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Pubbl. Mer, 13 Mag 2020

Breve disamina degli orientamenti giurisprudenziali in tema di confisca nel procedimento a carico degli enti

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Alessandra Rea



L´autore, onde provare la natura polimorfa dell´istituto della confisca nel sistema di responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, ripercorre la giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche più risalente, interrogandosi in particolar modo sulla connotazione oggettiva o soggettiva dei presupposti per l´adozione della cautela.


ENG The author, in order to prove the polymorphic nature of the seizure in the italian corporate liability procedure, summarizes the jurisprudence of the Courts, wondering in particular about the objective or subjective connotation of the conditions for the adoption of the seizure.

Sommario: 1. Forma e funzione della confisca nel microsistema della responsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato. – 2. Sequestro preventivo finalizzato alla confisca. – 2.1. Presupposti. – 2.2. Disciplina. – 2.3. Rapporto con la procedura di liquidazione giudiziale. – 3. Commissariamento giudiziale. – 4. Riparazione delle conseguenze del reato.

1. Forma e funzione della confisca nel microsistema della responsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato.

Il D.lgs. 231/2001, nel costituire un microcosmo scindibile nelle due sezioni tradizionali della disciplina sostanziale e processuale, fa spesso riferimento all’istituto della confisca, adattandolo alle diverse esigenze cui far fronte.

Si tratta di un tema frequentemente oggetto di contrasto dottrinale e giurisprudenziale, a causa della frammentarietà della sua trattazione e della sua natura polimorfa. Tali caratteristiche non sfuggono al legislatore del 2001, il quale cerca di adattarne le sfaccettature alle ipotesi riscontrabili nella prassi, correlatamente alle conseguenti fasi del procedimento a carico degli enti.

Il primo riferimento alla confisca è all’art. 6 comma 5 del D.lgs. 231/2001, norma avente ad oggetto i requisiti per l’esenzione da responsabilità dell’ente nel caso di predicate crime commesso da individui in posizione apicale. Nel caso di specie si prevede una particolare ipotesi di inversione dell’onere probatorio: data per presunta la realizzazione del fatto nell’interesse o a vantaggio dell’ente (idem si dica dell’assenza o dell’inidoneità del modello di organizzazione dell’ente), sarà la società stessa (in persona del suo rappresentante legale) a dover provare la realizzazione del fatto nell’esclusivo interesse o vantaggio del soggetto in posizione apicale (oltre, ovviamente, all’adozione e all’efficace attuazione di un modello di organizzazione effettivamente idoneo ad evitare reati della specie di quello contestato). Il comma quinto testualmente dispone: «è comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente». Esso prevede, dunque, la confisca del profitto del reato commesso da persone che rivestono funzioni apicali, anche nell’ipotesi particolare in cui l’ente vada esente da responsabilità per avere validamente adottato e attuato quei modelli organizzativi (compliance programs) previsti e disciplinati dalla stessa norma. «Si tratta di una forma di confisca che, prescindendo da un profilo di colpevolezza dell’ente, lungi da assolvere ad una funzione ‘punitiva’, presenta caratteri più spiccatamente preventivi; mira a neutralizzare ogni possibile rischio ‘oggettivo’ connesso alla ricaduta del profitto nella sfera dell’ente, allorché esso provenga da reato commesso nell’interesse o vantaggio di quest’ultimo»[1].

Seguendo la ricostruzione delle Sezioni Unite Fisia Italimpianti S.p.A., «è evidente che una misura così severa, applicata anche in assenza di responsabilità, non può che riguardare “l’acquisizione del mero surplus di arricchimento eventualmente derivato dal reato”»[2]. Ciò ad evidenziare come potrebbe prospettarsi la sussistenza di una responsabilità oggettiva in capo all’ente, il quale viene ‘sanzionato’ al solo scopo di ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato presupposto[3].

D’altro canto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 48 del 1994, ha evidenziato come la funzione special-preventiva del sequestro non si proietti sull’autore, ma su cose che possono provocare situazioni di pericolo[4]: si dà così adito ad una corrente giurisprudenziale che recepisce l’istituto della confisca – correlato, nel caso di specie, al sequestro preventivo – in chiave oggettiva, in quanto tale giustificato dall’intrinseca pericolosità della cosa oggetto di confisca.

Per tali ragioni, nel caso previsto al comma 5 dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001 non sarà necessario accertare il fumus delicti.

Tuttavia, vi sono casi in cui la cosa è espropriata al fine di sottrarla alla libera disponibilità dell’autore, ed in queste ipotesi non si potrà prescindere dalla verifica della sussistenza del fumus delicti. In particolare, si rileva come sia cosa ben diversa il sequestro di un cantiere dal sequestro del denaro profitto di corruzione: nel primo caso, generalmente la pericolosità del bene sarà insita nella sua stessa connotazione oggettiva, mentre nel secondo caso varrà il principio secondo cui pecunia non olet.

L’istituto svela, così, la sua natura polimorfa[5], la quale comporterà la necessità di differenziare i presupposti per l’adozione della cautela: soltanto in caso di connotazione soggettiva del bene oggetto di confisca, sarà imprescindibile la verifica circa la sussistenza del fumus delicti. Si fa riferimento ai casi di cui agli articoli 9 comma 1 e 19 del D.lgs. 231/2001, in relazione ai quali la Giurisprudenza ha evidenziato come, nel caso delle società, sarà necessario accertare un fumus boni iuris ‘allargato’, ossia individuare gli indizi (gravi) che, presi nella loro concatenazione logica, consentano di fondare, allo stato degli atti, una qualificata probabilità di colpevolezza, ma non necessariamente oltre ogni ragionevole dubbio.

2. Sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

L’art. 53 del D.lgs. 231/2001, in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, richiama l’art. 19 e non l’art. 6 comma 5: sarà logicamente desumibile che il fumus delicti, così come configurato in tema di confisca ex art. 19, dovrà sussistere anche come condizione legittimante l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo ai fini di confisca. La Suprema Corte ha rilevato il discrimen tra gli articoli 19 e 6 comma 5 nella colpa dell’ente[6], la quale deve sussistere per l’attuazione dell’art. 19 – e, correlatamente dell’art. 53 – ma non dell’art. 6 comma 5, in quanto la ratio dell’art. 6 comma 5 non è punitiva ma di mero ristoro dell’equilibrio economico alterato[7].

2.1. Presupposti.

Altro presupposto che deve sussistere per l’anticipazione dell’applicazione della sanzione della confisca, ex art. 53, è il periculum in mora, come si deduce dalla formulazione del comma primo della norma. Si rileva come testualmente l’articolo reciti «il giudice può disporre…», andando così a qualificare una discrezionalità del giudice, che deve essere fondata sulla sussistenza del fumus delicti, sull’assenza di condizioni ostative all’applicazione della misura interdittiva, ovvero sulla verifica del periculum in mora.

Al di là delle etichette, si può notare come l’art. 53 sottenda una ratio conservativa: va ad eludere il rischio che la società possa disporre dei beni od occultare gli stessi. Tuttavia, la Cassazione ha – in due pronunce – ritenuto superfluo l’accertamento del periculum, sulla base della considerazione che l’art. 321 comma 2 del codice di procedura penale valuta tipicamente la presenza del periculum medesimo, senza affidarne la valutazione alla discrezionalità del giudice[8], e fondando la conclusione sull’evenienza che il sequestro preventivo previsto in materia di responsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato abbia lo stesso scopo del sequestro preventivo previsto dal codice di procedura penale[9].

Le conclusioni attestanti il descritto orientamento della Suprema Corte, tuttavia, non appaiono condivisibili: in ogni caso sarà necessario accertare le ‘ragioni’ dell’urgenza, trattandosi di un provvedimento – per l’appunto – di urgenza; le garanzie di tutela da approntare all’indagato renderanno imprescindibile l’accertamento della sussistenza del periculum in mora legato alla possibile elusione del provvedimento definitivo, andando così ad avallare la tesi secondo la quale non possono esistere sequestri obbligatori od automatici.

2.2. Disciplina.

In materia di applicazione ed esecuzione del sequestro preventivo al fine di confisca, il D.Lgs. 231/2001 per lo più rinvia alle regole dettate in materia dal codice di procedura penale, in particolare all’art. 321.

A differenza delle misure cautelari interdittive, il sequestro preventivo non è improntato al rispetto del principio del contraddittorio, in quanto esso è disposto dal giudice funzionalmente competente ed applicato inaudita altera parte: trattasi di un classico provvedimento ‘a sorpresa’.

In materia di esecuzione, dovremmo rifarci alle regole dettate nelle disposizioni di attuazione, in particolare agli articoli 92 (ove è prescritto che il decreto che applica la misura cautelare, dopo il deposito in cancelleria, debba essere trasmesso da quest’ultima all’organo dell’esecuzione, il quale corrisponderà all’ufficio del pubblico ministero durante la fase delle indagini preliminari) e 104, nonché 104-bis (i quali prevedono differenti modalità di esecuzione: l’art. 53 comma 1 del D.lgs. 231/2001, inoltre, prevede la possibilità di utilizzare e gestire gli organi societari, allo scopo di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali). Saranno, altresì, applicabili il decreto Ilva e il decreto Salva-Ilva. Per quanto riguarda la revoca, l’estinzione e l’impugnazione del provvedimento che dispone la misura cautelare del sequestro preventivo al fine di confisca, a tale proposito troveranno applicazione le disposizioni del codice di procedura penale (artt. 321 comma 3, 323, 322, 322 bis e 325), senza le eccezioni previste in tema di misure cautelari interdittive.

2.3. Rapporto con la procedura di liquidazione giudiziale.

Si discute riguardo il rapporto intercorrente tra il sequestro preventivo al fine di confisca previsto all’art. 53 del D.lgs. 231/2001 e la procedura di liquidazione giudiziale di cui al R.D. 267/1942, con particolare riguardo all’art. 42.

In materia, la Cassazione è discordante.

Secondo un primo orientamento[10], sarebbe possibile aversi la sovrapponibilità della confisca e dello spossessamento fallimentare, avuto riguardo alla diversa destinazione dei beni e alla possibilità dello Stato di concorrere nella divisione degli utili risultanti dalla procedura liquidatoria.

A diversa conclusione – e ictu oculi più ragionevole, alla luce del differente scopo perseguito dalle norme – giunge la Corte di Cassazione nel 2004[11], prevedendo che debba essere il giudice a dar conto delle motivazioni sottese all’eventuale prevalenza della confisca sulla procedura di liquidazione giudiziale, stabilendo altresì che «il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, prevista dall'art. 322 ter del codice di procedura penale, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della dichiarazione di fallimento, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro».

3. Commissariamento giudiziale.

Una terza forma di confisca in funzione “compensativo-riparatoria” – così come l’abbiamo qualificata con riferimento al comma 5 dell’art.6 – è delineata dall’art. 15 del D.lgs. 231/2001, che al primo comma stabilisce: «se sussistono i presupposti di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente, il giudice in luogo dell’applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata» quando ricorrono le condizioni che l’ente svolga un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità, dalla cui interruzione possa derivare danno alla collettività, oppure allorché l’interruzione dell’attività dell’ente possa provocare ripercussioni rilevanti sull’occupazione.

In tale ipotesi, il comma 4 della medesima disposizione prescrive che «il profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività viene confiscato».

Anche in sede di emanazione di misure cautelari, l’art. 45, comma 3 del D.lgs. 231/2001 prevede che «in luogo della misura cautelare il giudice può nominare un commissario giudiziale a norma dell’art. 15 per un periodo pari alla misura che sarebbe stata applicata».

Ciò implica, pertanto, che anche in questa sede, debba essere disposta la confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività.

Tuttavia, «non può dubitarsi della natura radicalmente diversa di tale forma di confisca rispetto alle altre esaminate: il profitto derivante dall’attività svolta dall’ente sotto la guida del commissario giudiziale non ha provenienza criminosa. La sua apprensione, pertanto, non si giustifica con la finalità di neutralizzare la pericolosità oggettiva del profitto soggetto a confisca, a prescindere dalla responsabilità dell’ente. Tanto meno si potrà ravvisare una finalità special-preventiva, che guardi ai rischi connessi alla permanenza in capo all’ente di determinati vantaggi patrimoniali collegati al reato, posto che un simile profitto non potrà dirsi – se non in via indiretta – collegato al reato»[12].

Inoltre, tra i compiti del commissario giudiziale rientra quello dell’adozione e dell’efficace attuazione di modelli organizzativi e di controllo (art. 15, comma 3 del D.lgs. 231/2001); sicché il profitto conseguito per definizione non potrà neppure essere frutto di un’attività posta in essere in una situazione di carenza organizzativa integrante una colpa di organizzazione in capo all’ente. Si deve perciò riconoscere a tale forma di confisca anche la funzione di sanzione di tipo patrimoniale a carattere sostitutivo rispetto alla sanzione interdittiva[13].

4. Riparazione delle conseguenze del reato.

Ai sensi dell’art. 17 del D.lgs. 231/2001, «ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: […] c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca». Anche qui, come nell’art. 15 e nel comma 5 dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001, la messa a disposizione del profitto è oggetto di una delle condotte ‘riparatorie’ che l’ente deve porre in essere, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, per prevenire l’applicazione delle sanzioni interdittive[14].

Invero, «interessante è il passaggio della Relazione che chiarisce il disegno sotteso alle condotte riparatorie di cui all’art. 17 e il ruolo svolto in tale contesto dalla messa a disposizione del profitto da parte dell’ente»[15]. Si legge testualmente: «come terzo concorrente requisito, si prevede che l’ente metta a disposizione il profitto conseguito. La ratio della disposizione è trasparente: visto che il profitto costituisce, di regola, il movente che ispira la consumazione dei reati, l’inapplicabilità della sanzione interdittiva postula inevitabilmente che si rinunci ad esso e lo si metta a disposizione dell’autorità procedente […]. In definitiva le contro-azioni di natura reintegrativa, riparatoria e riorganizzativa sono orientate alla tutela degli interessi offesi dall’illecito e, pertanto, la rielaborazione del conflitto sociale sotteso all’illecito e al reato avviene non solo attraverso una logica di stampo repressivo ma anche, e soprattutto, con la valorizzazione di modelli compensativi dell’offesa».

L’esplicito riferimento alla natura ‘compensativa’ delle condotte riparatorie accredita, al di là di ogni ambiguità, una funzione della confisca del profitto come strumento di riequilibrio dello status quo economico antecedente alla consumazione del reato, il che contrasta con la tesi del profitto quale ‘utile netto’.


Note e riferimenti bibliografici

[1] N. Pisani, Le ipotesi di confisca nel d.lgs 231 del 2001 in tema di responsabilità amministrativa ex crimine dell’ente: profili sostanziali, Relazione tenuta all'incontro del CSM Criminalità organizzata e pubblica amministrazione - 09/11/2005.

[2] Cass. pen., SS.UU., sent. n. 26654 del 27 marzo 2008 (dep. 2 luglio 2008), Pres. Gemelli, Rel. Milo, Imp. Fisia Italimpianti Spa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1738 ss., con nota di V. Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca di identità: luci ed ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite.

[3] M. Cattadori, Distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex art. 19, in http://www.codice231.com.

[4] P. Gualtieri, Limiti costituzionali e della giurisprudenza europea del sequestro preventivo nelle sue varie articolazioni, intervento tenuto in occasione dell’Incontro di formazione del 01.03.2012 presso la Corte Suprema di Cassazione sul tema Le misure cautelari reali: principi generali, prassi giurisprudenziali, problematiche applicative.

[5] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 34505 del 31.5.2012 (dep. 10.9.2012), Pres. Milo, rel. Fidelbo, ric. Codelfa s.p.a. Vedasi sul punto G. Caneschi, Sulla necessaria valutazione dei gravi indizi di responsabilità a carico dell’ente per l’applicazione del sequestro preventivo di cui all’art. 53 del D.lgs. n. 231/2001, in Diritto Penale Contemporaneo Web (ISSN 2039-1676), 19.09.2012.

[6] Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 26654 del 27 marzo 2008 (dep. 2 luglio 2008), Pres. Gemelli, Rel. Milo, Imp. Fisia Italimpianti Spa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1738 ss., con nota di V. Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca di identità: luci ed ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite.

[7] Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 31989 del 14 giugno 2006 (dep. 27 settembre 2006), Pres. Morelli, Rel. Fiandanese, Imp. Saim s.r.l., in Cass. Pen., 7-8/2007, con nota di C. Bonzano, Sull’inapplicabilità del sequestro preventivo al profitto che l’ente ha tratto dal reato.

[8] Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 26654 del 27 marzo 2008 (dep. 2 luglio 2008), Pres. Gemelli, Rel. Milo, Imp. Fisia Italimpianti Spa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1738 ss., con nota di V. Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca di identità: luci ed ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite.

[9] Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 11170 del 25 settembre 2014 (dep. 17 marzo 2015), Pres. De Roberto, Rel. Marasca, Imp. Curatela Fallimento Uniland S.p.A., in Diritto Penale Contemporaneo Web (ISSN 2039-1676), con nota di M. Riverditi, Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex D.lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito.

[10] Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 11170 del 25 settembre 2014 (dep. 17 marzo 2015), Pres. De Roberto, Rel. Marasca, Imp. Curatela Fallimento Uniland S.p.A., in Diritto Penale Contemporaneo Web (ISSN 2039-1676), con nota di M. Riverditi, Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex D.lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito.

[11] Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 29951 del 24 maggio 2004 (dep. 09 luglio 2004), Pres. Marvulli, Rel. Fiale, imp. Focarelli, in Fall., 2005, 1265 ss., con nota di F.M. Iacovello, Fallimento e sequestri penali.

[12] F. Petrillo, Le confische nel diritto penale d'impresa, https://www.filodiritto.com/le-confische-nel-diritto-penale-dimpresa-0 (ISSN 2239-7752).

[13] N. Pisani, Le ipotesi di confisca nel d.lgs 231 del 2001 in tema di responsabilità amministrativa ex crimine dell’ente: profili sostanziali, Relazione tenuta all'incontro del CSM Criminalità organizzata e pubblica amministrazione - 09/11/2005.

[14] A. Guardavilla, La confisca del profitto da reato ai sensi del D.lgs. 231/2001, contributo consultabile su https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/sgsl-mog-dlgs-231/01-C-58/la-confisca-del-profitto-da-reato-ai-sensi-del-d.lgs.-231/2001-AR-10547/ (ISSN 2612-2804).

[15] R. Giovagnoli-M. Fratini, Le sanzioni amministrative, Milano, 2009, 204.