il trasferimento intrauterino degli embrioni crioconservati[46]. Nulla viene statuito rispetto allo status dell’eventuale nascituro, posto che si tratta di soggetto non ancora nato, e considerato che l’art. 8 L.40/2004 già pone un’apposita disciplina relativa al nato da procreazione medicalmente assistita. Dalla pronuncia in esame appare chiaro che ancora una volta a distanza di vent’ anni dalla prima pronuncia che ha ordinato l’impianto di embrioni crioconservati, non sorgono resistenze nel rinvenire un diritto dell’embrione alla vita, nella misura in cui questo è bilanciato con l’esigenza procreativa della madre; tale diritto cede nella misura in cui debba essere bilanciato con il diritto alla salute e all’integrità psicofisica della madre, laddove l’ordinamento consente l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della L. 194/78.
Ciò che emerge dalla ricostruzione fornita dall’ordinanza predetta, così come dagli altri precedenti di merito in materia, è che la procreazione per scelta disciplinata dalla L.40/2004 implica, ai fini della applicazione delle norme ivi previste, che la coppia presti valido consenso all’accesso alle pratiche, potendolo revocare fino e non oltre al momento della fecondazione. Una volta che l’ovulo è stato fecondato e che da tale processo sia derivato un embrione, quest’ultimo è il soggetto tutelato[47] dalla L.40/2004 che lo identifica ai sensi dell’art. 1. Da ciò discende l’applicabilità dell’intera disciplina prevista dalla L.40/2004, ivi compreso l’art. 8 relativo allo stato giuridico del nato.
5.1 ... e ricadute civilistiche della procreazione post mortem.
La risoluzione della questione relativa alla liceità della PMA post mortem e ai limiti entro cui l’ordinamento è in grado di garantire tutela al nato da siffatta pratica non si arresta al tema dello status giuridico, ma pone inevitabili ricadute civilistiche[48], soprattutto di natura successoria. L’art. 462 c.c. riconosce la capacità di succedere a coloro i quali siano nati o concepiti al momento della apertura della successione; al secondo comma stabilisce che possano succedere per testamento anche coloro i quali, benché non ancora concepiti, siano figli di persona vivente al momento della successione. Pertanto, in dottrina è pacifico che mentre i concepiti possono ricevere sia per testamento che ab intestato[49], al contrario il non concepito può ereditare solo per testamento[50].
Nel caso di impianto post mortem di embrione crioconservato, occorre interrogarsi sulla sua qualificazione giuridica[51], posto che prima dell’impianto esso è incapace di svilupparsi autonomamente. In particolare occorre chiedersi se tale figura possa essere assimilata a quella del concepito . Invero, la L. 40/2004 all’art.1 sancisce la tutela del concepito che assurge a soggetto di diritto, benché nel prosieguo e specificamente negli artt. 11-14 essa faccia espresso riferimento all’embrione, pertanto è condivisibile ritenere che vi sia equivalenza nell’intento del legislatore. Giusta tale identità si fonda la tesi per cui “la coincidenza tra embrione e concepito porta a ritenere l’embrione «come il risvolto procedurale e oggettivo-scientifico del concepito (quale, cioè, oggetto della tutela) o, il che è lo stesso, il concepito quale status giuridico soggettivo dell’embrione impiantato (come soggetto di protezione)”[52].
Potrebbe parlarsi dell’embrione come di un essere dotato della c.d. “soggettività contingente”[53] nella fase di passaggio da ovulo fecondato a nato, attribuita in funzione della protezione di una vocazione alla vita, affinché la procreazione , prodromica all’acquisto della capacità giuridica e soggetta alla condizione sospensiva della nascita passi dalla fase della rilevanza a quella dell’efficacia. Pertanto la natura conservativa dell’aspettativa, che assume la scelta di utilizzare l’ovulo fecondato, la rende attività legittima e coerente con la finalità primaria di consentire il passaggio dalla potenzialità all’attualità di vita e, quindi, dalla mera rilevanza alla piena efficacia della fattispecie[54].
Ammesso che l’embrione sia da considerare giuridicamente al pari del concepito, ne deriva l’attribuzione allo stesso dello status di figlio di colui il quale ha prestato il consenso alla fecondazione, nonostante la nascita sia evento successivo alla morte di quest’ultimo. L’attribuzione dello status ex art. 8 L. 40/2004 fa emergere il tema della posizione ereditaria del postumo[55] nonché del suo diritto alle prestazioni sociali per i superstiti o a quelle che si ricolleghino ad eventuali polizze assicurative stipulate dal genitore. Le posizioni assunte in merito dalla dottrina sono differenti; una prima soluzione[56] potrebbe essere l’attribuzione della capacità di succedere all’embrione crioconservato al pari del concepito, in tal caso facendo coincidere la fecondazione dell’ovulo con il concepimento, e potendo applicare l’art. 462 c.c. senza che rilevi il lasso temporale intercorrente tra la formazione dell’embrione e l’evento nascita.
Tuttavia tale soluzione, benché lineare sul piano teorico diverrebbe fallace nella prassi, posto che la tecnica di PMA FIVET consente di generare e crioconservare un numero indefinito di embrioni , il cui impianto risulta essere incertus an, incertus quando. Pertanto dal punto di vista successorio, parificare la posizione dell’embrione a quella del concepito comporterebbe la necessaria divisione del patrimonio ereditario del genitore premorto per tante quote quanti sono gli embrioni, oltre che i restanti eredi legittimi; nelle more dell’impianto, inoltre troverebbe applicazione la disciplina prevista dall’art. 643 c.c. relativa all’amministrazione dei beni in caso di erede nascituro[57].
La prefata norma distingue l’erede non concepito dal concepito, stabilendo che nel primo caso l’amministrazione spetta al genitore vivente all’apertura della successione, mentre nel secondo caso l’amministrazione spetta al padre e alla madre. Qualora il genitore premorto non fosse coniugato con la madre del concepito, ma convivente, ella non rientrerebbe di per sé tra gli eredi legittimi, essendo capace di succedere solo per testamento[58]; dunque in tale ultimo caso la posizione del concepito post mortem determinerebbe un conflitto con le posizioni giuridiche degli altri legittimari. L’impianto post mortem dell’embrione, infatti avverrebbe su iniziativa della madre, la quale potrebbe anche non determinarsi in tal senso ovvero farlo anche a distanza di molto tempo.
Se con riferimento all’embrione crioconservato è possibile ipotizzare, sul piano teorico, assimilazione rispetto al concepito, ciò non può in alcun modo prefigurarsi con riferimento al seme crioconservato del coniuge ovvero del convivente premorto, in quanto il concepimento, anche solo la fecondazione, primo momento della procreazione, è successivo all’evento morte, che oltretutto è causa di cessazione del vincolo coniugale. Rispetto ai nati postumi da inseminazione post mortem la dottrina[59] è stata unanime nel ritenere che siano capaci di succedere solo per testamento ex art. 462, comma tre, in quanto figli di persona vivente ( la moglie o la convivente) al momento dell’apertura della successione, benché non ancora concepiti.
Tuttavia, tale soluzione rischierebbe di risultare carente in ragionevolezza, in quanto effettivamente lesiva del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., nonché del principio di non discriminazione in base alla nascita sancito dagli artt. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, e 14 della CEDU, poiché comporterebbe una disparità di trattamento , e dunque un diverso grado di tutela ai nati postumi in base alla tecnica utilizzata. Appare ragionevole configurare tanto per il caso di figlio nato postumo ma già allo stato di embrione prima della morte del genitore, quanto a quello generato mediante inseminazione post mortem, una capacità di succedere che sia scissa dallo status filiationis inteso quale diritto al cognome paterno . Mentre in alcun modo è configurabile un riconoscimento anticipato per testamento di un figlio non ancora concepito, è invece prevista dal terzo comma dell’art. 462 c.c. la possibilità di designare quale proprio erede il figlio della moglie[60], ovvero convivente superstite. Tale soluzione appare congrua anche in un’ottica sistematica, posto che ci si muove nell’ambito di una genitorialità programmata che è possibile proprio in forza del consenso prestato ex art. 6 L.40/2004.
6. Procreazione: diritto, interesse o mera aspirazione?
Al fine di giungere ad un’analisi completa dell’argomento oggetto della pronuncia in esame è utile , se non addirittura necessario, comprendere se e in che misura il nostro ordinamento consideri la procreazione come diritto[61], interesse o mera aspirazione. La risposta al quesito può desumersi dalla lettura delle sentenze con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata negli ultimi anni, dichiarando l’illegittimità costituzionale di taluni divieti o limiti contenuti nella L. 40/2004, nonché in relazione al divieto di gestazione per altri, meglio nota come maternità surrogata. La Consulta[62] sancisce la caducazione del divieto di fecondazione di tipo eterologo, e nella motivazione della pronuncia riconosce che la delicatezza della questione, dal punto di vista etico, impone che l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio degli interessi emergenti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartenga primariamente alla valutazione del legislatore[63]. La procreazione medicalmente assistita presuppone la scelta di generare e dunque di divenire genitori, la quale a ben vedere non è espressamente riconosciuta come diritto , ma assume rilevanza sociale e giuridica sulla base di principi costituzionali e sovranazionali , tra cui gli artt. 2, 3, 31 Cost. e 8 CEDU, in quanto espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminazione inerente la sfera privata e familiare.
Tuttavia, sia a livello interno che sovranazionale, il riconoscimento di una rilevanza giuridica della volontà di divenire genitori non riesce a tradursi in libertà illimitata, poiché destinata a dover essere di volta in volta bilanciata con interessi contrapposti e di pari rango, vale a dire quelli dell’embrione, del nascituro, ovvero del minore dichiarato adottabile. La CEDU tutela i diritti riproduttivi del singolo, anzitutto, come espressione della vita privata di cui all’art. 8 . In diverse pronunce la Corte EDU ribadisce che la nozione di vita privata comprende il diritto all’autonomia e allo sviluppo della persona, il diritto di intrecciare e coltivare relazioni con altri e il diritto al rispetto per la decisione di avere o non avere figli[64]. Pur muovendo da tale premessa – che sembra affermare la sussistenza di un vero e proprio diritto a realizzare la genitorialità mediante procreazione medicalmente assistita- la giurisprudenza della Corte ha registrato significative oscillazioni[65]. Anche la Consulta in tempi recenti ha chiarito se la possibilità offerta dai progressi scientifici e tecnologici – di una scissione tra atto sessuale e procreazione, mediata dall’intervento del medico sia idonea a configurare - e in quali limiti – un “diritto a procreare” comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo, e dunque declinabile anche come diritto a procreare con metodi diversi da quello naturale. Più in particolare, si tratta di stabilire se il desiderio di avere un figlio tramite l’uso delle tecnologie meriti di essere soddisfatto sempre e comunque sia, o se sia invece giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate: e ciò particolarmente in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato.[66] La Corte sottolinea che la funzione svolta dalle tecniche di PMA è quella di sopperire a cause irreversibili di sterilità e dunque di incapacità a generare per ragioni inerenti lo stato di salute della coppia e non anche di soddisfare il desiderio di genitorialità altrimenti realizzabile. Ed è proprio a tale ratio che corrispondono i divieti previsti e sanzionati dagli artt. 5 e 12 della L. 40/2004.
Come osservato da autorevole dottrina [67] è nella prospettiva della tutela della prole che le prerogative genitoriali devono essere ricostruite e orientate, con particolare attenzione al riconoscimento e alla garanzia della dignità che al minore nato da PMA comunque appartiene. Se è vero che la scienza medica oggi consente di supportare, correggere e integrare , talvolta surrogare il naturale processo biologico di procreazione, è necessario che tale progresso si ponga in posizione dialogica rispetto alle esigenze di tutela dei valori costituzionali coinvolti, posto che una netta divaricazione tra universo giuridico e realtà biologica si porrebbe in contrasto con la centralità della persona umana nonché con la sua dignità nel sistema costituzionale. L’iter logico argomentativo che ha condotto la Corte di Cassazione ad accogliere il ricorso della madre della minore nata da PMA post mortem, si fonda essenzialmente sulla esigenza di garantire aderenza alla verità biologica di quanto risultante dall’atto di nascita, in forza della necessaria tutela dell’identità personale del nato , il quale ha il diritto di conoscere le proprie origini.
A tal proposito illuminante è uno dei passaggi argomentativi della Corte Costituzionale[68], laddove essa afferma l’inammissibilità dal punto di vista costituzionale che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore, in quanto bilanciare tale esigenza con quell’interesse equivale all’automatica cancellazione dell’una a favore dell’altro. Tale bilanciamento deve essere effettuato procedendo ad un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che esso potrebbe produrre sulla posizione giuridica del minore. Per individuare la natura giuridica della procreazione, e identificarla come situazione giuridica soggettiva in capo al genitore, occorre preliminarmente comprendere quale sia l’interesse preminente per il minore, rispetto al quale deve avvenire il bilanciamento de quo. E’ possibile affermare che divenire genitori sia un’aspirazione che assurge ad interesse giuridicamente rilevante nella misura in cui non possa realizzarsi per aspetti connessi alla salute dell’individuo, che si traducano in una incapacità di generare avente carattere patologico e pertanto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento ex art. 32 Cost., nonché ex art. 2 Cost, come diritto inviolabile connesso al pieno sviluppo della persona umana.
Tuttavia, non può essere considerato diritto assolutamente inviolabile, in quanto necessariamente connotato dalla relatività imposta dal bilanciamento con la posizione del nascituro. Ciò può desumersi da una interpretazione sistematica del rapporto di filiazione, anche alla luce della L. 184/1983 recante la disciplina delle adozioni e degli affidi[69]; l’istituto dell’adozione ha subìto una vera e propria rivoluzione copernicana, in applicazione dei principi contenuti nelle fonti internazionali[70], talché attualmente risponde alla precipua esigenza di realizzare il diritto del minore ad avere una famiglia intesa quale nucleo preposto alla sua cura ed educazione. Non è un caso che anche rispetto alla genitorialità adottiva la legge imponga la sussistenza di determinati requisiti soggettivi che sono al contempo limiti di accesso a tale procedura[71], salvi i casi previsti dall’art. 44[72] della L. 184/1983. Appare evidente che la ragion d’essere della disciplina risiede nel garantire al minore una famiglia adottiva, composta da due soggetti idonei a svolgere la funzione genitoriale e in grado di offrire primariamente la stabilità affettiva di cui il minore dichiarato adottabile è privo, al di là dell’assenza di un legame biologico.
Non vi è modo di immaginare un ordinamento che appresti massima tutela al minore nato biologicamente ma dichiarato adottabile perché in stato di abbandono, prevedendo il suo inserimento nell’ambito di un contesto familiare bigenitoriale, ma che acconsenta ad un soggetto single di scegliere di generare un figlio orfano ex ante, per rispondere ad un bisogno genitoriale. Sul punto la legislazione interna è chiara, dal momento che la L. 40 pone limiti puntuali per l’accesso alle pratiche di PMA. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità svolge un ruolo decisivo, poiché pronunciandosi su una singola fattispecie , crea un precedente velatamente vincolante nella prassi. Ingenera, altresì, nei consociati la convinzione di essere titolari di diritti non codificati, perché non sottoposti al vaglio del Legislatore.
La Corte Costituzionale di recente pronunciatasi sulla legittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa rispetto a coppie omosessuali composte da due donne[73], rammenta la distinzione tra l’istituto dell’adozione in casi particolari e la PMA, posto che il primo risponde all’esigenza di dare una famiglia al minore che ne è privo. Nel caso dell’adozione, dunque, il minore è già nato ed emerge l’interesse dello stesso a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate: interesse che va verificato in concreto. Nel caso della PMA invece il minore non è ancora nato, ed è più che ragionevole che il Legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni “di partenza”.
Tutto ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali. La Corte non ha remore nel definire la genitorialità come aspirazione, e nel dichiarare infondata la questione di costituzionalità per violazione del diritto alla salute ex art. 32 Cost. si spinge ad affermare che la tutela de qua non può spingersi fino ad imporre la soddisfazione di ogni aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) consideri essenziale, così da rendere incompatibile con la norma costituzionale evocata ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione. La conseguenza dovrebbe tradursi nella caducazione di tutti i divieti posti dall’ art. 5 L.40/2004, ivi compreso quello di accesso alle pratiche alle coppie di soggetti non entrambi viventi.
7. Osservazioni conclusive
La ricostruzione operata suggerisce che il tema della procreazione medicalmente assistita c.d. post mortem sia delicato dal punto di vista bioetico e problematico sotto il profilo giuridico. Il Legislatore all’atto di disciplinare i fatti umani si muove nell’ambito di un terreno valoriale sul quale si fonda l’intero ordinamento giuridico, nel tentativo di bilanciare gli interessi che in astratto possono venire in rilievo. E’ così che a seconda del fatto compie una scelta di valore, riconoscendo prevalenza ad uno o più interessi, stabilendone di volta in volta gli effetti giuridici; nell’ambito del diritto di famiglia, gli interventi legislativi recenti hanno inciso sul rapporto di filiazione capovolgendo la prospettiva in senso puerocentrico, valorizzando il best interest of child nell’assetto dei rapporti familiari. La sentenza in commento appare strumentalizzare il presunto interesse del minore nato a seguito di PMA post mortem a conoscere le proprie origini, dunque all’identità personale, nonché quello di natura patrimoniale con riferimento agli effetti successori correlati alla attribuzione dello status filiationis, per dare ingresso nel nostro ordinamento ad una prassi vietata dal Legislatore in ragione di una scelta di valore che tutela la dignità del nascituro, ancor prima di interessi ulteriori.
La Corte di Cassazione sembra aver travalicato i limiti della funzione interpretativa e dunque nomofilattica che le compete, dal momento che giunge ad affermare l’applicabilità dell’art. 8 L.40/2004 al nato postumo percorrendo un iter argomentativo laconico , non riuscendo a dipanare un nodo che probabilmente solo il Legislatore potrebbe sciogliere. La ricorrente ha sollevato questione di costituzionalità degli artt. 5, 8 e 12 della L.40/2004, ma il Supremo Consesso ha ritenuto di poter procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 L. 40/2004, estendendola anche ai nati post mortem, a prescindere dalla liceità o meno della pratica, col fine precipuo di apprestare massima tutela ad un soggetto già venuto ad esistenza.
La Corte afferma che l’art. 8 L. 40/2004 prevede una modalità di accertamento dello status filiationis, speciale e alternativa rispetto a quelle previste dalle norme del codice civile per la filiazione matrimoniale ed extramatrimoniale, certamente inapplicabili ai fini dell’accertamento della paternità nel caso di specie, stante la nascita ben oltre il termine, indicato dall’art. 232 c.c., di trecento giorni dallo scioglimento del matrimonio per morte di uno dei coniugi e stante la sicura inammissibilità di un riconoscimento anteriore al concepimento in virtù dell’art. 254 c.c. Ad avviso di chi scrive la liceità, rectius l’illiceità della pratica, benché effettuata in luogo ove essa è consentita, non può che essere il punto di partenza per la verifica dei presupposti necessari alla produzione degli effetti giuridici domandati dalla ricorrente.
La questione della liceità o meno della fecondazione post mortem è rilevante al fine di decidere secondo quali regole lo status filiationis debba essere accertato, e in particolare se a tal fine debba o meno applicarsi l’art. 8 L. 40/2004, dovendosi dunque accertare anche la paternità di chi abbia autorizzato l’impiego post mortem del proprio seme crioconservato. Ciò equivale ad attribuire rilevanza giuridica ad un consenso che. se espresso in Italia, non avrebbe potuto acquisirla perché illecito. E’ paradossale vietare una pratica e consentire che la stessa possa produrre comunque effetti giuridici nell’ordinamento come se non fosse illecita, in vista del dedotto best interest of child[74].
Passaggio successivo, infatti, deve essere la definizione di interesse precipuo del minore nato postumo; la tutela che l’ordinamento potrebbe astrattamente accordare applicando l’art. 8 L. 40/2004, è certamente legata all’attribuzione del patronimico nonché dello status di figlio e dunque di erede del genitore premorto. Ciò che l’ordinamento non può invece assicurare, è la tutela del diritto all’assistenza morale da parte di entrambi i genitori, quello che certa dottrina ha teorizzato come diritto all’amore[75] che il figlio vanta nei confronti di entrambi i genitori. Il caso di specie è connotato da una circostanza non affatto irrilevante, vale a dire quella per cui la madre ha deliberatamente stabilito che la propria figlia dovesse venire al mondo priva della figura paterna; per fare ciò entrambi i genitori si sono recati in Spagna, ove la pratica di fecondazione post mortem è consentita, e hanno prestato un consenso che in Italia non avrebbe potuto produrre effetti giuridici, gli stessi che a seguito della nascita della minore la madre pretende di conseguire invocando la necessaria e massima tutela della figlia.
La “sicura preminenza della tutela del nascituro” è invero un argomento difficilmente confutabile benché una recentissima decisione delle Sezioni Unite sembri ora voler ridimensionare proprio un simile assunto[76] nel senso di dover sempre tenere conto del bilanciamento con altri valori che il Legislatore abbia ritenuto prevalenti rispetto all’interesse del minore.
La Corte di Cassazione osserva che nel caso della fecondazione omologa post mortem, a differenza di quanto avviene nel caso della fecondazione eterologa, non sarebbe ipotizzabile un contrasto tra favor veritatis e favor minoris, coincidendo quest’ultimo con il diritto del minore alla propria identità. Tuttavia il ruolo dell’interprete è quello di prendere le mosse dalla lettura delle norme vigenti per applicarle al caso concreto, e non il contrario; la ratio del divieto di fecondazione post mortem, imposto chiaramente dal Legislatore del 2004, risiede innanzitutto nell’esigenza di evitare il concepimento – e non la nascita – di un orfano di padre, in considerazione del grave pregiudizio che deriverebbe per il nato. Eppure la nascita post mortem è un esito che il progresso medico scientifico oggi consente, come altri esiti astrattamente possibili, ma in ogni caso vietati dal Legislatore, in quanto non tutto ciò che è tecnicamente possibile, è moralmente lecito e giuridicamente assentibile . E ciò perché si ritiene evidentemente che tali pratiche comportino una strumentalizzazione intollerabile dell’interesse del nato, non adeguatamente bilanciato dal preteso interesse fondamentale degli adulti alla genitorialità, né con le posizioni giuridiche di altri soggetti potenzialmente controinteressati[77].
Non è mancata la voce di chi ha ritenuto configurabile in capo alla madre che scelga di procreare in epoca successiva alla morte del coniuge, una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. nei confronti del figlio, per il fatto di averne determinato scientemente la nascita pur in assenza della figura paterna. Tale orientamento è stato confutato sulla scorta dell’osservazione che il presupposto per vantare un diritto è il fatto di avere capacità giuridica e dunque di essere venuto ad esistenza, per cui parlare di responsabilità per il danno da nascita sarebbe una contraddizione in termini. E’ bene precisare che benché la richiesta di procreazione post mortem possa non essere capricciosa[78] tale tecnica di PMA, appare lesiva dei diritti del nascituro, il cui interesse non può essere ridotto al venire comunque ad esistenza, come sostiene la Corte di Cassazione nella pronuncia in esame. La vita che nasce artificialmente, senza un genitore, lede il fondamentale diritto alla bigenitorialità di cui il minore è portatore. Tanto più ove si consideri che il gamete crioconservato, a differenza dell’embrione, non contiene un principio di vita e, dunque, non la reclama[79].
Ad avviso di chi scrive non è possibile soprassedere su un elemento fondamentale quale è il diritto, non solo alla vita del nato, ma anche ad una certa qualità della stessa, la quale può essere considerata come espressione dell’inviolabile diritto alla dignità dell’essere umano. Il bilanciamento di valori costituzionali emergenti nel caso di specie, nonché in altri simili, impone che all’interno del sistema giuridico si pervenga ad una equilibrata distinzione di ruoli tra il legislatore, chiamato a predisporre norme di legge coerenti e compatibili con il dettato costituzionale, e il giudice , soggetto alla legge e preposto alla legis executio[80]. Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha operato un’operazione molto più ampia nella misura in cui ha disapplicato una determinata ratio normativa in nome della sua ritenuta ingiustizia o della ritenuta maggiore conformità a giustizia di una differente ratio normativa[81].
La tutela giurisprudenziale dell’identità, nonché degli interessi patrimoniali e di natura successoria del minore non può aggirare un divieto di legge che risponde ad un ben preciso nucleo di valori che trovano espressione in molteplici disposizioni dell’ordinamento giuridico. Essa necessita di un adeguato bilanciamento rispetto ad altri interessi di pari rango che il legislatore abbia ritenuto prevalenti, anche nella prospettiva di ossequio alla certezza del diritto[82].
[1] Trib. Ancona , Decr. N. 3301/2017 del 19/07/2017.
[2] SESTA, Manuale di Diritto di Famiglia, Padova, 2015 .
[3] SEMIZZI , Rilievi giuridici sull’inseminazione artificiale, in Dir.fam.pers., 1984, I, 369. L’Autore osserva che, in caso di procreazione con seme crioconservato, difetterebbe persino la fase della fecondazione del gamete , in quanto unicamente il deposito del seme avverrebbe in costanza di matrimonio.
[4] BILOTTI, La fecondazione artificiale post mortem nella sentenza della 1^ sezione civile della Cassazione n. 13000/2019, in www.centrostudilivatino.it, 23 maggio 2019 .
[5] “I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 6”.
[6] Corte App. Ancona 12 marzo 2018, in Foro it., 2019, 4, I.
[7] art.232 c.c. nella parte in cui non prevede la presunzione di concepimento durante il matrimonio anche per i figli nati con il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita post mortem artt.5 e 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui non prevedono, per un tempo ragionevole di almeno un anno dal decesso, la fecondazione assistita post mortem; art.8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui non riconosce lo status di figlio nato nel matrimonio e riconosciuto dalla coppia che ha espresso il consenso per le tecniche di procreazione medicalmente assistita a seguito di fecondazione omologa post mortem; con rifermento all’artt.3 Cost. per disparità di trattamento tra i figli nati attraverso la procreazione naturale e quelli nati a seguito di procreazione medicalmente assistita; agli art.30 c.1 ed 31 c.2 Cost. per contrasto con il diritto del bambino ad avere i genitori, con il diritto inviolabile della coppia ad avere un figlio ed autodeterminarsi nella scelta procreativa; agli artt. 8 e 14 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), dell’art.24 par.2 della Carta dei diritti fondamentali e del art.3 Convenzione di New York, per interposizione, dell'art. 117, primo comma, Cost. per violazione dei principi fondamentali del superiore interesse del minore, della responsabilità procreativa, del rispetto della vita privata e familiare.
[8] Corte Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, in Dir. fam. pers., 2019, 3, 1117, con nota di ZAPPATORE; in D&G, 16 maggio 2019; in Foro it., 2019, I, 1951, con nota di CASABURI, Le alterne vicende delle nuove forme di genitorialità nella giurisprudenza più recente (Nota a Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, 8 maggio 2019, n. 12193, Trib. Roma, ord. 8 maggio 2019, Trib. Como 18 aprile 2019 e Trib. Venezia, ord. 3 aprile 2019) - Parte I .
[9] TORRENTE , SCHLESINGHER, Manuale di Diritto Privato, a cura di ANELLI, GRANELLI, Torino, 2019.
[10] A sostegno dell’illiceità, SANTOSUOSSO , La fecondazione artificiale umana, Milano, 1984 ; AULETTA., Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadr., 1986, ritiene che tale pratica sia lecita solo ove preceduta da valido consenso prestato in un luogo ove l’ordinamento giuridico vigente lo consenta.
[11] BALDINI, Ricognizione dei profili problematici in tema di fecondazione artificiale post mortem, in Rass. dir. civ., 1995.
[12] LOJACONO, Inseminazione artificiale (diritto civile), in Enc. dir., 1971; BIANCA, Diritto civile, II, Famiglia e successioni, Milano, 2001, all’epoca non vigeva alcun divieto di legge alla PMA post mortem tranne che la prescrizione del codice deontologico medico, pertanto non si poteva negare alla donna il diritto di accedervi.
[13] ZATTI, Interesse del minore e “doppia figura genitoriale”, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I.
[14] AULETTA , Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadr., 1986; CALOGERO , La procreazione artificiale, Milano, 1989 ; MANERA, Osservazioni in tema di fecondazione artificiale o procreazione assistita, in Giust. civ., 1996, ; Trib. Vigevano, decreto 3 giugno 2009, in Dir. Fam. Pers. (II), 2011, 2, 855, con nota di GIAIMO., Il consenso inespresso ad essere genitore. Riflessioni comparatistiche.
[15]Art. 1, c. 1, L. 40 del 19 Febbraio 2004 : “Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.”
[16] Il testo è disponibile al link https://www.camera.it/parlam/leggi/04040l.htm .
[17] ANASTASI, Scienza e diritto nella procreazione medicalmente assistita, in Scien. Ric. n. 33, 15 Luglio 2016.
[18] Per cui : “ Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell'articolo applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro.” .
[19] Trib. Palermo Ord.29 dicembre 1998 (dep. 8 gennaio 1999) – Est. D’ANTONI, in Fam. Dir.1999, 1, 52; nota di CASSANO, Diritto di procreare e diritto del figlio alla doppia figura genitoriale nella inseminazione artificiale post mortem, in Fam. Dir. 1999, 4; nota di PALMERINI, La sorte degli embrioni in vitro: in assenza di regole, il ricorso ai principi, in La nuova giur. Civ. comm., 1999 .
[20] La Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione di costituzionalità, sollevata dal Tribunale di Napoli, dell’art. 235 c.c. nella parte in cui non preclude l’azione di disconoscimento della paternità al padre che abbia consentito all’inseminazione eterologa della moglie. Con la sent. 16 marzo 1999, n. 2315 (in Fam. e dir., 1999, 237, con nota di SESTA , Fecondazione assistita. La Cassazione anticipa il legislatore; in Guid. dir., 1999, 12, 48 con nota di FINOCCHIARO , La Cassazione non può svolgere una supplenza nelle funzioni riservate al legislatore) la Corte ha affermato che il coniuge, dopo aver validamente prestato il proprio consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore ignoto, non può esercitare l’azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito attraverso tale tipo di tecnica.
[21] Art. 14 L.40/2004 :”È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.” Sul divieto di crioconservazione : Corte costituzionale, maggio 2009: “si ritiene che la sentenza della Corte debba comportare una deroga al principio generale di divieto di crioconservazione. La crioconservazione sarebbe infatti necessaria in tutti i casi in cui il medico ritenga che l'impianto possa non essere compatibile con la salute della donna.”.
[22]Trib. Bologna, sez. I civile, 16 gennaio 2015, ord. V.T.M. c. Azienda Ospedaliera Universitaria “Policlinico Sant’Orsola-Malpighi” : “ Le linee guida adottate dal Ministero della Salute nel 2004 e nel 2008 in materia di procreazione medicalmente assistita riconoscono alla donna il diritto di ottenere l’impianto di embrioni crioconservati, senza limiti di sorta e, quindi, anche dopo la morte del marito”. Nota di SCALERA, Sulla legittimità dell’impianto post mortem di embrioni crioconservati, in Fam. Dir., 5/2015.
[23] Ex multis Trib. Roma 19 novembre 2018, in Foro it., 2019, I, 692, che ha rigettato la domanda d’urgenza di consegna del seme crioconservato allo scopo di procedere all’estero alla PMA.
[24] Trib. Messina, decr. 28 Settembre 2017, in Foro it., 2019, 4, I, 1430 ss .
[25] FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 4, 2013.
[26] VELLETTI, Dei diritti e doveri dei figli e della responsabilità genitoriale, in AA.VV. Modifiche al codice civile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli, 2014.
[27] BIANCA, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in La riforma del diritto della filiazione (l.219/2012), in Nuove leggi civ. comm., 2013; l’autore ritiene corretta l’impostazione del Legislatore, in quanto prevedere parità di trattamento dei figli anche nelle regole di accertamento della filiazione avrebbe dato luogo ad una discriminazione per sottoporre a pari trattamento situazioni diverse; SESTA, L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo 154/2013, in Fam. Dir., 2014.
[28] LOCATELLO, L’attribuzione dello status filiationis al nato da fecondazione omologa eseguita post mortem, in Corr. Giur. 6/2020.
[29] BIANCA , Diritto civile 2.1. La famiglia , Milano, 2017 ; SALANITRO, La procreazione medicalmente assistita, in Tratt. dir. fam., diretto da BONILINI, IV,Milano, 2016; BIANCA , L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, Milano, 2015; CAMPIGLIO, La procreazione medicalmente assistita nel quadro internazionale e transnazionale, in Trattato di biodiritto, diretto da RODOTA’; ZATTI, Il governo del corpo, a cura di CANESTRARI- FERRANDO - MAZZONI - RODOTÀ - ZATTI, II, Milano, 2011; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, in Dig. disc. priv., Aggior., Torino, 2007,; OPPO, Diritto di famiglia e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2005, II; SCIANCALEPORE, Disposizioni concernenti la tutela del nascituro, in Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, a cura di STANZIONE - SCIANCALEPORE, Milano, 2004, 130; DOGLIOTTI - FIGONE, Procreazione assistita. Fonti, orientamenti, linee di tendenza. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, 2004; QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina della procreazione assistita, in Dir. e giur., 2004, 228 ss.; La nuova disciplina della procreazione assistita, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi, Milano, 2005; ROSSI - CARLEO, Le informazioni al consenso per la procreazione assistita, in Familia, 2004, ove l’affermazione per cui “il consenso espresso in forma scritta, secondo quanto è prescritto dal 3° comma dell’art. 6, consente l’accertamento formale dello stato di figlio, che, sostanzialmente, si acquista per il concepimento avvenuto in una struttura su richiesta dei genitori”; CASINI C., CASINI M. - DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. Commentario, Torino, 2004, ove gli Autori, sviluppando la tesi del riconoscimento “anticipato”, soggiungono che oggetto di un’eventuale impugnazione - per quegli stessi vizi (difetto di veridicità, violenza, interdizione) che, alla stregua delle disposizioni codicistiche, consentono di invalidare l’atto di riconoscimento - debba essere propriamente l’atto di assenso alle tecniche di p.m.a.; VILLANI, La procreazione assistita, Torino, 2004, il quale ritiene che con l’art. 8, L. n. 40/2004 il legislatore avrebbe coniato una nuova categoria, quella dei “figli naturali riconosciuti per legge”.
[30] SALANITRO, La procreazione medicalmente assistita, in Commentario del codice civile, diretto da GABRIELLI , Della Famiglia, a cura di BALESTRA, vol. 4 Leggi collegate, Torino, 2010; BOZZI, Il consenso al trattamento da fecondazione assistita tra autodeterminazione procreativa e responsabilità genitoriale, in Eur. dir. priv., 2008; ROSSI CARLEO, Le informazioni al consenso per la procreazione assistita, in Familia, 2004; D’AURIA, Informazione e consensi nella procreazione assistita, in Familia, 2005.
[31] SESTA, Manuale di diritto di famiglia ,Milano, 2019; RENDA, L’accertamento della maternità. Profili sistematici e principi evolutivi, Torino, 2008; FINOCCHIARO, Dopo il consenso impossibile riconoscere la prole, in Le prospettive della famiglia. Dalla procreazione assistita alle coppie di fatto, in Guida dir., Dossier 3, 2004. Cfr., altresì, SCIA, Procreazione medicalmente assistita e status del generato, Napoli, 2010.
[32] SESTA, sub art. 8, L. n. 40/2004, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2017, il quale rileva che la necessità di coordinare l’art. 8 con l’art. 9, comma 1, impone di presupporre un intervenuto riconoscimento, “poiché diversamente il legislatore avrebbe dovuto limitarsi a stabilire che lo stato di figlio attribuito per legge non è contestabile”.
[33] D.P.R.396/2000, Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma della L. 15 MAGGIO 1997, n.127, art.2, comma 12) che ha sostituito il precedente R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 recante l’ordinamento dello stato civile.
[34] CALVIGIONI, La Cassazione sulla fecondazione post mortem- Il ruolo dell’ufficiale di stato civile tra rettificazione dell’atto e azione di stato, in Serv. Dem., 10/2019 .
[35] Cass. n. 7530 del 1986 in Dir.famiglia, 1987, 576 ; Cass. 2776/1996, in Giust. civ. Mass 1996.
[36] Cass. 2 Ottobre 2009, n. 21094, in Dir. famiglia 2010, 4, 1538 : “Nel 2009, la Corte di Cassazione ha nuovamente affermato che il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile, diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto e le risultanze dell’atto dello stato civile, non è promuovibile quando a fondamento della domanda di rettificazione venga, in realtà, prospettata un questione di status. In dottrina si è altresì affermato che l’effetto dell’azione di rettificazione sullo status è un effetto burocratico, mentre l’effetto delle azioni di stato è un effetto reale”. AA.VV., Le controversie in materia di filiazione, Cedam, 2010.
[37]Invero, come correttamente rilevato dagli operatori del settore anagrafico, la Corte di Cassazione tralascia di considerare un dato processuale determinante : la ricorrente propone in primo grado un’azione volta alla rettificazione dell’atto di nascita della di lei figlia chiedendo che venisse accertata l’illegittimità dell’operato dell’Ufficiale di stato civile con conseguente condanna del Comune al pagamento delle spese di giudizio; in appello unitamente ad altre doglianze la domanda è stata fondata essenzialmente sempre sulla presunta illegittimità del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile, e si tratta dell’unico motivo che anche la Cassazione rigetta.
[38] Trib. Ancona.decr. n. 3301/2017 del 19 luglio 2017.
[39] FERRI, Degli atti dello stato civile, in Comm. SCIALOJA-BRANCA, Bologna-Roma, 1973, “le sentenze di rettificazione accertano il diritto alla documentazione dello stato (ivi compresa la documentazione dell’esistenza della persona fisica) nei registri dello stato civile e vi danno attuazione ordinando all’ufficiale di stato civile di uniformarvisi. Diritto alla documentazione che comprende anche il diritto alla documentazione corretta e completa dello stato, nonché alla documentazione veritiera, cioè corrispondente allo stato reale”. Oggetto del provvedimento può essere, la documentazione ex novo dello stato (in caso di atto omesso), ovvero la emendazione di un atto esistente, o ancora cancellazione di un atto indebitamente registrato (qui l’accertamento del diritto alla documentazione è negativo). Ad avviso dell’ Autore, anche il rifiuto di registrazione (il punto è chiarito dall’attuale art. 95 ord. st. civ., ma non lo era, in assenza di una disposizione analoga, sotto il vigore del previgente ord. st. civ.) è oggetto di giudizio di rettificazione, non in quanto si tratti di correggere errori (di fatto o diritto) in cui sarebbe incorso l’ufficiale, bensì di verificare la legittimità del diniego. Ciò non si ritrova invece in ANDRINI, Atti dello stato civile , in Tratt. dir. priv., diretto da RESCIGNO, Bologna, 1997 4, III, ove l’affermazione che “si avrà rettificazione [...] soltanto nei casi in cui debba disporsi (con sentenza del tribunale passata in giudicato che l’ordina all’ufficiale di stato civile) l’integrazione di un atto incompleto o la correzione di un erroremateriale o l’eliminazione di un’omissione inficiante la redazione dell’atto; ovvero quando debba procedersi alla ricostruzione dei registri distrutti o smarriti. Nelle altre ipotesi, quando cioè si debbano effettuare accertamenti costitutivi influenti sullo stato delle persone, si avrà azione di status.”. Va altresì ricordata la posizione di ATTARDI, Atti dello stato civile, in Enc. dir. , Milano, 1959, il quale affida il proprio articolato pensiero a questa considerazione di sintesi: “Le azioni di stato si dirigono all’accertamento o alla costituzione lato sensu di uno stato; le azioni di rettificazione operano sulle risultanze probatorie dei registri di stato civile”.
[40] La tipicità in parola investe, come noto, sia il tipo di atto, sia il suo contenuto, nonché, il che qui assume particolare rilievo, le relative modalità di formazione, la quale avviene, in attuazione delle previsioni dell’ord. st. civ. (art. 12), sulla base di moduli e formulari predisposti dal Ministero dell’Interno (dai quali l’ufficiale di stato civile si può discostare, solamente qualora sia previsto dall’ord. st. civ. stesso, in ragione della concreta inidoneità degli stessi: v., ad es., art. 63, comma 1, lett. f); 71, comma 1, lett. c). Sul punto, cfr. FERRI, Degli atti dello stato civile, in Commentario del Codice Civile, a cura di SCIALOJA-BRANCA, Bologna-Roma, 1973 ; IANNELLI, Stato della persona e atti dello stato civile, Camerino, 1984; MUCCI, Delle norme generali relative alla formazione e alla archiviazione degli atti e agli archivi dello stato civile, in Il nuovo ordinamento dello stato civile a cura di Stanzione, Milano, 2001; OLIVERI, QUARTA, Lo stato civile, Milano, 2001; BALESTRA, BOLONDI, sub art. 450 c.c., in Cod. civ. comm., diretto da GABRIELLI, Milano, 2009; TESCARO, sub art. 11, in Commentario all’Ordinamento dello stato civile, Bologna, 2013. Sui poteri dell’ufficiale di stato civile, privi di discrezionalità e limitati ad un controllo, seppur sostanziale, di legalità in ordine a quanto ricevuto e documentato, cfr. FERRI, sub art. 449, op. cit.; SCARDULLA, voce Stato civile, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990; MARZIALE, voce Stato civile, in Enc. giur., XXXIV, Roma, 1993, 4; ANDRINI, Gli atti dello stato civile, cit., 985; OMODEI SALÈ, sub art. 449-455, in Commentario all’Ordinamento dello stato civile, cit., 10 ss., 20 .
[41] Incostituzionalità dell'art. 232 c.c. (nella parte in cui non prevede la presunzione di concepimento durante il matrimonio anche per i figli nati con il ricorso alle tecniche di P.M.A. post mortem), della L. n. 40 del 2004, artt. 5 e 12 (laddove non prevedono, per un tempo ragionevole di almeno un anno dal decesso, la fecondazione assistita post mortem), nonchè dell'art. 8 della medesima legge (nella parte in cui non riconosce lo status di figlio nato nel matrimonio e riconosciuto dalla coppia che ha espresso il consenso per le tecniche di P.M.A. a seguito di fecondazione post mortem), con riferimento agli art. 3 Cost., art. 30 Cost., comma 1, e art. 31 Cost., comma 2, artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, 24, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali, e 3 della Convenzione di New York, per interposizione, dell'art. 117 Cost., comma 1.
[42] PANNO, Fecondazione post mortem: il figlio nato a seguito del ricorso a tecniche di pma dopo la morte del padre ha diritto al cognome paterno, in Quest. Giust., 4/2020
[43] Si tratta di un principio ribadito anche dalla Corte Edu (parere consultivo del 10 aprile 2019, n. 132) che, nell’ambito del giudizio Menesson relativo ad un caso di maternità surrogata, ha stabilito che gli Stati membri debbano garantire adeguato riconoscimento giuridico al rapporto di filiazione tra il nato e la madre non biologica mediante la trascrizione immediata all’anagrafe oppure con adozione, a tutela del diritto del minore al rispetto della propria vita privata e familiare sancito dall’art. 8 Cedu.
[44]Trib. Lecce, Ord. 24 giugno 2019, in Quot. Giur., 7 agosto 2019 con nota di SCALERA, Procreazione assistita dopo la morte del marito: legittimo l’impianto degli embrioni crioconservati; il caso: “A seguito di numerosi tentativi di concepimento, anche tramite procreazione medicalmente assistita, la donna e sua marito avevano avviato un'ulteriore procedura procreativa al termine della quale si giungeva alla formazione di 4 embrioni, due dei quali erano stati utilizzati per un primo tentativo non andato a buon fine. Gli altri due embrioni venivano invece crioconservati e lasciati alla custodia della clinica. Nelle more del procedimento, al marito veniva diagnosticata una malattia tumorale che lo conduceva ad una prematura dipartita. Così come si desume dai fatti esposti in sentenza, il marito non aveva mai mutato il proprio consenso alla realizzazione del progetto genitoriale condiviso con la moglie e, anzi, entrambi avevano mantenuto un rapporto costante con la clinica, tale da escludere che gli embrioni vertessero in stato di abbandono. In ragione dunque dell'età della ricorrente e della conseguente necessità di intervenire celermente, elemento da cui dipende la buona riuscita dell'impianto, l'istanza di tutela è stata proposta in via cautelare.” Vedi nota di GIUNCHEDI, L'impianto intrauterino degli embrioni dopo il decesso del marito, in GiustiziaCivile.com , 10 Dicembre 2019.
[45]L’art.1 L.40/2004 tutela i diritti del concepito, qualificato addirittura come soggetto; Tar Lazio, sez. III, 21 gennaio 2008, n. 398 “in nessuna altra parte della legge si parla più di “concepito”, bensì solo di “embrione” (artt. 11-14), senza che però la legge definisca né l’uno né l’altro. Si deve quindi ritenere che il legislatore, quando parla di “concepito” abbia in realtà inteso riferirsi all’ “embrione”, «sulla base di un’equivalenza perfetta, ancorché implicita, tra i due termini.” .
[46] Linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita fornite dal Ministero della Salute nel 2015 ex art. 7 L.40/2004.
[47] Tale soluzione trova, inoltre, il conforto della dottrina, secondo la quale, se l’embrione si é formato quando entrambi i componenti della coppia erano ancora in vita, dovrebbe ritenersi possibile l’impianto in utero e la prosecuzione della gravidanza anche dopo la morte dell’uomo, prevalendo l’interesse alla tutela del concepito sul modello ordinario della genitorialità bi-parentale; D’ALOIA – TORRETTA, La procreazione come diritto della persona, in Trattato di biodiritto, diretto da ZATTI e RODOTÀ, Milano, 2011, i quali osservano, altresì, che “se dopo la fecondazione dell’ovulo è formalmente irrilevante anche la revoca del consenso (ai sensi dell’art. 6, comma 3 legge n. 40/2004), non si vede perché dovrebbe rilevare in termini così forti, vale a dire bloccando il processo di nascita di un nuovo soggetto, il decesso del partner di sesso maschile” e ad analoghe conclusioni perviene anche FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, in Dig. civ., Agg. III, 2, Torino, 2007.
[48] MARCHESE, La fecondazione post mortem: irriducibile ossimoro o nuova frontiera del biodiritto?, in Riv.Dir. Comp., n.2/2018.
[49] COPPOLA, La capacità di succedere dei concepiti post mortem patris: una questione antica, in Studi in onore di G. Silvestri, Torino 2016.
[50] FERRI, Alcune considerazioni sulle categorie, Roma, 1892 p. 820 e ss.; BONILINI, Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1986; MOSCATI, Studi di diritto successorio, Torino, 2013.
[51] MELINA, Questioni epistemologiche relative allo statuto dell'embrione umano, in Aa. Vv., Identità e statuto dell'embrione umano, Citta del Vaticano, 1998; SGRECCIA, Manuale di bioetica. Fondamenti ed etica biomedica, Milano, 1999.
[52]AGOSTA, Bioetica e Costituzione, Le scelte esistenziali di inizio-vita-Le scelte esistenziali di fine-vita, Milano, 2012.
[53]MAZZÙ, La soggettività contingente, relazione del 15 marzo 2012 al VII Congresso giuridico-forense, in www.comparazionedirittocivile.it .
[54]MARCHESE, La fecondazione post mortem: irriducibile ossimoro o nuova frontiera del biodiritto?, in Riv. Dir. Comp., n.2/2018.
[55]RIZZUTI, Diritto successorio e procreazione assistita, in BioLaw Journal- Rivista di Biodiritto, 3/2015.
[56] OPPO, Procreazione assistita e stato del nascituro, in Riv.dir. civ., 2005, 1.
[57] NATOLI, L’amministrazione dei beni ereditari, Milano, 1968, I .
[58] VIGLIONE, I diritti successori dei conviventi: uno studio di diritto comparato, Torino, 2018; BONILINI, Trattato di Diritto di Famiglia, vol. V : unione civile e convivenze di fatto, Torino, 2017.
[59] NATALE, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Volume 1, a cura di BONILINI, Torino, 2009.
[60] SESTA, Codice delle Successioni e donazioni, vol.1, Milano, 2011; NATALE, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, vol.1, diretto da BONILINI, Milano, 2009
[61] PASTORE, Il diritto di procreare: orientamenti di giurisprudenza costituzionale, in federalismi.it rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, focus Human Right n. 1 del 13 Marzo 2017.
[62] Corte Cost. n. 162/2014, in Dir. Fam. Pers., 2014, 3, I, 973.
[63] Corte Cost. sent. n. 347/1998, in Dir. e giur. 1998, 525.
[64] Corte Edu, 10 aprile 2007, Evans c. Regno Unito [GC], ric. n. 6339/05, in Europa e dir. priv. 2008, 1, 225 ; 8 novembre 2011, V.C. c. Slovacchia, ric. n. 18968/07, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 2 maggio 2012.
[65]TOMASI , La famiglia nella Convenzione europea dei diritti umani: gli artt. 8 e 14 Cedu, in Quest. Giust., n. 2/2019 .
[66] Corte Cost. sent. n. 221/2019, in Guid. Dir., 2020, 2, 36.
[67] D’ANDREA, La procreazione medicalmente assistita tra biologia e diritto: brevi notazioni introduttive, in La Procreazione medicalmente assistita, bilancio di un’esperienza, problemi e prospettive, a cura di AGOSTA, D’AMICO, D’ANDREA, Napoli, 2017.
[68] Corte Cost. n. 272/2017, in Foro it. 2018, 1, I, 5 .
[69] SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Torino, 2017.
[70] Convenzione dei diritti del fanciullo, nota come Convenzione di New York , del 20 Novembre 1989; Convenzione di Strasburgo sull’adozione dei minori del 24 Aprile 1967, ratificata in Italia con L. 22 Maggio 1974 n. 357.
[71] Possono, di fatti, adottare solo soggetti coniugati da almeno tre anni, ovvero stabilmente conviventi da almeno tre anni prima del matrimonio, che non siano separati, idonei a svolgere la funzione genitoriale ex art. 30 Cost
[72] Adozione in casi particolari ex art.44 L. 184/1983: l'adozione è consentita oltre che ai coniugi anche a chi non sia coniugato nei seguenti casi :
- persone unite al minore da parentela fino al sesto grado, ovvero da un rapporto stabile e duraturo quando il minore sia orfano di padre e di madre;
- i minori che si trovino nelle condizioni indicate dall'art. 3 della legge n. 104/92, e siano orfani di entrambe i genitori;
- constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
[73] Corte Cost. n. 221/2019, in Resp. Civ. Prev., fasc.2, 2020, con nota di FADDA, Il conflitto assiologico nella legge n. 40/2004 tra morale kantiana e diritto alla procreazione : “la legge prevede una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso alla PMA, alla cui radice si colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre [...] la Costituzione, pur considerandone favorevolmente la formazione, «non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli» e che, d’altra parte, «la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori […] di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti» (sentenza n. 162 del 2014). Essa dev’essere, infatti, bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti Di certo, non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. In questa prospettiva, l’idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale. E ciò a prescindere dalla capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch’esse, all’occorrenza, le funzioni genitoriali.” .
[74] AIRONA, Procuratore aggiunto presso il Trib. Napoli Nord, in Centro studi Livatino, fa una riflessione in merito ai casi di maternità surrogata, che può essere accolta anche con riferimento al caso di specie : “Qual è l’interesse del bambino? Avere dei genitori che hanno infranto la legge [...] un ordinamento che li premia perché “ormai l’hanno fatto” senza avere il diritto di farlo? “Se dovessimo ragionare in base al principio del fatto compiuto allora dovremmo legittimare tutto. A partire dal sacrificare al desiderio dell’adulto il migliore interesse del bambino”, in “Maternità surrogata: il ricatto del fatto compiuto”, intervista a cura di GIOJELLI, su www.centrostudilivatino.it .
[75]FALZEA, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. II. Dogmatica giuridica, Milano, 1997, p. 437 ss..; BIANCA, La famiglia, “Un diritto a ricevere quella carica affettiva di cui l’essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione” , Milano, 2005 .
[76] Cass. civ. SS.UU. n. 12193 del 8 Maggio 2019, in Dir.Fam.Pers. 2020, 2, I, 392 : “Il riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall'art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983”.
[77] Si pensi ad eventuali altri eredi legittimi.
[78] RODOTÀ,Repertorio di fine secolo, Roma – Bari, 1992, 230, il quale osserva che il problema della procreazione post mortem non nasce “dal capriccio di una vedova. Furono per primi i giovani americani mandati a combattere in Vietnam, imitati poi da quelli inviati nel Golfo, a depositare il loro seme perché la morte in guerra non li privasse della speranza di continuarsi in un figlio”.
[79] MORACE PINELLI, La filiazione da p.m.a. e gli spinosi problemi della maternita’ surrogata e della procreazione post mortem, in il Foro Italiano 10/2019.
[80] RUGGERI, Procreazione medicalmente assistita e Costituzione : lineamenti metodico-teorici di un modello ispirato ai valori di dignità e vita, in La procrezione medicalmente assistita. Bilancio di un’esperienza, problemi e prospettive, Napoli, 2017.
[81] Si legge infatti nella motivazione della decisione in esame che «la procreazione nella società della globalizzazione presenta un particolare dinamismo, subordinato agli interessi concreti che è volta a soddisfare» e che «in un tale scenario, nel quale la genitorialità spesso può anche scindersi dal nesso col matrimonio e dalla famiglia, declinandosi in una molteplicità di contesti prima ritenuti inediti, è necessario comprendere se i divieti di genitorialità pure evincibili dal nostro ordinamento possano fungere da “controlimite” alla tutela dei diritti di chi è nato, oppure se occorra superare i confini della tradizione ed accettare, regolandoli, i nuovi percorsi della genitorialità stessa».
[82] Per un approfondimento sul tema si rimanda a FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, Milano, 2008; CORSALE, Certezza del diritto, in Enc. Giur., vol VI, Roma,1988 pp. 1-7; CONSO, La certezza del diritto: ieri, oggi, domani, in Riv. Dir. Proc., 4/ 1980.
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