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Pubbl. Gio, 21 Mag 2020

Sospensione immotivata dell´account. Penale per Facebook in caso di ritardo nella riattivazione

Rosa Guarini



La sanzione del blocco e della chiusura coattiva dell´account, in assenza di una chiara, precisa e reiterata violazione della normativa in tema di proprietà intellettuale, comprime il diritto alla libera manifestazione del pensiero dell´utente e causa l´ irreparabile perdita di interesse da parte dei followers, conseguendo da ciò la condanna del Social Network Facebook al pagamento di una penalità di mora per ogni giorno di ritardo nell´esecuzione dell´obbligo di immediata riattivazione dell´account. (Tribunale di Pordenone, 10 dicembre 2018).


Sommario: 1. La vicenda processuale; 2. Le motivazioni sul fumus boni iuris e periculum in mora; 3. Le motivazioni circa le misure di coercizione indiretta, art. 614 bis c.p.c.; 4. La decisione del Tribunale di Pordenone.

Sommario: 1. La vicenda processuale; 2. Le motivazioni sul fumus boni iuris e periculum in mora; 3. Le motivazioni circa le misure di coercizione indiretta, art. 614 bis c.p.c.; 4. La decisione del Tribunale di Pordenone.

1. La vicenda processuale.

La pronuncia del Tribunale di Pordenone datata 10 dicembre 2018, oggetto del presente commento, delinea con eccellente chiarezza espositiva gli strumenti del processo civile - provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e misure di coercizione indiretta ex art. 614 bis c.p.c. - funzionali a garantire, nell’era dei Social Network, il diritto alla libera manifestazione del pensiero sancito all’art. 21 della Carta Costituzionale[1].

La vicenda concreta trae origine dalla pubblicazione di un video, prima prelevato dalla pagina Instagram del “Torneo di Wimbledon”, sulla pagina Facebook, fondata e gestita dall’utente, raffigurante un momento saliente dell’incontro tennistico risalente al 04 luglio 2018.

Orbene, a seguito della pubblicazione di detto video la società Star India Private Limited asserendo la violazione della normativa in tema di proprietà intellettuale comunicava all’utente ed a Facebook Ireland Limited l’uso illegittimo dello stesso.

L’utente, reso dotto dell’addebito, procedeva immediatamente alla rimozione del video dalla pagina Facebook ovvero all’invio di una lettera di scuse indirizzata alla Star India Private Limited.

La società Facebook Ireland Limited, sulla base della segnalazione ricevuta, decide arbitrariamente di sanzionare l’utente con il blocco e la chiusura coattiva della pagina Facebook, di cui l’utente era fondatore ed amministratore.

L’utente, quindi, procede per via giudiziale depositando presso la cancelleria dell’On.Le Tribunale di Pordenone un ricorso ex art. 700 c.p.c.[2] nei confronti della società Facebook Ireland Limited al fine di ottenere “in via principale, […] l’immediato ripristino del profilo personale […] presso il proprio portale e, per l’effetto, l’immediata riattivazione del relativo accesso alla gestione della pagina; in subordine, […] l’immediata riattivazione dell’accesso alla gestione della pagina […] per il tramite di un nuovo account personale diverso da quello precedentemente soppresso; in ogni caso, con fissazione, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., di una somma di denaro da versarsi in favore del ricorrente per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento imposto in capo alla resistente ( c.d. “astreintes”)” al contempo, la società Facebook Ireland Limited pur regolarmente citata non si costitutiva in giudizio.

Orbene, il primo strumento processuale civilistico, rivelatosi funzionale alla tutela del diritto alla libera manifestazione del pensiero, è il provvedimento d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c..

Il provvedimento d’urgenza è un provvedimento atipico avente natura e funzione cautelare in quanto rivolto ad assicurare, in via provvisoria e strumentale, un diritto, che potrebbe essere irreversibilmente pregiudicato nelle more del giudizio ordinario.

La disposizione in commento, agli albori del Codice di rito[3], fu concepita come norma di chiusura del sistema cautelare tipico al fine di inglobare quelle esigenze di tutela poco prevedibili, sporadiche o marginali che sarebbero potute emergere nel tempo.

Con l’avvento della Carta Costituzionale[4] e l’affermazione di nuovi diritti inviolabili dell’uomo, l’unico strumento processuale in grado di assicurare a tali diritti adeguata tutela giurisdizionale è stato, invece, il “marginale” provvedimento d’urgenza.[5]

Quindi, la norma assolve, attualmente, una funzione magistrale al di sopra di ogni possibile aspettativa del legislatore del codice di rito in quanto congiunge al sistema processuale la Carta Costituzionale.

La funzione di tutela, costituzionalmente orientata, è resa possibile dalle connotazioni del provvedimento d’urgenza quali l’atipicità, la sussidiarietà o residualità e la strumentalità.

Ed invero, per atipicità deve intendersi l’applicazione del provvedimento d’urgenza a fattispecie non preventivamente tipizzate dal legislatore infatti, la disposizione non prevede, specificatamente, né i casi in cui “il pregiudizio” si manifesta, limitandosi ad indicare solo che tale deve essere “imminente ed irreparabile” per il diritto soggettivo né, tantomeno, gli effetti specifici che deve esplicare il provvedimento richiedendo la norma solo l’idoneità dello stesso ad assicurare, in via provvisoria, “gli effetti della decisione sul merito”.

Infatti, il Giudice di Pordenone, nella pronuncia in commento, richiamando una precedente giurisprudenza di merito sottolinea tale caratterista affermando che “il provvedimento può essere concesso per neutralizzare qualsiasi periculum in mora che risulti essere imminente ed irreparabile e il loro contenuto, stante l’atipicità […], deve essere individuato dal giudice in base al solo criterio dell’idoneità, avuto riguardo alle effettive circostanze.”[6]

Con il requisito della sussidiarietà o residualità si suole circoscrivere l’ambito di operatività dei provvedimenti d’urgenza applicabili, come testualmente indicato dal legislatore, solo “fuori dai casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo”, quindi, alle sole fattispecie per la cui tutela cautelare non sia possibile invocare un’altra misura tipica.

Quindi, la riserva di legge posta in apertura dell’art. 700 c.p.c. comporta l’esclusione dell’applicabilità del provvedimento d’urgenza ai casi in cui il “pregiudizio imminente ed irreparabile”, che affligge il diritto soggettivo, può essere neutralizzato da una misura cautelare tipica.

Il requisito della tipicità e della residualità incontrano il limite della strumentalità intesa quale idoneità del provvedimento d’urgenza ad assicurare, provvisoriamente, gli effetti della pronuncia di merito.

Da ciò si desume che la tutela cautelare ha un funzione accessoria e congiunta al giudizio di merito ed, in tale collegamento, si sostanzia la natura strumentale della misura atipica.

In origine, il procedimento cautelare uniforme - introdotto dalla L. 23 novembre 1990 n. 353 – delineava una strumentalità intermedia tra le misure concesse ante causam e il giudizio di merito, nel senso che si riteneva ammissibile la proposizione di un ricorso cautelare prima dell'instaurazione del giudizio principale, ma l'efficacia della misura concessa era subordinata all'instaurazione del processo di merito, entro un termine perentorio.

Attualmente, per effetto della modifica all’art. 669 octies c.p.c ad opera della L. 14 maggio 2005 n. 80, è in vigore una strumentalità allentata in virtù della quale “i provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c., […] una volta emanati ante causam, sono idonei a serbare la propria efficacia a prescindere dall'instaurazione, entro un certo termine, del giudizio di merito, pur restando ferma la possibilità per la parte interessata di dare inizio allo stesso onde ottenere sulla situazione giuridica controversa un accertamento idoneo al passaggio in giudicato ex art. 2909 c.c.”[7]

In altri termini, la suddetta novella ha escluso l'incondizionato onere di avviare il giudizio a cognizione piena al fine di garantire l’efficacia del provvedimento d’urgenza in quanto, ad oggi, residua una mera facoltà al riguardo il cui mancato esercizio non inficia l’efficacia ultrattiva del provvedimento concesso.

2. Le motivazioni sul fumus boni iuris e periculum in mora.

Il giudicante apre il percorso logico giuridico con la questione, preliminare, inerente l’individuazione del foro competente a trattare la questione giuridica atteso che il ricorrente è domiciliato in Italia mentre la Facebook Ireland Limited ha sede legale in Irlanda.

In ossequio al principio pronunciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[8] nel caso Max Schrems in virtù del quale “l’utente Facebook è, in linea di principio, un consumatore se agisce individualmente contro il Social Network”, il Tribunale di Pordenone si dichiara competente a conoscere la questione giuridica perché foro del consumatore, a norma dell’art. 66 bis Codice del Consumo[9].

Definita la predetta questione, il Tribunale adito accerta la sussistenza dei presupposti di legge necessari all’emanazione, in via cautelare, del richiesto provvedimento d’urgenza nei termini che seguono.

Rileva, in primis, la fondatezza del ricorso perché qualifica il comportamento tenuto dall’utente come estraneo ad una chiara, seria e reiterata violazione delle condizioni contrattuali del Social Network stante l’immediata rimozione del video, e non ravvisa alcuna violazione della normativa in tema di proprietà intellettuale in quanto il video era già di dominio pubblico perché presente, infatti, sulla Pagina ufficiale Instagram da cui è stato tratto.

Inoltre, il Tribunale procede ad una dettagliata elencazione dei servizi telematici che il Social Network Facebook offre ai propri utenti – tra cui la “possibilità di esprimersi e di comunicare in relazione agli argomenti di interesse dell’utente” e la garanzia che “l’utente è libero di condividere i contenuti con chiunque, in qualsiasi momento” – rappresentando tali servizi l’oggetto della prestazione posta a carico di Facebook.

Da ciò deduce che, la sanzione inflitta al ricorrente – blocco e chiusura della pagina - in assenza di contradditorio, non solo risulta gravemente sproporzionata rispetto alla contestazione avanzata ma l’applicazione della stessa sanzione ribalta le posizioni in quanto, allo stato dei fatti, è Facebook ad aver violato le condizioni contrattuali offerte nonché il principio alla libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione.

In ordine al periculum in mora il Tribunale ravvisa che il pregiudizio imminente ed irreparabile, non tutelabile con altre misure cautelari tipiche e, pertanto, giustificatore dell’applicazione della tutela d’urgenza, è rappresentato dalla “irrimediabile perdita di followers acquisiti”.

Il Tribunale, infatti, osserva che “la necessità di un’immediata tutela delle ragioni […] in via cautelare ed anticipatoria rispetto a quella che conseguirebbe all’esito di un giudizio di merito, si giustifica in ragione della circostanza che il prolungarsi del “congelamento” di una pagina Facebook determina l’assoluta perdita di interesse degli utenti nei confronti della stessa e, di conseguenza la vanificazione di tutto il tempo speso e l’attività svolta dal ricorrente per la sua implementazione”.

3. Le motivazioni circa le misure di coercizione indiretta, art. 614 bis c.p.c.

Il ricorrente richiedeva, in via accessoria, a norma dall’art. 614 bis c.p.c.[10] l’applicazione della misura coercitiva civile a carattere pecuniario per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento di condanna a carico di Facebook.

In particolare, l’art. 614 bis c.p.c. rubricato “Misure di coercizione indiretta” è stato introdotto in via generale con la L. 18 giugno 2009 n. 69 e poi nell’autonomo Titolo IV BIS c.p.c. con il d.l. 27 giugno 2015 n.83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015 n. 132, che ha eliminato il riferimento all’infungibilità dell’obbligo estendendone l’applicabilità a tutti gli obblighi fare o di non fare, ad esclusione degli obblighi aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro o derivanti da un rapporto di lavoro subordinato, o di collaborazione coordinata e continuativa, pubblico o privato.

Con l’art. 614 bis c.p.c. il legislatore inserisce nell’impianto procedurale italiano l’istituto dell’astreintes, di matrice francese, inteso alla stregua di una coartazione della volontà dell’obbligato mediante la minaccia di una sanzione civile o penale al fine di costringerlo ad adempiere all’obbligo, di fare o di non fare.

Lo strumento adottato è quello dell’esecuzione indiretta con accezione, non punitiva, bensì “compulsoria” nel senso che la previsione di una sanzione alternativa, diversa ed accessoria rispetto al provvedimento di condanna, è potenzialmente in grado di indurre l’obbligato a preferire l’adempimento, spontaneo, dell’obbligo richiesto piuttosto che pagare la somma di denaro a titolo di sanzione.[11]

In altri termini la misura, subordinata alla richiesta di parte, consiste nella predeterminazione a cura del giudice di una somma di denaro, a patto che tale non sia manifestatamente iniqua -  commisurata al valore della controversia, alla natura della prestazione, al danno quantificato o prevedibile e ad ogni altra circostanza utile - che verrà corrisposta dall’obbligato a favore della parte vittoriosa in caso di violazione o inosservanza ovvero ritardo nell’esecuzione del provvedimento.

Il giudice di Pordenone riconosce la necessità di coartare indirettamente la volontà in quanto l’adempimento dell’obbligo di fare posto in capo al Social Network Facebook, ossia la riattivazione dell’account e dell’accesso alla pagina, comporta un irrinunciabile collaborazione attiva dell’obbligato.

Ed invero, il giudice, richiamando una pronuncia di merito ante riforma, asserisce che l’art. 614 bis c.p.c. “individua la propria ratio nella esistenza di una serie di obbligazioni di facere, caratterizzate dalla presenza di un nucleo di incoercibilità della prestazione, vale a dire da una quota di prestazione non attuabile mediante di mezzi di esecuzione forzata previsti dall’ordinamento, richiedendosi una non surrogabile attività di collaborazione o cooperazione ad opera del soggetto obbligato”. [12]

4. La decisione del Tribunale di Pordenone.

Sulla base delle motivazioni innanzi esposte il Tribunale di Pordenone accoglie il ricorso come avanzato dall’utente ed emana il provvedimento urgente di condanna a carico della società Facebook Ireland Limited, avente ad oggetto l’immediato ripristino del profilo personale dell’utente e, per il tramite, la riattivazione, immediata, dell’accesso alla gestione della pagina, perché idoneo ad eludere il pregiudizio, imminente ed irreparabile, rappresentato dalla perdita di interesse ai contenuti della pagina da parte dei followers.

Inoltre, atteso che la condanna irrogata consiste nell’adempimento di un obbligo infungibile di fare, il Tribunale al fine di far avviare, in modo spontaneo, le procedure di ri-attivazione degli account applica a carico della società Facebook Ireland Limited anche la misura di coercizione indiretta, richiesta dall’utente, stabilendo il pagamento a favore dello stesso di una penale pari ad € 150,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento nei termini di cui sopra, a far data dalla sua comunicazione, oltre al pagamento delle spese e competenze di giudizio.  

Alla fine del percorso logico giuridico adottato dal Giudicante, è possibile comprendere l’impeccabile idoneità delle misure, cautelari atipiche d’urgenza e di coercizione indiretta, in quanto funzionali a garantire all’utente l’immediato utilizzo e, di conseguenza, la libera manifestazione del pensiero sul noto Social Network Facebook.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Art. 21 Cost. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.

[2] Art. 700 c.p.c. “Condizioni per la concessione”. “Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.”.

[3] R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 ottobre 1940 n. 253.

[4] Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore l’1 gennaio 1948.

[5] In tal senso A. Proto Pisani, “Lezioni di diritto processuale civile”, Jovene, 2014.

[6] Tribunale di Bologna, 4 febbraio 2009.

[7] Tribunale di Civitavecchia, 6 maggio 2017.

[8] CGUE 25 gennaio 2018, C-498/16.

[9] D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

[10] Art. 614 bis c.p.c. “Misure di coercizione indiretta”. “Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.”

[11] F. De Angelis, “Obblighi infungibili e misure coercitive: questioni interpretative e soluzioni giurisprudenziali”, in Rivista Esecuzione Forzata, 2015, p.157.

[12] Tribunale di Trento, 8 febbraio 2011.