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Pubbl. Lun, 28 Set 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Cessione d´azienda e debiti ceduti: l´acquirente risponde dei debiti aziendali se risultano dai libri contabili

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Mariangela Miceli
AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo



Con la sentenza n. 23828, resa il 21 dicembre 2012 dalla sezione II civile, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di trasferimento di azienda e debiti ceduti e, in particolar modo, sull’applicazione al caso de quo dell’art. 2560, comma 2, del codice civile che dispone che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti della stessa anche l’acquirente, se essi risultano dai libri contabili obbligatori regolarmente tenuti”.


ENG With sentence no. 23828, issued on 21 December 2012 by the civil section II, the Supreme Court of Cassation ruled on the matter of company transfer and assigned debts and, in particular, on the application of art. 2560, paragraph 2, of the Italian Civil Code which states that ”in the transfer of a commercial company, the buyer is also liable for the debts of the same, if they result from the obligatory accounting books regularly kept”.

Sommario: 1. L’inquadramento normativo dei debiti relativi all’azienda ceduta; 1.2 Il trasferimento dei debiti; 1.3 L’art. 2560 c.c., 1.4 secondo comma e la tutela del creditore ceduto e del cessionario, 1.4 La tutela dei terzi creditori: il principio di solidarietà nel pagamento dei debiti aziendali; 2.  Il valore probatorio delle scritture contabili, 2.1 La regolare tenuta delle scritture contabili ai fini della responsabilità del cessionario per i debiti aziendali non può essere integrata mediante ricorso ad elementi esterni di riscontro, 2.2 Il principio di completezza ed integrità delle scritture contabili di cui all’art. 2560, 2° comma, ai fini del sorgere della responsabilità del cessionario secondo la sentenza n. 32134/2019, 3. Conclusioni.

1. L’inquadramento normativo dei debiti relativi all’azienda ceduta 

Il trasferimento d’azienda è assai frequente nella pratica e avviene in diverse forme, tra cui la vendita, l’affitto o il conferimento di azienda.

Tali operazioni potrebbero mettere in difficoltà i creditori dell’impresa ceduta, per cui il Codice civile in siffatta materia ha previsto una normativa che disciplina i presupposti per il trasferimento dei debiti della cedente alla cessionaria perché questa ne risponda.[1]

La sorte dei debiti dell’azienda trasferita è regolata, come noto, dall’art. 2560 del Codice civile, che prevede, da un lato, la permanente responsabilità dell’imprenditore alienante per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda, e, dall’altro lato, la responsabilità dell’acquirente per i debiti risultanti dalle scritture contabili.

La ratio della norma è duplice: da una parte, si tende a tutelare i terzi creditori già contraenti con l’impresa cedente dinnanzi ad un fatto, la cessione dell’azienda, che priva di una parte del suo patrimonio l’originale debitore[2]; dall’altra, si cerca di consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica conoscenza dei debiti assunti.

Ciò al fine di avere piena contezza dello stato debitorio dell’azienda da acquisire cui, ovviamente, dovrà far fronte.[3]

In via preliminare si può rilevare come in materia di cessione di debiti, in ossequio alla prefata ratio di tutela del creditore, la normativa ammetta che solo con il consenso di quest’ultimo possa aversi un mutamento del debitore. [4]

Vi è però da evidenziare come sia controversa, in dottrina, l’espressione “vi hanno consentito” di cui al primo comma del sopra citato articolo e su cosa dunque il creditore debba effettivamente prestare consenso.[5]

Ora, una parte della dottrina ritiene che detta espressione debba essere riferita specificamente alla liberazione dell’alienante, altra parte ritiene invece che il consenso, ai fini della liberazione del cedente, possa riferirsi genericamente al trasferimento dell’azienda[6].

In direzione contraria, altra tesi secondo la quale vi è trasferimento automatico dei debiti dell’acquirente solo nel caso in cui la cessione d’azienda contenga un patto espresso di accollo[7], mentre in assenza di tale esplicita previsione, il consenso dei creditori dovrebbe riguardare espressamente la liberazione dell’alienante.

1.2 Il trasferimento dei debiti

La sentenza in esame ha interpretato alcuni aspetti problematici dell’art. 2560 c.c.

Sotto tale profilo, va evidenziato come il citato articolo nulla dispone espressamente in merito alla successione dell’acquirente nei debiti del cedente e, in particolare, in merito alle modalità con cui tale successione dovrebbe avvenire, limitandosi a prevedere, invero, la sola responsabilità solidale nei rapporti interni con l’alienante.[8]

Proprio da quest’ultima considerazione nasce la problematica inerente al trasferimento dei debiti, e cioè se essi si trasferiscano automaticamente all’acquirente o se occorra un espresso patto di accollo tra le parti del negozio traslativo.

In giurisprudenza, in merito al secondo comma dell’art. 2560 c.c., si è ribadito come la solidarietà richiamata dal predetto comma non determini alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale.[9]

Ciò vuol dire che il debitore effettivo rimane pur sempre colui al quale è imputabile il fatto costitutivo del debito stesso, cioè il cedente.

Di conseguenza, sarà nei suoi confronti che l’acquirente potrà rivalersi in seguito, nel caso in cui sia stato lui ad estinguere il debito quale coobbligato in solido.

Tale ultima affermazione ha, altresì, dei significativi riflessi sotto il profilo processuale: in particolare, l’eventuale impugnazione del cessionario, di una eventuale sentenza di primo grado che disponga il pagamento nei confronti di colui che si afferma creditore, sarà inammissibile in quanto unico legittimato ad agire è il cedente, non potendo essere chiesta neppure l’integrazione del contraddittorio nei confronti del cedente quale unico legittimato all’impugnazione.

In buona sostanza, in applicazione dei richiamati principi, il debitore principale rimane, nel silenzio delle parti, l’alienante ed alla sua responsabilità – per una maggiore tutela dei diritti dei creditori – si aggiunge, limitatamente ai debiti menzionati nelle scritture contabili, quella dell’acquirente.[10]

1.3 L’art. 2560 c.c., secondo comma e la tutela del creditore ceduto e del cessionario

In tema di cessione di azienda e debiti del cedente, la sezione II della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento, ha ribadito il consolidato principio del valore costitutivo delle scritture contabili.[11]

La vicenda in esame – come sopra accennato – traeva spunto da una richiesta di pagamento di un debito che non trovava espresso riscontro dalle scritture contabili, pertanto i giudici hanno inteso ribadire come la presenza del debito nelle scritture contabili sia condicio sine qua non per poter chiedere al cessionario il pagamento del credito di cui si affermi essere titolare.[12]

Il Supremo Consesso ha così ribadito che il secondo comma dell’art. 2560 c.c. mira all’esigenza di tutelare non solo i terzi creditori - che peraltro sarebbero anche tutelati già dal primo comma del predetto articolo - ma anche il cessionario affinché questi possa acquisire adeguata conoscenza dei debiti assunti attraverso l’acquisto dell’azienda.

La Cassazione ha escluso la solidarietà del cessionario, qualora i dati riportati nelle scritture contabili siano parziali e carenti nell’indicazione del soggetto titolare del credito, “non potendosi in alcun modo integrare un’annotazione generica delle operazioni mediante ricorso ad elementi esterni di riscontro”.

La ratio della norma ha un ulteriore motivazione che - come illustre dottrina ha evidenziato - consente all’acquirente di “calcolare con esattezza i debiti per i quali dovrà rispondere, sottraendo la relativa somma dal prezzo corrisposto” e di determinare così il prezzo sulla base del patrimonio aziendale netto.[13]

Ma vi è di più, ferma la responsabilità solidale[14] tra cedente e cessionario in relazione ai rapporti esterni con i terzi - in un contesto dottrinale discordante - dalla lettera dell’art. 2560 c.c. e più di specifico dall’incipit dello stesso “l’alienante non è liberato”, dovrebbe discendere, almeno per i soli rapporti interni tra cedente e cessionario, un implicito riconoscimento ipso iure dei debiti.

In tal senso, si è espresso l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, secondo il quale la disciplina del primo comma presuppone in modo specifico - e che quindi si sottrae a interpretazioni differenti - che il debito si trasferisca in capo all’acquirente dell’azienda, rispetto a tale ultima affermazione, l’alienante assume un ruolo di garanzia.[15]

Orbene, l’automatismo della cessione del debito in capo all’acquirente era stato previsto dal progetto del codice del commercio del  1940[16], poi però eliminato nella versione dell’attuale codice civile, tanto che nella stessa relazione si evince come il problema dei crediti, dei debiti e dei contratti pendenti, nel caso alienazione dell’azienda “ha dato luogo a vive controversie in dottrina e in giurisprudenza, e ha determinato, anche all’estero, provvedimenti speciali che per la loro complessità non mancarono di presentare inconvenienti”.[17]

Il codice civile, quindi, ha elaborato una disciplina chiara della sorte dei debiti inerenti all’azienda alienata, tanto che non è stata data una stessa disciplina ai crediti e ai debiti. Si stabilisce altresì che l’alienazione dell’azienda, anche se pubblicata nel registro delle imprese, non libera l’alienante dal debito inerente la stessa, qualora non risulti il consenso dei creditori.

Vale la pena evidenziare che l’orientamento più ‘permissivo’ in materia di liberazione del cedente è conforme alla disciplina dell’accollo di cui all’art. 1273 del codice civile – nel caso in cui il trasferimento d’azienda ne contenga un patto espresso – a maggior conto se si ritiene che la norma dell’art. 2560 c.c. non contenga alcuna previsione di liberazione automatica.[18]

La disciplina dell’accollo di cui all’art. 1273 c.c., infatti, disciplina un’ulteriore ipotesi di modifica del soggetto passivo dell’obbligazione attraverso la quale il debitore (accollato) ed un terzo (accollante) convengono che quest’ultimo assuma il debito del primo nei confronti del creditore (accollatario).

Al creditore è data la possibilità di aderire all’accollo rendendo così irrevocabile la stipulazione a suo favore.

Al contrario con il c.d. accollo interno, il creditore rimane al di fuori della convenzione, la quale spiegherà esclusivamente un’efficacia inter partes.[19]

L’accollo esterno può poi essere liberatorio o cumulativo ed è proprio quest’ultima ipotesi che ci interessa, poiché con tale accollo il debitore rimane obbligato in solito con il terzo ma l’obbligazione dell’accollato assume caratteri sussidiari: il creditore ha l’onere di chiedere  preventivamente l’adempimento dell’accollante, anche se non è tenuto ad escuterlo preventivamente,  e solo all’esito di una richiesta infruttuosa potrà rivolgersi all’accollato.

Orbene, per quanto di nostro interesse si può discutere se la norma comporti il trasferimento del debito in capo all’acquirente e la responsabilità del cedente a titolo di garanzia ovvero se il cedente resti l’obbligato principale cui acceda la responsabilità solidale dell’acquirente, salvo, naturalmente, un accollo “interno” convenzionale a carico del cessionario o comunque un patto che impedisca al cessionario il regresso nei confronti del cedente. La giurisprudenza prevalente è orientata secondo un principio per cui

“sul piano sostanziale la stessa previsione della solidarietà dell’acquirente (art. 2560 c.c., comma 2) dell’azienda nella obbligazione relativa al pagamento dei debiti dell’azienda ceduta è posta a tutela dei creditori, e non dell’alienante e pertanto essa non determina alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale, nel senso che il debitore effettivo rimane pur sempre colui cui è imputabile il fatto costitutivo del debito, e cioè il cedente”.[20]

La responsabilità del cessionario va dunque inquadrata nella forma dell’accollo cumulativo ex lege.

1.4 La tutela dei terzi creditori: il principio di solidarietà nel pagamento dei debiti aziendali

Le pronunce in tema di trasferimento di azienda e dei relativi debiti ceduti hanno sempre tenuto conto dell’imprescindibile principio secondo il quale, laddove avvenga tale trasferimento, debba esser sempre tutelato il diritto del creditore al soddisfacimento del proprio credito.

Costante giurisprudenza ha ribadito in modo netto, come non si possa prescindere dal pagamento del credito, qualora questo sia inequivocabilmente documentato dalle scritture contabili. Il Supremo Consesso, in più pronunce ha ribadito che

il regime fissato dall’art. 2560, secondo comma, c.c., con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, secondo cui dei debiti suddetti risponde anche l’acquirente dell’azienda allorché essi risultino dai libri contabili obbligatori, è destinato a trovare applicazione quando si tratti di debiti in sé soli considerati, e non quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite”.[21]

Nella pronuncia oggetto di odierno commento la Suprema Corte ha, quindi, ribadito il principio dettato dal secondo comma di cui all’art. 2650 del codice civile, il quale disciplina la sorte dei debiti aziendali in caso di trasferimento dell’azienda e regola i rapporti fra i contraenti e i creditori aziendali.

La corte regolatrice ha espressamente sancito come la mancata apposizione, in modo chiaro e dettagliato, del credito nelle scritture contabili sia elemento sufficiente per escludere la configurabilità del credito nei confronti dell’acquirente.

Tale iscrizione, infatti, per consolidato orientamento giurisprudenziale, è elemento essenziale per configurare una eventuale responsabilità dell’acquirente dell’azienda per i debiti ad essa riferibili.

Tanto che la Suprema Corte statuisce:

“l'interpretazione ed  applicazione (negativa) al caso concreto della norma da parte della corte di merito, che sulla base dell'accertamento peritate ha dato atto dell'assenza nelle scritture stesse di alcun riferimento al contratto in questione, risulta dunque corretta, mentre, per converso, quella proposta dagli odierni ricorrenti deve ritenersi non conforme alla ratio della disposizione, dettata non solo dall'esigenza di tutelare i terzi creditori, già contraenti con l'impresa e peraltro già sufficientemente garantiti dalla norma di cui al primo comma dell'articolo medesimo (secondo cui il cedente non è liberato dai debiti se non vi abbiano consentito i creditori), ma anche da quella di consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti, specificità che va esclusa nell'ipotesi in cui i dati riportati nelle scritture contabili siano parziali e carenti nell'indicazione del soggetto titolare del credito”. [22]

Il passaggio sopra riportato assume una rilevanza particolare poiché, in ragione dell’applicazione dell’art. 2560 c.c., chi aliena un’azienda commerciale non è liberato dai debiti, ma ne risponde unitamente all’acquirente ed esclusivamente nel caso in cui tali poste negative risultino dai libri contabili obbligatori.

Solo in presenza di tali elementi si ha, dunque, il trasferimento dei debiti con conseguente responsabilità solidale dell’alienante e dell’acquirente nei confronti dei terzi per il pagamento dei debiti aziendali, attraverso un accollo cumulativo ex lege.

Si evince, quindi, come la disciplina in esame sia maggiormente favorevole per i creditori, i quali così potranno far valere il proprio diritto di credito nei confronti di entrambi i soggetti.

Orbene, a questo punto appare importante evidenziare come, seppure la disciplina sia favorevole ai creditori è arduo far valere la corresponsabilità del cessionario da parte di quest’ultimi se il credito non risulta in modo chiaro dalle scritture contabili.

In primo luogo, è il creditore a dover dimostrare che il debito risulta dai libri contabili.[23]

In secondo luogo, si deve tener conto della giurisprudenza restrittiva della Suprema Corte che:

a) considera l’iscrizione nei libri contabili quale elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente, ritenendo che la stessa non possa essere surrogata dalla prova della conoscenza acquisita aliunde dell’esistenza dei debiti, stante la natura eccezionale della predetta norma[24];

b) ritiene che i “libri contabili obbligatori” siano solo quelli indicati dall'art. 2214 cod. civ., non rilevando altri documenti quali il registro iva degli acquisti[25];

c) afferma che l’inesistenza dei libri contabili, qualunque sia la ragione che l’ha causata - compresa la non obbligatorietà per lo specifico tipo di impresa - preclude il sorgere della responsabilità del cessionario.

Ora, è vero che il requisito dell’iscrizione del debito nei libri contabili è volto ad evitare che il trasferimento d’azienda divenga un’operazione aleatoria, in cui l’acquirente possa trovarsi a proprio carico passività ignote[26], tuttavia è altrettanto vero che, a seguito di tale operazione, i creditori subiscono il depauperamento del patrimonio aziendale, senza poter agire contro il cessionario, anche quando questi era di fatto al corrente del debito, salvo chiaramente l’esercizio dell’azione revocatoria.[27]

Deve anche esser precisato che i libri contabili non sono documenti pubblici ai quali i terzi hanno accesso, a differenza del contratto di trasferimento d’azienda, che deve essere iscritto nel registro delle imprese ai sensi e per gli effetti dell’art. 2556 c.c..

Ma il contratto di cessione potenzialmente potrebbe indicare quali debiti passano all’acquirente e secondo la legge, non può essere invocato dai terzi per dimostrare la corresponsabilità del cessionario, non trattandosi di “libro contabile obbligatorio”. Di conseguenza il creditore, per accertare l’effettiva annotazione di tali poste negative alla voce “debiti”[28], dovrà necessariamente analizzare il libro giornale, l’inventario e il bilancio dell’azienda.

Per reperire le predette scritture contabili, tuttavia, il creditore ha l’onere di agire in giudizio chiedendo un ordine di esibizione ex artt. 210 e 212 c.p.c. ed anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2711 c.c..

Tale richiesta, peraltro, verrà effettuata “al buio”, con il rischio di tramutarsi in contraccolpo per il creditore, a questo si aggiunge che la parte può rifiutarsi di esibire le scritture, senza che sia previsto un mezzo di coercizione.

In tal caso il creditore non ricava automaticamente la prova a suo favore, in quanto - anche sulla scorta del secondo comma dell’art. 118 c.p.c. – l’inosservanza dell’ordine costituisce comportamento liberamente valutabile dal giudice.

Ma vi è di più: se  - come da più parti è stato affermato -  le scritture contabili rientrano tra i beni oggetto del trasferimento d’azienda[29], le stesse dovrebbero essere nella disponibilità del cessionario e non più del cedente, per cui occorre porre attenzione nell’individuare il destinatario dell’ordine di esibizione. Pertanto, la relativa istanza al giudice deve contenere l’offerta della dimostrazione che la parte o il terzo possiede tali documenti, ben potendo il cessionario difendersi sostenendo una mancata consegna delle scritture contabili[30].

2. Il valore probatorio delle scritture contabili

La tenuta di un’ordinata contabilità e della documentazione relativa all’attività svolta è un presupposto intrinseco di ogni attività economica: senza un’adeguata rappresentazione dei diversi atti in cui si articola l’attività d’impresa è difficile immaginare una gestione efficace ed efficiente della stessa.

Per tali ragioni, è nello stesso interesse dell’imprenditore istituire un apparato amministrativo che gli consenta di conoscere in modo veloce e affidabile la situazione della propria contabilità.

L’esistenza di un’ordinata contabilità serve, tuttavia, anche a proteggere interessi ulteriori rispetto a quelli del solo imprenditore. Va chiarito che la contabilità va sì tenuta, ma nella vita fisiologica dell’impresa rimane riservata ed a stretto uso dell’imprenditore. Da ciò discende che il fondamento dell’obbligo consiste nell’esigenza, in caso di dissesto dell’impresa, di ricostruire a posteriori cause della crisi ed eventuali beneficiari di atti di distrazione. Tanto che la mancata o disordinata tenuta della contabilità assurge in caso di fallimento a fattispecie di rilevanza penale.[31]

E’ bene ricordare che le  scritture contabili sono obbligatorie solo per i soggetti tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese, tra le  scritture obbligatorie ricordiamo: 

  • Il libro giornale;
  • Il libro degli inventari;
  • Le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.
  • Infine, devono essere conservati ordinatamente per ciascuno affare gli originali delle lettere e delle fatture ricevute.[32]

Tali scritture sono assai rilevanti - a maggior conto nel caso di cessione di azienda e di debiti ceduti - poiché il libro giornale fornisce tutte le operazioni (attive e passive) relative all’impresa. Ha, quindi, carattere analitico e va aggiornato tempestivamente.

Ma, se nel libro giornale si trova tutta l’attività svolta, nel libro degli inventari si trovano una sorta di ‘fotografia’ dello stato dell’impresa. L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite dell’impresa.

Orbene, deve essere evidenziato come le scritture contabili possono essere utilizzate come mezzo di prova sia a favore che contro l’imprenditore che le ha tenute.

Fanno sempre prova contro l’imprenditore, anche se non regolarmente tenute. Ma chi vuole utilizzarle a proprio favore non può scinderne il contenuto (per esempio utilizzando solo la pagina in cui è registrato il debito e non quella in cui è annotato il pagamento).

L’art. 2711 c.c., al fine di rispettare il diritto dell’imprenditore alla riservatezza della propria documentazione contabile, prevede che il giudice - d’ufficio o su richiesta di parte - possa disporre solo l’esibizione delle singole scritture.

Fanno, invece, prova a favore le scritture contabili soltanto nei seguenti casi quando: a) vengano regolarmente tenute; b) che la lite sia contro l’imprenditore; c) che la controversia concerna rapporti inerenti all’esercizio di impresa.

Appare evidente come, nella pronuncia in esame, la Corte abbia ribadito che l’iscrizione del credito nei libri contabili obbligatori sia condizione indefettibile per il soddisfacimento dello stesso, iscrizione del credito che deve apparire chiara e riconducibile al creditore che ne stia chiedendo il soddisfacimento.

La Corte ha avuto modo anche di chiarire come tale iscrizione debba risultare in modo specifico e chiaro dalle scritture contabili e nel caso in cui queste siano “parziali e carenti nell’indicazione del soggetto titolare del credito” questa specificità vada esclusa.[33]

Il principio espresso appare coerente con quanto fin qui esposto. La norma di cui all’art. 2560 c.c., infatti, tutela, sì, il creditore, ma anche il cessionario, il quale, al momento dell’acquisto dell’azienda, deve avere adeguata cognizione dei crediti e dei debiti che si sta assumendo in virtù dell’acquisto.

Proprio per tale motivo, la Corte aveva rigettato il motivo del ricorso inerente la falsa ed errata applicazione del secondo comma dell’art. 2560 c.c.

Ma vi è di più: veniva specificato come la norma non preveda l’integrazione delle scritture attraverso elementi esterni di riscontro, poiché sul punto il codice non ammette nessuna deroga. Diversamente, si configurerebbe, infatti, l’inosservanza del precetto normativo.

Rimane, infine, da esaminare l’ipotesi in cui, non esistano i libri obbligatori.

In questo caso la norma di cui al secondo dell’art. 2560 c.c. evidentemente non potrà trovare applicazione, con conseguente inesistenza di qualsivoglia responsabilità in capo all’acquirente dell’azienda.[34]

L’esigenza di favorire la circolazione delle aziende ha indotto a ribadire la natura eccezionale del secondo comma dell’art. 2560 e quindi l’inesistenza di responsabilità in capo all’acquirente, qualora manchi l’iscrizione in contabilità di debiti pur esistenti anche se conosciuti o conoscibili.

Se peraltro questi debiti risultano comunque dalle scritture contabili obbligatorie, ancorché queste siano state tenute irregolarmente sotto il profilo formale, degli stessi sarà tenuto a rispondere anche l’acquirente. [35]

Come fin qua esposto, quindi, l’iscrizione nei libri contabili obbligatori dell’azienda è dunque elemento costitutivo essenziale della responsabilità dell’acquirente, e, di conseguenza, tali libri devono essere messi a disposizione dell’acquirente, spettando al creditore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’esistenza delle scritture.

Da ciò discende che cedente e cessionario sono sì responsabili solidalmente nei confronti dei terzi creditori dell’azienda ceduta (art. 2560 e 2740 c.c.), anche l’effetto dell’accollo operante ipso iure avviene soltanto per quei debiti che risultino dai libri obbligatori.

Tale principio vale a maggior conto, qualora si trasferisca solo una parte dell’azienda, tanto che la responsabilità del cessionario non potrà che essere limitata a quei debiti che, sulla base dei libri contabili obbligatori, risultano riferirsi al ramo d’azienda della cessione.[36]

Essendo la tesi maggioritaria della giurisprudenza orientata verso il c.d. ‘transito’ dei debiti in capo al cessionario in forza dell’obbligazione solidale del cedente quale funzione di garanzia[37] appare utile ricordare come il Supremo Consesso abbia ritenuto, invero, decisivi i libri contabili obbligatori, in considerazione del fatto che l’art. 2214 cod. civ. obbliga l’imprenditore a tenere, oltre al libro giornale e degli inventari, le scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa.

Perciò è stato osservato che “dovendo i libri contabili adeguarsi alla natura e alle dimensioni dell'impresa ed essendo rimesso tale adeguamento all'apprezzamento discrezionale dell'imprenditore, non è possibile una distinzione tra libri facoltativi e libri obbligatori” [39].

In quest’ottica va considerato che anche la tenuta dei registri Iva - e in particolare quella del registro degli acquisti - è obbligatoria per legge.

In più l’imprenditore deve conservare per ciascun affare gli originali delle lettere e delle fatture ricevute (art. 2214 comma 2, c.c.). Senza dimenticare però che in giudizio egli può rifiutarsi di esibire anche questi documenti.

In conclusione, la rigida e astratta impostazione giurisprudenziale rischia di negare qualsiasi spazio operativo pure al secondo dell’art. 2560. Per evitare ciò le possibilità sono due: o si ammette che il cessionario d’azienda possa rispondere dei debiti, quando la controparte dimostri, con qualsiasi mezzo istruttorio, che ne aveva conoscenza; oppure si afferma automaticamente la sua responsabilità tutte le volte che egli non esibisce le scritture contabili. E questa sembra la tesi da seguire, essendo fedele al dato normativo che fa riferimento alle risultanze contabili.[40]

Se poi il cessionario asserisce che la contabilità non gli è stata consegnata, la sua giustificazione potrà valere solo se dimostri di averla pretesa al momento della cessione, rientrando ciò nei suoi obblighi di imprenditore avveduto in relazione alla sua responsabilità ex art. 2560, comma 2, c.c..

2.1 La regolare tenuta delle scritture contabili ai fini della responsabilità del cessionario per i debiti aziendali non può essere integrata mediante ricorso ad elementi esterni di riscontro

È controverso se l’espressione “vi hanno consentito” vada riferita alla  liberazione dell’alienante ovvero al trasferimento dell’azienda, e dunque se il consenso dei creditori debba avere ad oggetto specificatamente la prima[41] o genericamente il secondo.[42]

Nella direzione della tesi che esclude il trasferimento automatico dei debiti all’acquirente, è stata accolta la seconda soluzione, per il caso che il negozio traslativo dell’azienda contenga un patto espresso di accollo, affermandosi però che ove, al contrario, tale patto non sussista, il consenso dei creditori dovrebbe riguardare specificatamente la liberazione dell’alienante[43].

In caso di cessione di azienda, l’iscrizione, nei libri contabili obbligatori, dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, è elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente dell'azienda e non può essere surrogata dalla prova che l’esistenza dei debiti era comunque conosciuta da parte dell'acquirente medesimo.

Pertanto, chi voglia far valere i corrispondenti crediti contro l’acquirente dell’azienda ha l’onere di provare fra gli elementi costitutivi del proprio diritto anche detta iscrizione.

Agli effetti dell’art. 2560, comma 2, richiede come elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio della azienda trasferita, la risultanza di detti debiti dai libri contabili obbligatori.

L’obbligatorietà prevista dagli artt. 25 e 39 d.P.R. n. 633/1972 della tenuta del registro degli acquisti non costituisce da sola elemento sufficiente per ritenere sussistente una completa equiparazione dei libri e dei registri I.V.A., ai libri contabili obbligatori previsti dal c.c. all’art. 2214, cui si riferisce l’art. 2560, poiché, mentre l’efficacia probatoria di questi ultimi deriva espressamente dalla normativa codicistica  - artt. 2709 e 2710 - ed attiene ai rapporti di debito e credito inerenti all’esercizio dell'impresa, i registri I.V.A. non hanno alcuna rilevanza probatoria nei rapporti di debito e di credito registrati, ma svolgono solo una funzione di documentazione ai fini del debito fiscale e sono diretti da un lato a consentire al contribuente l’esatto versamento dell’imposta e, dall’altro, a permettere il controllo degli uffici .

In realtà, l’applicabilità del secondo comma presuppone che l’impresa dell’alienante sia una impresa commerciale, mentre è irrilevante se sia o non sia commerciale l'impresa che intende esercitare l’acquirente.

La norma non è derogabile dalle parti, essendo poste a tutela dei terzi, e richiede che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori. Si ritiene, inoltre, che la responsabilità dell’acquirente sussista, anche se i libri erano tenuti irregolarmente, quando si tratti di irregolarità formali.[44]

L’acquirente invece non risponde se l’irregolarità è sostanziale, per i debiti cioè che, pur esistenti, non erano stati iscritti nei libri.

2.2 Il principio di completezza ed integrità delle scritture contabili di cui all’art. 2560, 2° comma, ai fini del sorgere della responsabilità del cessionario secondo la sentenza n. 32134/2019

Con la pronuncia del 10 dicembre 2019, n. 32134, la Suprema Corte di Cassazione ha offerto una interpretazione dell’art. 2560, secondo comma, in tema di trasferimento di azienda e responsabilità dei debiti del cessionario tale da garantire una maggiore tutela del creditore.

La Corte, pur ribadendo la tutela del terzo creditore ha, altresì, chiarito che nel caso in cui emerga, dal quadro probatorio, un utilizzo della cessione con finalità strumentali all’esclusione della responsabilità del cessionario tale evento si dimostra in palese contrasto con la ratio della norma.[45]

Il legislatore ha disciplinato la sorte dei crediti, dei debiti e dei contratti inerenti all’azienda, ceduta in proprietà o in godimento, con norme che prendono in considerazione, più che i rapporti interni tra cedente e cessionario, i rapporti esterni del cedente e del cessionario con i terzi.

In tale prospettiva, peraltro, si inquadra la previsione dell’art. 2558 c.c. sull’obbligo di non concorrenza, come effetto naturale del contratto di cessione, statuizione in virtù della quale chi aliena un’azienda deve astenersi dall’iniziare una nuova impresa che, per oggetto, ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela traendola in inganno sull’effettiva titolarità dell'impresa.[46]

Per quanto riguarda le poste attive di tipo creditorio, l’art. 2559 c.c. prevede che la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore, abbiano effetto nei confronti dei terzi dal momento della iscrizione nel registro delle imprese del trasferimento dell'azienda.

In realtà è dubbio se tale trasferimento sia automatico o necessiti di apposita pattuizione.

L’art. 2560 c.c., al comma 1, stabilisce che l’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’azienda ceduta, se i creditori non vi hanno consentito, secondo una regola che discende dal comune diritto dei contratti.

Al secondo comma si stabilisce, invece, la responsabilità solidale dell’acquirente con l’alienante, a condizione che si tratti di azienda utilizzata per l’impresa commerciale e che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori.

La regola è fissata, secondo quanto previsto in precedenza, per dare certezza al rapporto coi terzi.

Nulla viene previsto per quanto riguarda il rapporto tra cedente e cessionario, ma la questione è di norma risolta in via pattizia nei contratti di trasferimento. In assenza di apposita pattuizione, peraltro, in giurisprudenza si nega l’accollo dei debiti da parte dell'acquirente, non mancando, peraltro, come già detto voci contrarie sul punto.

La vicenda alla base della pronuncia sopra accennata riguarda uno specifico momento della sorte dei debiti in caso di trasferimento di azienda, ossia la risultanza o meno dei debiti nelle scritture contabili e, quindi, la solidarietà del cessionario per i suddetti debiti. La corte territoriale, la cui pronuncia è stata cassata dal Supremo Collegio, ha, infatti, seguito un’interpretazione letterale dell’art. 2560, comma 2, c.c., stabilendo che l’iscrizione del debito nelle scritture contabili rappresenta l’elemento costitutivo del sorgere della responsabilità del cessionario: elemento che non può essere surrogato da altri strumenti probatori, stante l’eccezionalità della disposizione rispetto ai principi di diritto comune.[47]

Diversamente, una parte della giurisprudenza, alla quale aderisce la pronuncia in esame, assume un atteggiamento meno rigoroso nell’interpretazione del secondo comma dell’art. 2560 c.c., affermando, ad esempio, la necessità di coniugare il dato normativo con la ratio della disposizione, per evitare che la statuizione stessa sia applicata in senso contrario rispetto all’interesse tutelato, ossia quello dei creditori.

In tale prospettiva, si ritiene possibile giungere ad una soluzione come quella indicata nella massima secondo la quale è necessario garantire una tutela del creditore, qualora emerga un quadro probatorio volto ad eludere la norma.

Tale pronuncia sembra voler superare il rigore della necessaria iscrizione del debito nelle scritture contabili ai fini dall’applicazione del principio solidaristico e di garanzia del cessionario verso il creditore, qualora e solo quando il fine della cessione nasconda un intento fraudolento di escludere la responsabilità del cessionario.

Interessante appare, dopo aver esaminato con attenzione la disciplina dei debiti di cui all’art. 2560 c.c., fare un breve e sintetico raffronto con quanto previsto dall’art. 2112 c.c. in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda.[48]

In particolar modo, appaiono qui di interesse il primo ed il secondo comma della disposizione sopra integralmente riportata che, come visto, dispongono sia la continuazione del rapporto di lavoro, con tutti i diritti che ad esso ineriscono e che ne derivano, sia la solidarietà in capo a cedente e cessionario in relazione a tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento e che, inoltre, la liberazione da tale vincolo di solidarietà avvenga attraverso una specifica procedura di conciliazione che è quella degli artt. 410 e 411 c.p.c..

Per quanto detto sopra, appaiono evidenti le differenze e le somiglianze delle due disposizioni.

Al di là del campo applicativo, con tutta evidenza estremamente differente, l’art. 2560 cc si riferisce a debiti “generici”, mentre il 2112 cc si riferisce ai debiti nei confronti dei lavoratori. In entrambi i casi, in merito ai debiti medesimi, viene disposto un vincolo di solidarietà che non appare inficiare la posizione di debitore sostanziale del cedente.[49]

Di conseguenza, anche in questo caso, senza uno specifico ed esplicito accollo da parte del cessionario, il cedente rimane vincolato nei confronti del primo e, dall’altro, la permanenza di tale vincolo fa sì che  il cessionario abbia sempre la possibilità di agire in rivalsa nei confronti del cedente.

Differente è, invece, il modo in cui il creditore/lavoratore può liberare il cedente dal suo obbligo nei propri confronti.[50]

Il legislatore considerata la posizione di maggior debolezza da parte del lavoratore. Per evitare pressioni e sperequazioni ha disposto che la liberazione dal predetto vincolo avvenga attraverso una specifica procedura volta a tutelare la parte debole lavoratore.

Altresì, è differente la norma in merito ai presupposti con i quali il lavoratore può far valere i propri crediti nei confronti del cessionario.

Ebbene, il lavoratore potrà chiedere il pagamento dei propri crediti senza che gli stessi debbano risultare da alcuna scrittura contabile.[51]

Sotto tale profilo, l’accertamento del credito asserito dal lavoratore, ove si instaurasse una controversia giudiziaria, può avvenire attraverso qualsiasi elemento di prova liberamente apprezzabile dal giudice, elementi probatori che potranno anche essere radicalmente diversi a seconda delle circostanze e dei presupposti posti alla base del credito vantato (ad esempio, in caso di credito derivante dall’espletamento di mansioni superiori, occorrerà dimostrare di aver svolto dette mansioni superiori e tal dimostrazione potrà avvenire mediante testimonianze, documenti, anche, ovviamente, scritture contabili, etc. etc.).

3. Conclusioni    

L’analisi fin qui condotta ha tentato di chiarire la dinamica del trasferimento dei debiti aziendali e, in particolar modo, della responsabilità del cessionario e del cedente verso i terzi creditori.

Orbene, la disciplina del trasferimento dei debiti aziendali ha rilevato alcuni aspetti critici, soprattutto con riferimento a quei debiti che non risultino chiaramente dalle scritture contabili obbligatorie o che non prevedano un espresso patto di accollo da parte del cessionario.

L’automatismo della responsabilità del soddisfacimento del credito da parte del solo cessionario, infatti, non appare praticabile, poiché, a buon conto della ratio della normativa esaminata e della costante giurisprudenza, appare evidente come sussista piuttosto un regime di solidarietà tra cedente e cessionario per i debiti d’impresa.

La giurisprudenza di legittimità ha consacrato il rigore della norma di cui al secondo comma dell’art. 2560 c.c., secondo il quale “L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda se essi risultano dai libri contabili obbligatori.”

La sentenza in commento ha chiarito come:

“In tema di cessione d’azienda, la disposizione di cui all’art. 2560, 2º comma, c.c., secondo cui l’acquirente risponde dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta soltanto se essi risultino dai libri contabili, è dettata non solo dall’esigenza di tutelare í terzi creditori, già contraenti con l’impresa e peraltro sufficientemente garantiti pure dalla norma di cui al 1 comma del medesimo art. 2560 c.c., ma anche da quella di consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti, specificità che va esclusa nell’ipotesi in cui i dati riportati nelle scritture contabili siano parziali e carenti nell’indicazione del soggetto titolare del credito, non potendosi in alcun modo integrare un’annotazione generica delle operazioni mediante ricorso ad elementi esterni di riscontro.”[52]

Da tale arresto della Corte appare evidente che presupposto indefettibile per il riconoscimento del credito siano le annotazioni presenti nei libri contabili, ma vi è di più: il credito deve evincersi in modo chiaro e netto da tali scritture obbligatorie, senza alcun riscontro di elementi esterni. Ciò a tutela del cessionario il quale, al momento dell’acquisto, deve esser messo nelle condizioni di avere piena contezza del patrimonio dell’azienda acquistata.

Tale evidenza è in linea con quanto stabilito dagli artt. 2709 c.c. e ss. e con il regime dell’efficacia probatoria delle scritture contabili obbligatorie delle imprese soggette a registrazione.

In tale prospettiva si inquadra, altresì, il secondo comma dell’art. 2560 c.c. che appare, una norma del duplice aspetto che tutela da un lato il creditore e dall’altro il cessionario.

La norma si applica ai cd. debiti puri, cioè a quelli aventi anche fonte extracontrattuale, nonché a quelli nascenti da contratti con prestazioni a carico del solo alienante dell'azienda e, infine, a quelli scaturenti da contratti bilaterali, qualora il terzo contraente abbia già compiutamente eseguito la propria prestazione.

La ratio della norma, in particolare del suo secondo comma, viene generalmente individuata nell’esigenza di tutelare il terzo creditore, di fronte ad un fatto - il trasferimento dell'azienda -, che priva l’originario debitore della componente principale del suo patrimonio.

La responsabilità dell'acquirente, secondo la giurisprudenza prevalente e più condivisibile, integra una ipotesi di accollo ex lege. In realtà, l’applicabilità del secondo comma presuppone che l'impresa dell'alienante fosse una impresa commerciale, mentre è irrilevante se sia o non sia commerciale l'impresa che intende esercitare l'acquirente.

La norma peraltro non è derogabile dalle parti essendo posta a tutela dei terzi.

Si ritiene, in particolare, che la responsabilità dell’acquirente sussista anche se i libri erano tenuti irregolarmente, quando si tratti di irregolarità formali. L’acquirente non risponde, invece, se l’irregolarità è sostanziale, per i debiti cioè che, pur esistenti, non erano stati iscritti nei libri contabili e che, di conseguenza, non erano dal predetto conoscibili.

In conclusione, e per quanto sopra esposto, bene ha fatto la Corte a evidenziare l’importanza del soddisfacimento del credito solo in ragione del fatto che esso risulti dai libri contabili. Ciò al fine di tutelare non solo i terzi creditori ma anche il cessionario che a quel punto avrebbe pagato due volte il debito: al momento dell’acquisto (facendo riferimento all’intero patrimonio attivo e passivo aziendale) e successivamente in sede giudiziaria.

Nel caso de quo, le scritture erano carenti di un elemento assai rilevante, ovvero l’indicazione del soggetto a cui il credito stesso fosse riferibile.

L’annotazione, infatti, risultava generica e sul punto l’art. 2560, secondo comma, del Codice civile non prevede alcuna possibilità di integrazione con elementi esterni di riscontro.


Note e riferimenti bibliografici

[1] M. CIAN, Diritto commerciale, i, Torino, ed. Giappichelli, 2014, p. 15

[2] G.E. COLOMBO, L’Azienda e il suo trasferimento, in Tratt. Galgano, III, L’azienda e il mercato, Padova, 1979, 19 ss.

[3] P. GOBIO CASALE, Debiti e contratti nel trasferimento d’azienda, in Giurisprudenza commerciale, fasc.5, 2015, p.840

[4] G.E. COLOMBO, L’Azienda e il suo trasferimento, in Tratt. Galgano, III, L’azienda e il mercato, Padova, 1979, 19 ss.

[5] F. FERRARA,  Gli imprenditori e le società, ed. Giuffrè 2006, p. 149

[6] C. FERRENTINO, A. FERRUCCI,  Dell'azienda. Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, ed. Giuffrè 2006, p. 14

[7] G.E.COLOMBO op. cit.

[8] G.E. COLOMBO, L’azienda e  il mercato, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia diretto da Galgano, ed. CEDAM,2012, p.136

[9] G. RACUGNO, in Giurisprudenza commerciale, 2013, II, p. 997

[10] F. MARTORANO, Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, ed. Giappichelli, 2014 p.114 Cfr. L. STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, In Fallimento, 2013, X, p. 1237 ss.

[12] G. AULETTA,  Trasferimento dell'azienda e trasferimento dei crediti e dei debiti di impresa tra le parti, ora, in Scritti giuridici, VII, Milano, 2001, p.325

[13] G. AULETTA, op. cit. p. 23

[14] Per F. MARTORANO si tratta di una solidarietà cd. diseguale “che ricorre laddove al soggetto nel cui esclusivo interesse è contratta l'obbligazione, si affianca un altro soggetto in funzione (lato sensu) di garante” così in Martorano, F., op. cit. p.217 , nt.10

[15] Si veda in tal senso Cass., 2.10.1980, n. 5341; Cass., 15.2.1979, n. 1001; Cass., 22.1.1972, n. 171; contra, Cass., 11.5.1976, n. 1633.

[16] P.CENDODON, Commentario al codice civile, art. 2560 c.c, p.105

[17] M.FRATINI, Codice sistematico di diritto civile, ed. DIKE 2017, p. 1183

[18] G.E. COLOMBO, L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, Padova, 2012, p. 159

[19] G. ALPA – R. GAROFOLI, Manuale di diritto civile, ed. neldiritto, 2009, p. 1077

[20] Così Cass. civ. Sez. I, 03 ottobre 2011, n. 20153

[21] P. CENDON, Commentario a codice civile artt. 2555-2594, ed. Giuffrè, 2012, p.104

[22] Cassazione civile sez. II, 21 dicembre 2012 n. 23828

[23] Cfr. Cassazione civile, 20 giugno 199, n. 673, in Mass.giur.it., 1998.

[24] G.RACUGNO, Debiti e scritture contabili nel trasferimento d’azienda, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 2, 2013, p.1006

[25] Così Cassazione civile del 3 marzo 1994, n. 2108, in www.plurisonline.it

[26] G.RACUGNO, Debiti e scritture contabili nel trasferimento d’azienda, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 2, 2013, p.997

[27] Cfr. Cassazione civile del 10 novembre 2010, n.22831, in CED Cassazione, 2010.

[28] Cfr. Trib. di Cagliari, 18 dicembre 1998, in Giur. It. 1999, p.1242 precisa anche che se pure l’art. 2560c.c. prevede una responsabilità solidale del cessionario “il debito caratterizzato dalla solidarietà, secondo le regole contabili, deve d’altra parte essere sempre contabilizzato attraverso la sua normale iscrizione, per intero tra le voci del passivo”.

[29] A. MIGLIETTA, Elementi di bilancio e finanza aziendale per giuristi,  CEDAM, 2011, p.14

[30] Cfr. Cassazione civile del 9 marzo 2006, n.5123 nt. 15

[31]  M. CAMPOBASSO, Corso di diritto commerciale, ed. Zanichelli, 2013 p.43

[32] U. MINNECI, Trasferimento di azienda e regime dei debiti, ed. Giappichelli, 2007, p. 160

[33] P.G. CASALE,  Debiti e contratti nel trasferimento di azienda, in Giurisprudenza commerciale, fasc.5, 2016, p.843

[34] Cfr. Cass. Civile del 29.5.1972, n. 1726

[35] G.E. COLOMBO, L’azienda e  il mercato, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia diretto da Galgano, ed. CEDAM,2012, p.147

[36] Ibidem

[37] G.E. Colombo, Il bilancio d’esercizio, in Tratt. Colombo-Portale, 7, t. 1, Torino, 1994, p.378

[38] Ibidem

[39] G.B. FERRI, Manuale di diritto commerciale, ED. UTET 2017, p.78

[40] F. GALGANO, Diritto civile e commerciale III, ed. CEDAM, 2014, p.95

[41] F. MARTORANO, Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, ed. Giappichelli, 2014 p.228

[42] G. AULETTA,  Trasferimento dell'azienda e trasferimento dei crediti e dei debiti di impresa tra le parti, ora, in Scritti giuridici, VII, Milano, 2001, p.66

[43] Cfr. Cass. n. 19454/2004

[44] G.E. COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, in Tratt. Colombo-Portale, 7, t. 1, Torino, 1994, p.173

[45] G. TARANTINO, in Diritto & Giustizia, fasc. 225, 2019, p.7

[46] A. LUMINOSO, La vendita, in Trattato di diritto commerciale , diretto da Buonocore, ed. Giappichelli, 2010, p. 158

[47] R. TOMMASINI, Contributo alla teoria dell'azienda come oggetto di diritti. Azienda e proprietà, ed. Giuffre,  2012, p.105

[48] D. BALDUCCI, Cessione e conferimento d’azienda, ed. FAG, 2007, p. 139 ss.

[49] A. CAIAFA, Le legge fallimentare riformata e corretta, ed. CEDAM, 2008, p.593 e ss. .

[50] G.F. CAMPOBASSO, diritto commerciale I, ed. UTET, 2013, p. 157

[51] F. MARTORANO,l’azienda in Tratt, Buonocore, Torino, 2015, p. 220 ss.

[52] Cassazione civ. Sez.II, del 21-2-2012 n.23828