Coronavirus: il delitto di epidemia alla prova per i fatti di Codogno e Alzano Lombardo
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Ilaria Taccola
Analisi della disciplina normativa in tema di contenimento del virus Covid-19 e riflessioni sull´applicazione del delitto di epidemia, in particolare la configurabilità del delitto in questione nella forma omissiva impropria ex art. 40 cpv c.p.
Sommario: 1. Le misure di contenimento alla diffusione del virus covid-19; 2. Il dibattito sulla natura del Dpcm e l’applicazione dell’art. 650 c.p.; 3. Il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19; 4. Il reato di epidemia; 4.1. Le ipotesi applicative del reato di epidemia; 5. I fatti di Codogno e Alzano Lombardo; 6. Conclusioni
1. Le misure di contenimento alla diffusione del virus covid-19
A seguito dell’emergenza creatasi con la diffusione del virus covid-19, comunemente denominato coronavirus, si è assistito a una serie di interventi normativi caratterizzati dall’urgenza e dalla necessità di fronteggiare questa epidemia, oramai riconosciuta come pandemia dall’OMS.
Per completezza, il primo strumento normativo utilizzato è stato la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 che ha dichiarato lo stato di emergenza per sei mesi in tutto il territorio nazionale, ai sensi degli artt. 7, primo comma , lettera c) e 24, primo comma del D.lgs. n. 1/2018 Codice della protezione civile.
In seguito, è stato emanato il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 che ha introdotto misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019. Inoltre, nella stessa giornata è stato anche emanato il Dpcm 23 febbraio 2020 di attuazione del citato decreto-legge, solamente però per i Comuni delle Regioni Lombardia e Veneto maggiormente a rischio di contagio da Coronavirus. Venivano così istituite le prime zone rosse e arancioni che però erano limitati unicamente ai comuni indicati nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato.
Successivamente, il 25 febbraio è stato emanato un ulteriore Dpcm per introdurre nuove misure in materia di svolgimento delle manifestazioni sportive di ogni ordine e disciplina, di organizzazione delle attività scolastiche e della formazione superiore, di prevenzione sanitaria presso gli Istituti penitenziari, di regolazione delle modalità di accesso agli esami di guida, di organizzazione delle attività culturali e per il turismo.
Inoltre, nella giornata del 28 febbraio era stato approvato un ulteriore decreto-legge che introduceva misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Tutto ciò, però, era limitato solamente ad alcuni comuni della Regione Lombardia e della Regione Veneto.
Infatti, a seguito della repentina diffusione del virus covid-19, il 4 marzo è stato emanato un ulteriore Dpcm riguardante il contrasto e il contenimento sull'intero territorio nazionale del diffondersi del virus covid-19. In data 8 marzo, sempre con Dpcm, è stata estesa la cosiddetta zona rossa a tutta la regione Lombardia e a 14 province, ossia, Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.
Successivamente, il 9 marzo sono state estese le misure previste all'art. 1 del Dpcm 8 marzo 2020 a tutto il territorio nazionale. Così facendo l'intero territorio nazionale, come definito dallo stesso Governo, diventa zona protetta.
Le limitazioni e i divieti previsti dal Dpcm 8 marzo 2020, e successivamente estesi con il Dpcm 9 marzo a tutto il territorio nazionale, sono le seguenti:
a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori, nonché all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza;
b) ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C) è fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante;
c) sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Resta consentito lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni, nonché delle sedute di allenamento degli atleti professionisti e atleti di categoria assoluta che partecipano ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali o internazionali, all' interno di impianti spo11ivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all'aperto senza la presenza di pubblico. In tutti tali casi, le associazioni e le società sportive, a mezzo del proprio personale medico, sono tenute ad effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus COVID-19 tra gli atleti, i tecnici, i dirigenti e tutti gli accompagnatori che vi partecipano.
Pertanto, fino all’11 marzo erano stata dettate disposizioni per la limitazione della libertà di circolazione salvo che per i tre motivi indicati con delle clausole generali, quindi motivi di lavoro, di salute o altre ragioni urgenti. Inoltre, era stata anche vietata la riunione in luoghi aperti e quindi di conseguenza lo svolgimento di manifestazioni o eventi di qualsiasi tipo, ed erano stati sospesi anche i concorsi. Tuttavia, era consentito svolgere attività fisica all’aperto seppure non in gruppo e le attività produttive e industriali erano sempre aperte.
In data 11 marzo, è stato emanato un successivo Dpcm che ha disposto la chiusura di tutte le attività commerciali, di vendita al dettaglio, ad eccezione dei negozi di generi alimentari, di prima necessità, delle farmacie e delle parafarmacie. Sono state sospese le attività inerenti i servizi alla persona e le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Restano consentite la sola ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto.
Sono rimasti, altresì, aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Le disposizioni hanno effetto dal 12 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020.
Successivamente, anche l’attività fisica all’aperto è stata limitata consentendola solamente nei pressi della propria abitazione anche se svolta singolarmente con l’ordinanza del 20 marzo 2020 con efficacia fino al 25 marzo emanata dal Ministro della salute.
Inoltre, con il dpcm 22 marzo sono state chiuse tutte le attività produttive non essenziali o strategiche. Sono rimasti aperti alimentari, farmacie, negozi di generi di prima necessità e i servizi essenziali. Le disposizioni producono effetto dalla data del 23 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020.
Il 22 marzo 2020 è stata adottata congiuntamente dal Ministro della Salute e dal Ministro dell'Interno una nuova ordinanza che vieta a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.
Si deve evidenziare, inoltre, l’emanazione del decreto-legge “cura-Italia” D.L. 17 marzo 2020, n. 18 rubricato "Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19" che ha cercato di potenziare il sistema sanitario introducendo nuove risorse sia economiche che umane e ha previsto una serie di misure economiche in aiuto delle imprese e dei lavoratori autonomi e subordinati.
Per quanto riguarda la materia penale, con il decreto- legge 25 marzo 2020, n. 19 si è cercato di sistemare la proliferazione di normativa createsi, introducendo anche delle nuove sanzioni. Come vedremo meglio nel prosieguo, dal punto di vista penale erano state riscontrate alcune perplessità.
Le limitazioni alla libertà di circolazione e alle attività produttive sono rimaste in vigore fino al 4 maggio. Attualmente, con il Dpcm 26 aprile 2020 è cominciata l’apertura di alcuni settori produttivi, seppure limitata alle costruzioni e alla manifattura, consentendo alle persone di poter circolare nell’ambito della propria Regione oltre che per i tre motivi citati anche per fare visita ai congiunti, definizione che ha suscitato vari dubbi interpretativi, risolti con le precisazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri. È cominciata, dunque, la cosiddetta fase 2, definita come il periodo di convivenza con il virus.
Pertanto, si sta assistendo tutt’ora a un crescendo di provvedimenti che hanno sottoposto ad ampie limitazioni la libertà di circolazione ex art. 16 Cost e la libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost. Invero, anche se da ultimo c'è stato un generale allentamento delle misure di contenimento, restano pur sempre vietati i liberi spostamenti in tutto il territorio nazionale. Infatti, anche all’interno della propria Regione gli spostamenti sono limitati salvo i tre motivi delineati con clausole generiche dai vari provvedimenti, ossia motivi di salute, lavoro o altri motivi caratterizzati dalla urgenza a cui si è aggiunta, da ultimo, la visita ai congiunti. Mentre, invece, per quanto riguarda gli spostamenti fuori dalla propria Regione, questi sono vietati salvo che si ravvisino i motivi di salute o di urgenza.
Pertanto, un soggetto ancora adesso non può recarsi a trovare i propri congiunti al di fuori della propria Regione. È stato, tuttavia, consentito il ritorno al proprio domicilio o alla propria residenza, anche se alcune Regioni, nello spefico la Toscana ha previsto delle ulteriori limitazioni prevedendo il rientro solo per chi ha il proprio medico di famiglia nell’ambito della Regione.
Inoltre, è stato anche previsto l’obbligo delle mascherine per i luoghi di lavoro e i luoghi chiusi, ma a livello regionale come ad esempio in Toscana e in Campania è stato esteso anche ai luoghi pubblici all’aperto, tranne che per l’esercizio dell’attività sportiva.
2. Il dibattito sulla natura del Dpcm e l’applicazione dell’art. 650 c.p.
Un primo profilo riguarda la base legale delle limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e di iniziativa economica. Non è in discussione il fatto che tali libertà possano essere compresse, ma ciò che i maggiori interpreti[1] hanno sottolineato è il deficit di legalità, visto che tali limitazioni sono state attuate mediante una fonte di rango secondario, ossia il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Infatti, la riserva di legge prevista all’art. 16 Cost. non è assoluta, ma relativa seppure rinforzata, nel senso che è la stessa norma costituzionale a predeterminare il contenuto della legge visto che prescrive che la limitazione della libertà di circolazione possa essere prevista per motivi di sanità di sicurezza. Pertanto, la limitazione della libertà di circolazione può essere prevista da una fonte secondaria, in materia di sanità e sicurezza. Infatti, nell’ambito dell’emergenza sanitaria attuale non appare dubbia, seppure con qualche voce contraria, che la libertà di circolazione possa essere limitata con un atto avente rango secondario e non primario, ma quello che è stato messo in evidenza più che altro è il deficit di tassatività, visto l’utilizzo di clausole in bianco che attribuiscono poteri indeterminati al Governo per gestire l’emergenza sanitaria.
Cercando di riassumere brevemente i punti principali, la legittimazione dei vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri è da ricercare nell’art. 5 codice di Protezione civile che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di ordinanza in materia di protezione civile per il conseguimento delle finalità del Servizio nazionale. Tale potere rientra nel genus delle ordinanze contingibili e urgenti essendo un potere c.d "in bianco" visto che non è predeterminato il contenuto delle ordinanze in materia di protezione civile.
Inoltre, come base legale, I vari dpcm sono stati emanati in attuazione dell’art. art. 3, primo comma D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito in L. 5 marzo 2020, n. 13. Il citato decreto-legge ha incaricato l’organo esecutivo di emanare i provvedimenti attuativi previsti agli articoli 1 e 2. Solamente che all’articolo 1 del decreto-legge sono state previste delle misure determinate, mentre viceversa all’articolo 2 sono state previste delle misure indeterminate, poiché si è stabilito che possono essere emanate ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell'epidemia da COVID-19 anche fuori dei casi di cui all’articolo 1.
Infatti, come è stato osservato da autorevole dottrina,[2] tale decreto-legge non costituirebbe una base normativa valida, poiché innanzitutto è stato previsto unicamente per fronteggiare il diffondersi del virus a livello locale, come abbiamo accennato per le prime zone rosse nei comuni della Regione Lombardia e della Regione Veneto. Inoltre, maggiori dubbi li pone l’art. 2 del suddetto decreto visto che consente la predisposizione da parte del governo di tutta una serie di misure indeterminata, configurando così una norma “in bianco”.
Per quanto riguarda la natura del Dpcm, essendo rientrante nel genus delle ordinanze extra ordinem, si ripropone come sempre il dibattito in merito alla loro configurazione come atti normativi o atti amministrativi. Infatti, secondo alcuni si tratterebbero di fonti normative in quanto prescrivono comportamenti o divieti rivolti ad una generalità di consociati in forma generale e astratta e sarebbero quindi capaci di innovare l’ordinamento.
Pertanto, si tratterebbe di atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi. Secondo altri, invece, avebbero natura di atti formalmente e sostanzialmente amministrativi che non sarebbero perciò capaci di innovare l’ordinamento visto la loro temporaneità. Tale ultima tesi è stata peraltro avvalorata dalla Corte costituzionale in una nota pronuncia[3].
Inoltre, non va tralasciata la giurisprudenza[4] che in materia di ordinanze extra ordinem ha da sempre ribadito che oltre al requisito dell’urgenza e della imprevedibilità della situazione da affrontare, le ordinanze devono essere emanate per un periodo determinato e proprio per questo motivo non sarebbero capaci di innovare l’ordinamento. Infatti, attualmente la tesi prevalente, ribadita anche dalla Corte costituzionale, ritiene che le ordinanze extra ordinem integrino atti amministrativi e in particolare i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri apparterebbero al genus dei decreti ministeriali, anch’essi atti formalmente e sostanzialmente amministrativi.
Pertanto, il Dpcm inteso come regolamento, non sarebbe impugnabile autonomamente dinnanzi al giudice amministrativo, ma dovrebbe essere impugnato unitamente all’atto di esecuzione. Tale soluzione viene giustificata proprio perché come per i regolamenti, tale decreto presenta un contenuto generale e astratto che impedisce la lesione immediata e diretta delle situazioni giuridiche dei singoli. Tuttavia, vi possono essere dei casi[5] in cui la fonte normativa regolamentare sia produttiva di conseguenze direttamente lesive nei confronti dei singoli e perciò sia immediatamente impugnabile.
Tuttavia, quello che ha destato maggiori perplessità è il rinvio dell’art. 3, quarto comma, D.L. n. 6/2020 alla fattispecie contravvenzionale ex art. 650 c.p. Infatti, si legge che “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del Codice penale”
La fattispecie contravvenzionale ex art. 650 c.p. sanziona chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene. Ora su tale norma si è da sempre riproposto il dibattito sulla natura della norma penale in bianco e sulla compatibilità di quest’ultima con il principio della riserva di legge. Infatti, appare difficilmente compatibile con il principio della riserva di legge la norma penale in bianco, visto che secondo la definizione classica, questa sarebbe una fattispecie dal precetto generico che rinvia per la sua integrazione a una norma di rango secondario.
In breve, secondo una prima teoria, la norma penale in bianco si limiterebbe a sanzionare la mancata obbedienza al provvedimento amministrativo, al contrario secondo l’interpretazione classica il precetto sarebbe generico e farebbe un rinvio per l’integrazione al provvedimento amministrativo. Tuttavia, secondo l’interpretazione più attuale[6] nel caso dell’art. 650 c.p. non verrebbe in rilievo un’ipotesi di norma penale in bianco. Infatti, si ritiene che la prescrizione emanata dall’autorità non integri il precetto, poiché non si tratterebbe di previsioni generali e astratte, ma di previsioni specifiche. Infatti, si ritiene che l’art. 650 c.p. sia una norma dal precetto penale completo, poiché punisce l’inosservanza del provvedimento che configurerebbe così un elemento normativo che non integra, pertanto, la fattispecie.
L’organo giudicante dovrebbe quindi valutare solamente se il provvedimento sia stato emanato conformemente alle prescrizioni di legge e, nel caso riscontrasse delle illegittimità, dovrebbe disapplicarlo.
Tuttavia, è stato riscontrato un problema quando a essere violate sono le disposizioni extra ordinem, ossia ad esempio le ordinanze contingibili e urgenti, ciò in ragione del fatto che molte volte hanno un contenuto vago e indeterminato.
Pertanto, si arriverebbe al paradosso di sanzionare un comportamento dai contenuti poco determinati in palese contrasto con il principio di determinatezza e tassatività. Di conseguenza, ci si sposterebbe da un problema di compatibilità con la riserva a uno invece di contrasto con il principio di tassatività. Invero, venendo proprio alle ordinanze extra ordinem queste vengono emanate in ragione di necessità e urgenza dovute alla tutela della sicurezza pubblica e ordine pubblico, pertanto, non appare determinata a priori la condotta sanzionata. Ad esempio, in un caso la Corte di Cassazione[7] annullò senza rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il reato ex art. 650 c.p. per non aver ottemperato all’ordinanza contingibile e urgente del sindaco di divieto di somministrazione e consumo per strada di bevande in vetro e lattina nelle ore notturne.
Infatti, sempre con riferimento alla compatibilità tra ordinanze extra ordinem e il reato ex art. 650 c.p. la Corte di Cassazione non ha ritenuto integrato l’art. 650 c.p. nel caso in cui il soggetto non abbia ottemperato all’ordinanza del sindaco mediante la quale si obbligava a sottoporre i figli minori alle vaccinazioni previste dalla legge. Nell’ipotesi specifica[8] tale condotta non integrava neanche la contravvenzione prevista all’art. 260 T.U. delle leggi sanitarie R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.
Invero, la Corte di Cassazione[9] ha affermato la compatibilità tra la fattispecie ex art. 650 c.p. e le ordinanze extra ordinem, ma solo ove si tratti di ordinanze contingibili e urgenti adottate in relazioni a casi non previsti dalla normativa e deve esserci la motivazione dettagliata rispetto ai presupposti di urgenza e necessità.
Infatti, è stato questo uno dei motivi che ha portato all’emanazione del noto decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 che ha operato una sorta di depenalizzazione delle condotte inosservanti la normativa in tema di contenimento dell’emergenza sanitaria.
3. Il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19
Come si è accennato, essendo problematica l’applicazione della fattispecie contravvenzionale ex art. 650 c.p. si è deciso per optare ad una sostanziale depenalizzazione.
Attraverso, l’emanazione del decreto-legge 25 marzo, 2019 si è quindi cercato di fornire una base legale alle disposizioni limitative della libertà di circolazione e della libertà di iniziativa economica a tutto il territorio nazionale, visto che, come era stato giustamente osservato, il precedente D.L. 6/2020 era limitato solamente ad alcune aree locali[10].
Tuttavia, si deve precisare che non è stato depenalizzato l’art. 650 c.p. in sè e per sè, che rimane tutt’ora in vigore, ma è stata compiuta solo un’abrogazione per quanto riguarda le condotte inosservanti le misure di contenimento del virus Covid-19, di cui all’art. 3, comma 6, D.L. 6 del 2020
Infatti, in base al noto principio generale di irretroattività della norma penale ex art. 2 e 25 Cost. le condotte compiute antecedentemente all’entrata in vigore del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 sarebbero state esenti da pena. Infatti, per evitare l’impunibilità, si è prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa in luogo della contravvenzione ex art. 650 c.p. da euro 400 a euro 3000.
Inoltre, è stato prevista per il soggetto risultato positivo al Covid-19 che viola la disposizione della quarantena, salvo che si integri una fattispecie più grave, la sanzione all’art. 260 T.U. delle leggi sanitarie R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 che peraltro, comminando la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, non è soggetta a oblazione, al contrario della contravvenzione ex art. 650 c.p.
Tuttavia, si deve precisare che nella diversa ipotesi del soggetto sottoposto alla quarantena precauzionale in caso di violazione della stessa non si integra la contravvenzione ex art 260 T.U. leggi sanitarie, ma l’illecito amministrativo, visto che il decreto-legge menziona unicamente il soggetto risultato positivo al covid-19 e non viceversa il soggetto sottoposto alla misura precauzionale che è stato solamente in contatto con persone positive.
Infatti, l’art. 1, comma 2 lett. e) D.L. 25 marzo 2020, n. 19 prevede unicamente il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione solamente per i soggetti risultati positivi al covid-19, e pertanto non può applicarsi ai soggetti non ancora risultati positivi, ma che tuttavia sono sottoposti alla misura della quarantena precauzionale.
L’art. 260 T.U. leggi sanitarie integra una contravvenzione e quindi è punito sia a titolo di dolo o di colpa ed è condotta libera, non quindi vincolata. Secondo la giurisprudenza di legittimità[11] si tratta di un reato di pericolo concreto e attuale di diffusione delle malattie infettive.
Le poche pronunce[12] in merito a questa fattispecie hanno riguardato il rapporto tra la richiamata norma e l’art. 650 c.p. specificando che in materia di igiene è applicabile quest’ultima sempre che la condotta concreta non sia oggetto di una specifica disposizione nell’ambito delle leggi sanitarie.
Mentre, al contrario, per chi risulta positivo al virus covid-19 e compie atti idonei a provocare il contagio si integra il delitto di epidemia colposa ex art. 452 c.p. oggetto specifico della presente trattazione.
Come è stato peraltro osservato dai primi commentatori[13], nel nostro ordinamento manca una legge specifica sulla quarantena poiché questo provvedimento è per certi versi accostabile al trattamento sanitario obbligatorio ex art. 35 l. n. 833/1978 che prevede un’articolata procedura mediante la quale viene attribuito in prima battuta al Sindaco il potere di disporre il trattamento in questione che però deve essere comunicato al giudice tutelare entro le successive 48 ore per la convalida che deve essere anch’essa effettuata entro 48 ore dalla comunicazione.
Infatti, non si comprende come mai il trattamento sanitario obbligatorio rientra nella previsione costituzionale ex art. 13 Cost, e alla conseguente garanzia per cui il provvedimento limitativo della libertà personale debba essere convalidato dall’organo giurisdizionale, al contrario del provvedimento di quarantena per i soggettivi positivi al virus covid-19 che non sono soggetti ad alcun vaglio giurisdizionale.
4. Il reato di epidemia
Il delitto di epidemia è disciplinato all’art. 438 c.p. e si colloca nella categoria dei reati contro la pubblica incolumità commessi mediante frode. Invero, i delitti contro la pubblica incolumità sono suddivisi in tre distinti capi, i delitti di comune pericolo commessi mediante violenza, i delitti di comune pericolo commessi mediante frode e i delitti colposi di comune pericolo. Tuttavia, tale distinzione è stata criticata, poiché nella categoria dei delitti di comune pericolo mediante frode si rinvengono una serie di delitti in cui non si ravvisa la frode in senso tecnico. Infatti, tale dottrina[14] preferisce la classificazione di delitti di comune pericolo dolosi o colposi e delitti contro la salute pubblica dolosi e colposi.
I delitti di pubblica incolumità sono però tutti caratterizzati dalla particolare potenza diffusiva, nel senso che sarebbero in grado di arrecare un danno o solamente un pericolo di danno a un numero indeterminato di persone. Il bene giuridico tutelato sarebbe, quindi l’incolumità pubblica intesa come bene collettivo, nel senso che il singolo è tutelato in quanto membro della comunità. Secondo altra parte della dottrina[15], invece, i reati contro la pubblica incolumità sarebbero plurioffensivi, poiché lederebbero anche i beni interessi individuali delle persone lese. Tuttavia, tale teoria non è stata condivisa poiché il bene giuridico dell’incolumità pubblica non è qualcosa di diverso dai singoli beni interessi lesi dall’evento lesivo.
Il delitto di epidemia ex art. 438 c.p. viene configurato come un reato comune, visto che può essere commesso da chiunque, di evento, poiché il momento di consumazione coincide con la verificazione dell’epidemia ed è a dolo generico. Trattasi di un reato di pericolo che tutela il bene della salute pubblica e inoltre all’art. 452 c.p. è prevista anche la forma colposa.
Dottrina autorevole[16] qualifica il reato in esame come causalmente orientato nonostante l’inciso “mediante la diffusione di germi patogeni”, poiché si tratterebbe di un reato di evento che deve realizzarsi con la modalità indicata dalla norma, ma tuttavia è indifferente la tecnica di diffusione, per questo sarebbe ricompreso nella categoria dei reati causalmente orientati.
Il delitto di epidemia è stato previsto anche in forma colposa all’art. 452 c.p. e come si analizzerà è proprio qui che sorgono dei problemi applicativi proprio per l’imputabilità di tale condotta alla struttura sanitaria.
4.1 Le ipotesi applicative del reato di epidemia
Come è stato precisato dalla giurisprudenza di merito[17] per la configurazione del delitto di epidemia è necessario che sussista la rapidità della diffusione, la diffusione a un numero indeterminato di persone e anche un’ampia estensione a livello territoriale.
Infatti, anche la giurisprudenza di legittimità[18] ha ribadito tale principio sostenendo che nel caso sottoposto al suo esame non potesse configurarsi il delitto di epidemia per contagio da infezione da HIV proprio perché non si era integrato il requisito della diffusività a un numero indeterminato di persone.
Nella sentenza da ultimo citata si precisa che il delitto di epidemia si possa configurare anche quando il soggetto è esso stesso veicolo di contagio, visto il termine “diffusione di germi patogeni” non esclude che l’essere umano possa trasmettere germi patogeni.
Infatti, la fattispecie di cui all’art. 438 c.p. non tipizza le condotte diffusive rilevanti, ma richiede solamente che l’agente procuri un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza però prescrivere le modalità. Tuttavia, è evidente che si deve concretizzare una modalità capace di causare un'epidemia. Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo concreto e non astratto.
Di conseguenza, non si può escludere a priori che un soggetto essendo veicolo di germi patogeni possa provocare un’epidemia, ma nel caso specifico esaminato dalla Corte di Cassazione è stato escluso il reato di epidemia proprio per la mancata verificazione dell’evento epidemia, poiché il delitto in questione non è un reato di mera condotta, ma di evento.
La Corte di Cassazione, nell’ipotesi specifica del contagio da infezione di HIV, ha ritenuto come regola generale che la condotta del singolo non possa essere considerata come antecedente causale dell’evento epidemia, se viene accolta la nozione di “malattia contagiosa con spiccata tendenza a diffondersi sì da interessare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, un numero rilevante di persone, una moltitudine di soggetti, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e agevole propagazione del contagio, un pericolo di infezione per una porzione ancora più vasta di popolazione.”
Tuttavia, come si è visto non può escludersi a priori il caso del soggetto che veicola germi patogeni e provoca un’epidemia, come del resto si può facilmente dedurre nel periodo attuale di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus covid-19.
Il caso in esame è degno di menzione proprio perché delinea una configurazione del delitto di epidemia a forma libera e non vincolata, come invece la giurisprudenza maggioritaria sostiene.
Infatti, una nota sentenza delle Sezioni Unite civili[19] ha ritenuto che nelle ipotesi di infezioni da H.b.v., H.c.v. e H.i.v. a seguito di trasfusioni con sangue infetto, eseguite da strutture pubbliche o private, non si configura il reato di epidemia, per la mancanza dell'elemento della volontaria diffusione di germi patogeni, ma al contrario i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose.
Infatti, accogliendo la nozione del delitto di epidemia come reato a forma vincolata è senz’altro da escludere la configurazione in forma omissiva impropria nella forma colposa del delitto di epidemia ex artt. 40 cpv e 452 c.p.
5. I fatti di Codogno e Alzano Lombardo
Attualmente sono in corso le indagini preliminari per quanto riguarda le eventuali responsabilità delle strutture sanitarie lombarde per aver aumentato la diffusione del virus covid-19. In particolare, per quanto riguarda il caso di Codogno sono state avviate le indagini per le strutture sanitarie di Codogno, Casalpusterlengo e Lodi, sequestrando la cartella clinica del cosiddetto paziente uno.
Per quanto concerne le strutture lombarde in provincia di Bergamo, in particolare sono in corso le indagini preliminari per verificare i fatti accaduti nella struttura sanitaria di Alzano Lombardo dove nella giornata del 23 febbraio è stato in un primo momento chiuso il pronto soccorso e poi successivamente riaperto nella stessa giornata.
Attualmente le indagini sono sempre in corso per riscontrare eventuali errori sanitari, ma per ciò che ci interessa è che per ora è stato aperto un fascicolo a carico di ignoti proprio per la fattispecie di epidemia colposa ex art. 452 c.p.
Traendo le fila della questione sulla configurabilità del reato omissivo improprio per epidemia colposa, se si ritiene che si tratti di un reato causalmente orientato è compatibile la configurazione anche nella forma omissiva. Non va tralasciato che però per la configurazione del reato omissivo improprio viene in rilievo la posizione di garanzia, pertanto il quesito è se si possa configurare o meno un obbligo di garanzia in capo al soggetto risultato positivo e anche alla struttura sanitaria.
Come è noto, i reati omissivi propri sono quelli che si configurano per il mancato compimento dell’azione doverosa, esempio tipico è proprio il reato di omissione di soccorso ex art. 593 c.p. Al contrario, i reati omissivi impropri si caratterizzano per il mancato compimento dell’evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire. La distinzione, però, è sempre fonte di dibattito, visto che secondo alcuni la differenza sarebbe che i reati omissivi sarebbe tutti tipici, a differenza dei reati omissivi impropri che al contrario sarebbero atipici e frutto della combinazione della clausola di equivalenza ex art. 40 cpc c.p. e le singole fattispecie penali di parte speciale.
Tuttavia, tale distinzione non soddisfa più di tanto visto che si riscontrano dei reati omissivi impropri espressamente previsti dal legislatore, come l’art. 659 c.p. Infatti, secondo parte della dottrina[20] sarebbe dirimente invece proprio la posizione di garanzia, poiché i reati omissivi propri sono configurati sia come fattispecie comuni che possono essere commesse da chiunque che come fattispecie proprie che possono essere commesse solo da chi ricopre una certa qualifica, a differenza dei reati omissivi impropri che sono solamente reati “propri”, nel senso che possono essere cagionati solo da chi ricopre quella posizione di garanzia.
Pertanto, per quanto riguarda i reati omissivi impropri deve sussistere un preesistente obbligo giuridico in capo al soggetto in forza del quale deve essere tenuto a impedire l’evento.
Tenuto presente questo, appare anche dirimente nel caso di specie risolvere il quesito della configurabilità del reato di epidemia colposa come reato a forma vincolata o a forma libera. Tutto dipende dalla concezione di epidemia che si accoglie poiché se si concorda nel definire l’epidemia come “ogni malattia infettiva o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un dato territorio colpendo un numero di persone tale da destare un notevole allarme sociale e un correlativo pericolo per un numero indeterminato di individui”, allora si ritiene che il reato in esame sia a forma libera seppure a mezzo vincolato e quindi possa essere realizzato con qualsiasi modalità, e pertanto l’inciso germi patogeni andrebbe solo a evidenziare il tipo di evento dell’epidemia, ossia una malattia infettiva.
La giurisprudenza[21], come è stato precisato, ha accolto una nozione restrittiva stabilendo che “il tenore letterale del testo normativo è inconciliabile con tale ipotesi ricostruttiva, trattandosi di reato a forma vincolata cui risulta peraltro inapplicabile l'art. 40, comma 2 cod. pen., la cui clausola di equivalenza estende la tipicità solo ai reati a forma libera o causalmente orientati.” Pertanto, la giurisprudenza interpreta l’inciso “mediante diffusione di germi patogeni” nel senso che limita la punibilità a quelle condotte caratterizzate da determinati percorsi causali. In altri termini, il soggetto che ha contratto virus e viola la disposizione di quarantena uscendo di casa per recarsi a fare la spesa, non rientrerebbe in questa fattispecie di reato, visto che interpretando restrittivamente la norma, il soggetto non compierebbe una diffusione di germi patogeni, non essendo in possesso di quei germi e non compiendo la condotta causale richiesta dalla norma.
In altri termini, secondo quest’interpretazione l’agente dovrebbe essere in possesso dei germi patogeni e dovrebbe diffonderli in qualsiasi maniera, come ad esempio la liberazione di animali infetti o lo spargimento nell’ambiente di questi germi patogeni.
Pertanto, a parte il recente orientamento in tema di contagio da HIV che si è discostato da questa interpretazione, appare dubbia al momento la possibilità di configurare il reato di epidemia colposa in forma omissiva impropria secondo il combinato disposto ex artt. 40 cpv e 452 c.p. Invero, l’unico modo per poter configurare il reato di epidemia colposa al soggetto risultato positivo al virus covid-19 è quello di aderire all’interpretazione della fattispecie come causalmente orientata seppure a mezzo vincolato.
6. Conclusioni
A seguito dell’emergenza sanitaria creatasi con la diffusione del virus covid-19 e la conseguente proliferazione normativa emergenziale, si ripropongono di nuovo dubbi che fino a poco tempo fa erano rimasti accantonati, ossia il problema della compatibilità delle norme penali in bianco con i principi costituzionali, l’utilizzo di clausole vaghe e indeterminate nelle ordinanze extra ordinem e i loro profili di compatibilità con la riserva di legge per i principi fondamentali, e infine anche l’interpretazione di una fattispecie come il reato di epidemia che proprio a seguito di questi ultimi fatti necessita di essere rivista.
A parere della scrivente, come è stato osservato dai primi commentatori, per quanto concerne la configurabilità del reato di epidemia l’unica interpretazione plausibile è quella di configurare il reato di epidemia come causalmente orientato, visto l’incompatibilità strutturale dei reati omissivi impropri con i reati a forma vincolata.
[1] Pulitanò, Lezioni dell'emergenza e riflessioni sul dopo. Su diritto e giustizia penale, in Sistema Penale 28 aprile 2020 “restrizioni di libertà come la quarantena e obblighi di non allontanarsi da casa abbisognano di un fondamento legale, in una legge che stabilisca presupposti e contenuti delle restrizioni. A fonti subordinate può essere affidata la precisazione di elementi di dettaglio, non la sostanza della restrizione.”
[2] G. Gatta “Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare” in Sistema penale in Sistema Penale 16 marzo 2020
[3] Corte cost. 4/1977 “ciò precisato, dev'essere qui ribadito (ed a fortiori), con riguardo all'art. 20 del t.u. comunale e provinciale, quanto la Corte ebbe a rilevare, nelle decisioni sopra ricordate, per l'art. 2 del t.u. di p.s., e cioè che le ordinanze prefettizie, anche se e quando (eventualmente) normative, non sono certamente ricomprese tra le fonti del nostro ordinamento giuridico; non innovano al diritto oggettivo; né, tanto meno, sono equiparabili ad atti con forza di legge, per il sol fatto di essere eccezionalmente autorizzate a provvedere in deroga alla legge. Le ordinanze ex art. 20 del t.u. comunale e provinciale, sia che si rivolgano (come nella specie é avvenuto) a destinatari determinati, prescrivendo loro un comportamento puntuale, sia che dispongano per una generalità di soggetti e per una serie di casi possibili, ma sempre entro i limiti, anche temporali, della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare, sono provvedimenti amministrativi, soggetti, come ogni altro, ai controlli giurisdizionali esperibili nei confronti di tutti gli atti amministrativi.”
[4] Cons. St., sez. IV, 21.11.1994, n. 926, Cons. St., sez. V, 25.5.2012, n. 3077, vedi anche Cons. stat 2697/2015 “Il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, ed in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia”
[5] R. Galli, Nuovo Corso di diritto amministrativo, ed. Cedam 2019, pag.19
[6] Corte Cost. 168/1971” Questa Corte ha esaminato più volte la materia delle cosiddette norme penali in bianco, affermando che il principio di legalità non è violato "quando sia una legge dello Stato - non importa se proprio la medesima legge o un'altra legge - a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell'autorità non legislativa, alla cui trasgressione deve seguire la pena.”
[7] Cass. 13/44238 “ Non integra il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità l’inottemperanza dell’ordinanza contingibile e urgente del sindaco che non riguardi un ordine specifico impartito a un soggetto determinato e si risolva in una disposizione di tenore regolamentare data in via preventiva a una generalità di soggetti, in assenza di riferimento a situazioni imprevedibili o impreviste, non fronteggiabili con i mezzi ordinari, non essendo sufficiente l’indicazione di mere finalità di pubblico interesse
[8] Cass. sez. V n. 8578/2000
[9] Cass. sez. I n. 1200/2013 “L’inosservanza di ordinanze sindacali integra la contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p. solo ove si tratti di provvedimenti contingibili e urgenti adottati in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica ipotesi normativa, restando estranea alla sfera di applicazione di tale norma l’inottemperanza a ordinanze sindacali, ancorché concernerti la materia dell’igiene pubblica, volte a dare applicazione a leggi o regolamenti.
[10] Natale, “Il decreto-legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie” in Questione giustizia, 28 marzo 2020, vedi anche G. Gatta “Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19” in Sistema Penale 26 marzo 2020
[11] Cass. sez. I, 27 luglio 2000, n. 8578 “La mancata osservanza dell’ordinanza con la quale il sindaco abbia intimato a taluno di sottoporre i figli minori alle vaccinazioni previste dalla legge, oltre a non integrare in mancanza di un concreto e attuale pericolo di diffusione di malattie infettive la contravvenzione prevista dall’art. 260 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, non integra neppure la contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p., atteso che tale ultimo reato è configurabile, quando trattisi di provvedimenti emanati dal sindaco, solo a condizione che essi rientrino tra quelli contingibili e urgenti adottati extra ordinem ai sensi dell’art. 38, 1 comma della l.. 8 giugno 1990, n. 142, mentre l’ordinanza in questione è classificabile fra quelle che l’autorità comunale può adottare in conformità alle leggi e ai regolamenti, la cui violazione è sanzionata solo in via amministrativa.”
[12] Cass. sez. I, 26 aprile 1983 n. 3682
[13] G. Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in Sistema penale 2 aprile 2020
[14] Fiandaca Musco, Diritto penale parte speciale Volume, I Ed. Zanichelli 2013, pag. 507
[15] Antolisei, Manuale di Diritto Penale, ed. Giuffrè 2017, pag. 514
[16] Fiandaca Musco, Diritto penale parte speciale Volume I, ed. Zanichelli 2013 pag. 537
[17] Trib. Bolzano 20 giugno 1978 in G. mer. 79, 945
[18] Cass., sezione I, 26 novembre 2019, n. 4801 “il reato di epidemia è configurabile nel caso in cui la diffusione dei germi patogeni, che in astratto possono essere trasmessi anche per contatto umano, raggiunga un numero indeterminato di persone, in tempi rapidi, nel medesimo luogo, con capacità di agevole successiva espansione.”
[19] Sez. U, 11 gennaio 2008 n. 576d[20] Galli, Nuovo Corso di diritto penale, ed. 2017 Cedam pag. 368 “la constatazione per cui, mentre i reati omissivi possono essere indifferentemente realizzati, a seconda dalle scelta legislativa dal quisque de populo o da un soggetto in possesso di una data qualifica, invece i reati omissivi impropri sono tutti reati propri.”
[21] Cass., Sez. IV 12 dicembre 2017, n. 9133.