Pubbl. Lun, 29 Giu 2020
L´impatto del Covid-19 sul carcere e il c.d. decreto antiscarcerazioni
Modifica paginaIl Tribunale di Sassari ha ritenuto che l’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare, imposto dal decreto anti-scarcerazioni, integri un’invasione della sfera di competenza riservata all´autorità giudiziaria, in violazione del principio di separazione dei poteri, tanto più in quanto applicata retroattivamente ai provvedimenti già adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020.
Sommario: 1. Premessa; 2. Il sovraffollamento delle carceri; 3. Le nuove misure previste dal c.d. decreto antiscarcerazioni; 4. I dubbi di compatibilità a Costituzione; 5. Conclusioni.
1. Premessa
L'emergenza epidemiologica da Covid-19 ha avuto un forte impatto sulla realtà carceraria italiana.
Le ragioni di tale effetto sono di agevole individuazione: da una parte, il sovraffollamento che, in molti casi, non permette di osservare le pratiche di distanziamento sociale raccomandate.; dall’altra, l’età media delle persone detenute nel nostro Paese, che è superiore a quella europea.[1]
Questi due fattori hanno determinato l’intervento del legislatore sul tema.
Due le novità legislative più importanti: il d. l. 17 marzo 2020, n. 18 (c. d. decreto “Cura Italia”) e il d. l. 10 maggio 2020 n. 29 (c. d. decreto “antiscarcerazioni”).
Con il primo vengono previste una serie di misure, volte, tra gli altri obiettivi, ad attenuare il problema del sovraffollamento carcerario. In poco tempo si è egistrato, infatti, un sensibile calo della popolazione detenuta.[2]
Successivamente, il d. l. 29/2020 interviene in senso opposto alle previsioni del precedente decreto.
A poche settimane dalla sua entrata in vigore, l’ultimo intervento legislativo ha già suscitato dubbi di legittimità costituzionale.
2.Il sovraffollamento delle carceri
Il sovraffollamento rappresenta un problema atavico del nostro sistema carcerario, che è valso all’Italia una condanna da parte Corte Europea dei diritti dell’uomo, per violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al diritto a non subire pene o trattamenti inumani o degradanti.
La sentenza della Corte EDU, Sez. II, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri contro Italia ha riconosciuto la violazione dell'art. 3 CEDU a danno di sette ricorrenti e ha ingiunto allo Stato italiano di introdurre, entro il termine di un anno[3]“un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte”.[4]
Nella sentenza Torreggiani la Corte EDU ha ribadito con forza il suo costante orientamento, che considera automaticamente integrato un trattamento inumano e degradante allorché ciascun detenuto disponga di uno spazio personale pari o inferiore a 3 metri quadri (a fronte degli almeno quattro raccomandati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d'Europa).[5]
Con il d. l. 92/2014, conv. con modif. in l. 117/2014, introduttivo di “rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'art. 3 della CEDU”, il legislatore italiano ha riscontrato le sollecitazioni provenienti da Strasburgo.
Per fronteggiare le cause del sovraffollamento carcerario, l’Italia ha introdotto rimedi preventivi e compensativi, a conforto del pregiudizio sofferto dai detenuti.
Quanto ai rimedi preventivi, è stata introdotta un’ipotesi di reclamo giurisdizionale al Magistrato di sorveglianza per i casi di “attuale e grave pregiudizio” ai diritti dei detenuti, derivanti da condotte dell'Amministrazione penitenziaria non conformi alla legge di ordinamento penitenziario o al suo regolamento attuativo (artt. 69 co. 6 lett. b) e 35 bis o. p.). A seguito di tale reclamo, il Magistrato di sorveglianza, accertate le condizioni detentive gravemente pregiudizievoli per il detenuto reclamante, può ordinare all'Amministrazione penitenziaria di rimediare alla situazione.
Con l’art. 35-ter legge 354/75 è stato introdotto invece uno specifico rimedio compensativo.
Si tratta di una nuova disciplina per il risarcimento dello specifico pregiudizio sofferto a causa della detenzione in condizioni di sovraffollamento. Una disciplina che costituisce lex specialis rispetto alla responsabilità ex art. 2043 c.c. e che ad essa si sostituisce.
In particolare, l’art. 35 o. p. prevede due tipi di rimedi, volti a risarcire il danno patito dal detenuto: da un lato, la riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio, per il caso in cui la pena residua sia tale da non consentire la detrazione della misura indicata, il Magistrato di sorveglianza liquida una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Alla stessa maniera provvede nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni contrarie all'articolo 3 della CEDU sia stato inferiore ai quindici giorni.
La novella del 2014 ha avuto vasta applicazione pratica. Anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate sul tema, affermando che il diritto del soggetto detenuto in condizioni disumane e degradanti al risarcimento dei danni, riconosciuto a livello costituzionale e convenzionale, è preesistente rispetto alla novella medesima. La violazione del divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti inumani e degradanti integra un “illecito permanente”, poiché ogni giorno trascorso in quelle condizioni detentive integra il perfezionamento della relativa fattispecie lesiva.
Sulla scorta di tali considerazioni, le S.U. affermano che, prima del 2014, l’assenza di un rimedio accessibile, effettivo ed idoneo a far cessare la detenzione in condizioni inumane e degradanti, ha impedito alla popolazione detenuta di esercitare i propri diritti. Pertanto, dal momento che la prescrizione decorre soltanto dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere[6], rispetto ai pregiudizi derivanti a condizioni carcerarie anteriori all’entrata in vigore del d.l. n. 92 del 2014, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere solo dall’introduzione dell’art. 35-ter ord. pen.”, cioè dal 28 giugno 2014.[7]
Tornando all’impatto dell’emergenza covid-19 sulle carceri, appare utile riportare alcuni dati, concernenti le condizioni di sovraffollamento in cui versano i nostri istituti di pena.
A fine febbraio 2020, i detenuti erano 61.230 a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti. Il tasso di affollamento ufficiale era dunque del 120,2%.[8]
Particolarmente allarmanti sono poi le soglie di sovraffollamento registrate nelle regioni più colpite dal corona virus: 114,7% in Piemonte, 135,8% in Veneto, 130,3% in Emilia Romagna, 137,6% in Liguria.[9] Ancora più preoccupante è il dato della Lombardia, regione martoriata dal virus, che registra un tasso di sovraffollamento pari al 140,7%.[10]
Volgendo lo sguardo al resto d’Europa, osserviamo come le carceri italiane siano tra le più affollate, seconde solo a quelle belghe, che presentano un tasso d’affollamento all'inizio dello scorso anno pari al 120,5%, mentre il dato italiano era fermo al 119%. La media europea era del 96%.[11]
Su questi numeri incidono moltissimo le condanne per violazione della normativa sulle droghe,[12] la durata delle pene, maggiore, in media, nel nostro Paese rispetto agli altri stati europei, senza contare l’elevato numero di detenuti ancora in attesa di giudizio.[13]
L’emergenza coronavirus ha imposto l’adozione di una serie di misure per evitare il peggio.
Le stime aggiornate al 31 maggio 2020 registrano un calo delle presenze rispetto a fine febbraio pari a 7.843 unità, un dato positivo ma ancora lontano dalla capienza regolamentare, pari a 50.472 posti.[14]
3.Le nuove misure previste dal c.d. decreto antiscarcerazioni
Particolare scalpore hanno suscitato le decisioni della magistratura di sorveglianza, che ha disposto la sospensione della pena, nelle forme della detenzione domiciliare, nei confronti di alcuni soggetti condannati per delitti legati alla criminalità organizzata.
A fronte di tali reazioni, il legislatore è intervenuto adottando il d. l. 10 maggio 2020 n. 29.[15]
L’art. 2 del decreto citato stabilisce che quando un condannato per uno dei delitti indicati[16] è ammesso alla detenzione domiciliare o usufruisce del differimento della pena per motivi legati all’emergenza Corona virus, il Magistrato o il Tribunale di sorveglianza che hanno adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato, devono valutare la permanenza dei motivi legati all’emergenza Covid-19 entro 15 giorni dall’adozione del provvedimento e, in seguito, con cadenza mensile.
La valutazione è effettuata immediatamente, anche prima dei termini indicati, quando il DAP comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato.
Il Magistrato o il Tribunale di sorveglianza devono inoltre sentire l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta regionale per avere notizie circa la condizione sanitaria locale, ed acquisiscono dal DAP informazioni circa la disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta ove il ristretto ammesso alla misura domiciliare possa riprendere la detenzione o l’internamento, senza pregiudizi per la sua salute.
L’articolo dispone, infine, che il provvedimento di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena è immediatamente esecutivo.
Ancora, l’art. 5 d. l. 29/2020 stabilisce che la rivalutazione di cui all’art. 2, deve effettuarsi anche rispetto alle misure domiciliari già assunte per motivi legati al Covid-19, a far data dal 23 febbraio 2020, con decorrenza dei 15 giorni per la prima rivalutazione dal giorno di entrata in vigore del decreto: l’11 maggio 2020.
4. I dubbi di compatibilità alla Costituzione
Il c.d. decreto antiscarcerazioni ha già suscitato dubbi di legittimità costituzionale tra gli addetti ai lavori. In particolare, due pronunce sono significative in tal senso. La prima, è l’ordinanza n. 1380/2020 del Magistrato di sorveglianza di Spoleto, la seconda, l’ordinanza n. 645/2020 del Tribunale di sorveglianza di Sassari.
Nel caso umbro, il Magistrato di sorveglianza aveva concesso provvisoriamente la sospensione della pena ex art. 147 c.p., nelle forme della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter comma 1-ter o. p., ad un soggetto, ristretto nella sezione Alta Sicurezza, condannato a cinque anni di reclusione, per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Lo stato di salute del detenuto, benché non roseo[17], era stato più volte ritenuto compatibile con la detenzione in carcere, stante la possibilità di accedere a presidi sanitari esterni, mediante autorizzazioni ex art. 11 o.p..
Nell’ultima relazione sanitaria del marzo 2020, tuttavia, il responsabile medico certificava che il detenuto, pur non presentando condizioni di assoluta incompatibilità con la vita carceraria, in ragione delle patologie di cui soffriva, avrebbe potuto essere particolarmente vulnerabile in caso di contagio da Covid-19.
Il rischio inoltre è acuito dall’età del soggetto, di anni 66. Com’è noto, il pericolo di incorrere in complicazioni potenzialmente letali, a seguito dell’infezione da covid-19, è maggiore nei soggetti ultrasessantacinquenni.
La difesa del detenuto chiedeva così un provvedimento urgente per ottenere la sospensione della pena nelle forme della detenzione domiciliare.
Il Magistrato di sorveglianza, considerate le condizioni sanitarie del detenuto, l’emergenza Covid-19, nonché la buona condotta dello stessa, disponeva la detenzione domiciliare surrogatoria della sospensione dell’esecuzione della pena per gravi motivi di salute.[18]
A seguito dell’entrata in vigore decreto antiscarcerazioni, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha proceduto alle richieste istruttorie necessarie a compiere la rivalutazione di cui al suddetto decreto.[19]
Chiamato a decidere, di fronte a tale quadro istruttorio, il Magistrato di sorveglianza ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 d. l. 29/2020 nella parte in cui impone allo stesso una rivalutazione senza il coinvolgimento della difesa dell’interessato, prescindendo persino dalla formale comunicazione dell’apertura del procedimento, in carenza assoluta di contraddittorio rispetto alla parte pubblica, rappresentata dal Procuratore Distrettuale antimafia del luogo del commesso reato.
Per tali ragioni, ad avviso del magistrato Spoletino, la prescrizione normativa appare censurabile ai sensi degli articoli 24, comma 2 e 111, comma 2 Cost..
Il Magistrato di sorveglianza non si esime dal sottolineare la profonda spaccatura tra il regime preesistente e le novità introdotte ad opera del c.d. decreto antiscarcerazioni.
Il Giudice evidenzia la natura interinale ed urgente del provvedimento assunto, ai sensi dell’art. 684 c.p.p., in ragione della necessità di garantire in tempi rapidi la tutela del diritto alla salute del detenuto, in attesa dell’udienza dinanzi al Tribunale di sorveglianza.
In tali casi, il Magistrato, apprezzata la sussistenza del fumus boni iuris in ordine ai presupposti perché il Collegio disponga il differimento della pena, e del periculum in mora per la salute dell’interessato, provvede senza il coinvolgimento del pubblico ministero, né della difesa, potendo intervenire d’ufficio. Il provvedimento assunto dal giudice monocratico mantiene efficacia fino all’udienza dinanzi al Tribunale di sorveglianza, sede in cui si ripristina il pieno contraddittorio.[20]
Lo scarto con la procedura di rivalutazione di cui alla novella in commento è evidente.
Grave è il vulnus arrecato alla difesa del detenuto, che non è posta nelle condizioni di confrontarsi con le risultanze istruttorie prodotte dal DAP, non può considerare le stesse in rapporto alle cure intraprese dal proprio assistito durante il periodo di detenzione domiciliare. Ancora, il parere obbligatorio, sebbene non vincolante, della Procura si caratterizza per un marcata atipicità, posto che lo stesso viene reso al di fuori di ogni interlocuzione con la difesa.
Tali previsioni si pongono in attrito con il principio di uguaglianza e ragionevolezza, con il diritto di difesa e del giusto processo. La frizione con i diritti predetti si appalesa tanto più grave in ragione del fatto che, a seguito di una rivalutazione negativa, il detenuto ammesso alla misura extramuraria viene ricondotto in vinculis. Si tratta di un cambiamento delle modalità di esecuzione della pena, quindi di una previsione di non poco momento.
Problematiche di analogo tenore solleva il Tribunale di sorveglianza di Sassari, nella ordinanza n. 645/2020. La pronuncia si connota per un ulteriore profilo di interesse, che investe i limiti imposti dal decreto antiscarcerazioni alla autonoma valutazione della autorità giudiziaria.
Anche in questo caso, il Tribunale di sorveglianza aveva disposto la sospensione della pena ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2) c.p., nelle forme della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter o. p., nei confronti di un detenuto sottoposto al regime del carcere duro, affetto da gravi problemi di salute.[21]
In particolare, il detenuto si trovava nell’ impossibilità di proseguire l’iter diagnostico terapeutico, in quanto l’ospedale presso il quale era in cura era stato convertito in centro Covid-19. Inoltre, le cure di cui necessitava erano state ritenute inattuabili nel circuito penitenziario, neppure in regime di ricovero ex art. 11 o. p..
Con l’entrata in vigore del d. l. 29/2020, il Tribunale è stato chiamato ad effettuare la rivalutazione prescritta dagli artt. 2 e 5 del decreto in parola.
La difesa del detenuto ha depositato memorie insistendo circa l’assenza di attuale pericolosità del detenuto, e deducendo dubbi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 5 del d. l. 29/2020. Dubbi condivisi dagli Ermellini.
Il collegio evidenzia come
la preminenza del diritto alla salute sulla esecuzione della pena, nei casi in cui questa collida in maniera irriducibile con il primo, non è derogabile, neppure nell’ipotesi di assoggettamento del detenuto malato al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. penit.
La tutela dell’integrità psico-fisica delle persone detenute non si affievolisce di fronte alle legittime esigenze repressive dello Stato e prescinde dal livello di risocializzazione raggiunta dal detenuto e dai suoi progressi trattamentali.[22]
Si sottolinea, dunque, la centralità del bene salute, oggetto di particolare attenzione nella legislazione sull’ordinamento penitenziario (artt. 5 ss. ord. penit. e art. 11). Ma non solo, già l’art. 146, comma 1, n. 3 c.p. prevede il differimento obbligatorio della pena detentiva che debba aver luogo nei confronti di un soggetto gravemente malato, le cui condizioni di salute sono incompatibili con lo stato di detenzione. Se, in queste ipotesi, è la legge che impone il differimento della pena, nel caso di patologie di minore gravità, il bilanciamento tra salute e sicurezza sociale è rimesso al giudice (art. 147, ultimo comma, c.p.). Sullo stesso crinale si colloca un altro istituto, la detenzione domiciliare in surroga, di cui all’art. 47-ter o. p., che è proprio la misura disposta nel caso di specie.
A questo proposito, la giurisprudenza afferma come non sia necessaria un’incompatibilità assoluta con lo stato di detenzione, ma occorre che la malattia sia tale da richiedere cure non disponibili nel contesto carcerario, comportare un serio pericolo di vita e comunque causare sofferenze ulteriori ed eccessive al detenuto.[23]
Anche la Consulta ha evidenziato la duttilità della detenzione in surroga, che consente di ampliare l’accesso alle misure extramurarie in caso di grave infermità fisica, senza rinunciare alle esigenze di difesa della collettività, proprio perché si ratta di una misura che può essere opportunamente modellata dal giudice.[24]
Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, il Tribunale sardo evidenzia che, prima dell’intervento del decreto più volte citato, la rivalutazione sulle condizioni di salute del detenuto ammesso alla detenzione domiciliare in deroga veniva compiuta in un arco temporale definito dal giudice, e prorogabile in ragione dell’evoluzione della patologia. Al di fuori di tali previsioni, non erano previste ulteriori valutazioni, salvo il caso di revoca nell’ipotesi di concreto pericolo della commissione di delitti o di inosservanza della legge o delle prescrizioni dettate, tutti comportamenti evidentemente incompatibili con la prosecuzione della misura domiciliare.[25]
In base alla giurisprudenza, il differimento dell’esecuzione della pena è altresì revocabile nel caso di cessazione, per guarigione, delle condizioni di grave infermità che erano state alla base della concessione.[26]
Al contrario, il decreto antiscarcerazioni consente una rivalutazione costante delle condizioni che hanno portato alla concessione della misura, che, peraltro, si applica retroattivamente ai provvedimenti adottati dal 23 febbraio 2020.
Ad avviso del Tribunale di sorveglianza di Sassari, l’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare, secondo le cadenze dettate dagli artt. 2 e 5 del decreto in parola, invade la sfera di competenza dell’autorità di giudiziaria e viola il principio di separazione dei poteri. Impedisce un accertamento adeguato sulle condizioni di salute del detenuto e in forza del quale la discrezionalità giurisdizionale finisce per ridursi ad un’attività meramente ricognitiva degli esiti istruttori emergenti dal procedimento: la comunicazione del DAP, il parere della Procura antimafia, le informazioni del Presidente della Giunta regionale.
Le previsioni del decreto antiscarcerazioni sarebbero quindi in contrasto con gli artt. 102 e 104 della Costituzione, oltre che con l’art. 32 Cost..[27]
Ad avviso del Tribunale, la novella normativa consente esclusivamente di monitorare la persistenza dell’emergenza Covid-19 del luogo in cui si trova l’istituto penitenziario in cui il soggetto ammesso alla detenzione domiciliare era detenuto.[28]
Il Tribunale di sorveglianza rammenta come non siano ammissibili revoche delle pene alternative alla detenzione, disposte per motivi di salute, che prescindano da un’attenta analisi di quelle stesse ragioni.[29]
Il diritto alla salute – osserva il Collegio – comprende il diritto alla continuità terapeutica, al consenso informato alle cure, alla alleanza terapeutica.
Il meccanismo di automatica e frequente rivalutazione della misura, previsto solo per taluni detenuti, sulla base di una presunzione di pericolosità degli stessi, correlata al titolo di reato e al regime del carcere duro, appare inoltre contrario all’art. 3 della Costituzione.
Il sistema configura tanti “tipi di autore” quanti sono i titoli di reato indicati, e se simili previsioni di per sé collidono con i principi di proporzione e individualizzazione della pena, nel caso di specie violano il diritto fondamentale alla salute e stridono con il divieto di sottoporre i detenuti a pene contrarie al senso di umanità.[30]
Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 d. l. 2972020, il Tribunale di sorveglianza ribadisce che eventuali differenze di trattamento, in relazione a decisioni incidenti sul diritto alla salute, possono discendere unicamente dalle valutazioni individuali e perciò differenziate del giudice. Non è ammissibile alcun automatismo.
5. Conclusioni
Le due ordinanze analizzate offrono una panoramica esaustiva delle ragioni per le quali il c.d. decreto antiscarcerazioni suscita consistenti dubbi di legittimità costituzionale.
Ad avviso di chi scrive, si tratta di perplessità condivisibili.
Il legislatore dovrebbe muoversi sempre nell’ottica del corretto bilanciamento degli interessi in gioco. In questo caso: da una parte il diritto alla salute dei detenuti, dall’altra la sicurezza collettiva.
Il d. l. 29/2020 costruisce un meccanismo di rivalutazione automatica e ad intervalli definiti e in tempi contingentati che appare lontano dai canoni di costituzionalità. In sede di conversione parrebbe auspicabile una rivisitazione delle previsioni illustrate.
Il carcere ha bisogno di interventi volti a migliorare le condizioni di detenzione, e a rendere la pena uno strumento di effettiva rieducazione del condannato. Questo non significa tradire gli sforzi della lotta alla criminalità, ma rispettare il dettato costituzionale e rendere effettivi i diritti garantiti dalla Carta costituzionale.
[1] Nel suo XVI rapporto sulle condizioni di detenzione, l’Associazione Antigone riporta alcuni dati: in alcuni istituti il limite minimo di 3 mq di spazio per detenuto non viene rispettato. I dati più drammatici riguardano le carceri di Poggioreale, Pozzuoli e Bolzano, in cui esistono celle che arrivano ad ospitare12 persone contemporaneamente. Anche le condizioni dei servizi igienico sanitari non sono sempre positive. Si registrano carenze di acqua calda, spesso detenuti sono costretti ad usare docce comuni. In alcuni casi il wc non è separato dal resto della cella, ma è a vista.
Quanto all’età dei detenuti, si registrano i seguenti dati: nel 2019 gli ultracinquantenni erano il 25% (la percentuale europea più alta dopo quella bulgara, pari al 35%). In Francia era del 12% e in Spagna del 19,5. La media europea era del 16%. Si riporta altresì il dato afferente alle patologie più diffuse nel contesto carcerario: disturbi psichici (41,3%), malattie del tratto gastrointestinale (14,5%), malattie infettive (11,5%). (Fonte: Il carcere al tempo del corona virus, XVI rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione).
[2] Rilevano, in particolare, gli articoli 123 e 124 del d. l. 18/2020, rispettivamente in tema di detenzione domiciliare e licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà. Si segnala altresì l’art. 86 (Misure urgenti per il ripristino della funzionalità degli Istituti penitenziari e per la prevenzione della diffusione del COVID-19).
Quanto alle presenze, dal 19 marzo al 16 aprile si è registrato un calo della popolazione detenuta pari a 4.421 unità, in media 158 persone in meno al giorno (fonte: rapporto Antigone cit.).
[3] Decorrente dal giugno in cui la sentenza della Corte sarebbe divenuta definitiva. Termine posticipato al giugno 2015, con una nota del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, del 5 giugno 2014.
[4] Si tratta di una “sentenza pilota” della Corte EDU. Con questo termine si indica quella tecnica decisoria che permette alla Corte di Strasburgo di accertare non solo l’inadempimento nel caso concreto, ma anche il problema strutturale sottostante, e cioè l’esistenza nell’ordinamento dello Stato responsabile di leggi o prassi amministrative o giudiziarie che causino una violazione sistemica e continuativa della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
[5] Sul criterio di computo dello spazio minimo di 3 metri quadrati, recentemente, è stato chiesto l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cassazione Penale, Sez. IV, Ordinanza, 11 maggio 2020, n. 14260).
[6] Art. 2935 c.c.
[7] Cass., SSUU, sent. 21 dicembre 2017 (dep. 26 gennaio 2018), n. 3775.
[8] rapporto Antigone cit.
[9] Altri dati particolarmente allarmanti si registrano in Molise e Puglia, con tassi di sovraffollamento rispettivamente pari al 175,9% e 153,5% (rapporto Antigone cit.).
[10] elaborazione di Antigone su dati DAP. Rispetto al dato riportato, si evidenziano i dati drammatici di Taranto e Como, che raggiungono punte di oltre il 195%.
[11] XVI rapporto di Antigone cit.
[12] Il 32%, a fronte di una media europea del 18% (XVI rapporto Antigone).
[13] Su questo l'Italia si distingue da sempre, con il suo 33%, dieci punti sopra la media europea (del 23). In Germania erano il 22, in Spagna il 16, in Francia il 29 e in Olanda il 42 (fonte: XVI rapporto Antigone).
[14] Si rileva un nuovo aumento della popolazione detenuta. Infatti, i dati aggiornati al 15 maggio registravano 52.679 unità, a fronte di una capienza regolamentare che al 30 aprile era di 50.438 posti. Si contavano 8.551 detenuti in meno rispetto a fine febbraio. La popolazione detenuta è però rapidamente tornata a crescere, anche in ragione delle misure prese dal Governo. Fonti: XVI rapporto Antigone, Ministero della giustizia - Statistiche.
[15] Segnatamente, la novella reca: “Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso, terroristico e mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati.” (20G00047) (GU Serie Generale n.119 del 10-05-2020).
[16] Delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 416-bis del codice penale e 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, o per un delitto commesso con finalità di terrorismo ai sensi dell'articolo 270-sexies del codice penale, nonché i condannati e gli internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
[17] Il soggetto ha subito in passato un trapianto di fegato e soffre di ulteriori patologie.
[18] Si tratta di un provvedimento assunto ai sensi dell’art. 684 cpp in via provvisoria in attesa della pronuncia del Tribunale di sorveglianza sul differimento della pena e la detenzione domiciliare.
[19] Nel caso di specie, il DAP ha riconosciuto l’elevata vulnerabilità del soggetto e la necessità che, in caso di rispristino delle condizioni detentive, questi fosse collocato in una struttura adeguata dal punto di vista igienico sanitario, presidio che però non indica in concreto. La Procura distrettuale antimafia, invece, ha espresso parere contrario alla protrazione della misura domiciliare, atteso il pericolo di reiterazione del reato, in quanto il gruppo criminale di riferimento del detenuto, malgrado i numerosi arresti, si è rigenerato ed è ancora attivo. Inoltre, l’Amministrazione della Casa Circondariale nella quale il soggetto era detenuto ha, nel frattempo, adottato adeguate misure di protezione.
[20] In relazione all’istanza di detenzione domiciliare surrogatoria ex art. 47-ter comma 1-quater o. p. si ritiene che per la decisione collegiale trovi applicazione il termine di 60 giorni dall’emissione del provvedimento provvisorio, in base al richiamo all’art. 47, comma 4 o. p..
[21] Il soggetto è affetto da una patologia oncologica che lo costringe a terapia medica costante. Il Tribunale di sorveglianza concedeva la detenzione domiciliare per il periodo pari a cinque mesi, necessario a conoscere gli esiti degli approfondimenti diagnostici, imponendo prescrizioni quali il divieto di frequentare soggetti diversi dai conviventi, la preclusione di ogni comunicazione telefonica e informatica, salve quelle con i presidi sanitari.
[22] Tribunale di sorveglianza di Sassari, ord. n. 645/2020, pag. 9.
[23] In questo senso: Cass., Sez. I, n. 27352 del 2019.
[24] C. cost. 99/2019.
[25] Artt. 147 c.p. e 47-ter, comma 6, o.p..
[26] Cass. Sez. I, n. 982 del 1995.
[27] I dubbi circa la conformità a Costituzione del meccanismo di rivalutazione automatica si appalesano nel caso concreto, sottoposto all’attenzione del Tribunale sassarese. Il Collegio sottolinea, infatti, l’impossibilità di valutare l’adeguatezza dei reparti di medicina protetta indicati dal DAP rispetto al quadro clinico del detenuto, non ancora stabilizzato. Si evince inoltre dall’ordinanza in commento che il soggetto, abbia rispettato le prescrizioni imposte dal provvedimento in atto, dunque sembrerebbero non ravvisarsi i presupposti della revoca della misura concessa, in base all’art. 47-ter, comma 6, o.p..
[28] Tale assunto trova conferma nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d. l. 29/2020, in cui si legge: “solo l’effettiva persistenza di quelle condizioni di emergenza epidemiologica – che avevano inciso sull’apprezzamento, da parte del magistrato o del tribunale di sorveglianza, dell’impossibilità della prosecuzione del regime carcerario – potranno giustificare il proseguimento del regime alternativo”.
[29] L’ordinanza di rimessione osserva inoltre che la disciplina introdotta dal d. l. 29/2020, prevedendo la rivalutazione del provvedimento ad opera del giudice che lo ha assunto, deroga all’art. 677, comma 2, c.p.p., che individua nel giudice del luogo ove il detenuto ha la residenza o il domicilio l’autorità competente a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza.
[30] A conferma di tali assunti, è pacifica l’esclusione dal regime del carcere duro delle misure alternative e degli istituti volti alla salvaguardia della salute dei detenuti come la sospensione dell’esecuzione della pena ex artt. 146 e 147 c.p., la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter o.p., i permessi di necessità di cui all’art. 30 o.p., l’affidamento in prova terapeutico ai sensi dell’art. 94 DPR 309/19990, le misure alternative per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, di cui all’art. 47-quater o.p..