Pubbl. Sab, 4 Lug 2020
Le coordinate ermeneutiche delle operazioni sotto copertura
Modifica paginaQuesto contributo si colloca sulla linea di confine tra fatto e diritto: si indaga la categoria di fatto delle operazioni sotto copertura e si analizzano gli indici normativi che ne regolano i risvolti giuridici, in modo trasversale tra i vari sottosistemi del diritto.
Sommario: 1. Premessa – 2. La nozione di operazione sotto copertura – 3. L’inquadramento generale – 4. Il dato storico – 5. Il dato normativo attuale – 6. L’art. 24 l. n. 124 del 2007 – 7. L’art. 9 l. n. 146 del 2006 – 8. L’evoluzione normativa - 9. Qualche considerazione conclusiva
1. Premessa
Nella letteratura giuridica le operazioni sotto copertura sono analizzate prevalentemente come strumento investigativo in ambito penale.[1] E’ centrale il profilo problematico attinente alla legittimità della acquisizione degli elementi di prova, da cui deriva la utilizzabilità o meno nel processo penale.
Infatti, come noto, nel processo penale possono essere utilizzate solo prove legittimamente acquisite: ciò implica che la cd. verità processuale consista in una ricostruzione retrospettiva parziale di fatti storici che non si basa, di regola, su tutti i dati disponibili ma solo su quelli utilizzabili nel gioco processuale secondo le regole che lo governano[2].
E’ evidente che risulta essenziale comprendere quali siano i limiti da non superare per utilizzare legittimamente lo strumento delle operazioni sotto copertura in ambito investigativo. Sul piano applicativo questo aspetto ha un grande rilievo pratico perché se si dimostra l’illegittimità del procedimento di acquisizione di una prova decisiva allora ne deriverà la inutilizzabilità con una conseguente probabile assoluzione.
Tali operazioni però sono una categoria di portata più ampia che non si può ridurre ai suoi profili applicativi principali e che proveremo ad inquadrare sul piano sistematico, nonostante la frammentarietà e disomogeneità del quadro normativo di riferimento.
Infatti, le operazioni sotto copertura rappresentano, come vedremo, un semplice strumento operativo per la raccolta di informazioni (genus in cui rientra la species degli elementi di prova utilizzabili nel processo penale) nei contesti in cui la conoscenza dell’identità o della qualifica dell’operatore precluderebbe il conseguimento dell’obiettivo.
2. La nozione di operazione sotto copertura
La nozione di operazione sotto copertura non ha fondamento normativo, si trova però nella prassi amministrativa e, in particolare, si può rinvenire nella disciplina regolamentare delle attività di intelligence.
L’ operazione sotto copertura identifica una attività info-operativa condotta in modo da celare o dissimulare l’identità degli agenti e la riconducibilità delle strutture impiegate ad un servizio di informazione[3]. Non si tratta evidentemente di un concetto giuridico ma di una espressione descrittiva di una serie di condotte umane, quindi di fatti. Il termine “operazione” indica una serie di atti preordinati ad un fine[4]: in particolare l’attributo “info-operativa” che qualifica l’attività segnala che le finalità tipiche possono essere o la raccolta di informazioni o la realizzazione di ulteriori operazioni (il cui oggetto non è specificato: per cui sembra che si possa perseguire sostanzialmente qualsiasi attività) . La locuzione “sotto copertura” identifica l’elemento caratterizzante dell’uso della copertura.
La copertura[5] indica tutte le misure necessarie a proteggere persone, piani, operazioni, strutture o installazioni rispetto a possibile compromissione e include sia l’utilizzo di una identità di copertura[6] che lo svolgimento di attività economiche simulate.
Il concetto di copertura è generico – può riferirsi alle misure di protezione di meri elementi materiali (ad esempio strutture e istallazioni) – mentre nella nozione di operazione sotto copertura è immanente il quid pluris della componente umana: per cui occorre la presenza dell’agente sotto copertura. Infatti, secondo la definizione di riferimento è necessario il coinvolgimento di “agenti” dei quali occorra celare o dissimulare sia l’identità sia l’appartenenza alla struttura di riferimento, come si ricava dall’uso della congiunzione disgiuntiva “e”. La ragione di questa disciplina si comprende in modo agevole: da un lato, la rivelazione dell’identità dell’agente lo metterebbe in pericolo mentre la rivelazione della sua appartenenza alla struttura “mandante” rischierebbe di pregiudicare il raggiungimento dello scopo dell’operazione.
L’identità di copertura è quella sotto cui si cela, per evitare la compromissione, un agente, che si avvale a tale fine anche di una storia di copertura, ossia di un insieme di precedenti biografici e professionali diversi da quelli reali.
Dalla definizione emerge, sotto il profilo oggettivo, la natura ancipite dell’attività sotto copertura che può essere diretta sia a reperire informazioni sia a svolgere compiti operativi: si tratta di ambiti applicativi ampi e generici capaci di comprendere un ampio spettro di compiti. L’oggetto dell’attività è quindi amplissimo, può includere sostanzialmente qualsiasi operazione. Il profilo soggettivo, invece, caratterizza l’istituto: proprio l’utilizzo di una identità di copertura, da parte dell’agente che si espone nel corso delle attività info-operative, è il tratto caratterizzante di queste operazioni. Quindi, non rientrano nella nozione di operazione sotto copertura tutte quelle attività in cui l’agente occulta la sua presenza (come ad esempio le intercettazioni) e, a fortiori, cela la sua identità; sono definibili come operazioni sotto copertura tutte quelle attività in cui l’agente pur manifestando fisicamente la propria azione cela o dissimula solamente la sua reale identità.
Sul piano fenomenologico, quindi, le operazioni sotto copertura sono caratterizzate da un minore livello di segretezza rispetto alle attività info-operative svolte da una postazione remota attraverso le quali l’agente non rivela nemmeno la sua presenza (intercettazioni, captazioni di video e immagini, accesso a sistemi informatici, captazione di segnali elettromagnetici e via dicendo).
3. L’inquadramento generale
Non esiste un inquadramento dottrinario sistematico delle operazioni sotto copertura, il quale va pertanto ricostruito sulla base dei dati disponibili[7].
Poiché la fattispecie concreta delle operazioni sotto copertura ha una natura fattuale, occorre cercare di comprendere se tali fatti, allorquando siano descritti da una norma o inseriti in un istituto, possano contribuire a ricondurli nelle categorie giuridiche conosciute.
Dalla nozione emerge che è immanente nell’istituto l’elemento della falsità: l’agente utilizza una identità diversa da quella reale[8]. L’identità e gli elementi identificativi della persona sono essenziali per la vita di relazione e consentono di distinguere un individuo nella comunità in cui opera. Per cui, di regola, l’ordinamento, oltre ad assegnare un disvalore alla falsità in generale[9], attribuisce un disvalore particolare all’uso di elementi identificativi falsi[10]. Nel complesso si può inferire l’esistenza di un principio generale, di civiltà e di convivenza sociale forse prima ancora che giuridico, che vieta l’uso di identità false negli ambiti delle relazioni sociali suscettibili di essere oggetto di fede pubblica.
Le fattispecie in cui l’ordinamento autorizza l’uso di identità di copertura sono quindi ipotesi eccezionali rispetto ad un principio generale: devono essere autorizzate.
L’effetto permissivo può derivare direttamente, qualora il fatto sia autorizzato direttamente dalla norma. Tuttavia, le operazioni sotto copertura sono uno schema dall’oggetto atipico in quanto possono attenere ad un ampio spettro di attività, la scelta delle quali spetta di regola alla discrezionalità della pubblica amministrazione competente attraverso l’emanazione di un provvedimento permissivo. In concreto, la legge autorizza l’esecuzione di covert operation a seguito della emissione di un provvedimento permissivo[11].
La legge subordina quindi di regola la liceità dell’operazione sotto copertura all’esistenza di un provvedimento, che occorre qualificare[12]. Tale provvedimento può essere qualificato come di dispensa dal dovere di osservare divieti giuridici oppure come meramente autorizzatorio. Sul piano penale ha valore scriminante per l’uso di una falsa identità, sia, a determinate condizioni, in relazione all'eventuale concorso nel reato per il quale si indaga. A ben vedere quindi, si può ravvisare quindi una duplice funzione latamente scriminante.
Sul piano del diritto amministrativo potrebbe correttamente parlarsi di provvedimenti autorizzativi solo nell’ambito di operazioni di intelligence. In tal senso depone sia il dato letterale[13] che quello sistematico. Il dato sistematico porta a ritenere che potrebbe sussistere una posizione giuridica preesistente in capo al soggetto dal momento di instaurazione rapporto di servizio con il sistema di informazioni per la sicurezza, destinata ad espandersi con il rilascio dell’autorizzazione.
Tuttavia, potrebbe utilizzarsi il concetto di autorizzazione in senso ampio e atecnico di provvedimento permissivo.
4. Il dato storico
Chiarito che le operazioni sotto copertura sono una categoria di fatto, può essere utile attingere dalla storia alcuni dati attraverso cui comprendere come tali fattispecie concrete vivono nelle relazioni umane.
Si ritiene che l’agente sotto copertura sia una figura conosciuta già nell’ordinamento di Roma antica e nella Francia dell’Ancien Regime: in particolare Ligi XIV si serviva di serviva di collaboratori per ottenere segretamente informazioni sui soggetti sospettati di cospirare contro la corona[14].
Tuttavia, è nel secondo dopoguerra che le operazioni sotto copertura assumono la loro connotazione attuale, a seguito di una rapida evoluzione.
In origine tali operazioni avevano semplicemente scopi informativi e la stessa CIA, l’agenzia informativa più famosa della storia, al momento della sua istituzione nel 1947, è stata creata al solo scopo di far si che “che il Presidente fosse informato riguardo a tutte le fonti di intelligence dei vari rami del governo degli Stati Uniti aventi connessioni con l’estero”[15].
Tuttavia, lo scenario della guerra fredda, a causa dell’impossibilità di avviare operazioni militari dirette contro l’avversario a causa della minaccia di un conflitto nucleare, spinse il Governo degli Stati Uniti a delegare alla CIA una serie di “operazioni da maschere e pugnali [cloak and dagger]sconosciute in tempo di pace” a tal punto lontane dalle funzioni dell’agenzia da essere viste come “un simbolo di sinistri e misteriosi intrighi internazionali” [16]. La novità del fenomeno è testimoniata dal fatto che non esistesse nell’apparato burocratico e militare americano una struttura che avesse in passato svolto operazioni comparabili: ragione per la quale queste competenze furono assegnate ad una nuova struttura operativa.
Nascono così le covert actions moderne: non attengono più alla storica acquisizione informativa ma sono vere e proprie operazioni politiche, talvolta militari, operate direttamente su ordine dei vertici governativi per tutelare interessi nazionali. Talvolta si tratta di operazioni di politica estera dirette a incidere sulla politica interna di paesi nella sfera di influenza americana, tra cui peraltro si annovera sicuramente l’Italia[17].
Questa conformazione proattiva delle operazioni sotto copertura è sicuramente una acquisizione storica recente, che segna anche l’evoluzione della disciplina normativa attuale, e che flette la funzione originaria dell’istituto, rendendolo uno strumento potenzialmente lesivo dei diritti fondamentali dell’individuo, singolarmente inteso oppure nelle formazioni politiche nelle quali esercita la sua vita di relazione[18].
Si assiste, in sostanza, alla metamorfosi di uno strumento nato storicamente con una finalità di acquisizione informativa che diventa causa efficiente di eventi, quali prodotto dell’opera di un esercizio di volontà su soggetti terzi. Questo è, da un lato, indice della neutralità di uno strumento idoneo ad essere piegato a qualsiasi uso; dall’altro, segnala la necessità di filtrare la portata degli usi consentiti al fine di escludere quelli che possono porsi in contrasto con diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, anche se in concreto può essere difficile predisporre una tutela giuridica efficace a causa della segretezza e dell’elevato contenuto di discrezionalità politica.
Anche nell’ambito delle attività meramente investigativa la genesi delle attuali operazioni sotto copertura avviene negli Stati Uniti, che sono spesso indicati come “modello in materia di undercover operations” di polizia[19].
L’approccio è opposto quello degli ordinamenti di civil law, che postulano una base legale per fondare la legittimità di tali operazioni. Nell’ordinamento americano le operazioni sotto copertura sono pacificamente ammesse, anche senza una specifica base legale, sono estese ad ampi settori e implicano la totale impunità del provocatore.[20]
L’ampiezza delle facoltà di utilizzo di questi strumenti ha spinto la giurisprudenza, sin dagli anni ’30, a cercare di tutelare il provocato da ingerenze dell’amministrazione. In tale ottica è stato elaborato l’istituto dell’entrapment defense, assimilabile alla elaborazione concettuale europea di agente provocatore, per consentire al provocato di non rispondere penalmente del reato se dimostra, con azione rimessa all’iniziativa individuale, che non lo avrebbe commesso senza il contributo determinante delle forze dell’ordine[21].
Tale istituto ha avuto una grandissima espansione nel tempo a causa della diffidenza verso le operazioni sotto copertura, usate negli anni della strategia della tensione come strumento di ingerenza in ambito politico da parte di apparati dello Stato[22], ed ha trovato applicazione in numerosissime pronunce giurisprudenziali[23].
In ambito europeo, invece, come già accennato, il dato storico- giurisprudenziale risulta svalutato rispetto alla centralità del dato normativo, da cui occorre iniziare ad indagare[24].
5. Il dato normativo
Premesso l’inquadramento generale dell’oggetto di analisi occorre soffermarsi sugli indici normativi di riferimento. In particolare, rilevano: l’art. 24 della l. n. 124 del 2007 per le attività di intelligence; l’art. 9, l. n. 146 del 2006; l’art. 97, DPR n. 309 del 1990; l’art. 14, l. n. 269 del 1998 per quanto riguarda le attività di polizia giudiziaria; l’art. 12 quater l. n. 356 del 1992; l’art. 4 l. n. 438 del 2001 .
Si può agevolmente osservare che i riferimenti normativi sono relativamente recenti: è indice della mancanza di una ricostruzione normativa dell’istituto storicamente consolidata. E’ segno che la disciplina normativa nel suo complesso è frutto di una acquisizione recente. Tali affermazioni risultano supportate da una gran parte della dottrina, indicare qualche autorevole parere e se possibile, approfondire la tematica relativa all'assenza di una normativa storicamete consolidata.
6. Le attività di intelligence: l’art. 24 della l. n. 124 del 2007.
L’art. 24 della legge n. 124 del 2007, rubricato “identità di copertura”, è la base normativa principale per le attività di intelligence. Si riporta per comodità di lettura la norma che prevede:
“1. Il direttore generale del DIS, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o all’Autorità delegata, ove istituita, può autorizzare, su proposta dei direttori dell’AISE e dell’AISI, l’uso, da parte degli addetti ai servizi di informazione per la sicurezza, di documenti di identificazione contenenti indicazioni di qualità personali diverse da quelle reali. Con la medesima procedura può essere disposta o autorizzata l’utilizzazione temporanea di documenti e certificati di copertura.
2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 23, comma 2, i documenti indicati al comma 1 del presente articolo, ivi compresi quelli rilasciati dalle Forze di polizia di cui all’articolo 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121, non conferiscono le qualità di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria, di pubblica sicurezza o di polizia tributaria.
3. Con apposito regolamento sono definite le modalità di rilascio e conservazione nonché la durata della validità dei documenti e dei certificati di cui al comma 1. Presso il DIS è tenuto un registro riservato attestante i tempi e le procedure seguite per il rilascio dei documenti e dei certificati di cui al comma 1. Al termine dell’operazione, il documento o il certificato è conservato in apposito archivio istituito presso il DIS".
Si tratta di una norma di diritto amministrativo, che disciplina un procedimento autorizzatorio, individua la competenza e istituisce una fonte regolamentare secondaria.
Contributi dottrinali e giurisprudenziali su questa norma sono sostanzialmente inesistenti, per cui ogni approdo interpretativo va dedotto per inferenza dal dato normativo.
L’art. 24 garantisce il rispetto del principio di legalità formale nella disciplina del procedimento di rilascio dell’autorizzazione all’uso di identità di copertura.
La competenza al rilascio del provvedimento finale e del Direttore generale del dipartimento di informazioni per la sicurezza. L’iniziativa per l’avvio del procedimento spetta ai direttori di AISI e AISE, che sono rispettivamente le agenzie per la sicurezza interna ed esterna.
L’iniziativa quindi spetta alle strutture amministrati vedi natura tecnico-operativo e non al vertice politico. Il vertice politico, però, deve essere previamente informato e può evidentemente fornire un contributo istruttorio al fine di pervenire o meno alla conclusione positiva del procedimento. Il Presidente del Consiglio non ha invece alcun potere di veto. Manca ogni forma di coinvolgimento dell’organo parlamentare: infatti non è in alcun modo coinvolto né informato il COPASIR. L’organo di controllo parlamentare avrebbe solo poteri di controllo ex post (a cose fatte) svalutando moltissimo la possibilità di un controllo parlamentare sulle attività attinenti alla pubblica sicurezza.
Dal punto di vista oggettivo, la fattispecie non delimita le finalità per cui può essere utilizzata l’identità di copertura: si tratta evidentemente di uno strumento neutro utilizzabile in astratto per qualunque scopo. In concreto però sembra ragionevole ipotizzare che non possa oltrepassarsi il limite esterno della funzione per cui è stato attribuito il potere di usare le operazioni sotto copertura: garantire la sicurezza nazionale.
Proprio il concetto di sicurezza nazionale però «resta un “simbolo ambiguo” alla mercé di interpretazioni soggettive, di necessità politiche e di contigenze storiche»[25].
Per cui ci si trova di fronte ad una funzione amministrativa dal limite esterno fondato su una clausola generale (“sicurezza nazionale”) naturalmente flessibile e storicamente contingente, che dialoga costantemente con i valori dell’ordinamento in cui vive e di cui non sembra poter sovvertire i valori fondamentali.
Quanto sostenuto è confermato dal combinato disposto degli artt. 17 e 24 della l. n. 124 del 2007.
L’art. 17 prevede una particolare garanzia funzionale per gli operatori della sicurezza nazionale per cui “non è punibile il personale dei servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali di tali servizi, nel rispetto rigoroso dei limiti di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo e delle procedure fissate dall’articolo 18”.
L’indeterminatezza contenutistica delle operazioni sotto copertura implica che possano essere impiegate anche per commettere reati scriminati ai sensi dell’art. 17.
Tuttavia, lo stesso art. 17 esclude l’applicabilità della scriminante: se la condotta prevista dalla legge come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone[26]; nei casi di delitti di cui agli articoli 289 e 294 del codice penale e di delitti contro l’amministrazione della giustizia, salvo che si tratti di condotte di favoreggiamento personale o reale indispensabili alle finalità istituzionali dei servizi di informazione per la sicurezza e poste in essere nel rispetto rigoroso delle procedure fissate dall’articolo 18, sempre che tali condotte di favoreggiamento non si realizzino attraverso false dichiarazioni all’autorità giudiziaria oppure attraverso occultamento della prova di un delitto ovvero non siano dirette a sviare le indagini disposte dall’autorità giudiziaria e la speciale causa di giustificazione non si applica altresì alle condotte previste come reato a norma dell’articolo 255 del codice penale e della legge 20 febbraio 1958, n. 75, e successive modificazioni[27]; se non è opponibile il segreto di Stato a norma dell’articolo 39, comma 11, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270-bis, secondo comma, e 416-bis, primo comma, del codice penale[28]; se le condotte sono effettuate nelle sedi di partiti politici rappresentati in Parlamento o in un’assemblea o consiglio regionale, nelle sedi di organizzazioni sindacali ovvero nei confronti di giornalisti professionisti iscritti all’albo[29].
Per cui artt. 17 e 24 hanno due ambiti applicativi diversi e possono essere applicati entrambi alla stessa fattispecie concreta qualora una operazione sotto copertura sia finalizzata commettere un reato scriminato.
Sul piano sistematico emerge, da un lato, che l’identità sotto copertura non può essere usata per eludere i limiti applicativi della scriminante di cui all’art. 17 ovvero per rendere sostanzialmente non identificabile l’agente che pone in essere il reato; dall’altro, si ricava, dall’analisi dei limiti dell’art.17, la funzionalizzazione dello strumento alla tutela degli interessi superiori dello Stato e sembra segnalare un limite: il rispetto dei diritti fondamentali.
Potrebbe ragionevolmente ipotizzarsi, quindi, in via analogica l’estensione dei limiti dell’art. 17 anche alle operazioni sotto copertura, le quali non possono comunque essere dirette a pregiudicare valori fondanti dello Stato democratico.
Tali limiti devono inoltre ritenersi esemplificativi e non esaustivi: è preoccupante che l’applicabilità dell’art. 17 sia limitata al divieto di commettere reati solo nelle sedi dei partiti “rappresentati in parlamento”. In altre parole, sarebbero legittimamente scriminati i reati commessi da agenti del servizio informazioni per la sicurezza nelle sedi dei partiti non rappresentati in parlamento, come ad esempio il movimento cinque stelle degli esordi ? E’ evidente che una tale norma, interpretata letteralmente, non reggerebbe il vaglio della Corte Costituzionale perché palesemente lesiva di diritti politici fondamentali e costituzionalmente riconosciuti.
Allora, non resta che interpretare come limite esterno ogni diritto fondamentale incomprimibile dell’individuo, ricavato dalla costituzione, a prescindere dalla presenza di un esaustivo elenco normativo.
7. L’art. 9 della legge n. 146 del 2006
La legge n. 146 del 2006 ratifica la Convenzione internazionale di Palermo contro il crimine organizzato transnazionale[30].
La convenzione spinge gli Stati a prevedere particolari strumenti di investigazione adatti a contrastare la criminalità organizzata transnazionale.
In particolare l’art. 20 della convenzione prevede che “se consentito dai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico interno, ciascuno Stato Parte, nella misura delle proprie possibilità e alle condizioni stabilite dal proprio diritto interno, adotta le misure necessarie a consentire (…) le operazioni sotto copertura da parte delle autorità competenti sul suo territorio allo scopo di combattere efficacemente la criminalità organizzata”[31].
La norma identifica le operazioni sotto copertura come uno strumento efficace per contrastare la criminalità organizzata transnazionale, subordinandone l’introduzione al rispetto di due condizioni: il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico interno di ciascun paese; la compatibilità con il diritto interno (“alle condizioni stabilite dal proprio diritto interno”).
E’ quindi evidente che i diritti fondamentali costituiscono un limite esterno alla utilizzabilità dello strumento delle operazioni sotto copertura[32].
L’art. 9 comma 1 della l. n. 146 del 2006 è la base normativa sul piano del diritto nazionale[33].
La norma prevede una particolare scriminante per le attività sotto copertura compiute da determinati soggetti e a determinate condizioni. Si tratta di una scriminante che si pone strutturalmente ed esplicitamente in rapporto di specialità rispetto all’adempimento di un dovere, come si ricava chiaramente dalla clausola di riserva “fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale …”.
I requisiti per avvalersi della scriminante sono molto stringenti e riguardano la selezione dei soggetti per cui può operare, gli scopi che possono essere perseguiti dall’operazione nonché i reati in relazione ai quali può essere attivato lo strumento investigativo.
L’elenco dei reati, per cui tali operazioni possono essere disposte, è oggi molto esteso ed è anche la conseguenza della centralità che assume l’art. 9 nel sistema normativo, quale norma in cui sono confluite le varie discipline di settore, ormai abrogate, in tema di operazioni sotto copertura.
La tecnica di selezione dell’ambito di applicazione dello strumento di indagine è differente, ad esempio, rispetto a quella utilizzati in materia di intercettazioni: il rinvio alla cornice edittale del reato[34]. Il rinvio è una tecnica molto flessibile. La tecnica dell’elencazione è invece rigida e necessita di un intervento normativo per ampliare l’ambito applicativo di tali operazioni: il rinvio alla cornice edittale dei reati avrebbe consentito un meccanismo automatico di coordinamento con la disciplina delle singole fattispecie di reato, consentendo di attivare strumenti di indagine più impegnativi in funzione della gravità del reato.
Il mancato ricorso alla tecnica del rinvio è comunque un indice del sospetto con cui il legislatore guarda a tali strumenti investigativi.
E’ stata molto dibattuta l’interpretazione dell’inciso “… al solo fine di acquisire elementi di prova …”. In particolare dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sui limiti dello strumento investigativo. Da un lato, è stata proposta una lettura estensiva per cui si riteneva ammissibile anche un contributo causale dell’agente, ancorché non decisivo, alla commissione del reato alla luce dei principi generali in tema di concorso di cause[35]; dall’altro, si è proposta una lettura restrittiva della norma per cui l’attività dell’agente sotto copertura avrebbe dovuto limitarsi ad osservare, controllare e contenere l’evoluzione di un’azione criminosa avviata sulla base di una intenzione preesistente del reo.
Sul punto si è espressa la Corte EDU, evidenziando che le operazioni investigative sotto copertura devono rispettare presupposti rigorosi per essere compatibili con i principi del giusto processo[36]. In particolare, l’operazione è legittima solo qualora contribuisca ad indagare su un proposito criminale preesistente e non anche quando ne sia la causa efficiente così che “quando l'attività dell'agente infiltrato è decisiva nella determinazione di una persona a commettere un reato essa esula da un'attività sotto copertura, di per sé ammissibile, e travalica in un'attività di "provocazione", tale da incidere negativamente sull'equità complessiva della procedura se la condanna si fonda essenzialmente sugli esiti di tale attività”[37].
La giurisprudenza nazionale, anche sulla base dei principi enunciati dalla Corte EDU, tende a ritenere scriminata solo l’azione dell’agente sotto copertura “non provocatore”. L’agente può limitarsi ad una attività di osservazione, controllo e contenimento dell’azione criminosa: l’attività sotto copertura può essere occasione dell’estrinsecazione del reato ma non la sua causa determinante[38].
Se in linea teorica il principio è chiaro, sul piano applicativo occorre accertare, con una valutazione di merito, se il contributo dell’agente debba ritenersi essenziale[39].
Si ritengono illecite anche le attività di concorso morale che si estrinsecano in un incitamento o una induzione al crimine del soggetto indagato[40]. Gli agenti hanno invece la facoltà di omettere o ritardare attività di propria competenza, come ad esempio l’arresto, al fine di non interrompere l’evoluzione dell’iter criminis[41].
8. L’evoluzione normativa
Gli indici normativi analizzati, tuttavia, non rappresentano una innovazione radicale per il nostro ordinamento. Infatti le operazioni sotto copertura sono un istituto conosciuto da decenni, il cui principio di positivizzazione risale ad interventi legislativi di settore.
In questo quadro, allora, l’analisi dell’evoluzione normativa può essere un ausilio per comprendere le ragioni del recente dibattito sulle coordinate ermeneutiche di tali operazioni.
L’art. 97 del DPR n. 309 del 1990 è stata una delle prime norme a disciplinare le operazioni sotto copertura[42].
La formulazione originaria della norma[43] era incentrata sull’autorizzazione dell’agente all’acquisto simulato di stupefacenti. La norma, nella sua prima riformulazione, ha autorizzato invece il compimento di operazioni per interposta persona, estendendo ai collaboratori la scriminante. Inoltre, vengono elencate altre attività, oltre all’acquisto di stupefacenti, che vengono scriminate: la ricezione, l’occultamento e la sostituzione delle sostanze nonché le attività prodromi che e strumentali.
Al comma 5 è stata introdotta un fattispecie di reato a tutela della segretezza delle operazioni.
Di recente la disciplina delle operazioni sotto copertura è stata uniformata e l’art. 97 prevede semplicemente che “1. Per lo svolgimento delle attivita' sotto copertura concernenti i delitti previsti dal presente testo unico si applicano le disposizioni di cui all'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni”[44].
Si può quindi ritenere che oggi le operazioni antidroga non hanno una disciplina autonoma rispetto alle altre operazioni sotto copertura, di cui condividono il quadro di garanzie.
Sul punto si è rilevato che, ancorché l’acquisto simulato di droga postuli di regola un reato (quantomeno di detenzione) a carico del provocato rendendo certa la preesistenza di un intento criminoso, l’operazione non può comunque acquistare finalità di prevenzione, ma deve inserirsi nell’ambito della repressione di reati di cui si ha notizia: non si ritiene quindi legittima una operazione sotto copertura avviata prima dell’acquisizione della notizia di reato[45].
Eventuali attività preventive non sarebbero utilizzabili nel processo penale.
Sul piano dell’analisi della tipicità delle operazioni sotto copertura rileva altresì l’art. 14, l. n. 269 del 1998.
La legge n. 269 del 1998 prevede norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù, in aderenza ai principi stabiliti dalla Convenzione di Stoccolma sui diritti del fanciullo[46]. Il dato letterale della norma rende auto evidente lo scopo della norma, finalizzata a potenziare gli strumenti di repressione dei reati a danno della libertà sessuale dei minori[47].
Si tratta di una forma particolare di operazioni sotto copertura finalizzate alla repressione di reati di pornografia minorile. La struttura della fattispecie è in larga parte assimilabile a quella delle altre operazioni sotto copertura: l’agente deve essere un ufficiale in forze delle strutture specializzate; occorre la preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria; è previsto un elenco di reati per cui la disciplina è applicabile.
La particolarità di tali operazioni è la potenziale proiezione extra-territoriale.
Infatti, si applicano a reati in relazione ai quali, ai sensi dell’art. 604 c.p., il cittadino italiano che commette il fatto all’estero è punito a prescindere dal fatto che si trovi sul territorio nazionale, in deroga alla disciplina generale prevista dall’art. 9 del codice penale. Ad esempio, potrebbero essere autorizzate operazioni sotto copertura all’estero nei confronti dell’indagato che si trovi fuori del territorio nazionale.
In questo senso si tratta di una particolare disciplina capace di proiettare le attività investigative all’estero, in conseguenza della estensione della giurisdizione italiana oltre i confini nazionali.
La ratio della disciplina è quella di contribuire a irrobustire gli strumenti di repressione di fenomeni criminali che assumono colorazioni transnazionali: si tratta, in particolare, del fenomeno del turismo sessuale[48].
La portata di tale innovazione è dirompente alla luce di recenti arresti giurisprudenziali, che hanno stabilito i criteri di utilizzabilità del materiale probatorio raccolto. Tale materiale, in particolare, è comunque utilizzabile qualora ex post il reato accertato si riveli diverso da quello per cui la legge autorizza il ricorso alle operazioni sotto copertura, purchè ex ante fosse ragionevole ipotizzare l’esistenza di quest’ultimo reato[49].
Si estende così moltissimo la capacità repressiva dei reati commessi all’estero.
Una ulteriore base normativa ad avere rilievo in tema di operazioni sotto copertura è l’art. 12 quater d.l. n. 306 del 1992[50].
La fattispecie in oggetto è stato il paradigma normativo per le operazioni sotto copertura relative a ricettazione, armi e riciclaggio.
La norma è stata abrogata dall'articolo 9, comma 11, lettera b), della legge 16 marzo 2006, n. 146, nell’ambito del quale è stata sostanzialmente assorbita.
La norma ha quindi attualmente solo un valore storico e conferma la tendenza normativa a trasformare lo schema delle operazioni sotto copertura da strumento eccezionale utilizzabile nei singoli settori a strumento investigativo generale utilizzabile con modalità comuni per il perseguimento di una serie di reati tipizzati nell’elenco tassativo previsto dall’art. 9 citato.
Infine, una evoluzione analoga a quella dell’art 12 quater ha sortito l’art. 4 d.l. n. 394 del 2001[51]. L’art. 4 rubricato è una norma speciale che ha disciplinato in passato le attività sotto copertura in materia di terrorismo. La norma è stata abrogata dall’art. 9 della l. n. 146 del 2006, che diventa il paradigma delle operazioni sotto copertura. La norma ha dunque un valore argomentativo meramente storico.
9. Qualche considerazione conclusiva.
Per concludere, si possono inferire alcune conclusioni dai dati analizzati. Sul piano ontologico emerge la natura ancipite delle operazioni sotto copertura, che possono essere utilizzate sia per finalità informative che operative[52]: in breve, si tratta di uno strumento neutro, orientabile a qualsiasi finalità, conosciuto, sul piano storico, sin dalle esperienze statuali più remote[53]. Tali attività hanno suscitato interesse nel moderno Stato di diritto, in quanto: da un lato, c’è l’assoluta flessibilità dello strumento delle operazioni sotto copertura; dall’altro, vi sono i limiti insuperabili in uno stato di diritto, tra cui sicuramente rientrano i diritti fondamentali di stampo democratico e liberale.
Ne deriva l’esigenza di far dialogare l’istituto con i principi insuperabili del sistema: in un sistema che peraltro tende a diventare più complesso in quanto alle garanzie nazionali si giustappone un sistema di garanzie su base sovranazionale.
Per evitare abusi il legislatore tende a prevedere una disciplina stringente, tale da regolare in modo rigoroso i presupposti applicativi dell’operazione.
Gli abusi a cui si presta questo strumento sono ricorrenti in ogni esperienza statuale[54], per cui sembra potersi ragionevolmente trarre la conferma che i problemi conoscitivi maggiormente dibattuti derivino non tanto dalla disciplina normativa adottata dal singolo legislatore nazionale quanto piuttosto dalla natura ontologica di queste operazioni, che possono essere classificate, al maggior livello di astrazione possibile, come una categoria di fatto (id est: operazioni qualificate dall’elemento materiale dell’uso di una identità falsa).
In particolare, gran parte del dibattito sul piano nazionale si è incentrato sulla difficoltà di far dialogare l’uso delle operazioni sotto copertura con la garanzia dei diritti costituzionale. Nello specifico, con il principio di colpevolezza e di personalità della sanzione penale.
La giurisprudenza nazionale ha cercato di chiarire il perimetro entro il quale le operazioni sono legittime, specificando che in sostanza devono costituire solo l’occasione in cui il reato si manifesta e non una condizione per la sua realizzazione[55].
Il quadro si è significativamente arricchito, nel tempo, con le pronunce delle corti sovranazionali, le quali hanno sostanzialmentee forse definitivamente eroso la discrezionalità del legislatore nazionale nella implementazione della cd. figura dell’agente provocatore[56].
Sulla base della scivolosità dell’istituto, il legislatore nazionale lo ha sempre maneggiato con parsimonia e diffidenza. Fino alle recenti riforme, infatti, le operazioni sotto copertura erano strumenti eccezionali previsti da leggi di settore. Tuttavia, sul piano sovranazionale si è assistito all’espansione dell’utilizzo di tali operazioni nell’ambito della repressione dei fenomeni criminali transnazionali: è stato dato un nuovo impulso all’istituto, infatti, con la Convenzione di Palermo.
La storica diffidenza del legislatore nazionale recede quindi di fronte agli obblighi di adeguamento alle fonti sovranazionali, tra le maglie delle quali sembra di intuire che nella “società liquida” – per definirla con le parole di Bauman – i fenomeni criminali transnazionali erodono la rilevanza dei confini nazionali. Per cui, sorge la necessità di implementare strumenti altrettanto flessibili, capaci di inseguire e perseguire la criminalità liquida: strumenti tra cui spiccano le operazioni sotto copertura, la cui ontologica flessibilità le rende uno strumento principe di indagine nella società globale. All’ineludibile necessità, di fatto, di utilizzo di questi strumenti, non corrisponde ancora però una seria consapevolezza di come poterle implementare in modo efficace, nel rispetto dei diritti fondamentali, senza irrigidire in maniera poco funzionale la disciplina.
[1] V. ex multis A. Falcone, L’agente sotto copertura, Dike, 2014.
[2] Si segnalano i principali riferimenti bibliografici, anche sul piano comparatistico: J. E. ROSS, The Place of Covert Surveillance in Democratic Societies: A Comparative Study of the United States and Germany, 55 Am. J. Comp. L., 2007, p. 493; E. INFANTE, L’adempimento del dovere, in A. CADOPPI – S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte generale – II, UTET, 2013, p. 355, nota 139: «A livello di sensibilità culturale di fondo, vi è nel nostro Paese un’istintiva diffidenza verso uno strumento che, nel potenziare il contrasto al crimine, accresce notevolmente l’efficacia investigativo-repressiva degli apparati pubblici»; P. MOROSINI, L’acquisto simulato di sostanze stupefacenti (Artt. 97 e 98, d.p.r. 9-10-1990, n. 309), in A. CADOPPI – S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA (a cura di), Trattato di diritto penale - Parte speciale Vol. IV: I delitti contro l’incolumità pubblica e in materia di stupefacenti, UTET, 2010.
[3] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento informazioni per la sicurezza, IL LINGUAGGIO DEGLI ORGANISMI INFORMATIVI Glossario intelligence, voce “operazioni sotto copertura” De Luca Editori, Roma, 2013.
[4] http://www.treccani.it/vocabolario/operazione/
[5] Presidenza del Consiglio dei Ministri, op. cit. voce “copertura”.
[6] Presidenza del Consiglio dei Ministri, op. cit. voce “identità di copertura”.
[7] V. A. Falcone, L’agente sotto copertura, Dike 2014: la principale monografia sulle operazioni sotto copertura. L’opera analizza le operazioni sotto copertura quale strumento di polizia giudiziaria. L’indagine è quindi settoriale: riguarda la disciplina di uno specifico strumento di polizia giudiziaria e non si propone la ricostruzione della categoria di fatto delle operazioni sotto copertura, alla luce di tutte le sue declinazioni.
[8] L’elemento della falsità è plasticamente esplicitato dall’art. 24 della l. n. 124 del 2007 secondo cui la copertura consiste nel rilascio “ di documenti di identificazione contenenti indicazioni di qualità personali diverse da quelle reali”: si tratta, in breve, del rilascio di documenti falsi.
[9] Il codice penale infatti dedica l’intero titolo VII del secondo libro i reati contro la fede pubblica (artt. 453 ss. c.p.). Norme sanzionatorie del falso sono comuni e disseminate anche in tutti i settori dell’ordinamento: tra l’altro, a mero titolo esemplificativo si segnala l’art. 76 D.P.R. n. 445 del 2000; art. 21 nonies comma 2 bis l. n 241 del 1990; artt. 2621 e 2622 c.c.; art. 80 D.lgs. n. 50 del 2016 e via dicendo.
[10] L’art. 496 c.p. punisce chi fornisce false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri a soggetti a un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Nel processo penale, in cui vale addirittura il principio nemo tenetur se detergere, l’imputato è comunque tenuto a non dichiarare il falso sulle proprie generalità e su quanto può essere utile a identificarlo, come stabilito ai sensi dell’art. 66 c.p.p.
[11] Il nesso di necessaria presupposizione di un atto amministrativo permissivo ricorre in tutte le fattispecie normative, per l’analisi delle quali si rinvia al paragrafo 4 e seguenti.
[12] Nell’ambito delle operazioni di intelligence il provvedimento autorizzativo è rilasciato dal direttore generale del DIS, su proposta dei direttori di AISI e AISE, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 24 l. n. 124 del 2007).
[13] Sia l’art. 24 della l. n. 124 del 2007 che l’art. 9 comma 1 bis l. n. 146 del 2006 usano il termine “autorizzazione”.
[14] V. M.G. Cilardi, L’agente sotto copertura: quando la prova c’è ma non si vede, in riv. Cammino Diritto n. 1 del 2019.
[15] Lettera private di Harry Truman al Senatore Wayne Morse, in data 11 aprile 1963. Si veda Merril, Dennis
(ed.) Documentary History of the Truman Presidency, Vol.23: The Central Intelligence Agency:
Its Founding and the Dispute over Its Mission, 1945-1954, University Publications of America, 1998,
p. 414
[16] Editorial di Truman su The Washington Post, pubblicato il 22 dicembre 1963. L’editoriale è ristampato
in Merrill (1998) op. cit., pp. 422-426.
[17] Ad esempio, nelle sue memorie nel 1978, William Colby, responsabile delle operazioni politiche della
CIA in Italia dal 1953 al 1958 e poi direttore della CIA dal 1973 al 1976, descrive il programma di “covert
political actions” della CIA in Italia come “il più grande di questi programmi mai realizzato”. Si
veda, Colby, William Honorable Men. My Life in the CIA, Simon&Schuster, New York, 1978, p. 108.
[18] Per una ricostruzione più approfondita si segnala M. Faini, Sherman Kent e il ruolo dell’intelligence nel processo di policy, in Leggintelligence (a cura di Giampiero Massolo).
[19] B. Fergasso, L’estensione delle operazioni sotto copertura ai delitti contro la pubblica amministrazione: dalla giurisprudenza della corte edu, e dalle corti americane, un freno allo sdoganamento della provocazione poliziesca, 5 marzo 2019, in riv. diritto penale contemporaneo.
[20] C. DE MAGLIE, L’agente provocatore, Giuffrè, Milano, p. 419: «[I] sistemi che optano per l’impunità del provocato non puniscono mai l’agente provocatore, che, quasi sempre appartenente alle forze di polizia, viene tutelato a tal punto da non comparire mai nel processo. Il ricorso all’impunità per il provocato non rappresenta allora che un rimedio adottato contro le condotte dichiaratamente inaccettabili delle forze di polizia: visto che non è mai possibile colpire l’agente provocatore, si garantisce almeno l’assoluzione del provocato anche – se non esclusivamente – per scoraggiare, con quest’unico strumento rimasto all’ordinamento e ai suoi giudici – cioè la “sanzione” della “frustrazione” – ulteriori condotte arbitrarie dei funzionari».
[21] leading case Sorrells v. United States (287 U.S. 435, 1932).
[22] J. E. ROSS, Tradeoffs in Undercover Investigations: a Comparative Perspective, in The University of Chicago Law Review 69 (3), Oct. 2003, p. 1501, 1504: «Europeans associate undercover agents with a long history of internal spying by state security services, who used "agents provocateurs" to infiltrate and radicalize dissident political movements, occasionally inciting acts of violence to discredit these movements».
[23] V. Sorrells v. United States, 287 U.S. 435 (1932); Sherman v. United States, 356 U.S. 369 (1958); Jacobson v. United states, 503 U.S. 540 (1992).
V. United States v. Dion, 762 F.2d 674 (8th Cir. 1985); United States v. Knight, 604 F. Supp. 984 (S.D. Ohio 1985); Lebron v. State, 127 So. 3d 597 (Fla. Dist. Ct. App. 2012); State v. Jones, 416 A.2d 676 (R.I. 1980).
[24] C. DE MAGLIE, L’agente provocatore, cit., p. 419.
[25] V. E.Camilli, Sicurezza nazionale: tra concetto e strategia, in Leggintelligence (a cura di G.Massolo), 2014.
[26] V. art. 17 comma 2 legge n. 124 del 2007.
[27] Art. 17 coma 3 l. n. 124 del 2007.
[28] Art. 17 comma 4 l. n. 124 del 2007.
[29] Art. 17 comma 5 l. n. 124 del 2007.
[30] Ai sensi dell’art. 1 della l. n. 146 del 2006 “Il Presidente della Repubblica e' autorizzato a ratificare la
Convenzione ed i Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001”.
[31] Art. 20 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 2000.
[32] Art. 117 della costituzione.
[33] La norma prevede: “Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale, non sono punibili:
a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 452-quaterdecies, 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonchè nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchè ai delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere il reato o ne accettano l'offerta o la promessa o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego ovvero corrispondono denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o per remunerarlo o compiono attività prodromiche e strumentali;
b) gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a)”.
[34] Art. 266 c.p.p.
[35] Art. 41 c.p.
[36] Art. 6 CEDU.
[37] Corte europea diritti dell'uomo sez. I, 21/02/2008, n. 15100.
[38] Cassazione penale sez. VI, 04/02/2020, n.12204.
[39] Cassazione penale sez. VI, 08/06/2016, n.28810.
[40] Cassazione penale sez. VI, 30/10/2014, n.51678.
[41] Cassazione penale sez. VI, 04/04/2017, n.25508.
[42] Sul tema v. P. MOROSINI, L’acquisto simulato di sostanze stupefacenti (Artt. 97 e 98, d.p.r. 9-10-1990, n. 309), in A. CADOPPI – S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA (a cura di), Trattato di diritto penale - Parte speciale Vol. IV: I delitti contro l’incolumità pubblica e in materia di stupefacenti, UTET, 2010.
[43] La norma nella sua formulazione originaria prevedeva che “1. Fermo il disposto dell'art. 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dalla presente legge ed in esecuzione di operazioni anti-crimine specificatamente disposte dal Servizio centrale antidroga o, d'intesa con questo, dal questore o dal comandante del gruppo dei Carabinieri o della Guardia di finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria, o dal direttore della Direzione investigativa antimafia di cui all'articolo 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, procedono all'acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
2. Dell'acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope è data immediata e dettagliata comunicazione al Servizio centrale antidroga ed all'autorità giudiziaria. Questa, se richiesta dalla polizia giudiziaria, può, con decreto motivato, differire il sequestro fino alla conclusione delle indagini” .
Si trattava di una fattispecie finalizzata precipuamente a consentire alle forze di polizia di simulare l’acquisto di sostanze stupefacenti. Tale modalità operativa era particolarmente proficua negli anni novanta, in cui non era ancora diffuso lo strumento delle intercettazioni (anche perché non erano nemmeno capillarmente diffusi dispositivi di comunicazione digitali).
La norma è stata successivamente rimodellata fino ad assumere questa conformazione “1. Fermo il disposto dell'articolo 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dal presente testo unico ed in esecuzione di operazioni anticrimine specificatamente disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, sempre d'intesa con questa, dal questore o dal comandante provinciale dei Carabinieri o della Guardia di finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria o dal direttore della Direzione investigativa antimafia di cui all'articolo 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, anche per interposta persona, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche e strumentali.
2. Per le stesse indagini di cui al comma 1, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il pubblico ministero al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive all'inizio delle attività.
3. Dell'esecuzione delle operazioni di cui al comma 1 e' data immediata e dettagliata comunicazione alla Direzione centrale per i servizi antidroga ed all'autorità' giudiziaria, indicando, se necessario o se richiesto, anche il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, nonché il nominativo delle eventuali interposte persone impiegate.
4. Gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi di ausiliari ed interposte persone, ai quali si estende la causa di non punibilità di cui al presente articolo. Per l'esecuzione delle operazioni può essere autorizzata l'utilizzazione temporanea di beni mobili ed immobili, nonché di documenti di copertura secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati.
5. Chiunque, nel corso delle operazioni sotto copertura di cui al comma 1, indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni stesse, e' punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni” .
[44] Articolo modificato dall'articolo 12-ter del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356, successivamente sostituito dall'articolo 4-terdecies del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272 e ancora sostituito dall'articolo 8, comma 2, lettera a), della legge 13 agosto 2010, n.136.
[45] V. Circolare della Direzione per i servizi antidroga del 5 settembre 1995; in dottrina vd. C. TAORMINA, Polizia giudiziaria e operazioni "sotto copertura", in Riv. Pen., 2015, fasc. 11, p. 923; P. MOROSINI, L’acquisto simulato di sostanze stupefacenti (Artt. 97 e 98, d.p.r. 9-10-1990, n. 309), cit., p. 770; L. PISTORELLI, Intercettazioni preventive ad ampio raggio ma inutilizzabili nel procedimento penale, in Guida dir., 2001, 42, p. 89; contra DUBOLINO P. – DUBOLINO C., Codice delle leggi penali speciali, Commento ad art. 9, l. 16 marzo 2006, n. 146, La Tribuna, 2014.
[46] ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.
[47] L’art. 14 della legge prevede che “1. Nell'ambito delle operazioni disposte dal questore o dal responsabile di livello almeno provinciale dell'organismo di
appartenenza, gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori, ovvero di quelle istituite per il contrasto dei delitti di criminalita' organizzata, possono, previa autorizzazione dell'autorita' giudiziaria, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma,
600-ter, commi primo, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale, introdotti dalla presente legge, procedere all'acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attivita' di intermediazione, nonche' partecipare alle iniziative turistiche di cui all'articolo 5 della presente legge. Dell'acquisto e' data immediata comunicazione all'autorita' giudiziaria che puo', con decreto motivato, differire il sequestro sino alla conclusione delle indagini.
2. Nell'ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, definiti con il decreto di cui all'articolo 1, comma 15, della legge 31 luglio 1997, n. 249, l'organo del Ministero dell'interno per la sicurezza e la regolarita' dei servizi di telecomunicazione svolge, su richiesta dell'autorita' giudiziaria, motivata a pena di nullita', le attivita' occorrenti per il contrasto dei delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, commi primo, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale commessi mediante l'impiego di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili al pubblico. A tal fine, il personale addetto puo' utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse. Il predetto personale specializzato effettua con le medesime finalita' le attivita' di cui al comma 1 anche per via telematica.
3. L'autorita' giudiziaria puo', con decreto motivato, ritardare l'emissione o disporre che sia ritardata l'esecuzione dei provvedimenti di cattura, arresto o sequestro, quando sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, commi primo, secondo e terzo, e 600 - quinquies del codice penale. Quando e' identificata o identificabile la persona offesa dal reato, il provvedimento e' adottato sentito il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni nella cui circoscrizione il minorenne abitualmente dimora.
4. L'autorita' giudiziaria puo' affidare il materiale o i beni sequestrati in applicazione della presente legge, in custodia giudiziale con facolta' d'uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l'impiego nelle attivita' di contrasto di cui al presente articolo”.
[48] Sul tema v. Aa.Vv., Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano. La Convenzione Onu di Palermo, a cura di Rosi, Milano, 2007.
[49] Cass. pen. III 9354 del 2020.
[50] Per comodità di lettura si riporta il testo della norma: “1. Fermo quanto disposto dall'art. 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria della Direzione investigativa antimafia o dei servizi centrali e interprovinciali di cui all'art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui agli articoli 648- bis e 648- ter del codice penale, procedono alla sostituzione di denaro, beni o altre utilità provenienti da taluno dei delitti indicati nei suddetti articoli, o altrimenti procedono in modo da ostacolarne l'identificazione della provenienza ovvero in modo da consentirne l'impiego.
2. Fermo quanto disposto dall'art. 51 del codice penale, non sono altresì punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria della Direzione investigativa antimafia o dei servizi centrali e interprovinciali di cui all'art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine a delitti concernenti armi, munizioni od esplosivi, acquistano o ricevono od occultano o comunque si intromettono nel fare acquisire, ricevere od occultare le armi, le munizioni o gli esplosivi medesimi.
3. Delle operazioni indicate nei commi 1 e 2 è data immediata notizia all'autorità giudiziaria; questa, se richiesta dagli ufficiali di polizia giudiziaria procedenti, può, con decreto motivato, differire il sequestro del denaro, dei beni o delle altre utilità, ovvero delle armi, delle munizioni o degli esplosivi fino alla conclusione delle indagini disponendo se necessario specifiche prescrizioni per la conservazione.
4. L'esecuzione delle operazioni indicate nei commi 1 e 2 è disposta dal capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri ovvero della Guardia di finanza a seconda che si tratti di servizio appartenente all'una o all'altra forza di polizia; è disposta dall'Alto commissario per il coordinameno della lotta alla delinquenza di tipo mafioso quando ad essa procedono ufficiali di polizia giudiziaria della Direzione investigativa antimafia”.
[51] Per comodità di lettura si riporta il testo della norma: “1. Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficiali di Polizia giudiziaria che nel corso di specifiche operazioni di polizia disposte ai sensi del comma 5, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo, anche per interposta persona acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, o altrimenti ostacolano l'individuazione della provenienza o ne consentono l'impiego.
2. Per le stesse indagini di cui al comma 1, gli ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il pubblico ministero al più presto e comunque entro le 48 ore successive all'inizio delle attività.
3. Nei procedimenti per i delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 del codice di procedura penale, si applicano le disposizioni dell'articolo 10 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172.
4. Le operazioni indicate nei commi 1 e 2 sono effettuate dagli ufficiali di Polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e della Guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo anche internazionale.
5. L'esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 è disposta, secondo l'appartenenza del personale di Polizia giudiziaria, dal Capo della Polizia o dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza per le attribuzioni inerenti ai propri compiti istituzionali, ovvero, per loro delega, rispettivamente dal questore o dal responsabile di livello provinciale dell'organismo di appartenenza, ai quali deve essere data immediata comunicazione dell'esito della operazione.
6. L'organo che dispone l'esecuzione dell'operazione deve dare preventiva comunicazione al pubblico ministero competente per le indagini, indicando, se necessario e se richiesto, anche il nominativo dell'ufficiale di Polizia giudiziaria responsabile dell'operazione, nonché il nominativo degli eventuali ausiliari impiegati. Il pubblico ministero deve comunque essere informato senza ritardo a cura del medesimo organo nel corso della operazione delle modalità e dei soggetti che vi abbiano partecipato, nonché dei risultati della stessa.
7. Gli ufficiali di Polizia giudiziaria possono avvalersi di ausiliari, ai quali si estende la causa di non punibilità di cui al comma 1. Per l'esecuzione delle operazioni può essere autorizzata l'utilizzazione temporanea di beni mobili ed immobili, nonché di documenti di copertura secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri interessati. Con lo stesso decreto sono definite le forme e le modalità per il coordinamento, a fini informativi e operativi, tra gli organismi investigativi di cui al comma 4”.
[52] V. par. 2.
[53] V. par. 4.
[54] Vd. J. E. ROSS, The Place of Covert Surveillance in Democratic Societies: A Comparative Study of the United States and Germany, 55 Am. J. Comp. L., 2007, p. 493.
[55] Cass., sez. I, ud. 14/01/2008, dep. 07/03/2008, n. 10695, D’amico; Cass., sez. VI, 24/01/2008, n. 16163; Cass., sez. VI, 06/11/2013, n. 4393; Cass., sez. III, 15/01/2016, n. 31415; Cass., sez. IV, 21/09/2016, n. 47056; Cass., sez. II, ud. 18/10/2017, dep. 14/11/2017, n. 51962; Cass., sez. V, 26/02/2018, n. 19388.
[56] Si vedano, ex multis, Teixeira de Castro c. Portogallo, n. 25829/94, 9 giugno 1998; Calabrò c. Italia e Germania (dec), n. 59895/00, 21 marzo 2002; Ramanauskas c. Lituania, n. 74420/01, 5 febbraio 2008; Scholer c. Germania, n. 14212/10, 18 dicembre 2014; Furcht c. Germania, n. 54648/09, 23 ottobre 2014; Sequeira c. Portogallo (dec), n. 73557/01, 6 maggio 2003; Eurofinacom c. Francia (dec), n. 58753/00, 24 giugno 2003; Pătraşcu c. Romania, n. 7600/09, 14 febbraio 2017; V. c. Finlandia, n. 40412/98, 24 aprile 2007.