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Pubbl. Mer, 12 Ago 2020

Esperibilità azione revocatoria con riferimento alla divisione convenzionale

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Giorgia Dumitrascu
AvvocatoUniversità degli Studi di Roma La Sapienza



Il contributo esamina la disciplina dell´azione revocatoria nei suoi tratti generali e relativamente ai presupposti essenziali per la sua azionabilità in giudizio. Poste le premesse generali sarà affrontata l´esperibilità della revocatoria nel caso di divisone convenzionale, che sottragga la garanzia del creditore


Sommario: 1. Introduzione; 2. L’azione revocatoria; 2.1. I presupposti dell’azione revocatoria calati nella divisione convenzionale; 3. Il caso concreto e la posizione della giurisprudenza; 4. Considerazioni conclusive

1. Introduzione

La questione concerne la possibilità per il creditore di esperire l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., nel caso in cui il debitore abbia proceduto ad una divisione convenzionale. Quest’ultima pur essendo un atto capace di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie, non è una disposizione a titolo oneroso, requisito richiesto dall’art. 2901, n. 2, c.c., per l’esperibilità della revocatoria.

Preliminarmente sarà necessario disegnare la struttura dell’azione revocatoria in generale ed i suoi effetti e successivamente sarà possibile accedere alla questione nodale anche alla luce della recente giurisprudenza.

2. Azione revocatoria

L’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) o azione pauliana, è uno dei mezzi di conservazione della garanzia del credito predisposti dall’ordinamento.

Se successivamente al sorgere del credito, il debitore ha posto in essere degli atti di disposizione che arrechino pregiudizio al creditore, quest’ultimo, potrà ottenere la dichiarazione di inefficacia di tali atti ed il bene si considera come mai uscito dal patrimonio del debitore. E’ importante sottolineare che l’inefficacia determinata dall’azione revocatoria è relativa (art. 2901, primo comma, c.c.), infatti essa opera solo “nei confronti” del creditore che ha agito. La funzione dell’azione revocatoria è quella di conservare il patrimonio debitorio per offrire garanzia al creditore. Il patrimonio del debitore costituisce per il creditore una garanzia generica. Tale genericità attiene al fatto che il creditore può soddisfarsi con tutti i beni “presenti e futuri” del debitore al momento dell’esecuzione (art. 2740 c.c.). E’ possibile però che la garanzia patrimoniale, possa subire delle variazioni, per colpa o dolo del debitore; le quali comportino la diminuzione della garanzia creditoria, oppure la rendano più difficile ed incerta.

Ad esempio: alienazioni di beni; l’assunzione di obblighi; l’atto di divisione della cosa comune; un vincolo di indisponibilità (fondo patrimoniale, vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., trust); atti costitutivi di garanzie reali quali il pegno e l’ipoteca; e comunque atti avente contenuto negoziale sia a titolo gratuito che a titolo oneroso. Il mutamento della situazione patrimoniale del debitore, può essere “quantitativa”: ad esempio il caso in cui il debitore vende un immobile ad un prezzo inferiore a quello di mercato, quindi il prezzo ottenuto dal debitore è inferiore rispetto al valore del bene alienato; oppure nel caso dell’atto di divisione convenzionale può essere assegnata al debitore una quota parte inferiore rispetto a quella degli altri.

Un ulteriore esempio di mutamento quantitativo è il vincolo di indisponibilità creato con il fondo patrimoniale (art. 167 c.c.), cioè la destinazione di beni per “far fronte ai bisogni della famiglia”. In questo caso il Decreto Giustizia per la crescita ex art. 12, d.l. 27-6-2015 n. 83, convertito in legge 6-8-2015, n. 132, ha introdotto nel tessuto codicistico l’art. 2929 bis, che prevede una forma di revocatoria ex lege, degli atti a titolo gratuito costitutivi di vincoli di destinazione, sorti successivamente al credito. Con questa azione peculiare, il creditore munito di titolo esecutivo, può procedere ad esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto.

Il mutamento del patrimonio può essere anche “qualitativo”: ad esempio il debitore vende al prezzo di mercato un immobile, ricavandone una somma di denaro, in tal caso per il creditore potrebbe essere più difficile soddisfare il suo credito, perché il denaro può essere facilmente distratto.

2.1. Presupposti dell’azione revocatoria calati nella divisione convenzionale

La divisione convenzionale o contrattuale, è  un accordo stragiudiziale, con cui si perviene allo scioglimento della comunione ereditaria od ordinaria e all’assegnazione a ciascuno dei compartecipi o coeredi, di una porzione di valore corrispondente alla quota.

Per quanto concerne i presupposti per l’esperibilità dell’azione, occorre anzitutto, l’esistenza di un credito, perché il soggetto che agisce in revocatoria, deve vantare una posizione qualificata nei confronti del debitore. La nozione di credito è da intendersi in senso lato, perché può essere esperita l’azione revocatoria anche se il credito vantato non è certo, non è liquido (cioè non è determinato nel suo ammontare) oppure non sia esigibile (perché non è ancora scaduto il termine apposto o la condizione). Nel caso della divisione convenzionale, il creditore per poter esperire l’azione deve vantare un credito nei confronti del coerede o comproprietario; l’azione è esperibile anche se il credito non è ancora certo, determinato o scaduto.

Occorre altresì l’atto di disposizione del debitore (c.d. “eventus damni”), cioè la disposizione creditoria che arrechi un concreto ed attuale pregiudizio alla garanzia generica del creditore. Pertanto, perché il creditore possa determinare l’inefficacia della divisione convenzionale è necessario che tale atto costituisca un pregiudizio per le sue ragioni e che a motivo di tale atto è diminuito il patrimonio del debitore-comunista oppure il soddisfacimento del credito è incerto o più difficile.

Altro presupposto necessario per l’esperibilità della revocatoria è la “scientia fraudis”, cioè la conoscenza da parte del debitore che l’atto di disposizione arreca un pregiudizio al creditore. Se l’atto è anteriore al sorgere del credito, allora occorre che l’atto fosse “dolosamente preordinato” a nuocere il creditore; ciò perché il debitore potrebbe vendere prima del sorgere del credito dei beni proprio al fine di pregiudicare il creditore.

Se invece l’atto di disposizione è successivo al sorgere del credito, la “scientia damni” non necessariamente deve essere un intento fraudolento, basta che vi sia la conoscenza del debitore, che l’atto predisposto arrechi un pregiudizio al creditore, perché il patrimonio è diminuito o perché potrebbe essere più difficile o incerto realizzare il credito. Quindi nella divisione convenzionale, per il corretto esperimento dell’azione revocatoria occorre che il debitore-comunista  se la divisione avviene dopo il credito abbia la consapevolezza che il mutamento del suo patrimonio, che ne deriva, pregiudica la garanzia generica del creditore; se invece la divisione è avvenuta prima del credito, per esperire la revocatoria, occorre che il debitore-comunista abbia stipulato il contratto di divisione con intento fraudolento nei confronti del futuro creditore.

Sempre relativamente alla “scientia damni”, vi sono ulteriori dati che riguardano l’esperibilità della revocatoria. Infatti nel caso di atti a titolo gratuito, sia che il terzo sia in buona fede o mala fede, la revocatoria è esperibile, mentre nel caso di atti a titolo oneroso, la revocatoria è esperibile solo se il terzo abbia la consapevolezza del pregiudizio arrecato al debitore; conseguentemente nel caso di un terzo in buona fede la revocatoria non potrà essere esperita. Ciò perché anche se il terzo ed il creditore si trovano su uno stesso piano, l’ordinamento tutela l’affidamento contrattuale per agevolare la libera circolazione della ricchezza.

3.  Il caso concreto e la posizione della giurisprudenza.

Relativamente all’esperibilità dell’azione revocatoria con riferimento alla divisione convenzionale la giurisprudenza di merito ci offre talune soluzioni praticabili.

Il caso di specie sorto dinanzi al Tribunale di Mantova concerneva un credito sorto nel 2007 tra la Società creditrice D. S.r.l., ed L.P. Quest’ultimo nel 2010 procedeva alla divisione dei beni in comproprietà a seguito di acquisti e di successione ereditaria e che poi sempre nel 2010 L.P. aveva venduto tutti i cespiti di sua proprietà assegnatigli per effetto della divisione. Tale condotta aveva alterato qualitativamente il patrimonio, impedendo ai creditori di potersi soddisfare. Pertanto la Società D. S.r.l., chiedeva la dichiarazione di inefficacia dell’atto di divisione convenzionale, resisteva L.P., opponendosi alla revocatoria.

Relativamente alla divisione convenzionale, uno dei punti di maggior attenzione della dottrina e della giurisprudenza è relativo alla natura giuridica della divisione convenzionale, anche perché uno dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria è l’onerosità della disposizione poiché deve costituire un mutamento nel patrimonio debitorio. La tesi prevalente e tradizionale, ritiene che la divisione convenzionale abbia natura dichiarativa reputandola un negozio di mero accertamento, essendo già fissato in astratto quanto spetti a ciascun comunista. Secondo tale interpretazione, l’assegnazione delle varie quote concrete, non realizza una vicenda traslativa, poiché questa era già astrattamente esistente nel patrimonio del debitore. Seguendo tale impostazione, bisognerebbe escludere l’esperibilità dell’azione revocatoria volta a determinare l’inefficacia dell’atto di divisione, proprio perché si tratterebbe di un atto che dichiara una situazione patrimoniale preesistente, sia pure astrattamente. Quindi quell’atto di divisione non avrebbe potuto comportare un pregiudizio al creditore.

Altra opinione dottrinale ritiene invece che la divisione convenzionale abbia natura costitutiva, proprio perché sopprime la situazione intermedia, cioè la comunione e crea una variazione della situazione patrimoniale attribuendo una quota al debitore-comunista.

In questo senso dunque l’azione revocatoria sarebbe pienamente esperibile perché l’atto di divisione comporta una vera e propria traslazione di diritti e quindi un mutamento patrimoniale.

La Cassazione nel 1996, ha elaborato una soluzione, stabilendo che la divisione convenzionale ha una natura dichiarativa innegabile. Questo supportato anche dalla disciplina dettata per la divisione ereditaria, per la quale “ogni coerede è reputato solo ed immediato successore” e “si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari” (art. 757 c.c.). In questo caso opera una fictio iuris per garantire l’effetto retroattivo della divisione, e quindi l’atto di divisione ha una natura dichiarativa. Sostiene la Cassazione che, comunque, nonostante la natura dichiarativa della divisione, comunque non si può negare che in taluni casi tali atti possano arrecare un concreto e reale pregiudizio alle ragioni creditorie, quindi si deve concludere per la revocabilità dell’atto di divisione e la conseguente assoggettabilità del patrimonio diviso all’esecuzione forzata.

Il Tribunale di Mantova nella risoluzione del caso di specie ha mosso i passi dall’approdo giurisprudenziale sulla natura dichiarativa della divisione convenzionale. Infatti sostiene il Tribunale che l’esperibilità del rimedio di cui all’art. 2901 c.c. è ammissibile anche relativamente ai negozi dichiarativi. Infatti, il primo comma dell’art. 2901 c.c. ha una portata ampia, facendo riferimento ad ogni atto che arrechi un pregiudizio al patrimonio debitorio; fra le quali va annoverato l’atto di divisione, il quale è un atto a contenuto neutro. Esso non può ricomprendersi tra gli atti di natura onerosa, perché non vi è una prestazione e controprestazione; né può ricomprendersi tra gli atti di natura gratuita, perché il condividente non subisce una perdita economica. D’altro canto, la revocabilità della divisione va esclusa laddove l’atto non arrechi pregiudizio alla garanzia generica.

4. Considerazioni Conclusive

Tirando le fila del discorso è possibile approdare a delle considerazioni conclusive. La soluzione del quesito circa l’esperibilità o meno dell’azione revocatoria in caso di divisione convenzionale, è da ritrovarsi nelle intenzioni del legislatore circa la previsione della detta azione. Scopo precipuo del rimedio ex art. 2901 c.c., è quello di fornire uno strumento al creditore per mantenere indenne il patrimonio del debitore, il quale costituisce garanzia e certezza per il soddisfacimento delle pretese creditorie (art. 2740 c.c.). L’impostazione generale del Codice Civile del ’42 è improntato alla tutela del credito. Infatti, è attraverso la prestazione dei crediti che è possibile il funzionamento della libera circolazione dei beni nell’economia.

Pertanto, il Codice tutela in maniera approfondita le ragioni creditorie. Una delle espressioni di tale tutela è l’azione revocatoria che assicura la dichiarazione di inefficacia degli atti del debitore che pregiudichino il suo patrimonio, sottraendo garanzia del credito. Come visto la divisione convenzionale, può comportare un mutamento qualitativo e/o quantitativo dei beni debitori. L’art. 2901, primo comma, c.c. richiede quali presupposti, la conoscenza da parte del debitore del “pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore", se l’atto pregiudizievole è anteriore al sorgere del credito, questo deve essere dolosamente preordinato ad arrecare danno al creditore; altresì è richiesta la consapevolezza del terzo del pregiudizio arrecato, nell’atto a titolo oneroso.

Per lungo tempo il problema circa l’esperibilità dell’azione revocatoria per la divisione convenzionale poggiava sulla natura giuridica della divisione stessa. Infatti, la divisione convenzionale non è un atto a titolo oneroso e pertanto sembrerebbe mancare il secondo presupposto per l’esperibilità della revocatoria.

La Corte di Cassazione stabilendo la natura meramente dichiarativa della divisione, ha al tempo stesso affermato che tale atto nonostante la sua natura può comportare innegabile pregiudizio alle ragioni creditorie e pertanto è suscettibile di azione revocatoria. Quindi data la formulazione aperta del 2901, primo comma, c.c., nonostante la natura dichiarativa della divisione convenzionale, è possibile esperire l’azione revocatoria.

Orbene, come ampiamente dimostrato il motivo fondante che permette al creditore di agire in giudizio mediante revocatoria per dichiarare l’inefficacia dell’atto, risiede nella tutela che l’ordinamento appresta alla tutela delle ragioni creditorie.


Note e riferimenti bibliografici