Pubbl. Lun, 18 Mag 2020
Coronavirus: bigenitorialità contro diritto alla salute
Modifica paginaautori Simona Pecora Cucchiara , Luca Collura
Nel periodo di grave emergenza sanitaria che il nostro Paese sta vivendo, tra le tante problematiche vi è quella relativa al diritto dei minori figli di genitori separati a poter vedere costantemente entrambi i genitori. A causa delle restrizioni imposte con i D.P.C.M. susseguitisi nel tempo, la giurisprudenza di merito è piano piano passata da un’interpretazione permissiva ad un orientamento via via più limitativo di tale diritto.
Sommario: 1. Il punto di partenza: artt. 16, 30 e 32 Cost. e artt. 316 ss. cod. civ. – 2. Bigenitorialità e diritto alla salute: la posizione della giurisprudenza – 3. Il D.P.C.M. 26 aprile 2020
1. Il punto di partenza: artt. 16, 30 e 32 Cost. e artt. 316 ss. cod. civ.
Per poter comprendere al meglio le conclusioni cui si perverrà ad esito del presente scritto e le argomentazioni che saranno apportate, non v’è chi non veda come sia indispensabile, sotto un profilo normativo, tracciare quella che deve essere la necessaria spina dorsale di ogni ragionamento sulla materia del diritto alla c.d. bigenitorialità.
Detto diritto è sancito dall’art. 30 della nostra Carta costituzionale, il quale, al primo comma, dispone in particolare che «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». La disposizione, che si pone come una statuizione di principio, sancisce chiaramente come i genitori – entrambi i genitori – siano titolari non soltanto di un diritto inviolabile a poter vivere con i loro figli, onde educarli e crescerli nel modo più opportuno, ma anche del dovere di farlo. Pertanto, è assai facile desumere che, da questo dovere, discenda un corrispondente diritto dei figli a poter costantemente frequentare entrambi i propri genitori, così da poter ricevere la cura e l’educazione che sono loro dovute.
Questo principio è stato recepito, a livello di legislazione ordinaria, dagli artt. 316 ss. c.c., dalla combinata lettura dei quali chiunque può avvedersi come il diritto-dovere a svolgere il ruolo di genitore sia stato dal legislatore attribuito ad entrambi i genitori e non ad uno soltanto di essi e ciò anche, ma non solo, al fine di permettere un armonico, sano e completo sviluppo psico-fisico del minore.
Se fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe mai messo in dubbio il quadro sopra descritto[1], a seguito dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus – che, indubbiamente, ha profondamente cambiato le abitudini ed il modo di pensare di tutti noi –, parrebbe che tutto possa essere messo in discussione, financo il diritto di un bambino a vedere il proprio padre o la propria madre.
Con gli svariati D.P.C.M. che si sono susseguiti dall’inizio di marzo ad oggi, infatti, il Governo ha – per ragioni certamente meritevoli, quali quella di assicurare la tutela della salute pubblica e della vita umana – via via sempre più ristretto alcune nostre fondamentali libertà costituzionali, limitando enormemente, in primis, il diritto di ogni cittadino a circolare liberamente sul territorio della Repubblica, diritto apertis verbis sancito dall’art. 16 Cost., a mente del quale le uniche limitazioni ammesse sono quelle stabilite dalla legge per motivi di sicurezza o di sanità.
L’art. 16 cit., ammettendo limitazioni alla libera circolazione sul territorio nazionale «per motivi di sanità», si pone tuttavia dichiaratamente su un piano di subordinazione rispetto al diritto sancito dall’art. 32 Cost., che, al comma 1, dispone: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]». Non pare illogico, dopotutto, che, per tutelare un diritto come quello alla salute, si possa pure ammettere una limitazione al diritto alla libera circolazione, il quale, melius re perpensa, diverrebbe comunque privo di concreta utilità ove si fosse costretti su un letto di ospedale, magari in uno degli ormai famigerati reparti di terapia intensiva.
In sede di bilanciamento tra principi costituzionali che si trovino ad essere in contrasto, dunque, tra quello della libera circolazione sul territorio nazionale e quello della protezione della salute dovrà senz’altro prevalere il secondo.
Quid iuris, però, ove il contrasto sorga tra il diritto dei figli alla bigenitorialità e la salute pubblica (o di essi stessi)?
2. Bigenitorialità e diritto alla salute: la posizione della giurisprudenza
Il D.P.C.M. 8 marzo 2020, dopo aver vietato in generale gli spostamenti in entrata ed in uscita da alcune province del nord Italia, all’art. 1, c. 1, lett. a), prevedeva che fosse comunque possibile entrare o uscire da detti territori per far rientro nel proprio domicilio, nella propria abitazione o nella propria residenza.
Sulla base di ciò sono sorti i primi casi, riguardanti coniugi separati, in cui colui che era collocatario dei figli o che comunque in quel momento li avesse con sé presso la propria abitazione negava all’altro genitore il diritto di vederli motivando che ciò fosse impedito dalle disposizioni del D.P.C.M. in parola. La reazione dell’altro genitore, naturalmente, non tardò ad arrivare e il Tribunale di Milano[2], adito per l’occasione, ebbe l’onore/onere di essere il primo in Italia a dover decidere la seguente spinosa questione: è giusto mettere in pericolo la salute pubblica (o anche solo del minore) per permettere ad un genitore di vedere i propri figli (e viceversa)?
Secondo il Tribunale meneghino, tenuto conto che l’art. 1, c. 1, lett. a) del D.P.C.M. 8 marzo 2020 ammette gli spostamenti finalizzati a rientrare presso la propria residenza o il proprio domicilio e preso altresì atto che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in data 10.03.2020, sul proprio sito Internet istituzionale, aveva diramato delle FAQ (Frequently Asked Questions) al punto 13 delle quali precisava che gli spostamenti di un genitore volti a raggiungere i figli minori presso l’altro coniuge o l’affidatario sono sempre consentiti secondo quanto previsto dal giudice con i provvedimenti di separazione e di divorzio, ha ritenuto di disporre che le parti si attenessero al contenuto degli accordi da loro raggiunti in sede di separazione e che il padre potesse liberamente recarsi dai figli presso l’abitazione dell’altro genitore, suo ex coniuge[3].
Senza nemmeno scomodare il bilanciamento dei principi costituzionali, il giudice milanese, quindi, rifacendosi a quanto – a nostro parere, in maniera condivisibile – aveva ritenuto la Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva tuttavia implicitamente ammesso che il diritto di un genitore a vedere i propri figli – e, di conseguenza, il diritto alla bigenitorialità – prevale sul principio della tutela della salute, in quanto la mancanza di un genitore nella vita di un bambino può avere, per lo stesso, conseguenze anche molto gravi.
Alcune successive pronunce di merito, tuttavia, ponendosi in una posizione diametralmente opposta, hanno ritenuto che, nel contrasto tra principi costituzionali, quello della tutela della salute dovesse prevalere su quello alla bigenitorialità.
La prima pronuncia di segno contrario che è dato riscontrare in argomento è del Tribunale di Bari[4]. Il giudice barese, chiamato a decidere sulla possibilità di un padre di recarsi presso un Comune diverso da quello di residenza per incontrare i figli collocati presso l’abitazione della madre, ha statuito che, durante l’emergenza Covid-19, le visite del genitore ai figli dovevano ritenersi sospese. Con altra pronuncia di poco successiva[5], il Tribunale si spingeva ancora oltre, decretando che la limitazione dovesse ritenersi valida anche qualora il genitore non collocatario risiedesse nello stesso Comune dei figli.
A differenza del Tribunale lombardo, quello pugliese aveva, stavolta apertis verbis, stabilito che il diritto alla salute sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione sia da ritenersi prevalente rispetto a quello alla bigenitorialità di cui all’art. 30 Cost.
Con successivi arresti, la giurisprudenza di merito, lungi dall’aderire definitivamente ad una o all’altra delle correnti interpretative, si è dimostrata ondivaga, non permettendo quindi di addivenire ad una risposta che possa dirsi unanimemente condivisa alla domanda che ci siamo posti in apertura del presente paragrafo.
Se il Tribunale di Terni[6], con fare inesorabile, riteneva che gli incontri protetti del padre con i figli da svolgersi in luoghi pubblici alla presenza di assistenti sociali non potessero assicurare idonea protezione alla salute psico-fisica dei minori e disponeva che i medesimi si svolgessero non in un luogo fisico ma tramite metodi come le videochiamate via Skype o WhatsApp[7], il giudice di Busto Arsizio[8] stabiliva che il diritto del genitore a vedere i propri figli fosse una ragione valida per ammetterne lo spostamento da un luogo all’altro anche a fronte delle restrizioni conseguenti alle misura volte a prevenire la diffusione del Coronavirus.
Se, secondo qualcuno, il diverso tenore delle decisioni prese dai vari tribunali è dovuto al fatto che i medesimi si sono dovuti confrontare con le disposizioni contenute in D.P.C.M. diversi[9], è nostra opinione che la genesi delle diverse posizioni adottate dai giudici del merito sia da riscontrare altrove, i.e. nel risultato cui essi sono pervenuti ad esito del bilanciamento tra il principio costituzionale della bigenitorialità e quello del diritto alla salute, ritenendo che una compressione del primo fosse giustificata dalla prevalenza del secondo.
E tuttavia, malgrado le soluzioni per così dire di compromesso proposte in quelle pronunce che hanno disposto che gli incontri genitore-figli avvenissero, e.g., attraverso l’uso di tecnologie quali le videochiamate, non v’è chi non veda come la soccombenza del diritto alla bigenitorialità rispetto a quello alla salute, se potrebbe in astratto dirsi tollerabile quando contenuta entro convenienti e certi limiti di tempo, si palesa del tutto insopportabile ove la medesima sia destinata a protrarsi per uno spatium temporis non determinato né preventivamente determinabile.
Chi scrive, quindi, è dell’avviso che, nel caso concreto, nel bilanciamento costituzionale tra il principio della bigenitorialità e quello della salute dovesse prevalere il secondo, sia perché la limitazione del primo non poteva a priori essere fondatamente circoscritta entro limiti temporali ben definiti sia in quanto non pare illogico presumere che un genitore si asterrebbe dall’incontrare il proprio figlio se non fosse assolutamente sicuro di aver preso tutte le precauzioni necessarie per tutelare la sua salute[10].
3. Il D.P.C.M. 26 aprile 2020
A seguito dell’attenuarsi della curva dei contagi, il 26 aprile 2020 è stato emanato un nuovo D.P.C.M. che, a far data dal 4 maggio 2020, ha disposto un progressivo allentamento del lockdown cui è stato ultimamente sottoposto il nostro Paese.
Per quanto di nostro interesse, di fondamentale importa è il disposto dell’art. 1, c. 1, lett. a), D.P.C.M. cit., nel quale si legge che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati […] da situazioni di necessità […] e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie».
Al di là della diatriba subito sorta intorno al significato da attribuire alla parola “congiunti” cui fa riferimento il provvedimento de quo[11], ciò che risulta di fondamentale rilevanza ai nostri fini è che, per espressa previsione di una di quelle che l’art. 1 disp. prel. c.c. riconosce come fonti del diritto[12], è ora possibile spostarsi per raggiungere i propri congiunti, tra i quali indubbiamente rientrano i figli, in quanto raggiungerli è una situazione di necessità.
A fronte di una simile presa di posizione da parte del Governo, pare ora assai difficile che un giudice possa stabilire che, a causa dell’emergenza sanitaria, il genitore debba abdicare al proprio diritto-dovere di vedere e frequentare (fisicamente, non via Skype o WhatsApp) i propri figli o che essi debbano vedere sacrificato il proprio diritto alla bigenitorialità.
Inoltre, in una prospettiva di più ampio respiro, riteniamo di poter dire che lo stesso conditor legis abbia voluto chiarire che, in un bilanciamento tra il principio costituzionale della bigenitorialità e quello del diritto alla salute – salve situazioni tanto gravi da poter fondatamente ritenere che il rischio per la salute si tramuterà sicuramente in danno –, il primo debba prevalere sul secondo.
[1] Tanto che lo stesso conditor legis, per i casi patologici rappresentati dalla separazione dei genitori, con la conseguente necessitata collocazione dei figli minori presso uno di essi in via prevalente, se non addirittura esclusiva, ha previsto comunque che il genitore non collocatario abbia il diritto-dovere di far visita ai propri figli e che tale diritto-dovere è coercibile ai sensi degli artt. 614-bis e 709-ter c.p.c.
[2] Trib. Milano, decreto 11 marzo 2020, in Il Quotidiano Giuridico, 24 aprile 2020, con nota di L. COLLURA, Coronavirus: è sempre permesso lo spostamento per raggiungere i figli minori.
[3] Secondo L. COLLURA, Coronavirus: è sempre permesso lo spostamento per raggiungere i figli minori, cit., «Il principio fissato dal Tribunale è valido anche a seguito del recente D.P.C.M. 22 marzo 2020, il cui art. 1, c. 1, lett. b), II periodo, ha disposto che “all’articolo 1, comma 1, lettera a), del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2020 le parole ‘. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza’ sono soppresse”. Malgrado il rientro presso il domicilio, l’abitazione o la residenza non sia più un valido motivo per spostarsi, infatti, la Presidenza del Consiglio del Ministri, in data 28.03.2020, ha diramato delle nuove FAQ, dalle quali, al punto 17 della voce “Spostamenti”, viene sostanzialmente ripetuto quanto detto nelle FAQ del 10.03.2020 relativamente agli spostamenti del genitore per raggiungere i figli minori, che risultano consentiti in ogni caso».
[4] Trib. Bari, 26 marzo 2020, in Diritto e Giustizia, 31 marzo 2020, e in Il Quotidiano Guridico, 2 aprile 2020, con nota di A. SCALERA, Le visite del padre al figlio in comuni diversi sono sospese durante l’emergenza Covid-19: «Il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, a mente dell'art. 16 della Costituzione, ed al diritto alla salute, sancito dall'art. 32 Cost.».
[5] Trib. Bari, 3 aprile 2020, inedita.
[6] Trib. Terni, 30 marzo 2020, in Il Quotidiano Giuridico, 16 aprile 2020, con nota di A. SCALERA, Covid-19: gli incontri padre-figli in spazio neutro avvengono via Skype alla presenza di un operatore. Conforme Trib. Vasto, 2 aprile 2020, in Il Quotidiano Giuridico, 22 aprile 2020, con nota di M. SICCHETTI, Covid-19: la salute pubblica prevale sul diritto di visita del minore: «Il Giudice, con provvedimento inaudita altera parte, ha ritenuto che gli incontri dei minori con genitori dimoranti in un Comune diverso da quello di residenza dei minori stessi, non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020 ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, come pure al D.P.C.M. 21/3/2020 e, da ultimo, al D.P.C.M. del 22/3/2020 (ad oggi si è aggiunto il D.P.C.M. 10 aprile 2020). Conseguentemente, nel bilanciamento degli interessi in gioco, ha ritenuto che quello alla salute pubblica prevalga comunque, sia sul diritto del minore alla bigenitorialità, sia sul diritto/dovere di visita dei genitori separati, soprattutto ove non sia verificabile se il minore venga esposto a rischio sanitario».
[7] Sul punto si mostra critica M. PAGLIARA, Diritto di visita del genitore non collocatario, onere della prova e Covid-19, in Familia, 20 aprile 2020.
[8] Tribunale di Busto Arsizio, 3 aprile 2020, in Il Quotidiano Giuridico, 10 aprile 2020, con nota di A. SCALERA,
Coronavirus: al padre possono bastare le videochiamate?: «Attualmente, l’art. 1, comma 2, lett. a) D.L. 25 Marzo 2020, n. 19 prevede la possibilità di introdurre misure che comportino limitazioni all’allontanamento dalla propria residenza, domicilio o dimora, ad eccezione degli spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni. Tra queste “specifiche ragioni” dovrebbero farsi rientrare, ad avviso del ricorrente, anche le visite alla prole».
[9] M. PAGLIARA, Diritto di visita del genitore non collocatario, onere della prova e Covid-19, cit., la quale, in particolare, ha ritenuto di poter giustificare la differenza tra la decisone del Tribunale di Milano del 11.03.2020 e quella del 26.03.2020 sulla base del fatto che, mentre la prima è intervenuta in virtù di quanto disposto dall’art. 1, c. 1, l.ett. a), D.P.C.M. 8 marzo 2020, che permetteva gli spostamenti volti a raggiungere la propria abitazione, la propria residenza o il proprio domicilio, la seconda era basata su quanto previsto dalla disposizione in parola come modificata dall’art. 1, c. 1, lett. b), D.P.C.M. 22 marzo 2020, che aveva soppresso la possibilità di spostamenti per il rientro nei predetti luoghi.
[10] Contra A. SCATTAGLIA, Emergenza sanitaria: fra bigenitorialità e salute, in Familia, 29 aprile 2020, secondo il quale «Alla luce delle predette pronunce, il quadro della situazione non sembra affatto semplificarsi poiché, nonostante le decisioni assunte rispondano all’esame di casi differenti, le valutazioni dell’organo giudicante sono sempre volte ad individuare il best interest of the child, così come la tutela della salute del minore. Anche in momenti di grande emergenza. Concludendo, sembra senz’altro indispensabile che i genitori cooperino nel fronteggiare la situazione emergenziale in atto, applicando i principi del buon senso, unici capisaldi capaci di garantire sia la salvaguardia del diritto alla salute, sia la tutela del principio di bigenitorialità».
[11] In merito F. MEGLIO, La nozione di «congiunti» e il D.P.C.M. 26 aprile 2020, in Familia, 28 aprile 2020, il quale, dopo aver fatto notare che la portata applicativa di tale nozione non è facilmente ricostruibile sulla base del fatto che nel nostro ordinamento giuridico le poche disposizioni che la richiamano lo fanno in maniera diversa l’una dall’altra, conclude nel senso che, in assenza di un vincolo giuridicamente riconosciuto, comunque «per fidanzati e fidanzate, compagni, partners e via discorrendo, l’appuntamento è rinviato ad una data successiva»; G. LONGO, Coronavirus, anche i fidanzati sono considerati “congiunti” ma resta il divieto sulle seconde case, in La Stampa, 27 aprile 2020, ove viene riportato un intervento del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti il quale ha “precisato” (rectius: errato nel dire) che nella nozione di “congiunti” rientrano anche i fidanzati, in quanto persone con le quali si intrattengono rapporti affettivi stabili; E. BOLDI, Il viceministro Sileri dice che tra i congiunti e gli affetti stabili ci sono anche gli amici, in giornalettismo.it, 29 aprile 2020, il quale riporta la dichiarazione rilasciata a Rai Radio 1 dal Viceministro della Salute, secondo il quale «Anche un rapporto di amicizia può essere un affetto stabile, così come lo è un fidanzamento».
[12] Il D.P.C.M., infatti, rientra nella categoria dei regolamenti, richiamata dall’art. 1, n. 2), disp. prel. c.c. Sulla materia, esaustivamente: Autore sconosciuto, La rubrica giuridica: di DPCM, fonti del diritto e legittimità dei provvedimenti di Conte, in anpiparma.it, 17 aprile 2020.