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Pubbl. Ven, 21 Ago 2020

La bancassicurazione nella giurisprudenza interna e sovranazionale.

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Vincenzina Dima



Il presente contributo analizza il fenomeno della bancassicurazione, con particolare riguardo agli approdi giurisprudenziali sul tema, soffermandosi in particolare sulle conclusioni ermeneutiche della giurisprudenza di legittimità, con riguardo all´influenza del diritto eurounitario e della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo sugli orientamenti più recenti del giudice di merito.


ENG The paper analyzes the most important judgments about bancassurance. In particular, this text concerns the different approaches of the Italian Court of Cassation and of the Court of Justice of the European Union, whose legal interpretation has been shared by the Italian trial judge.

Sommario: 1. Premessa; 2. Origine del contenzioso; 3. L’orientamento più risalente della Corte di cassazione; 4. L’orientamento più recente della Corte di cassazione: la sentenza n. 6319 del 2019; 5. Il giudice di merito supera l’orientamento della Cassazione; 6. Conclusioni.

1. Premessa

La bancassicurazione costituisce uno strumento contrattuale ibrido che, negli ultimi tempi, ha conosciuto una forte crescita.

Con questo termine, ci si riferisce alla creazione e vendita di prodotti che coniugano caratteristiche di assicurazione e di investimento.

Si tratta di polizze vita in cui i premi assicurativi sono convogliati in un Fondo Interno Assicurativo (FIA) per essere investiti secondo delle linee-guida prefissate. Spesso il rendimento del FIA è semplicemente collegato a uno o più indici azionari, nelle polizze chiamate index linked.

Il fenomeno consiste, dunque, nella possibilità, da parte dei clienti, di sottoscrivere un prodotto assicurativo direttamente presso uno sportello bancario, a seguito di accordi commerciali di distribuzione di tali prodotti tra una banca e una compagnia di assicurazione. Questa forma di investimento ha preso sempre più piede negli ultimi anni, proprio grazie alla creazione di apposite joint ventures[1] tra banche e compagnie di assicurazione.

2. Origine del contenzioso

Come anticipato, il fenomeno della bancassurance riguarda le polizze assicurative, in specie le polizze c.d. linked.

Il contenzioso scaturito dalla conclusione di tale tipologia contrattuale ha dato luogo ad interessanti pronunce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale.

Il fulcro della discussione attiene alla qualificazione dei contratti in argomento come prodotti assicurativi, ovvero quali prodotti finanziari. Da questa operazione discendono, infatti, importanti conseguenze in punto di disciplina applicabile. Se nel primo caso troveranno applicazione le norme del codice civile e del codice delle assicurazioni private, nella seconda ipotesi si applicherà il d.lgs. 58/1998 (Testo unico dell’intermediazione finanziaria).

Inoltre, alle polizze unit linked spettano una serie di benefici sia in termini di impignorabilità delle somme dovute dall’assicuratore ex art. 1923 c.c., che in termini di vantaggi fiscali, costituiti dall’esenzione dalle imposte di successione (ex art. 12 comma 1 lett. c del D. Lgs. 346/90) e dallo spostamento della tassazione al momento del riscatto totale o parziale della polizza.

La riqualificazione delle suddette polizze in prodotti finanziari con causa speculativa piuttosto che previdenziale comporta, quindi, oltre alle conseguenze in punto di disciplina anzidette, anche ripercussioni di tipo fiscale.

La disciplina contenuta nel testo unico citato richiede il rispetto della forma scritta, a pena di nullità, per la conclusione del contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, ed impone l’osservanza di specifiche norme di comportamento degli intermediari finanziari, concernenti, in specie, obblighi di adeguata informazione dei clienti. Il mancato rispetto di queste prescrizioni implica, da una parte, la nullità del contratto che non sia sorretto da forma scritta, dall’altra, l’obbligo di risarcire il danno patito dal risparmiatore, a causa dell’inosservanza delle regole di condotta.[2]

Preso atto del fenomeno di bancassurance, già dal 2005, l’ISVAP[3]  ha esteso a tali prodotti le garanzie di informazione e trasparenza a tutela dell’assicurato. Si tratta di garanzie sostanzialmente equivalenti a quelle previste dai regolamenti CONSOB per gli strumenti finanziari.

3. L’orientamento più risalente della Corte di cassazione

In merito alla natura della bancaassicurazione, con particolare riguardo alle polizze unit linked, si è espressa la giurisprudenza di legittimità.

Muovendo dalla speciale regolamentazione della bancassurance, a seguito delle misure prese dalla autorità di regolazione, gli ermellini hanno definito il contratto assicurativo unit linked come contratto di assicurazione le cui prestazioni sono direttamente collegate a indici ovvero al valore di attivi contenuti in un fondo interno, o alle quote del valore di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio).

In questa tipologia di contratti, la prestazione a carico dell’assicuratore non è prefissata all’atto della stipulazione, ma dipende da un parametro costituito dal fondo di investimento in cui confluisce il pagamento del premio.

La prima, importante sentenza sul punto è la pronuncia della Corte di cassazione n. 6061 del 2012. Nel caso di specie, il soggetto assicurato citava in giudizio l’impresa di assicurazioni emittente, la banca intermediaria ed il promotore finanziario, perché, in via principale, fosse annullata, per propria incapacità naturale, la polizza vita del tipo unit linked sottoscritta nell’anno 2000; in via subordinata, fosse dichiarata nulla la proposta di polizza per violazione del reg. CONSOB n. 11522/98; in ulteriore subordine, i convenuti fossero condannati al risarcimento del danno per somma corrispondente a quella persa a seguito del riscatto della polizza.

Il Tribunale respingeva tutte le domande, sul presupposto che, ai sensi dell'art. 1444 c.c., il riscatto della polizza equivaleva a convalida del contratto e che gli unit linked erano da considerarsi strumenti assicurativi, ai quali solo la circolare ISVAP n. 551/05 aveva esteso le garanzie di trasparenza imposte per gli strumenti finanziari.

L’assicurato proponeva appello. La Corte accoglieva il gravame, ammettendo la violazione degli obblighi di raccolta delle informazioni sull'investitore e di informativa sulle caratteristiche ed i rischi dell'investimento ed, in particolare, degli artt. 27, 28, 29, 36 e 96 del reg. Consob n. 11522/98 di attuazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, argomentando a riguardo che: al contratto in questione doveva applicarsi la medesima disciplina del citato decreto, allora vigente per gli strumenti finanziari; nella specie, non era stata effettuata la c.d. "profilatura" dell'investitore e s'era, dunque, verificata un'ipotesi di responsabilità precontrattuale.

Le parti soccombenti proponevano quindi ricorso per cassazione.

In particolare, premesso che il contratto in questione era stato stipulato nell’agosto del 2000, la banca lamentava la violazione e falsa applicazione del T.U.F., artt. 21, 23, 30, 31 e 100, degli artt. 28 e 29 del Reg. Consob n. 1152298, del D.Lgs. n. 174 del 1995, artt. 30, 109, all. I, delle circolari Isvap nn. 71/87 e 317/98, dell'art. 1337 c.c., ed art. 11 preleggi.

La banca sosteneva di aver rispettato gli obblighi al tempo previsti dalla legge, dai regolamenti Consob e dalle circolari Isvap,  in fase di collocamento di siffatta polizza. In specie, l’obbligo consistente nella consegna della nota informativa, nella quale venivano indicati l’elevato grado di rischio e la prevalenza della componente azionaria.

La banca aggiungeva, inoltre, che, all’epoca, le polizze unit linked, erano considerate prodotti assicurativi e non strumenti finanziari, ed erano espressamente escluse dall'applicabilità del TUF.

Sulla base di tali rilievi critici, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto applicabili al contratto in esame disposizioni normative la cui fattispecie è del tutto diversa. La Corte d’appello avrebbe posto in essere un’arbitraria applicazione retroattiva di norme introdotte solo successivamente.

La banca censurava poi la pronuncia d’appello nella parte in cui avrebbe omesso di valutare il “rischio demografico” in capo alla compagnia. In particolare, pur considerando esistente la componente finanziaria nella polizza unit linked, questa manterrebbe il carattere fondamentale, che è quello di assicurare al beneficiario un certo trattamento economico, sia pure con la valorizzazione delle quote di fondo risultanti in occasione dell'evento morte del contraente.

In capo alla compagnia assicuratrice incombe il “rischio demografico”, inteso quale differenza tra la durata della vita del contraente e la durata media della vita, con la possibilità per il contraente in vita di esercitare una serie di opzioni (rendita annua - rendita annua e poi rendita vitalizia - rendita annua da corrispondere finché entrambi gli assicurati sino in vita, reversibile a favore del sopravvivente). Si tratta di opzioni che, appunto, esaltano tale rischio.

Ancora, la banca censurava le conclusioni del giudice di merito in ordine al profilo del cliente, alla sua esperienza come investitore, quindi alla adeguatezza delle informazioni fornitegli.

Anche la compagnia di assicurazioni proponeva censure di analogo tenore.

Nell’esaminare i motivi di ricorso, come innanzi illustrati, la Corte di cassazione parte da una premessa, considerando come la Corte territoriale abbia inquadrato la vicenda nell’ambito della fattispecie normativa della responsabilità precontrattuale di cui all'art. 1337 c.c..

I giudice del gravame avevano infatti rinviato espressamente alle conclusioni di Cass. S.U. 19 dicembre 2007, n. 26724, secondo cui, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti.

Ad avviso della Cassazione, le censure dei ricorrenti, concernenti la retroattiva applicazione della legge che ha disciplinato la materia solo in seguito alla stipula della polizza in oggetto, non sono pertinenti.

La sentenza d’appello, afferma, infatti che la fattispecie soggiace alla disciplina applicabile ai prodotti del tipo unit linked in epoca antecedente.[4]

Il collegio si è avvalso dell'ultima circolare ISVAP solo per la definizione ivi contenuta del contratto unit linked, come contratto di assicurazione sulla vita in cui le prestazioni sono direttamente collegate al valore di attivi contenuti in un fondo interno, oppure al valore delle quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio). Contratti, dunque, in cui la prestazione a carico dell'assicuratore non è predeterminata al momento della stipula ma dipende da un parametro costituito dal fondo d'investimento in cui confluisce il pagamento del premio. Aggiunge pure la sentenza che queste polizze possono assicurare una prestazione minima, o garantire il rimborso, rimborso dipendente, però, dalla solvibilità degli organismi emittenti gli strumenti finanziari cui è collegato il rendimento, oppure non garantire alcun rimborso in caso di perdita totale o parziale del capitale versato.

Tanto premesso, la Suprema Corte afferma che:

Quanto al rischio, è giuridicamente corretta l'affermazione secondo cui nel contratto d'assicurazione vita esso è assunto dall'assicuratore, il cui margine di profitto è direttamente proporzionale alla frazione di tempo intercorrente tra la stipula del contratto e l'evento della vita in esso dedotto. Nello strumento finanziario, invece, il rischio concernente la performance del prodotto è a carico dell'investitore e non dipende dal fattore tempo, bensì dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell'emittente.

Altrettanto corretta è l'affermazione secondo cui la componente di rischio rileva in senso causale solo nel contratto d'assicurazione ("L'assicurazione è il contratto col quale l'assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga... a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana", art. 1882 c.c.), mentre nel contratto d'investimento il rischio è estraneo alla causa e rientra nella normale alea contrattuale.

Ad avviso della Corte, inoltre, il tenore letterale delle clausole del contratto in questione rendeva palese la natura dello stesso quale prodotto assicurativo del tipo unit linked, in cui la prestazione a carico della società di assicurazioni è collegata al valore del fondo interno scelto dal contraente, come tale assimilabile ad un fondo comune di investimento, che non presenta alcuna garanzia di esito non negativo della gestione. L’operazione è quindi caratterizzata da un’ elevata rischiosità dipendente dal tipo di fondo scelto dal contraente tra quelli appositamente costituiti dalla stessa compagnia di assicurazioni.

Di conseguenza, doveva trovare applicazione  la normativa all'epoca vigente per i prodotti finanziari ed, in particolare, degli artt. 21 e 23 del TUF (obbligo per gli operatori di acquisire dai clienti le informazioni necessarie e di tenerli sempre adeguatamente informati; inversione dell'onere della prova, nei giudizi risarcitori, circa l'adozione della specifica diligenza prevista), nonché degli artt. 28 e 29 del Reg. Consob 11522/98 (obbligo di profilatura dell'investitore circa la sua esperienza, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi e la sua propensione al rischio; obbligo per l'intermediario di astenersi dall'effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione).

Rileva ancora la Corte che la sentenza impugnata, per dimostrare che i contratti del tipo unit linked e gli strumenti finanziari sono ormai assimilabili in punto di disciplina, fa riferimento alla legislazione entrata in vigore dopo la stipula del contratto in questione. [5] Ne deriva che tali prodotti, anche prima del 2005, non potevano essere considerati semplici prodotti assicurativi.

La Corte di cassazione conclude affermando il seguente principio di diritto:

In tema di contratto di assicurazione sulla vita stipulato prima dell'entrata in vigore della legge n. 262 del 2005 e del D.Lgs. n. 303 del 2006, nel caso in cui sia stabilito che le somme corrisposte dall'assicurato a titolo di premio vengano versate in fondi di investimento interni o esterni all'assicuratore e che alla scadenza del contratto o al verificarsi dell'evento in esso dedotto l'assicuratore sarà tenuto a corrispondere all'assicurato una somma pari al valore delle quote del fondo mobiliare al momento stesso (polizze denominate unit linked), il giudice del merito, al fine di stabilire se l'impresa emittente, l'intermediario ed il promotore abbiano violato le regole di leale comportamento previste dalla specifica normativa e dall'art. 1337 c.c., deve interpretare il contratto al fine di stabilire se esso, al di là del nomen iuris attribuitogli, sia da identificare effettivamente come polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell'esistenza dell'assicurato è assunto dall'assicuratore), oppure si concreti nell'investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio c.d. di performance sia per intero addossato sull'assicurato). Tale giudizio, in quanto rispettoso delle regole di ermeneutica contrattuale ed espresso con motivazione congrua e logica, non è sottoposto a censura in sede di legittimità.

4. L’orientamento più recente della Corte di cassazione: la sentenza n. 6319 del 2019.

Con la sentenza n. 6319 del 2019, la Cassazione torna sul tema in argomento.

Con la pronuncia da ultimo citata, la Corte ha stabilito che le polizze unit linked sono contratti a natura mista  a cui va applicata la disciplina delle assicurazioni ogniqualvolta in cui la prestazione ascrivibile al rischio assicurativo è stata effettivamente contemplata nel contratto, precisando però che la componente demografica non deve essere tale da pregiudicare l’equilibrio delle prestazioni. Tali contratti sono invece nulli nel caso in cui tale proporzione non sussista. 

In tali polizze, la parte assicurativa deve rispondere ai principi dettati dal codice civile, dal codice delle assicurazioni e dalla normativa secondaria con particolare riferimento alla ricorrenza del rischio demografico.

Secondo la Cassazione, la giusta misura della componente di rischio demografico, deve essere stabilita dal giudice di merito, tenendo conto dell’ammontare del premio versato dal contraente, dell’orizzonte temporale e della tipologia dell’investimento.

Le polizze in questione sono state oggetto anche di ulteriori pronunce, rese dai giudici di merito e dalla stessa Cassazione.

In specie, la giurisprudenza fa dipendere la natura dei diversi prodotti dal fatto che la prestazione spettante all’assicurato sia legata all’andamento dei mercati finanziari o all’incidenza del rischio demografico.[6]

La qualificazione delle polizze in esame in prodotti finanziari dipende dai rischi connessi all’investimento, che se rimangono esclusivamente a carico del contraente, comportano l’applicazione delle disposizioni in tema di intermediazione finanziaria. In questo senso si pone l’orientamento che afferma come “… al contratto a causa mista – nel caso in cui possa ravvisarsi anche una debole causa assicurativa-previdenziale – deve applicarsi la disciplina del rapporto prevalente”, con tutte le conseguenze in termini di informazione, riconoscendo al contraente il diritto al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale ex art. 1337 codice civile.[7]

Occorre però segnalare anche la tesi del Tribunale di Brescia, che con la sentenza del 13 giugno 2018, ha ricondotto le polizze di ramo III al ramo vita, affermando che l’assenza di una garanzia di restituzione del capitale non osta alla qualificazione del contratto come assicurativo.

Segnatamente, il Tribunale di Brescia ha richiamato il Regolamento (UE) n. 1286/2014 (oggi art. 1 lett. ss-bis del D.Lgs. 209/2005), in funzione del quale la natura del contratto va individuata in base al nomen che nel caso di specie era “prodotto di investimento assicurativo”.

Possiamo affermare che per valutare la legittimità delle polizze unit linked  occorre superare il nomen iuris ed indagare sul contenuto delle stesse, al fine di rilevarne l’eventuale nullità da cui com’è noto discende l’obbligo della restituzione dei premi pagati.

5. Il giudice di merito supera l’orientamento della Cassazione

Una pronuncia estremamente importante, in tema di validità delle polizze unit linked, è la sentenza della quarta Sez. Civ. del Tribunale di Bergamo, n. 2426/2019, pubblicata lo scorso 21 novembre. La pronuncia ha statuito la piena validità delle polizze in questione, affermando il principio secondo cui le polizze unit linked, anche qualora non garantiscano neppure in parte la restituzione del capitale investito, non possono essere considerate prodotti finanziari tout court rimanendo a tutti gli effetti dei prodotti assicurativi (seppure a componente causale mista, finanziaria ed assicurativa sulla vita).

La statuizione non è di poco momento, se si considera come, con la sentenza 6319/2019 menzionata in precedenza, la Corte di Cassazione aveva stabilito che affinché un contratto possa essere qualificato come assicurazione sarebbe necessario il “trasferimento del rischio dall'assicurato all'assicuratore”. 
Il Tribunale lombardo, invece, conformandosi espressamente alla disciplina e alla giurisprudenza comunitaria[8] ha dichiarato di dover disattendere l'orientamento della Corte di legittimità, statuendo che la portata dei termini “contratto di assicurazione” deve trovare un’interpretazione autonoma e uniforme in tutta l’Unione Europea e che “la sentenza n. 6319/2019 e i due richiamati regolamenti nel prevedere l'assunzione del rischio demografico da parte dell'assicuratore quale requisito indefettibile del contratto di assicurazione (in mancanza del quale verrebbe meno la causa propria del contratto stesso), si pongono in contrasto con la normativa e con la giurisprudenza comunitaria”.

In conclusione, il Tribunale rammenta che le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea hanno efficacia immediata negli ordinamenti degli stati membri, e che queste prevalgono sugli orientamenti giurisprudenziali interni, anche laddove siano espressi dalla Corte di cassazione, se contrastanti con i principi sanciti dal Giudice europeo.

Pertanto, conclude affermando che 

“per ricondurre un determinato contratto alla nozione di contratto di assicurazione, è sufficiente che sia previsto il pagamento di un premio da parte dell'assicurato e, in cambio di tale pagamento, la fornitura di una prestazione da parte dell'assicuratore in caso di decesso dell'assicurato o del verificarsi di un altro evento di cui al contratto in discorso” discostandosi così dal criterio della ripartizione del “rischio” quale criterio per l'identificazione della natura del contratto."

Ciò posto, il Tribunale ha escluso che la polizza in parola fosse nulla per difetto di causa.

Il giudicante si concentra poi sugli eventuali vizi di forma del contratto, pronunciandosi sulla loro idoneità a compromettere la validità del contratto o meno.

Procedendo ad una disamina della normativa sul tema, il giudice rammenta che con la legge 28.12.2005, n. 262, (c.d. Legge Risparmio), è stato introdotto nel corpo del T.U.F. l'art. 25-bis. Nel testo rimasto in vigore sino al 3.1.2018, tale norma ha esteso l’applicazione degli artt. 21 e 23 del T.U.F. alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione.

La successiva legge n. 303/2006 ha aggiunto, alla lett. w bis dell'art. 1 comma 1 del TUF, la definizione di prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, identificando gli stessi con le “polizze e le operazioni di cui ai rami vita III e V di cui all'articolo 2, comma I, del decreto legislativo 7.9.2005, n. 209, con esclusione delle forme pensionistiche individuali di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 5.12.2005, n. 252”.

L’inserimento nel T.U.F. dell'art. 25-bis e dell'art. 1 comma 1, lett. w bis, ha determinato l'applicazione all'attività di collocamento dei prodotti finanziari emessi da imprese assicurative della disciplina legislativa e regolamentare dettata per i prodotti finanziari.

L’equiparazione, quanto alle regole da rispettare nella fase di commercializzazione, dei prodotti finanziario-assicurativi ai prodotti finanziari puri è però limitata all’ipotesi in cui il collocamento sia effettuato o direttamente dalla impresa di assicurazione emittente o dai soggetti abilitati di cui all'art. 1 co. 1, lett. r, del T.U.F. stesso. In proposito, assume rilievo dirimente la previsione di cui al secondo comma dell'art. 25 bis (nella formulazione originaria), in forza della quale “la Consob esercita sui soggetti abilitati e sulle imprese di assicurazione i poteri di vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva” previsti dalle norme del Testo Unico. Il tenore letterale della norma sopra trascritta impone di ritenere esclusi dall'ambito di applicazione del T.U.F. i broker e gli agenti assicurativi, in quanto non assoggettati al potere di vigilanza della Consob e comunque non contemplati da tale normativa.

Dunque, l’applicazione degli artt. 21 e 23 del T.U.F. e dei Regolamenti Consob ai prodotti finanziari assicurativi di cui alla lettera w bis dell'art. 1 comma 1 del T.U.F. non riguarda le polizze unit linked collocate da agenti o broker assicurativi.[9]

In conclusione, osserva il Tribunale che, nel caso concreto, la polizza era stata collocata per tramite di una società di intermediazione iscritta nel Registro Isvap nella sezione B. riservata ai broker.

Di conseguenza , sotto il profilo dei requisiti di forma, trovano applicazione le norme in materia di contratto di assicurazione (art. 1888 c.c., artt. 166 e 185 del Codice delle Assicurazioni Private) e non il T.U.F. né il regolamento Consob n. 16190/2007, vigente all'epoca della sottoscrizione della polizza.

Nel caso in esame, gli attori hanno fondato la propria eccezione di nullità per vizio di forma sulla mancanza del contratto quadro di cui all'art. 37 del suddetto regolamento Consob. La inapplicabilità del T.U.F. alla fattispecie di causa determina dunque il rigetto anche dell’eccezione di nullità per vizio di forma.

6. Conclusioni

Dalla disamina delle pronunce in argomento emerge un interessante dialogo tra corti. In particolare, le conclusioni sposate dalla Corte di Lussemburgo, e ricavate direttamente dall’interpretazione del diritto eurounitario, sono state condivise dal Tribunale di Bergamo che supera così quanto affermato dalla Cassazione solo pochi mesi prima.

Su un tema come quello oggetto della presente trattazione, appaiono quanto mai opportuni gli sforzi interpretativi compiuti dalla giurisprudenza a tutela dei clienti risparmiatori. In quest’ottica, le esigenze dell’impresa, e l’interesse pubblico al risparmio devono combinarsi e bilanciarsi con la necessità di approntare un sistema di tutele efficace per la clientela, che soffre di una fisiologica asimmetria informativa, nei confronti delle imprese intermediarie.

I principi di buona fede, correttezza e trasparenza nelle relazioni contrattuali costituiscono un faro nella continua opera di protezione svolta dalle corti che, nella pronuncia del tribunale di Bergamo, in commento, trova una conclusione importante e coraggiosa.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Una joint venture (associazione temporanea di imprese) è un contratto con cui due o più imprese si accordano per collaborare al fine del raggiungimento di un determinato scopo o all’esecuzione di un progetto. La joint venture è un vero contratto e non costituisce un nuovo soggetto di diritto distinto dalle imprese che lo hanno stipulato.

[2] Art. 23 T.U.F.

[3] Oggi IVASS.

[4] Segnatamente si fa riferimento al D.Lgs. n. 205 del 2005, (Codice delle assicurazioni private); all'introduzione dell'art. 25 bis sui prodotti finanziario - assicurativi nel D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUIF); alla coeva soppressione dell'art. 100, lett. f), dello stesso T.U., che espressamente escludeva i prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione dall'ambito applicativo delle norme sull'intermediazione finanziaria; alle deliberazioni Consob nn. 15915/07 e 16840/09, a loro volta modificative della delibera n. 11971/99; alla delibera ISVAP n. 551 del 1 marzo 2005, che estende a tali prodotti le garanzie di informazione e trasparenza a tutela dell'assicurato "sostanzialmente corrispondenti a quelle previste dai regolamenti Consob per gli strumenti finanziari".

[5] Al riguardo fa riferimento: alla L. n. 262 del 2005, la quale è intervenuta sul TUF abrogando l'art. 100, comma 1, lett. f), (che escludeva i prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione dall'ambito applicativo della disciplina sulla sollecitazione all'investimento) ed inserendo l'art. 25 bis (che al comma 1, estende gli artt. 21 e 23 alla sottoscrizione ed al collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione); al D.Lgs. n. 303 del 2006, il quale ha inserito nel primo comma dell'art. 1 del TUF la lett. w) bis, in base alla quale per prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione si intendono le polizze e le operazioni "le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o altri valori di riferimento", riferendosi, dunque, proprio alle polizze unit o index linked.

[6] Corte d’Appello di Milano n. 1800/2016, sentenza confermata dalla Cassazione n. 10333/2018, che per la verità si è limitata ad affermare la non censurabilità in sede di legittimità della valutazione del giudice di merito.

[7] Su tale questione si era anche espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6061/2012 già citata.

[8] Corte di Giustizia dell’Unione Europea 31 maggio 2018, nella causa C-542/2016 e1 marzo 2012 nella causa C-166/2011.

[9] Aggiunge il Tribunale che In senso contrario, non è pertinente il richiamo, effettuato da una parte della giurisprudenza di mento, alle disposizioni del Regolamento Consob n. 16190 del 2007 (introdotto dopo l'inserimento dell'art. 25-bis nel T.U.F. e in esecuzione di esso) dedicate alla "Distribuzione di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione" (artt. 83 e ss.). La definizione di soggetti abilitati all'intermediazione assicurativa di cui all'art. 85 del suddetto Regolamento rimanda infatti ancora una volta alle SIM e agli intermediari bancari e non agli agenti e ai broker assicurativi.