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Pubbl. Ven, 3 Lug 2020

Il recesso e la durata della società

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Margherita Caccetta



Con la recente sentenza numero 8962 del 2019, la Corte di Cassazione ha elaborato un nuovo orientamento in materia di recesso e durata lunghissima della società ritenendo del tutto irrilevante ogni ragionamento in ordine alla aspettativa di vita del socio nonché alla durata media di vita del socio-persona fisica.


Sommario: 1. Il diritto di recesso; 2. Il recesso in caso di durata determinata ma eccessivamente lunga; 3. Il recesso ad nutum nella s.p.a e nella s.r.l.; 4. Verso un parziale revirement? A confronto la Cassazione n. 9662/2013 e la Cassazione n. 8962/2019; 5. Conclusioni

1. Il diritto di recesso 
Com’è noto, l’articolo 2437 del codice civile in materia di s.p.a ed il correlativo articolo 2473 del codice civile in materia di s.r.l., introducono la tematica del diritto di recesso.

Tale diritto può essere esercitato dai soci che non concorrono alla formazione della delibera perché astenuti, dissenzienti o assenti. 

La tematica ha una particolare rilevanza perché fa da controaltare al principio dominante in materia societaria, che è appunto il principio maggioritario. 
Il diritto c.d. di exit, riconosciuto al socio che non concorre alla formazione della delibera, consente di non bloccare l’attività sociale: con ciò, dunque, la società non deve approvare le delibere all’unanimità, salvi alcuni casi e, garantisce soprattutto il diritto della minoranza.
 
Il diritto di recesso è dunque, un efficace mezzo di tutela del socio esposto, suo malgrado, ai cambiamenti sostanziali, apportati alle pattuizioni originarie dell’atto costitutivo. 

Le ipotesi di recesso sono suddivise in cause legale e cause statutarie di recesso.
Tra le cause legali di recesso, il primo coma dell’articolo 2437 del codice civile, indica ipotesi tassative e non eliminabili neanche per volontà dei soci; il comma sei del citato articolo, sancisce, appunto, con la nullità qualsiasi patto volto ad escludere o rendere più gravoso, l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma.
Il secondo comma invece, consente tale possibilità di deroga, pur sempre all’interno delle cause legali di recesso, proprio perché inizia statuendo “salvo che lo statuto disponga diversamente”. 
La stessa distinzione vale anche per le società a responsabilità limitata. 
In relazione alle cause legali di recesso derogabile si deve precisare che la loro eliminazione comporta a sua volta, il sorgere del diritto di recesso.

L’ipotesi su cui si vuole porre l’accento è la causa di recesso prevista dal terzo comma del citato articolo: “Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno”. 

Si precisa subito che tale causa di recesso è una causa legale inderogabile e quindi, riferibile al primo comma e non al secondo. 
Questa causa di recesso è quella che viene chiamata causa di recesso “ad nutum”.

Le società di capitali, sotto questo profilo, si distinguono dalle società di persone.
In queste ultime, il diritto di recesso è disciplinato dall’articolo 2285 del codice civile, che prevede che “ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci”.

Viene dunque da chiedersi se anche nelle società di capitali possa ritenersi che al socio spetti il recesso c.d. ad nutum quando la durata, pur essendo determinata, ecceda di gran lunga la vita di un socio. 

Quanto oggetto di analisi, fa riferimento alla possibiltà per il socio di recedere ad nutum in caso di durata eccessivamente lunga, ancorchè determinata, in virtù di quanto previsto dal terzo comma. 

Nulla quaestio se, invece, i soci nell’ambito della loro autonomia statutaria, prevedessero quale causa “convenzionale” di recesso, proprio quella di poter esercitare il diritto in caso di durata eccessivamente lunga da parificare quindi ad una durata indeterminata. 

2. Il recesso in caso di durata determinata ma eccessivamente lunga

Alcuni autori sostengono che la ratio alla base del recesso per durata indeterminata sia sostanzialmente identica a quella di una società la cui durata è determinata ma eccessivamente lunga. 
Di tale avviso, i notai del Triveneto, nella loro massima F.A.1.(1), si sono espressi in tal senso: nel caso della «durata particolarmente lunga, ai soci potrebbe essere riconosciuto il diritto di recesso». 
In giurisprudenza (2), sul punto, la Corte d’appello di Trento ha ritenuto con sentenza del 22 dicembre 2006, la spettanza del diritto di recesso al socio di Srl in caso di «intervenuta proroga del termine di durata della società ad una data successiva all’aspettativa di vita dei soci» e la Cassazione, con sentenza 22 aprile 2013, n. 9662, ha deciso che in una Srl la cui durata sia «fissata in epoca lontana, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, il socio ha diritto il recedere, sussistendo le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato».

Si motiva dunque sulla ratio sottostante alla normativa, ovvero quella di non tener un socio “imprigionato” all’interno della società. 

La tesi opposta è invece sostenuta dal Consiglio Notarile di Roma (3) che osserva che la facoltà di recesso, in caso di durata indeterminata ha una valenza diversa in quanto, quando è presente un termine di durata, il rapporto sociale si scioglie in caso di mancata proroga della scadenza della società; quando invece il termine di durata sia assente, è il socio che può volontariamente sciogliere il proprio vincolo associativo. 

Ad avviso dei Notai romani, non è possibile estendere analogicamente la disciplina in tema di società di persone alle società di capitali perché in queste ultime, si è preferito offrire al socio la possibilità di recedere solo nel caso di società contratta a tempo indeterminato, senza accordare il medesimo diritto nel caso in cui la durata della società fosse commisurata alla vita di uno dei soci.

La ragione di tale scelta legislativa, sarebbe da rintracciare nella differenza strutturale tra le società di persone a carattere “personalistico” e la società di capitali, nelle quali assume preminenza la struttura organizzativa della società. 

Si osserva, inoltre, che nelle società di persone, i soci hanno la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali e che questa situazione necessita di un’attenuazione per evitare che il socio rimanga per lungo tempo responsabile delle obbligazioni sociali, senza potersi affrancare da tale gravosa responsabilità. Nelle società di capitali, invece, questa esigenza non è avvertita, dal momento che il socio non rischia più del valore della propria partecipazione.

Infine, secondo la massima in commento, si deve porre l’attenzione sul carattere sfuggente del concetto di «durata eccedente l’aspettativa di vita di un socio», in quanto, la varietà della situazioni possibili, rende impervia la definizione di tale concetto. 
A voler poi tacere del fatto che la compagine societaria sia composta solo o anche da soci diversi dalle persone fisiche.
In caso di soci persone giuridiche infatti, tale ragionamento sarebbe oltremodo sfumato, dunque, dovrebbero potersi porre parametri forse più oggettivi della semplice aspettativa di vita che infatti, vedremo è proprio il fulcro della sentenza della Cassazione recentemente espressasi sul punto. 
3. Il recesso ad nutum nella s.p.a e nella s.r.l.
Prima di introdurre l’analisi dell’ultima sentenza poc’anzi citata, in materia di recesso ad un nutum, in giurisprudenza si faceva una distinzione tra la società per azioni e la società a responsabilità limitata. 

In un primo momento infatti, si riteneva vi fosse una distinzione tra i due tipi sociali, pensando che il recesso ad nutum per lunga durata della società fosse previsto solo per la srl (4), dotata di una strutta più “personalistica” e dunque meritevole di applicazione analogica con quanto previsto dall’articolo 2285 del codice civile in materia di società di persone. 

Successivamente, in tema di s.p.a., il Tribunale di Milano con provvedimento cautelare n. 18236 del 30 Giugno 2018, ha trattato del recesso “per durata lunghissima” prevista nello statuto di una s.p.a ed ha mostrato di ritenere meritevole di tutela l’interesse del socio a evitare vincoli perpetui a prescindere alla connotazione personalistica o meno del tipo societario di riferimento.
4. Verso un parziale revirement? A confronto la Cassazione n. 9662/2013 e la Cassazione n. 8962/2019
La controversia che ha dato luce alla sentenza del 2013, verteva sulla legittimità del recesso di un socio, da una società a responsabilità limitata, a fronte di una deliberazione di riduzione della durata della società, con la quale si era accertato il diritto di recesso del socio, ai sensi dell'art. 2473 c.c., ritenendo che la delibera societaria fosse rivolta essenzialmente ad escludere una causa di recesso del socio.

Infatti, l'originaria durata statutaria, prevista per il 2100, era assimilabile, ad una durata a tempo indeterminato, trattandosi di un'epoca così lontana "da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo". 
Con sentenza del 22 aprile 2013, n. 9662, la Corte di Cassazione infatti, aveva precisato che la funzione del termine di durata delle società, è quella di stabilire l’aspettativa di vita della stessa in funzione della possibilità che il progetto di attività perseguito possa essere temporalmente determinato e delimitato.
Sulla base di questa considerazione, la Cassazione ha concluso nel senso che il riconoscimento del diritto di recesso ai soci, nel caso di società a tempo indeterminato deve considerarsi legittimo in quanto “profilo di affidamento che il legislatore ha voluto tutelare e che non può essere limitato se non in presenza di un chiaro indicatore della riferibilità del termine finale di vita della società ad un orizzonte razionalmente collegato al progetto imprenditoriale che ne costituisce l’oggetto”.

Nella fattispecie che ha portato all’emanazione della sentenza del 2019, si discute, invece, di una durata statutaria fissata al 2050.
Il ricorrente assume che detta previsione sia equivalente a quella a tempo indeterminato, deducendo che, la durata del 2050 supera, non "la ragionevole data di compimento del progetto imprenditoriale" (come affermato nella pronuncia n. 9662/2013), ma la propria aspettativa di vita ovvero la durata media di vita del socio-persona fisica. 
La corte di cassazione ha ritenuto che tale circostanza fosse del tutto irrilevante e pertanto ha cassato il ricorso dando rilevanza soltanto al progetto imprenditoriale che la società prevede di portare a termine e non all’aspettativa di vita del socio, ritenendola del tutto irrilevante. 

5. Conclusioni

La sentenza della Corte di Cassazione vuole effettivamente svincolare la possibilità di recedere, dal parametro dell’aspettativa di vita dei soci.
Si fa infatti riferimento ad un parametro più oggettivo e più consono alle società di capitali che è quello del progetto imprenditoriale da portare a compimento.
Non si deve infatti dimenticare che la società viene costituita per “l’esercizio in comune di un’attività economica” e che la stessa si scioglie al “conseguimento dello scopo sociale”.
In maniera lucida e cristallina pertanto la Suprema Corte ancora la causa legale di recesso per durata eccessivamente lunga, non all’aspettativa di vita ma al progetto imprenditoriale che la società intende compiere e portare a termine.
Dunque se la Cassazione del 2013 aveva concluso nel senso che il progetto imprenditoriale è collegato all’aspettativa di vita dei soci, che concretamente lo devono portare a termine, la sentenza del 2019 ha invertito il termine della questione astraendo dal progetto imprenditoriale la “personalità” della prestazione dei soci.
Si tratta infatti di società di capitali e non di persone, la cui partecipazione può ben cadere in successione ed essere portata avanti dagli eredi.
Inoltre, tale interpretazione, non soffrirebbe neanche per il caso di società la cui compagine sociale sia costituita interamente da persone giuridiche. 

Occorre tuttavia operare con prudenza in tale ambito visto che si prospettano due orientamenti in parte contrastanti e che il diritto di recesso precarizza il patrimonio della società (5). 


Note e riferimenti bibliografici

1) Massima F.A.1- 1° pubbl. 9/04 - motivato 9/11 elaborata dal Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie:
È legittimo prevedere negli atti costitutivi di una società di capitali una clausola che determini una durata particolarmente lunga.

Massima F.A.2 - 1° pubbl. 9/04 elaborata dal Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie:
In una società di capitali la cui durata sia stata statutariamente prevista è sicuramente legittima la deliberazione dell’assemblea dei soci con la quale, prima della scadenza, ovvero anche dopo, revocando in tal caso lo stato di liquidazione, si proceda alla modifica statutaria prevedendo la durata a tempo indeterminato della società. Il tutto, ovviamente, nei termini e con la garanzia del recesso attualmente concessa dalla legge ai soci.

2) Oltre alle sentenze citate nel testo si segnala anche le seguenti sentenze che appoggiano la tesi positiva: Trib. Milano 21 Aprile 2007, in Soc.08,1121; trib. Varese 26 Novembre 2004 in Giur. Comm. 05, II, 473.

3) Massima Luglio 2016 elaborata dalla Commissione del Consiglio Notarile di Roma:
La previsione di una durata della società di capitali eccedente l’aspettativa di vita di un socio (persona fisica) non legittima l’esercizio libero del recesso, come consentito nel caso di società contratta a tempo indeterminato. L’alternativa posta dal legislatore è tra termine fisso e assenza di termine e solo la seconda opzione consente il recesso

4)  A sostegno di tale tesi, in giurisprudenza si segnala: Trib.Napoli 10 Dicembre 2008,in Not. 09, 285.

5) Cass. 29 marzo 2019, n. 8962, afferma che nell’analisi del tema in esame, occorre effettuare una “valutazione sistematica, che tenga conto della [...] tutela dei creditori sociali che, facendo affidamento solo sul patrimonio
sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità”.