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Pubbl. Gio, 14 Mag 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Lo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose: il caso del Comune di Amantea

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Tommaso Cesareo



La presenza della mafia nelle istituzioni locali comporta profonde ripercussioni politiche e sociali. Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali si rivela uno strumento indispensabile per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata. Un caso di applicazione dell’istituto ha riguardato il comune di Amantea, protagonista di una vicenda che è sfociata dinanzi al giudice amministrativo.


ENG The presence of the mafia in local institutions has profound political and social repercussions. The dissolution of the municipal and provincial councils proves to be an indispensable tool to counter the infiltration of organized crime. A case of application of the institute concerned the municipality of Amantea, the protagonist of a story that resulted in the administrative judge.

Sommario: 1. Premesse generali e metodologiche; 2. Le ragioni storico-politiche e giuridiche dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose: il decreto legge 31 maggio 1991, n. 364; 3. Il sindacato di legittimità della Corte Costituzionale: la sentenza 19 marzo 1993, n. 103; 4. Integrazioni normative del decreto legge 19 ottobre 1993, n. 420; 5. Intervento del decreto legislativo 8 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL); 6. La legge 15 luglio 2009, n. 94 (del c.d. «pacchetto sicurezza»); 7. Il procedimento di scioglimento dei consigli comunali e provinciali; 8. Il decreto legge 4 ottobre 2018 (c.d. «decreto sicurezza»); 9. Il «decreto sicurezza» al vaglio della Corte Costituzionale: la sentenza 24 luglio 2019, n. 195. – 10. Lo scioglimento del consiglio comunale di Amantea; 10.1. La storia; 10.2. Il decreto presidenziale di scioglimento; 10.3. Il decreto di scioglimento al vaglio del giudice amministrativo; 10.3.1. Le sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale; 10.3.2. La pronuncia del Consiglio di Stato; 10.3.3. Ulteriori precisazioni a latere; 11. Riflessioni conclusive.

1. Premesse generali e metodologiche.

Il presente contributo è stato realizzato con l’obiettivo di tracciare i lineamenti di un istituto giuridico con profonde implicazioni sociali: lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali a causa di infiltrazioni mafiose.

Per ragioni di opportunità, questo elaborato è stato suddiviso idealmente in due parti.

Nella prima si focalizzerà l’attenzione sulla genesi della disciplina e sulla sua evoluzione normativa. Contestualmente, verrà riportata sia la relativa giurisprudenza costituzionale, di merito e di legittimità, sia gli orientamenti dottrinari che si sono registrati in materia.

Nella seconda verrà affrontato un caso concreto di scioglimento che, nel 2008, ha visto protagonista il consiglio comunale di Amantea, una cittadina in provincia di Cosenza. Per la ricostruzione della vicenda, le fonti dalle quali si sono attinte le informazioni sono la relazione ministeriale allegata al decreto presidenziale di scioglimento ed alcune testate giornalistiche di rilevanza regionale. Purtroppo, non è stato possibile prendere visione della relazione del Prefetto, in quanto il Consiglio dei Ministri ha ritenuto necessario mantenerne la riservatezza.

Poiché il decreto è stato impugnato in via giurisdizionale, le annesse questioni di legittimità verranno esaminate in seguito alla esposizione dell’episodio.

Il fine ultimo di questo scritto è contribuire alla campagna di sensibilizzazione del fenomeno mafioso, che negli ultimi anni si è manifestato in forme inedite rispetto alla sua originaria modalità operativa.

Di origine rurale ed improntata a strategie di sfruttamento criminale parassitario delle risorse produttive ed economiche della grande borghesia agraria, la mafia si è progressivamente trasformata, già sul finire degli anni Ottanta, in un’organizzazione criminale in grado di manomettere il regolare funzionamento del sistema imprenditoriale e produttivo[1], inquinandolo, alterandone la fisiologia e imprimendogli una svolta di tipo anticoncorrenziale[2]. Pur mantenendo le sue connotazioni criminali più tradizionali, essa si avvinghia ferocemente alle gambe degli imprenditori, trascinandoli ora con la forza ora con incentivi negli anfratti occulti del sodalizio criminoso[3].

Ma l’apice del mutamento genetico è raggiunto con l’estensione dell’area della «contiguità»[4] mafiosa alla dimensione pubblicistica.

Il controllo criminale sull’attività politico-amministrativa si realizza attraverso rapporti con gruppi politici e apparati burocratici, dagli enti locali alle istituzioni centrali, e dà vita ad una tipologia variegata che va dallo scambio, limitato o permanente, all’identificazione-compenetrazione, all’affinità culturale ed alla condivisione degli interessi[5]. In altri termini, si instaura un rapporto, efficacemente definito, di «coabitazione» tra mafia e politica[6].

In questo panorama si staglia così la c.d. «produzione politica della mafia», consistente nella molteplicità di forme con cui forze politiche ed istituzioni «contribuiscono a sostenere e sviluppare la mafia, dall’assicurazione dell’impunità per i fatti delittuosi alle attività collegate con il funzionamento delle istituzioni stesse e con l’uso del denaro pubblico»; al punto che «tali forme possono arrivare a configurare un’istituzionalizzazione formale o sostanziale della mafia (criminocrazia) e/o la mafiosizzazione delle istituzioni»[7].

2. Le ragioni storico-politiche e giuridiche dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose: il decreto legge 31 maggio 1991, n. 364.

La nascita dell’istituto dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose è stata tanto travagliata quanto necessitata.

Il fenomeno del contatto tra criminalità organizzata ed enti locali manifesta da molto tempo non solo la sua pericolosità espansiva, ma anche e soprattutto l’idoneità ad inficiare il processo decisionale dell’ente stesso.

Il rischio di infiltrazioni e condizionamenti mafiosi costituisce una grave minaccia per la comunità cittadina rappresentata, al punto da minare il fondamentale principio democratico enunciato nel primo articolo della nostra Costituzione. In effetti, dove il cittadino, con i suoi diritti e doveri, cede il passo al clan, la mafia si presenta come una organizzazione con la strada spianata e dal futuro assicurato[8].

Dal 1991 fino ad oggi, il fenomeno ha subito un andamento crescente degno di nota, evidenziando la sua importanza sotto due profili: uno territoriale ed un altro temporale. Il primo è messo in luce dal fatto che la consorteria criminale, oltre che passare all’azione dentro le sue quattro tipiche “dimore” (Calabria, Campania, Sicilia e Puglia), ha esteso il suo piano scellerato in altre regioni a non tradizionale insediamento mafioso (tra tutte, Basilicata, Lazio, Emilia-Romagna e Piemonte)[9].

Da un punto di vista temporale, a partire dal 1991 non si è registrato nemmeno un anno nel quale non vi sia stato almeno un caso di scioglimento dovuto ad infiltrazioni malavitose. Tenendo in considerazione che 68 amministrazioni sono state disciolte più di una volta, gli enti sottoposti a procedimenti di verifica sono stati fino ad oggi 293; di questi, il numero effettivo di scioglimenti è 259 (compresi un capoluogo di provincia e sei aziende sanitarie e ospedaliere)[10].

Volendo tracciare una media aritmetica sulla base dell’arco temporale anzidetto, si rileva la presenza di circa una decina di provvedimenti dissolutori all’anno. Un dato oggettivamente preoccupante. Prendere atto che praticamente ogni mese vi sia, in Italia, lo scioglimento di un consiglio comunale è indicativo di una situazione di particolare drammaticità, i cui riflessi problematici, spesso, non vengono adeguatamente avvertiti dalla comunità locale.

I cittadini, dal canto loro, in mancanza di un attivo coinvolgimento ad un aspetto così sensibile delle dinamiche politiche, sono maggiormente orientati a non percepire la portata attuativa del fenomeno collusivo[11].

A ciò è indispensabile aggiungere che innumerevoli sono i casi in cui lo scioglimento è formalmente provocato dalle dimissioni volontarie, individuali e/o collettive, degli amministratori locali, ma sostanzialmente frutto di atti di intimidazione, minaccia e violenza da parte della criminalità organizzata[12].

Un numero oscuro del quale non ci è dato sapere, ma capace di plasmare una vera e propria «storia sommersa» dell’Italia[13]. Un infido insieme di avvenimenti che cela sotto il suo manto solchi gremiti di sanguinarie angherie, aventi come scopo principale il sovvertimento dell’ordine democratico costituito[14].

Sebbene le effusioni tra congreghe malavitose ed organi politici locali non fossero questione sconosciuta al Novecento, al punto che già dopo l’esito del referendum costituzionale del 1946 si erano manifestati i primi germi spirituali di illecita ingerenza, ci sono voluti ben quarantacinque anni di storia repubblicana perché il Parlamento forgiasse un baluardo giuridico ad hoc.

Quando nel 2016 il comune di Corleone viene sciolto per infiltrazioni mafiose, dalle risultanze ispettive del decreto[15], compendiate nella relazione della Commissione di accesso, emergono gli stessi nominativi degli anni ’50 segnalati dalle prime commissioni parlamentari antimafia. Ciò a riprova del fatto che il consolidamento mafioso nei palazzi comunali non è una invenzione sociologica ma una condizione divenuta stabile nel tempo[16].

Si tratta, al contrario, di un congegno progettato appositamente per proiettare la compagine criminosa all’interno delle aule municipali e per tessere le ragnatele della malavita intorno alle mura cittadine.

L’introduzione di uno specifico mezzo di contrasto alle relazioni collusive, cioè il decreto legge 31 maggio 1991, n. 164, recante «Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso» (successivamente convertito con la legge 22 luglio 1991, n. 221), venne dettata essenzialmente da un duplice ordine di ragioni, tra di loro intimamente collegate: una di tipo storico-politico ed un’altra di tipo giuridico.

La prima è che vi fu un tragico e cruento accadimento che rappresentò la goccia che fece traboccare il vaso: la strage del venerdì nero di Taurianova, avvenuta il 3 maggio 1991[17].

La seconda è stata l’inadeguatezza funzionale del previgente assetto giuridico, in quanto caratterizzato esclusivamente da disposizioni di carattere generale, in sé inidonee a fronteggiare le forme di contaminazione mafiosa più radicate[18].

In effetti, prima del decreto legge del ’91 vi erano solo due fonti normative suscettibili di essere applicate a quella particolare fattispecie: la legge 19 marzo 1990, n. 55 («Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale»), e la legge 8 giugno 1990, n. 142 («Ordinamento delle autonomie locali»).

Nella specie, l’art. 15 della legge n. 55/1990 prevedeva soltanto alcune cause ostative alle candidature e di sospensione e decadenza di diritto degli amministratori locali, che peraltro colpivano le singole personalità elettorali e non l’organo consiliare nel suo complesso[19].

L’art. 39 della legge n. 142/1990 rendeva sì possibile lo scioglimento dei consigli comunali, ma solo per effetto di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico.

Dopo una serie di discussioni fra i vertici statali, si convenne sulla necessità di approntare, mediante decretazione d’urgenza, uno strumento capace di prendere sul serio la vicenda di Taurianova che, come anticipato, aveva disvelato i profondi legami della criminalità organizzata con le istituzioni locali[20].

Il problema principale era plasmare un modello di provvedimento dissolutorio che garantisse una certa probabilità di resistenza di fronte ad un eventuale ricorso amministrativo. Difatti, se il TAR avesse annullato detto provvedimento si sarebbero prodotte conseguenze di particolare gravità, a cominciare dalla opprimente sfiducia che avrebbe pervaso i cittadini taurianovesi[21].

Il decreto n. 164/1991, introducendo l’articolo 15-bis alla legge antimafia n. 55/1990, allargò le ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali, prevedendo che essi vengono meno quando «emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica».

In altri termini, veniva finalmente riconosciuto che «un organo elettivo può non essere democratico»[22].

Scopo pratico della norma era quello di scongiurare i benefici che la consorteria criminale traeva (e continua a trarre) dalla intima vicinanza alla dimensione pubblicistica. Grazie alla sua imponenza autoritaria nella compagine politica locale, essa mira a radicarsi in un territorio ed a ricercare un certo grado di consenso sociale, in ciò giovandosi delle abbondanti risorse economiche di cui dispone, nonché ricorrendo all’impiego del proprio apparato militare[23].

Tuttavia, gli inizi degli anni novanta concepivano la mafia ancora in chiave tradizionale, nella convinzione che le case municipali rappresentassero fortezze di non facile espugnazione. Da questo presupposto è derivata la considerazione del fenomeno in un’ottica eccezionale: quelle «forme di condizionamento», agli occhi del legislatore, non apparivano che accadimenti traboccanti dall’ordine abituale degli uffici pubblici[24].

Posta questa “anomalia” di sistema, quel provvedimento legislativo d’urgenza si atteggiava alla stregua di strumento a carattere repressivo-sanzionatorio.

Su proposta del Ministro dell’Interno e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Repubblica veniva ascritto il potere di sottoscrivere il documento di scioglimento dell’ente, il quale assumeva la forma di d.P.R..

In primo luogo, l’efficacia del decreto fu stabilita in un periodo compreso tra dodici e diciotto mesi, arco temporale molto più vasto di quello previsto dalla previgente legge n. 142/1990[25].

In secondo luogo, doveva essere nominata una commissione straordinaria deputata alla gestione dell’ente, composta da tre membri scelti fra funzionari dello Stato e fra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa. La scelta di un organo collegiale, in luogo di uno monocratico, era giustificata non solo dalla selezione di personalità dotate di professionalità e di conduzione manageriale considerevoli, ma soprattutto dalla convinzione che una pluralità di soggetti, affidatari di un’eccezionale responsabilità, potesse meglio espletare il proprio incarico. Facendosi guidare dai principi di promozione della legalità, dello sviluppo e della partecipazione democratica, essi disponevano di poteri, anche derogatori alle norme vigenti nei singoli comparti, che potevano garantire una maggiore incisività operativa[26].

In terzo luogo, il decreto legge era munito di una norma antielusiva che permetteva lo scioglimento indipendentemente dal contestuale verificarsi di altre cause egualmente idonee a provocare la soluzione di continuità dell’organo[27]. Per esemplificare, si pensi alla mancata elezione del sindaco o alla dimissione di almeno metà dei consiglieri, che di fatto avrebbero reso possibile lo svolgimento delle elezioni dopo pochi mesi, senza dover attendere i termini più lunghi previsti dalla novella[28]. Se si avesse dato prevalenza a queste circostanze, è evidente che la criminalità organizzata ne avrebbe approfittato e si sarebbe eclissata dietro l’orpello di una diversa causa di scioglimento, aggirando senza problemi il nuovo tenore normativo[29].

Infine, in attesa dell’emanazione del d.P.R., veniva attribuito al Prefetto, in caso di motivi di urgente necessità, il potere di sospendere gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente mediante invio di commissari.

3. Il sindacato di legittimità della Corte Costituzionale: la sentenza 19 marzo 1993, n. 103.

Se da un lato l’Italia si dotava finalmente di uno specifico mezzo di contrasto alle infiltrazioni mafiose nella politica locale, dall’altro lato la novella venne criticata sotto molteplici profili, a cominciare dalla sua compatibilità costituzionale.

La causa di maggior clamore, specie a livello accademico, fu la concessione ai vertici statali del potere di sciogliere un organo rappresentativo sulla scorta di meri sospetti ed in virtù della semplice esistenza di uno scenario indiziante[30].

La questione di legittimità costituzionale prese le mosse dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, il quale rimetteva alla Consulta il prospetto di una serie di possibili violazioni da parte dell’art. 15-bis della legge n. 55/1990[31].

Le problematiche di fondo erano essenzialmente tre.

La prima era che la legge consentiva di attribuire rilevanza a «collegamenti indiretti», con la criminalità organizzata, di alcuni soltanto degli amministratori, richiedendo di fatto un minor grado di spessore probatorio quanto al presupposto sostanziale considerato (per l’appunto i «collegamenti» con la consorteria criminale), rispetto agli elementi richiesti sia per il promovimento dell’azione penale sia per l’adozione della misura preventiva[32].

La seconda era la previsione dello scioglimento dell’intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti riguardanti solo alcuni amministratori, dal momento che, involgendo pure componenti dell’organo che sono estranei al collegamento con il sodalizio mafioso, essa entra in collisione con il principio di personalità della responsabilità[33].

La terza era la permanenza degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi, con la produzione di varie conseguenze tra le quali la sospensione sia del diritto di elettorato attivo e passivo sia dell’autonomia degli enti locali costituzionalmente garantita[34].

La Corte, con sentenza n. 103/1993, ha dichiarato la non illegittimità delle disposizioni tacciate di incostituzionalità, muovendo da molteplici considerazioni di ordine sistematico.

In riferimento alla prima questione prospettata, essa ha scongiurato la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) affermando che «La norma esige […] una stringente consequenzialità tra l'emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette, "collegamenti" o "forme di condizionamento", e, dall'altro, di una delle due evenienze, l'una in atto, quale la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo nonchè del regolare funzionamento dei servizi, l'altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione impugnata con la formula (che ha come premessa i "collegamenti" o le "forme di condizionamento") "tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica"»[35].

A rendere effettivo questo enunciato è il fatto che è «la stessa prevista connessione tra situazione emersa ed evenienza pregiudizievole ad esigere, nella motivazione del provvedimento, la dimostrazione che, muovendo dalla accertata constatazione della sussistenza di una delle due situazioni anzidette, possano farsi risalire ad essa quella compromissione o quel pregiudizio cui il legislatore ha inteso ovviare nel prevedere la misura»[36]. In altri termini, ciò che presidia l’indiziato contro abusi arbitrari della pubblica amministrazione è proprio il sindacato giurisdizionale sulla congruità e logicità delle argomentazioni contenute nel provvedimento dissolutorio[37].

Le ragioni enunciate hanno legittimato la Corte, in conclusione, ad affermare che la disposizione impugnata, per un verso, è formulata in maniera tale da garantire il rispetto dei principi che si assumono violati, per un altro, contiene in sé tutti gli elementi idonei a garantire obiettività e coerenza nell’esercizio dello straordinario potere di scioglimento degli organi elettivi conferito all’autorità amministrativa[38].

Quest’ultima considerazione, in ordine alla straordinarietà del provvedimento adottato, ha dischiuso le porte alla Consulta per un chiarimento sulla natura giuridica dell’istituto in esame.

La Corte ha messo in evidenza, per ben due volte, che si tratta di una misura straordinaria a carattere sanzionatorio[39], precisando al contempo che essa «ha come diretti destinatari gli organi elettivi, anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali che la legge intende sottrarre, nel loro complesso, all’influenza della criminalità organizzata»[40]. Se da un lato riconosce la sua essenziale finalità sanzionatoria, nel senso di una rapida e risoluta «reazione dell’ordinamento alle ipotesi di attentato all’ordine ed alla sicurezza pubblica», dall’altro lato sembra non rinnegarne la funzione preventiva, vista la estrema sensibilità della materia trattata. In effetti, la Corte ha in qualche modo anticipato l’orientamento che verrà a consolidarsi, nel ventennio successivo, nella giurisprudenza amministrativa sia di merito che di legittimità[41].

Nel solco della prima problematica rientra, altresì, la questione attinente alla riduzione della tutela giurisdizionale, derivante dalla labilità ed incontrollabilità degli elementi sui quali il provvedimento si deve fondare, risolvendosi essa in una lesione delle tutele ex artt. 24 e 113 Cost[42]. Rifacendosi alle pregresse considerazioni sull’obbligo, in capo al giudice, di una motivazione congrua ed intrinsecamente logica, la Corte disattende le pretese di incostituzionalità sollevate dal giudice a quo. Con ciò offrendo un’ulteriore puntualizzazione in merito all’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Avvocatura dello Stato. Quest’ultima, infatti, muoveva dall’assunto che in tanto il decreto di scioglimento è sindacabile in quanto abbia natura di atto amministrativo. Cosa che, ad avviso dell’organo legale statale, non poteva dirsi per lo strumento previsto dall’art. 15-bis, il quale, invece, doveva essere ricondotto alla categoria degli atti politici, contro i quali non è possibile effettuare un sindacato giurisdizionale[43]. A suffragio della propria tesi, l’Avvocatura erariale sosteneva che quelle specifiche tipologie di decreti perseguivano «esigenze generali ed unitarie di difesa dello Stato dall’aggressione di contropoteri criminali»[44]. Ad avallare questo indirizzo interpretativo era anche parte della dottrina che, sulla scorta di una precedente decisione della Consulta[45], intendeva collocare la species dei decreti di scioglimento nel genus degli atti di stampo politico, muovendo da una considerazione precisa: essi, in quanto attinenti alla direzione suprema dello Stato, perseguirebbero fini ed interessi afferenti al concetto di sicurezza dello Stato[46].

La Consulta, discostandosi da questo ragionamento, ha osservato che «la categoria degli atti politici, da individuare con criteri restrittivi, stante il principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 della Costituzione), include gli atti che attengono alla direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali»[47]. Al contrario, i decreti di scioglimento «rispondono a un interesse specifico dello Stato, per quanto pressante e necessaria sia l’esigenza dell’intervento»[48].

In virtù di tali motivazioni, il giudice delle leggi aveva rilevato l’assenza di elementi che inficiassero la possibilità di adire l’organo giudiziario, allo scopo di tutelare una propria situazione giuridica soggettiva. Propugnando la natura amministrativa del provvedimento dissolutorio, egli ha anticipato, in termini impliciti, l’indirizzo interpretativo che, in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 267/2000 (c.d. TUEL), si radicherà in dottrina e giurisprudenza. Secondo tale indirizzo, si sarebbe in presenza di un atto di «alta amministrazione» per due motivazioni: in primo luogo, non degenera in pura e semplice attività politica in quanto la sua mancanza di determinatezza è compensata dalla sua natura di discrezionalità «tecnica»[49]; in secondo luogo, poiché esprime la prevalenza dell’indirizzo politico di contrasto alle mafie sul mero rispetto delle consultazioni elettorali[50]. In altre parole, è un «atto di alta amministrazione, connotato anche da una significativa valenza politica»[51], il quale ubbidisce ad una istanza di difesa emergenziale dell’ordinamento democratico[52].

Per quanto concerne la seconda questione prospettata, sollevata nuovamente in relazione all’art. 3 Cost., si è osservato che l’estensione della misura a tutti gli amministratori anche nel caso di collegamento mafioso di alcuni soltanto di essi, non si pone in dissidio con il canone della ragionevolezza (inteso come logico corollario del principio di uguaglianza) sotto il profilo della «eccessività del mezzo rispetto al fine»[53]. E ciò in quanto l’art. 15-bis «ha come destinatari non tutti i consiglieri, ma l’organo collegiale considerato nel suo complesso, in ragione della sua inidoneità a gestire la cosa pubblica». In questo caso non si può interpretare il principio di personalità della responsabilità nel senso di riferirlo «ad un organo collegiale, in particolare nell’ipotesi, alternativa a quella della collusione, del “condizionamento” dell’organo da parte dei gruppi criminali; situazione questa che può profilarsi non necessariamente in conseguenza di comportamenti illegali di taluno degli amministratori»[54]. La Corte, inoltre, scongiura ogni forma residuale di dubbio precisando che la misura in esame non solo può essere, per molteplici versi, assimilata a quella prevista dall’art. 39, comma 1, lett. a), della legge n. 142/1990, che contempla lo scioglimento degli enti «per gravi motivi d’ordine pubblico», ma, addirittura, essa «può considerarsi una specificazione di quella contemplata nell’art. 39 citato, per la cui irrogazione neppure è previsto, nella fase amministrativa, “il contraddittorio”»[55].

Riguardo alla terza problematica, a proposito della protrazione degli effetti dello scioglimento per la durata da dodici a diciotto mesi, il giudice remittente rinveniva una violazione, oltre che nuovamente del principio di ragionevolezza, anche degli artt. 48 e 51 Cost., in tema di elettorato attivo e passivo, e degli artt. 5 e 128 Cost., in materia di autonomie locali. In particolare, ai primi due sarebbe stata imposta una limitazione non consentita o, comunque, fuori delle ipotesi positivamente contemplate[56]; le autonomie locali, invece, sarebbero state colpite da una sorta di sospensione della propria attività, con conseguente lesione della rappresentatività degli organi di amministrazione[57]. In replica a queste considerazioni, la Consulta ha affermato quanto segue: in primo luogo, in rapporto all’asserito contrasto con gli artt. 48 e 51 Cost., «la censura è manifestamente inammissibile in quanto i parametri costituzionali invocati sono completamente estranei all’ipotesi in esame. L’art. 48, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di limitazioni del diritto di elettorato attivo con riferimento a situazioni che riguardano la persona di ciascun elettore, singolarmente considerato»[58]; inoltre, quanto all’art. 51 Cost., «non si è in presenza né di limitazioni legate al diritto di voto del singolo, né di limitazioni all’accesso alle cariche elettive, derivanti da condizioni personali del cittadino, bensì di effetti indiretti della misura sanzionatoria in questione che […] è diretta a colpire non […] i cittadini, singolarmente considerati, del comune o della provincia, bensì l’organo elettivo nel suo complesso»[59]. In secondo luogo, in relazione al prospettato dissidio con gli artt. 5 e 128 Cost., la maggiore durata degli effetti dissolutori è giustificata dal fatto che, nel caso estremamente delicato delle infiltrazioni mafiose, «l’aspetto proprio delle autonomie, quale quello della rappresentatività degli organi di amministrazione, possa temporaneamente cedere di fronte alla necessità di assicurare l’ordinato svolgimento della vita delle comunità locali, nel rispetto delle libertà di tutti ed al riparo da soprusi e sopraffazioni»[60].

Infine, sottolinea la Corte, la protrazione degli effetti non è irragionevole poiché può «consentire, nel frattempo, di intervenire sul terreno del ripristino della legalità, della eliminazione degli effetti prodotti dall'inquinamento criminoso, della creazione di condizioni nuove che, avvalendosi della precedente esperienza, permettano la ripresa della vita amministrativa al riparo dai collegamenti e dai condizionamenti cui si era voluto ovviare con lo scioglimento»[61].

Per inciso, la Corte non si addentra nella trattazione del rapporto tra art. 15-bis e art. 125 Cost. Rilevando come non si sia sviluppata alcuna argomentazione a sostegno di una presunta incostituzionalità, essa si è limitata ad asserire la manifesta inammissibilità della questione, «non ravvisandosi alcuna attinenza con essa del parametro costituzionale invocato»[62].

Volendo fare un riepilogo, al fine di compendiare i momenti salienti della sentenza n. 103/1993, si dirà che i membri della Consulta hanno subordinato l’esercizio del potere di scioglimento a situazioni di fatto e ad evenienze che, per un verso, ledono la libertà di determinazione ed il buon andamento dell’amministrazione e, per un altro, esercitano grave e perdurante pregiudizio della sicurezza pubblica.

Pertanto, l’art. 15-bis della legge antimafia n. 55/1990 non è in contrasto con i dettami costituzionali ed è progettato in maniera tale da garantire il controllo giurisdizionale, contenendo in sé tutti gli elementi idonei a garantire l’obiettività e la coerenza dell’esercizio del potere in relazione all’emergenza straordinaria determinata dal fenomeno eversivo mafioso. Non è nemmeno in dissidio con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della eccessività del mezzo rispetto al fine, poiché, pur estendendo i propri effetti a membri non condizionati da influssi mafiosi, esso prevede una misura che colpisce non il singolo, ma il collegio nel suo complesso, a causa della sua inidoneità ad amministrare la cosa pubblica.  

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali è finalizzato ad evitare che quegli organi, alla guida degli enti esponenziali delle comunità locali, siano di pregiudizio per il perseguimento degli interessi propri di queste. Per tale motivo, lo scioglimento, da un lato, si rivela un provvedimento di natura sanzionatoria direttamente indirizzato agli organi elettivi, ma che è tuttavia caratterizzato da rilevanti profili di prevenzione sociale; da un altro lato, esso è una misura collegata ad una emergenza di carattere straordinario, da esercitare nei luoghi e finché perduri il singolare fenomeno eversivo.

4. Integrazioni normative del decreto legge 19 ottobre 1993, n. 420.

Se con la precedente decisione il giudice delle leggi ha dimostrato enorme spirito garantista, non sono mancate considerazioni di chi ha sostenuto che, a riprova dell’articolatissima ermeneusi resa in motivazione, la Corte fu quasi “costretta” a non infirmare la validità del nuovo strumento antimafia. E ciò più per la paura di perdere prestigio e credibilità, che per la sua autentica persuasione circa la infondatezza della questione sollevata. In tal senso, se essa avesse calato la mannaia della incostituzionalità, ne sarebbero derivate conseguenze negative sulla sua reputazione, a causa dell’andirivieni mediatico che avrebbe circondato Palazzo della Consulta. Nondimeno, la sua statuaria pregevolezza ne sarebbe uscita sfigurata, al punto da apparire all’opinione pubblica come uno dei massimi antagonisti dello Stato[63].

Sulla scorta della sperimentazione del nuovo impianto normativo, dopo due anni dall’entrata in vigore del decreto-legge n. 164 del 2011, venne a galla la necessità di approntare alcune modifiche al progetto iniziale di contrasto al fenomeno delle infiltrazioni negli enti locali.

Novellando l’art. 15-bis della legge n. 55/1990, il decreto legge 19 ottobre 1993, n. 420 – reiterato nel decreto legge del 20 dicembre 1993, n. 529 e convertito, senza modificazioni, nella legge 11 febbraio 1994, n. 108, recante “Disposizioni urgenti in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi degli altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso” – si propose l’obiettivo di accrescere l’incisività applicativa del provvedimento dissolutorio[64].

Nella specie, la riforma in esame apportò quattro modifiche essenziali.

La prima è l’introduzione della possibilità di prorogare la durata dello scioglimento, di regola stabilita in un termine compreso fra dodici e diciotto mesi, fino ad un massimo di ventiquattro mesi.

La seconda è il conferimento al Prefetto di disporre, su richiesta della commissione straordinaria, l’assegnazione in via temporanea, in posizione di comando o distacco, di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni di enti pubblici, anche in posizione di sovraordinazione. La finalità era dettata da precise ragioni di ordine pratico: non era peregrino imbattersi, specie nei comuni, in personale legato alla precedente gestione o, comunque, assunto con criteri non propriamente consoni all’esigenza di perseguire l’interesse pubblico. Pertanto, si propese per la possibilità di avvalersi di personale esterno all’amministrazione comunale[65].

La terza modifica è l’istituzione, presso il Ministero dell’interno, di un comitato di sostegno e monitoraggio dell’azione delle commissioni straordinarie e dei comuni riportati a gestione ordinaria.

La quarta ed ultima modifica è la creazione di un circuito preferenziale per l’accesso ai finanziamenti statali e regionali per la realizzazione di opere pubbliche e per far fronte alle disfunzioni dei servizi di competenza degli enti commissariati.

In seguito alla novella legislativa del 1994, l’art. 15-bis della legge antimafia n. 55/1990 si è rivelato, sul piano normativo, un efficace mezzo di contrasto alle infiltrazioni e condizionamenti mafiosi. A dimostrazione di ciò, tale disposizione si è difesa magistralmente non solo dalle eccezioni di incostituzionalità sollevate successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche da numerosissimi ricorsi di natura amministrativa di cui è stata oggetto[66].

5. Intervento del decreto legislativo 8 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL).

Un altro mutamento normativo che ha interessato l’art. 15-bis è occorso con l’emanazione del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che ha introdotto il «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali» (c.d. TUEL). Limitandosi ad una operazione meramente formalistica e trasfusionale, il legislatore ha dislocato le disposizioni dell’art. 15-bis all’interno degli artt. 143, 144, 145 e 146 del TUEL.

Con la nuova sistemazione topografica dell’istituto, il legislatore ha inteso eliminare, sotto il profilo formale, il carattere di specialità ascrittogli dalla Corte Costituzionale (sent. 103/1993)[67], inserendolo coerentemente nella parte dedicata al controllo sugli organi degli enti locali[68]. Tuttavia, ad onta della diversa collocazione, la ratio è da ravvisarsi, in ogni caso, nella tutela dell’ordine pubblico, nel senso chiarificato dalla più volte menzionata decisione della Consulta e nell’ampio significato fornito dal legislatore nell’art. 159, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112[69]. In particolare, detto articolo rende una definizione tanto laconica quanto efficace di ordine pubblico, sancendo che esso rappresenta il «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni»[70].

In conclusione, a differenza di quello definibile come «ordinario»[71], il provvedimento dissolutorio ex art. 143 TUEL si pone «in un rapporto di continuità e di sostanziale specificazione, presentando la medesima ratio di tutela: la salvaguardia della “tranquillità e della sicurezza del vivere sociale”, componenti fondamentali della nozione di “ordine pubblico”»[72]. Di conseguenza, stante tale rapporto di specialità, l’istituto di cui all’art. 143 TUEL si applicherà anche nel caso in cui si siano già verificati i presupposti per attivare il meccanismo previsto dall’art. 141 TUEL. In altre parole, il previo scioglimento dell’ente locale per motivi diversi dalle infiltrazioni mafiose (art. 141 TUEL) non preclude, successivamente, il ricorso allo specifico mezzo di tutela, per gli apparati comunali e provinciali, disciplinato dall’art. 143 TUEL; e ciò fino all’indizione delle elezioni per il rinnovo degli organi elettivi[73].

6. La legge 15 luglio 2009, n. 94 (del c.d. «pacchetto sicurezza»).

La “nuova” formulazione legislativa rimase immutata per quasi un decennio.

Nonostante avesse resistito, sin dal 1994, a diverse questioni di illegittimità costituzionale[74], l’istituto continuava a ricevere critiche da parte della dottrina[75], la quale auspicava un’innovazione legislativa muovendo precipuamente da un duplice ordine di riflessioni.

Anzitutto, in seguito alla pronuncia della Consulta, non si era provveduto alla tipizzazione legislativa o, perlomeno, ad una migliore precisazione dei presupposti essenziali per l’adozione del provvedimento dissolutorio[76].

Inoltre, e di conseguenza, restava impregiudicato l’ampio potere discrezionale del Governo in ordine alla scelta di porre in essere lo scioglimento dell’ente locale[77].

La stessa Commissione parlamentare antimafia, durante la seduta del 12 luglio 2005, aveva denunciato la necessità impellente di una normativa dotata di un più elevato grado di precisione e concretezza[78].

Insieme a queste soluzioni de jure condendo, si aggiungeva un altro fattore molto importante che indusse il legislatore a mutare l’assetto ordinamentale: l’abbandono dell’idea del decreto di scioglimento come strumento sanzionatorio, in favore di una sua riqualificazione in termini di prevenzione sociale.

Detto altrimenti, era invalsa tra gli operatori del diritto, specie tra i magistrati, la convinzione che non si dovesse più guardare a tale istituto attraverso gli occhiali dell’emergenza. La condivisione del crescente allarme sociale, causato dalla concentrazione mafiosa nelle realtà comunali, determinò nei giuristi una maggiore precomprensione «istituzionale» del fenomeno mafioso[79].

Occorreva sostituire le lenti dell’emergenza con quelle della prevenzione.

Una scossa decisiva per il passaggio la diede la giurisprudenza amministrativa. In particolare, il Consiglio di Stato osservò che: «La “ratio” sottesa allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalità organizzata è collegata con un istituto di natura preventiva e cautelare volto a garantire il regolare e legittimo andamento della gestione della cosa pubblica»[80].

Ad avallare questa conclusione è ancora la Commissione parlamentare antimafia la quale, durante la seduta del 12 luglio 2005, afferma che la ragione giustificatrice di tale istituto è «stroncare la commissione di illeciti, ma si inquadra nel sistema preventivo del controllo generale riservato allo Stato in ordine ai fatti che, per consistenza ed effettività, si reputano idonei a determinare uno sviamento dell’interesse pubblico»[81].

Anche la dottrina maggioritaria si collocò nel solco tracciato da giurisprudenza e Commissione antimafia, suffragando largamente la tesi della natura preventiva[82].

Ebbene, il carattere spiccato della prevenzione sociale veniva riconosciuto da molteplici ed autorevoli parti.

Il passaggio alla nuova normativa venne decretato dall’avvento della legge 15 luglio 2009, n. 94 (facente parte del c.d. «pacchetto sicurezza»). L’art. 2, comma 30, di tale legge ha modificato la normativa in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali a causa di infiltrazioni e di condizionamenti di tipo mafioso, così sostituendo completamente l’art. 143 del TUEL[83].

Occorre segnalare che la riforma riprende, sostanzialmente, quanto contenuto nel progetto di legge caldeggiato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera della precedente legislatura (la XV). Progetto che, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere avvenuto il 6 febbraio 2008, non andò mai in porto[84].

La normativa è stata riformulata sotto diversi profili, alcuni dei quali meritano sicuramente di essere trattati.

Novità degne di menzione sono l’introduzione di una disciplina più chiara e precisa dei presupposti, dei limiti e della procedura per l’adozione del provvedimento governativo di scioglimento, nonché dell’estensione delle misure applicabili nei confronti dei soggetti responsabili collegati alla criminalità organizzata anche ai dirigenti ed agli altri dipendenti pubblici[85].

Alla luce della riforma, il Presidente della Repubblica in tanto è legittimato ad adottare il decreto dissolutorio, in quanto vengano in rilievo «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica».

Il legislatore, com’è evidente, ha inteso subordinare l’applicazione della misura di scioglimento non più alla sola esistenza di collegamenti diretti ed indiretti tra amministrazione e consorteria criminale, ma ha richiesto un quid pluris. Invero, gli elementi da cui emergono tali collegamenti debbono essere muniti di concretezza, univocità e rilevanza, con ciò mirando a restringere i margini di discrezionalità di scelta governativa[86].

Nella valutazione dei presupposti, non si può assolutamente prescindere dalla considerazione di circostanze che assumano, al contempo, rilievo fattuale (e per converso non si risolvano in mere supposizioni o presunzioni), carattere concordante (restando estranei allo spirito della norma vicende episodiche ed occasionali) ed ampia significatività (desumibile da comportamenti complessivi e situazioni soggettive tali da determinare il pericolo di gravi disfunzioni, sia all’interno dell’amministrazione locale sia all’esterno sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica)[87].

La giurisprudenza amministrativa, con la sua opera di limatura esegetica, ha fornito un contributo essenziale per rifinire al meglio i limiti della disciplina. Essa insiste molto sul fatto che il Governo debba dare rilievo «a situazioni non traducibili in episodici addebiti personali, ma tali da rendere nel loro insieme plausibile, nella concreta realtà contingente ed in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuale di prevenzione»[88].

Il potere di scioglimento è quindi legato al riscontro di una sorta di «alterazione ambientale» della funzione amministrativa a cui il singolo amministratore partecipa volente o nolente, per il solo fatto di essere inserito in una trama sociale non avente di per sé alcun carattere di illiceità (parentela, affinità, amicizia, frequentazioni)[89].

È utile precisare che non sono suscettibili di applicazione le norme generali sul giusto procedimento, in particolare il principio del contraddittorio[90]. Sinteticamente, secondo la giurisprudenza consolidata lo scioglimento è un provvedimento che pertiene all’ente locale complessivamente inteso, e solo indirettamente si riferisce allo status dei singoli consiglieri, i quali, comunque, potrebbero cogliere l’occasione di far valere le proprie ragioni dinnanzi alla Commissione di accesso[91].

Cosa debba intendersi, singolarmente, per concretezza, univocità e rilevanza degli elementi è ben spiegato, ancora una volta, dalla giurisprudenza. Invero, dei fatti alla base del decreto di scioglimento non deve essere possibile metterne in dubbio la verificazione storica (presupposto della concretezza); inoltre, gli stessi devono integrare, con un adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma ha lo scopo di prevenire (presupposto della univocità); infine, essi devono essere causalmente rilevanti, vale a dire idonei a manomettere il regolare funzionamento dell’ente (presupposto della rilevanza)[92].

Da un angolo prospettico probatorio, non è dal singolo indizio, meticolosamente accertato, ma «solo dall'esame complessivo di quegli elementi che si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall'altro, la ragionevolezza della ricostruzione di quest'ultimo quale presupposto per la misura dello scioglimento del corpo deliberante dell'ente»[93].

Merita assolutamente riportare quanto segue: «“la straordinarietà di tale misura e la sua fondamentale funzione di contrasto alla ormai capillare diffusione della criminalità mafiosa sull'intero territorio nazionale hanno fatto ritenere a questa Sezione che la modifica normativa al T.U.E.L., per la quale gli elementi fondanti i provvedimenti di scioglimento devono essere concreti, univoci e rilevanti, non implica la regressione della ratio sottesa alla disposizione, poiché la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo ed dell'ingerenza delle organizzazioni criminali sull'azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo (Cons. St., sez. III, 23 aprile 2014, n. 2038”. Di conseguenza, si è ritenuto che il sindacato del giudice amministrativo non possa “arrestarsi ad una atomistica e riduttiva analisi dei singoli elementi, senza tener conto dell'imprescindibile contesto locale e dei suoi rapporti con l'amministrazione del territorio, ma deve valutare la concreta permeabilità degli organi elettivi a logiche e condizionamenti mafiosi sulla base di una loro complessiva, unitaria e ragionevole valutazione, costituente bilanciata sintesi e non mera somma dei singoli elementi stessi (v. già, sul punto, Cons. St., sez. III, 14.2.2014, n. 727)”»[94].

Ancora, la giurisprudenza chiarisce cosa si debba intendere per «collegamenti» e cosa per «forme di condizionamento». I primi connotano la relazione (anche di parentela o di amicizia) che intercorre tra i membri della consorteria criminale e amministratori locali, tanto che si inneschi una assidua frequentazione in grado di compromettere anche la trasparenza amministrativa nella gestione dei compiti istituzionali e nella concessione dei servizi. Le seconde, invece, consistono in tutte quelle fattispecie nelle quali le scelte politiche subiscono l’influsso della organizzazione mafiosa[95].

Altro aspetto, che denota il maggior rigore richiesto dalla novella del 2009, concerne l’onere motivazionale incombente sull’amministrazione. La proposta di scioglimento deve contenere una dettagliata menzione, da un lato, delle anomalie riscontrate nella gestione dell’ente e, da un altro lato, dei provvedimenti necessari al fine di rimuoverne tempestivamente gli effetti negativi per l’interesse pubblico, oltre alla specifica indicazione degli amministratori reputati responsabili della determinazione dello scioglimento[96].

Effetto imprescindibile dell’ampio margine di valutazione, in capo alle autorità procedenti, sulle condizioni per l’adozione del provvedimento, pertiene al tipo di sindacato che, in caso di ricorso, il magistrato è autorizzato ad operare. Infatti, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il controllo del giudice amministrativo non può estendersi al merito della scelta discrezionale della P.A., ma concerne esclusivamente la verifica dell’esistenza delle circostanze di fatto riportate nella motivazione nonché la valutazione, sotto il profilo della logicità, coerenza e ragionevolezza, del significato a queste attribuito e dell’iter seguito per attingere determinate conclusioni[97]. A tal proposito, risulta quasi superfluo osservare quale valore centrale assume la relazione redatta dal Ministro dell’interno: quanto più essa sarà esaustivamente supportata da circostanze fattuali che rendono plausibile l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità, tanto più ristretto sarà lo spazio entro il quale il giudice potrà muoversi nella sua attività di controllo[98]. In definitiva, il giudizio innanzi al TAR ed al Consiglio di Stato costituisce un momento di massima importanza, stante la possibilità di effettuare una puntuale verifica della validità di tutti gli elementi raccolti: sia quelli dai quali emergono forme di collegamento tra criminalità organizzata ed ente locale, sia quelli che sono indicativi di vantaggi concretamente ed illegittimamente realizzati.

Tra i punti principali della riforma, spicca l’estensione dei baluardi contro le infiltrazioni mafiose anche a carico dei segretari comunali e provinciali, direttori generali, dirigenti e dipendenti dell’ente locale (art. 143, comma 2, TUEL). In effetti, l’allargamento della disciplina, da una dimensione prettamente politica ad una tecnico-burocratica, è indicativo di un approccio pratico del legislatore, il quale ha compreso bene le concrete problematiche presenti nella realtà gestionale dell’ente. Sulla scia delle riforme, in atto ormai dagli anni ’90[99], in materia di ripartizione delle competenze tra organo politico ed amministrativo[100], si staglia con successo la convinzione che le infiltrazioni criminose possano verificarsi anche durante la fase gestionale, vale a dire quella deputata alla esecuzione degli indirizzi impartiti dall’organo di governo dell’ente[101]. In altri termini, si dà per scontato che le minacce mafiose possano ingerirsi in entrambi i segmenti di amministrazione: l’uno rivolto a formulare la volontà dell’ente, l’altro alla sua concreta realizzazione[102].

Merita, da ultimo, segnalare un’altra importante previsione introdotta dalla legge n. 94/2009, e cioè l’incandidabilità degli amministratori locali (art. 143, comma 11). Quest’ultimi, allorquando venga decretata la disgregazione dell’ente presso cui svolgono la loro funzione, perdono la possibilità di candidarsi al turno elettorale successivo, a condizione però che abbiano contribuito alla causazione dello scioglimento. Le elezioni, alle quali il soggetto responsabile non può accedere, sono quelle regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente disciolto.

Su questo punto si segnala che, secondo una parte della dottrina, non senza ragioni, desta qualche perplessità il tenore letterale dell’art. 143, comma 11, TUEL, in quanto non è chiaro se l’aver «dato causa allo scioglimento» significhi essere stato parte o, al limite, mero strumento inconsapevole del sodalizio criminale, ovvero semplicemente il non essere riuscito a contrastarlo efficacemente, pur in una situazione di estraneità ad esso[103].

7. Il procedimento di scioglimento dei consigli comunali e provinciali.

Quello previsto dall’art. 143 TUEL, ai fini dello scioglimento degli enti locali, è un iter procedimentale molto complesso ed articolato.

Anzitutto, il comma 2 prevede che l’Ufficio prefettizio competente, a seguito della ricezione dell’informativa – da parte dell’organo giudiziario, delle forze dell’ordine ovvero di altri canali di istruzione – di un possibile caso di infiltrazione criminale nell’organo amministrativo, dispone la nomina di un’apposita Commissione d’indagine (c.d. Commissione d’accesso), la quale è composta da tre funzionari della P.A.

Attraverso la Commissione, il Prefetto esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 2, comma 2-quater, del decreto legge 29 ottobre 1991, n. 345. La Commissione, entro il termine di tre mesi (prorogabile per altri tre mesi) dalla data di accesso, deve comporre un documento conclusivo dell’attività svolta, indicando gli elementi dai quali si evince la sussistenza di tentativi di infiltrazione da parte della consorteria criminale e, successivamente, trasmettendolo al Prefetto.

Ha inizio, a tal punto, la fase procedimentale regolamentata dal comma 3, in virtù del quale, entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della Commissione d’indagine (ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi), il Prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica[104] integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio[105], invia al Ministro dell’interno una relazione nella quale si dà conto degli eventuali elementi di correlazione tra P.A. e criminalità organizzata, anche con riferimento al segmento burocratico (segretario comunale o provinciale, direttore generale, dirigenti e dipendenti dell’ente locale). Inoltre, nella relazione devono essere indicati gli appalti, i contratti ed i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con il sodalizio criminoso o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica.

Successivamente, il comma 4 prevede che il Consiglio dei Ministri, entro tre mesi dal ricevimento della relazione prefettizia, su proposta del Ministero dell’interno, deve deliberare in merito alla misura dissolutoria la quale, ove sussistano i requisiti, viene formalizzata con un decreto del Presidente della Repubblica e, data la sua importanza, viene immediatamente trasmessa alle Camere. Ai fini della verifica delle condizioni di scioglimento, la proposta di scioglimento del Viminale deve contenere, in maniera analitica, le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico.

Il decreto presidenziale produce non solo lo scioglimento dell’ente, ma anche la cessazione della carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche in deroga alle leggi sull’ordinamento e funzionamento degli organi predetti.

È utile precisare che, tra i poteri conferiti al Prefetto, il comma 12 prevede anche quello cautelare che, allorché ricorrano motivi di urgente necessità e si sia in attesa del decreto presidenziale, lo autorizza a sospendere per sessanta giorni gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni atro incarico ad essa connesso, con contestuale nomina di uno o più commissari che garantiscano la provvisoria amministrazione dell’ente coinvolto.

Nell’ipotesi di insufficienza o mancanza di condizioni per lo scioglimento, il comma 7 impone al Ministro dell’interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia, di emanare comunque un decreto di conclusione del procedimento, nel quale dà conto degli esiti dell’attività di accertamento.

Il decreto di scioglimento viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, con allegate la proposta del Ministro dell’interno e la relazione prefettizia, salvo che il Consiglio dei Ministri non disponga la segretezza delle stesse (comma 9).

Ai sensi del decimo comma dell’art. 143 TUEL, la durata del provvedimento di scioglimento può variare da dodici a diciotto mesi, prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali. A tale scopo, l’eventuale atto con cui si dispone la proroga deve essere adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento stesso. Inoltre, la proroga è comunicata alle Commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi affidati alle amministrazioni.

Giova ricordare che l’art. 146 TUEL estende l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 143 anche agli altri enti locali di cui all’art. 2, comma 1 (città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni), nonché ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti.

Se si sposta l’attenzione sul comma 11, si riscontra l’istituto della incandidabilità. Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento dell’ente «non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilità il Ministro dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa». A proposito di questa fattispecie, valgono le considerazioni già fatte nel precedente paragrafo, ove si è discorso del quadro generale di mutamento fissato dalla novella del 2009[106].

L’incandidabilità costituisce a tutti gli effetti un nuovo tipo di incapacità giuridica speciale, ontologicamente e teleologicamente diversa dalle altre situazioni che, del pari, impediscono l’elezione o la permanenza in una carica pubblica, perché limitano l’esercizio del diritto di elettorato passivo[107]. Invero, la peculiarità dell’incandidabilità consiste proprio nella negazione del diritto di elettorato passivo, e non solo l’esercizio dello stesso. Da qui l’impossibilità, per i soggetti implicati, di far valere finanche la situazione giuridica prodromica all’elezione, vale a dire la candidatura. È questa la differenza con l’ineleggibilità e l’incompatibilità: mentre queste ultime sono la causa di perdita del diritto di elettorato passivo, l’incandidabilità è l’effetto di tale perdita[108]. Di conseguenza, le prime due derivano da situazioni che l’interessato è obbligato ad eliminare prima di candidarsi o al momento in cui viene eletto[109].

Un mutamento legislativo meritevole di menzione è contemplato dal comma 13. Quest’ultimo recepisce quella che taluno, già a partire dalla formulazione contenuta nel decreto legge n. 364/1991, definiva una norma «antielusiva» che permetteva di sciogliere l’organo indipendentemente dal contestuale verificarsi di altre cause, egualmente idonee a provocarne la soluzione di continuità[110]. Difatti, si stabilisce che, allorquando sussistono univoci, concreti e rilevanti elementi da cui si evincano forme di influenza della criminalità organizzata sulla P.A., si fa luogo «comunque» allo scioglimento degli organi, ancorché ricorrano le situazioni previste dall’articolo 141[111].

Lo scopo di tale disposizione è di evitare che determinate circostanze (ad esempio, dimissioni del sindaco o del presidente della provincia), avvenute prima della presentazione della proposta di scioglimento da parte del Ministro dell’interno, possano pregiudicare l’esito del rispettivo procedimento. Si vuole impedire che i rapporti tra amministrazione e consorteria criminale rimangano “occultati” dietro il velo delle cause di scioglimento previste dall’art. 141. In caso contrario, si consentirebbe alla criminalità organizzata di rimanere, de facto, impregiudicata nella sua attività di collusione, permanendo così il rischio di un’infiltrazione a valle della successiva legislatura comunale.

Un ultimo cenno va all’art. 144, comma 1, del TUEL. Con il decreto presidenziale di scioglimento deve essere nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, la quale è composta da tre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza. Detti membri vengono coadiuvati da un comitato di sostegno e di monitoraggio ad hoc, istituito dal Ministro dell’interno (art. 144, comma 2). Il compito gestionale dell’ente viene così attribuito a personalità dotate di specifiche e comprovate capacità professionali, le cui attività sono destinate a ripristinare la legalità dell’ente ed a risanare l’ambiente amministrativo locale[112].

Per raggiungere questo scopo, la commissione straordinaria adotta un piano di priorità degli interventi (art. 145, comma 2) e, laddove vengano in rilievo infiltrazioni di stampo mafioso connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture, ovvero l’affidamento in concessione di servizi pubblici locali, procede alle necessarie verifiche; disponendo, se del caso, la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso (art. 145, comma 4). Inoltre, su richiesta della commissione straordinaria, il Prefetto può disporre l’assegnazione, in via temporanea, di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici (art. 145, comma 1). Questa si rivela una disposizione di grande utilità, giacché consente di dare spazio a soggetti competenti che siano estranei all’ente locale “malato”[113].

Infine, l’art. 145-bis del TUEL, inserito precedentemente dall’art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80 (convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2004, n. 140), prevede alcune modalità di risanamento sotto il profilo finanziario.

8. Il decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113 (c.d. «decreto sicurezza»).

La legge n. 94 del 2009 costituisce una delle tappe più significative del processo di trasformazione dell’art. 143 TUEL. Si arroga sicuramente il merito di aver ridotto lo spettro discrezionale del Governo in ordine ai presupposti sostanziali di esercizio del potere di scioglimento, mediante la previsione degli elementi «concreti, univoci e rilevanti»; inoltre, ha fornito un contributo essenziale grazie all’estensione delle misure di prevenzione anche alla struttura burocratica dei comuni disciolti[114].

Tuttavia, come aveva bene messo in evidenza la Commissione parlamentare antimafia durante la seduta del 12 luglio 2005, «lo scioglimento degli enti elettivi rappresenta un evento traumatico, quantunque necessario, per il sistema democratico»[115]. Durante quella seduta, emerse con chiarezza che se, da un lato, lo scioglimento dell’ente costituiva una misura irrinunciabile, dall’altro si doveva provvedere alla risoluzione di numerosi profili di criticità della normativa.

In effetti, benché abbia rappresentato un tassello fondamentale, la novella del 2009 venne accompagnata da una notevole quantità di proposte di legge, caratterizzate tutte dalla convinzione che l’art. 143 TUEL delineasse i lineamenti di un istituto dal quale non si poteva assolutamente prescindere[116].

Fra gli eventi che diedero energico impulso al processo di revisione normativa, un posto d’onore lo occupa sicuramente la famosa vicenda di Roma Capitale.

Prima di questa, infatti, lo strumento dissolutorio era stato adoperato esclusivamente con riferimento ai piccoli comuni nonché ad alcune aziende ospedaliere. Non c’erano stati particolari problemi di applicazione, attesa la ristretta (per così dire) consistenza sociale del fenomeno mafioso e vista la pregressa portata applicativa dell’art. 143 TUEL, che in queste fattispecie non si era rivelato un baluardo giuridico inadeguato. Un sintomo di crescita di questa situazione patologica si è avuto con il commissariamento, nel 2012, del comune di Reggio Calabria che, da allora, risulta l’unico capoluogo di provincia colpito da infiltrazioni mafiose[117].

Tutti i limiti intrinseci della normativa vigente vennero messi a nudo dalla nota vicenda capitolina. Non si trattava di un comune di piccole dimensioni, bensì del comune della capitale d’Italia.

Il complesso intreccio dell’episodio, da un lato, e la sua massima visibilità sociale, da un altro lato, condussero conclusivamente ad adottare una soluzione intermedia o, se si vuole, di compromesso tra le tante forze politiche, le quali sconsigliarono l’ipotesi di interdizione degli organi rappresentativi. E occorre qui sottolineare che, dalla relazione prefettizia, emerse un compendio indiziario cospicuo e, in ogni caso, non meno idoneo a giustificare un eventuale scioglimento di quanto non fosse avvenuto in passato per i comuni più piccoli[118].

In definitiva, il caso di Roma Capitale ha palesato l’eccessiva rigidità del vigente assetto normativo, evidenziando in particolare l’esigenza di evitare l’automatismo dello scioglimento, nel momento in cui appaia probabile che la conservazione degli apparati conduca a risultati istituzionali più ragionevoli ed efficaci.

L’occasione per lanciare un monito riformatorio fu colta dal Ministero dell’Interno, il quale, durante l’audizione alla Commissione parlamentare antimafia del 15 marzo 2016, ha rimarcato l’opportunità di innovare il sistema normativo sotto due profili.

In primo luogo, ha auspicato l’adozione di linee guida per l’attività dei componenti della commissione di accesso.

In secondo luogo, ha suggerito vivamente di rivedere la struttura dell’art. 143 TUEL. Nella specie, ha dato credito all’ipotesi di introduzione di una alternativa che si frapponesse nel tradizionale rapporto dicotomico scioglimento-archiviazione, a tal uopo proponendo di affiancare gli amministratori in carica con commissari ad acta e tutor. Questi ultimi, in virtù delle loro competenze professionali, ad avviso del Ministro avrebbero potuto somministrare all’organo amministrativo “malato” un particolare metodo «terapeutico», finalizzato a riportare l’amministrazione sui binari di una maggiore correttezza legalitaria. In tal modo, non si sarebbe causata né l’interruzione delle attività da parte degli organi ordinari, né il loro allontanamento definitivo[119].

La spinta decisiva che ha determinato il passaggio alla disciplina attuale è stata data dalla Commissione parlamentare antimafia che, durante la seduta del 7 febbraio 2018, ha approvato la relazione conclusiva sui lavori svolti nell’intera legislatura. Al suo interno, il capitolo 4.8, intitolato «Mafie e politica locale», è dedicato interamente al fenomeno delle infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni locali e delinea un prospetto analitico circa le politiche di contrasto alla criminalità organizzata[120].

La Commissione rimarca sin da subito il «fortissimo interesse da parte dei gruppi criminali per le risorse gestite dagli enti locali e di una strategia volta a condizionare dall’interno le singole amministrazioni, a partire da quelle dei comuni di più limitate dimensioni, al fine di indirizzarne le decisioni di spesa»[121]. Regioni ed enti locali vengono «utilizzati come porta d’accesso per l’infiltrazione nella struttura amministrativa e istituzionale del Paese»[122].

Nelle motivazioni degli scioglimenti dei consigli comunali degli ultimi anni, «viene evidenziata sempre più una impressionante correlazione tra presenze mafiose nelle istituzioni, investimenti pubblici in opere infrastrutturali e corruzione», specie nelle Amministrazioni del Nord[123]. Ciò ha determinato un «progressivo deterioramento delle condizioni di legalità in seno a molti enti locali – prevalentemente ma non esclusivamente meridionali»[124].

I dati allarmanti sul numero di comuni ed aziende sanitarie sciolte per infiltrazioni dal 1991 fino ad oggi[125], conducono ad una rimeditazione sistematica sulla disciplina, allo scopo di migliorarne l’efficacia.

Sinteticamente, alla stregua di queste premesse, la Commissione ha elaborato una serie di proposte che attingono molteplici profili della disciplina vigente.

In primo luogo, ha auspicato lo sviluppo di un processo decisionale che garantisca la massima trasparenza e la rigorosa osservanza della tempistica prevista, in modo da permettere alle forze politiche ed all’opinione pubblica una piena conoscenza delle questioni rilevate e dei provvedimenti adottati per modificare l’azione amministrativa[126].

In secondo luogo, ha prospettato un rinvigorimento della gestione straordinaria, che fosse diretto ad assicurare un più efficiente ripristino della legalità da parte della commissione incaricata. Le modifiche caldeggiate hanno riguardato l’ampliamento e la specificazione dei suoi poteri, la selezione di componenti che svolgano la funzione assegnata in via esclusiva (evitando cumuli con incombenze derivanti da altri compiti d’ufficio) e la garanzia della massima trasparenza dell’attività commissariale[127].

In terzo luogo, a proposito della fase ascendente del procedimento, ci si è soffermati sulla procedura istruttoria espletata dalla Commissione d’accesso, in particolare sottolineandone l’efficienza sul piano operativo e le tutele accordate nel successivo momento di controllo giurisdizionale di legittimità. Pertanto, sarebbe «assolutamente necessario un più intenso utilizzo di questo istituto in tutti i casi in cui vi siano indizi o siano avanzati fondati rilievi su possibili condizionamenti della criminalità organizzata sulle amministrazioni locali, proprio al fine di esaltare la funzione di acquisizione conoscitiva a scopo di prevenzione propria della procedura di accesso»; estendendone l’applicabilità anche «alle società partecipate da regioni ed enti locali e ai consorzi pubblici anche a partecipazione privata»[128].

In quarto luogo, è stato suggerito l’ampliamento del ventaglio degli strumenti di risoluzione, attraverso l’introduzione di una «terza via» tra scioglimento e conclusione del procedimento ispettivo, in maniera tale da ampliare in modo flessibile le condizioni d’uso dell’art. 143 TUEL, «sia nella fase che precede sia in quella che segue la decisione sulla permanenza della compagine politica; inoltre, maggiore incisività va trovata anche sulla componente amministrativa, molto spesso di fatto inamovibile»[129]. L’ammissione di una soluzione alternativa sarebbe notevolmente vantaggiosa «nei casi meno pervasivi di infiltrazione e condizionamento mafioso […] ovvero quando si esercita esclusivamente nei confronti dell’apparato burocratico»[130]. A tal uopo, viene raccomandata l’istituzione di una «”commissione di accesso” che accompagni l’ente nel suo percorso di risanamento e faciliti l’adozione di tutte le misure idonee» come, ad esempio, «il controllo di legittimità degli atti, l’annullamento delle procedure di spesa viziate da gravi irregolarità, la mobilità obbligatoria presso altro ente dei dipendenti coinvolti, o i provvedimenti urgenti di sospensione nelle more dell’adozione di provvedimenti disciplinari, incluso il licenziamento»[131]. Quest’ultima misura, attinente alla fase di “guarigione” dell’ente, vale a dire durante la gestione straordinaria, secondo la Commissione antimafia potrebbe essere estesa anche «al termine del periodo di 18-24 mesi di gestione straordinaria, quando cioè si manifesti l’esigenza di assistere i neo eletti che devono affrontare situazioni di particolare difficoltà, legate al forte radicamento nel territorio dei gruppi criminali, alla loro perdurante capacità di influire sulle scelte dell’amministrazione e a una debolezza strutturale dell’apparato burocratico»[132].

Infine, viene messa in risalto l’esigenza di una profonda meditazione «sull’intero sistema dei controlli di legittimità sugli atti delle amministrazioni locali e sul ruolo dei segretari comunali, superando alcuni limiti della disciplina vigente»[133]. Solo in tal modo, infatti, sarà possibile rispondere ad un’esigenza molto avvertita e spesso rappresentata alla Commissione, e cioè quella di «rafforzare l’attività di verifica preventiva, attraverso l’introduzione di nuove forme di vigilanza e controllo, eventualmente attivabili anche a richiesta, sugli atti degli enti locali»[134].

In quinto ed ultimo luogo, dovrebbe attuarsi un mutamento normativo anche in relazione alla incandidabilità, «ampliandone la portata a tutte le tornate elettorali […] e prevedere tempi più celeri per il procedimento in tribunale e forme cautelari per evitare, come è accaduto, che nelle more del procedimento si possa ricandidare l’amministratore locale che aveva dato causa allo scioglimento, magari anticipato dalle dimissioni volontarie per confondere le acque»[135].

Ebbene, il decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113 (c.d. «decreto sicurezza», successivamente convertito, con diverse modificazioni, nella legge 1 dicembre 2018, n. 132)[136], è intervenuto sulla disciplina prevista dagli artt. 143 ss. TUEL, apportando essenzialmente quattro emendamenti normativi all’istituto dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose.

Il primo, tanto reclamato dalla Commissione antimafia, è l’introduzione della c.d. «terza via» tra scioglimento ed archiviazione. L’art. 28, comma 1, aggiungendo il comma 7-bis all’art. 143 del TUEL, ha contemplato l’ipotesi nella quale, pur non sussistendo i presupposti per adottare il provvedimento dissolutorio (o gli altri previsti dal comma 5), ma dalla relazione prefettizia emergano comunque situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da manomettere il buon andamento e l’imparzialità della P.A., il Prefetto è autorizzato ad individuare (fatti salvi i profili di rilevanza penale) i prioritari interventi di risanamento, indicando gli atti da assumere; in caso di reiterato inadempimento, egli si sostituisce, per mezzo di un commissario ad acta, all’amministrazione rimasta inerte.

Il secondo è previsto dall’art. 28, comma 1-bis, della novella e concerne l’istituto della incandidabilità. Riformando il comma 11 dell’art. 143 TUEL, gli amministratori che hanno dato causa allo scioglimento, per un verso, non possono candidarsi (oltre alle ipotesi già previste di elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali) alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo; per un altro verso, la sanzione dell’incandidabilità non si applica più soltanto al primo turno elettorale successivo allo scioglimento, bensì si estende per ben due sessioni di elezioni politiche, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo[137].

Il terzo consiste nell’incremento, fino ad un massimo di cinque milioni di euro annui, delle risorse a disposizione delle gestioni straordinarie degli enti locali sciolti a causa di infiltrazioni dei sodalizi criminosi (art. 29, comma 1).

Il quarto, infine, è l’istituzione, presso il Ministero dell’interno, di un apposito nucleo all’interno del quale sono individuati i componenti della commissione straordinaria (art. 32-bis, comma 1, legge n. 132 del 2018); di tale nucleo fanno parte non oltre cinquanta unità, dieci con qualifica di prefetto e quaranta con qualifica fino a viceprefetto (art. 32-bis, comma 2).

9. Il «decreto sicurezza» al vaglio della Corte Costituzionale: la sentenza 24 luglio 2019, n. 195.

A collidere con la previsione della nuova «terza via» sono stati i giudici della Consulta, i quali, con sentenza 24 luglio 2019, n. 195, hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 28, comma 1, del decreto legge n. 113/2018, che ha aggiunto il comma 7-bis all’art. 143 TUEL.

Con ricorso depositato in data 1° febbraio 2019 (r.r. n. 10 del 2019), la Regione Umbria ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’articolo sopracitato, in quanto ritenuto in contrasto con numerosi precetti costituzionali[138].

In particolare, l’inserimento del comma 7-bis all’art. 143 TUEL avrebbe determinato una grave lesione dell’autonomia degli enti locali. Ad avviso della Regione, la norma in esame detterebbe una «disciplina irragionevole, lesiva del principio di legalità, di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e sarebbe, altresì, in violazione del principio autonomistico»[139].

Il problema principale è individuato nell’introduzione di provvedimenti di sostituzione e di commissariamento da parte dei prefetti, la cui adozione è legittimata da presupposti eccessivamente elastici. Ciò in quanto il generico riferimento a «condotte illecite», alla semplice «alterazione delle procedure», al «buon andamento», al «regolare funzionamento dei servizi», apre un campo così indefinito che l’autonomia degli enti locali finisce per essere aperta alle discrezionali determinazioni dell’esecutivo statale sul territorio regionale[140].

Sinteticamente, la Regione Umbria lamentava, in primo luogo, l’ingerenza dello Stato nella propria competenza in materia di attribuzione di funzioni agli enti locali; in secondo luogo, l’infrazione del principio di sussidiarietà verticale (per il quale gli organismi superiori intervengono solo se l’esercizio delle funzioni da parte dell’organismo inferiore sia inadeguato per il raggiungimento degli obiettivi); in terzo luogo, l’interferenza con l’esercizio delle funzioni amministrative proprie riconosciute al Comune, alle Province e alle Città metropolitane.[141]

Ebbene, la Corte Costituzionale, muovendo dalla particolare incisività e drasticità dell’esercizio del potere governativo di scioglimento del consiglio comunale (o provinciale), espressione della volontà popolare (presidiata da norme costituzionali), ricorda come, prima della novella del 2018, non era prevista una «terza via». Tra la misura estrema dello scioglimento del consiglio comunale o provinciale (del comma 1 dell’art. 143) e la dismissione dell’iniziativa di controllo mediante il decreto di conclusione del procedimento (del successivo comma 7), «non era previsto, a valle di quest’ultimo, uno sbocco intermedio, meno invasivo, con la previsione di una misura non incidente sugli organi, ma riguardante solo l’attività dell’ente volta a promuovere, intanto, la correzione della eventuale mala gestio di quest’ultimo, in ipotesi causata da possibili infiltrazioni della criminalità organizzata»[142].

Stante questo vulnus normativo, il legislatore «si è fatto carico di questa ritenuta non piena adeguatezza degli strumenti di contrasto della criminalità organizzata di tipo mafioso e ha introdotto la disposizione censurata nel tentativo di costruire uno strumento correttivo meno invasivo dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali, nonché più duttile degli ordinari interventi sostitutivi»[143].

Ciononostante, questa iniziativa si è risolta nella invenzione di «un potere prefettizio sostitutivo extra ordinem, ampiamente discrezionale, sulla base di presupposti generici e assai poco definiti, e per di più non mirati specificamente al contrasto della criminalità organizzata; ossia complessivamente in termini tali da non essere compatibili con l’autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali territoriali»[144].

In particolare, la circostanza che all’Ufficio prefettizio fosse conferito «non già un potere d’impulso e sollecitatorio dell’adempimento di obblighi di legge[145][…], bensì quello ben più incisivo della diretta individuazione, ampiamente discrezionale, di “prioritari interventi di risanamento” da cui sorge, per l’ente locale, l’obbligo di conformazione»[146], ha spinto la Consulta a rievocare e consolidare il principio enunciato in una propria precedente pronuncia (la n. 115 del 2011), in virtù della quale: «ogni potere amministrativo deve essere “determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”»[147].

Da ultimo, la Corte precisa che «la garanzia costituzionale di autonomia degli enti locali territoriali (Comuni, Province e Città metropolitane) richiede non solo che i presupposti di tali poteri sostitutivi, incidenti nell’attività dell’ente, siano sufficientemente determinati dalla legge, ma anche che l’eventuale sostituzione a organi dell’ente rispetti il canone dell’art. 120, secondo comma, Cost. […] sull’assunzione a livello governativo della responsabilità per l’esercizio di tali poteri»[148].

Al contrario, «la disposizione censurata lascia l’esercizio di un potere sostitutivo, che si è visto essere ampiamente discrezionale, al livello meramente amministrativo dei poteri del prefetto, senza alcun coinvolgimento del Governo (come nell’ipotesi del comma 1 dell’art. 143) e neppure del Ministro dell’interno (come nell’ipotesi del comma 5 della stessa disposizione)»[149].

Per questi motivi, il giudice delle leggi dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, del c.d. “decreto sicurezza”, non esimendosi neppure dal lanciare un solenne monito al legislatore: la riformulazione della norma in termini compatibili con il principio di legalità dell’azione amministrativa e con la garanzia di autonomia costituzionalmente garantita di cui godono gli enti locali territoriali.

10. Lo scioglimento del consiglio comunale di Amantea.

Dopo l’esposizione delle ragioni di introduzione della disciplina, dei suoi mutamenti normativi nel tempo e dei numerosi interventi di dottrina e giurisprudenza in materia, è possibile ora spostare l’attenzione su un caso interessante di applicazione dell’art. 143 TUEL.

Il diretto interessato è il comune di Amantea, una cittadina che sorge sulla costa tirrenica della Calabria, in provincia di Cosenza.

10.1. La storia.

Il caso del comune di Amantea affonda le proprie radici in un importante blitz antimafia. Con provvedimento di fermo giudiziario, adottato dalla DDA di Catanzaro in data 20 dicembre 2007, è messa in atto un'importante operazione antimafia: vengono arrestati ad Amantea 39 presunti affiliati ad una organizzazione di stampo mafioso e sono, inoltre, sequestrati diversi immobili ed il porto di Amantea. Le accuse sono quelle di associazione a delinquere, usura, estorsione e condizionamento delle elezioni[150]. Tra i destinatari del fermo figurano anche un assessore comunale e un impiegato civile dell’ufficio della delegazione marittima di Amantea[151]. Inoltre, tra i rappresentanti istituzionali legati alla organizzazione mafiosa de qua, nel decreto di fermo viene citato il consigliere regionale, che è stato sindaco di Amantea fino all’aprile del 2005[152].

L’inchiesta della DDA evidenzia la pervasività della cosca in questione nel settore degli affari e la sua penetrazione nel settore della pubblica amministrazione[153]. Si traccia, in particolare, il percorso attraverso il quale il gruppo mafioso di Amantea è riuscito, tramite interventi istituzionali qualificati (il sindaco pro tempore ed il tecnico comunale), ad immettersi nella gestione del porto e quindi di tutte le attività ruotanti intorno ad esso.

In definitiva, l’operazione antimafia ha consentito di disvelare diverse complicità istituzionali (persino di un Ufficiale della Marina Militare), oltre che la pratica generalizzata del voto di scambio[154].

La manomissione della libera determinazione degli organi elettivi e del buon andamento della pubblica amministrazione, tenacemente ipotizzata dall’autorità giudiziaria, ha indotto il prefetto di Cosenza a disporre, con provvedimento del 18 gennaio 2008 e su specifica delega, la costituzione di una commissione ispettiva per gli accertamenti di rito presso il comune di Amantea[155].

Nel frattempo, in data 18 marzo 2008, a seguito della citata operazione antimafia, il GIP distrettuale ha emesso un’ordinanza di misura cautelare a carico di quattro indagati. All’interno del provvedimento si legge che il sodalizio mafioso aveva avuto intimi rapporti col comune di Amantea, in particolare proprio con il sindaco pro tempore dello stesso comune e con il responsabile dell’Ufficio Tecnico Lavori Pubblici.

Il primo era accusato, anzitutto, del reato di scambio elettorale politico-mafioso, perché avrebbe ricevuto sostegno elettorale dal sodalizio di stampo mafioso in occasione della consultazione regionale del 2005; inoltre, era accusato di avere nascosto, insieme al boss dell'organizzazione, la reale proprietà di una motonave di cui, secondo quanto emerso dagli accertamenti della DDA di Catanzaro, erano titolari lo stesso sindaco ed il boss. E questo al fine di impedire la confisca dell'imbarcazione utilizzata dalla cosca amanteana per effettuare viaggi da Amantea alle isole Eolie[156].

Il secondo, invece, è stata arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, perché avrebbe favorito la concessione della gestione del porto di Amantea, da parte del Comune, ad una società collegata al boss dell'organizzazione di stampo mafioso, per giunta senza che fossero stati presentati, dalla ditta concessionaria, i documenti previsti dal Codice della Navigazione (iscrizione nel Registro della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia) e dallo stesso Bando di Gara originario (certificato del casellario giudiziale)[157].

Allo scadere dei tre mesi di istruttoria, la Commissione di accesso ha rassegnato la propria relazione conclusiva il 26 maggio 2008[158].

10.2. Il decreto presidenziale di scioglimento.

Il 4 agosto 2008, su proposta del Ministro dell’Interno e atteso l’esito positivo del Consiglio dei ministri, il Presidente della Repubblica ha dichiarato con decreto lo scioglimento del comune di Amantea a causa di infiltrazioni mafiose[159]. In applicazione dell’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si è quindi provveduto anche alla nomina della commissione straordinaria per la gestione dell’ente[160], trasferendo ad essa le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco nonché ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime[161].

In allegato al d.P.R., la relazione contenente la proposta di scioglimento del Ministro dell’interno illustra una serie di elementi sintomatici grazie ai quali è possibile ritenere sussistenti forme di ingerenza, nell’ente comunale, da parte della criminalità organizzata. Detti elementi sarebbero in grado di compromettere la «la libera determinazione e l’imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica»[162].

Dopo aver riepilogato gli esiti istruttori della DDA di Catanzaro, il Ministro dell'Interno si sofferma sui punti nevralgici delle conclusioni attinte dalla Commissione d’accesso, vale a dire «sulle connessioni tra l’ex sindaco, l’assessore raggiunto dal provvedimento di custodia cautelare e l’attuale amministrazione; sull’attualità dei rapporti tra l’amministrazione in carica e la criminalità organizzata; sulla confusione di ruoli nell’ambito dell’attività di indirizzo e di quella di gestione a vantaggio di un disegno finalizzato a perseguire e raggiungere scopi illeciti»[163].

Nella relazione viene tracciata una netta linea di continuità tra la precedente amministrazione e quella in carica, in particolare la relazione intercorrente tra il sindaco, poi eletto consigliere regionale, e l’assessore comunale arrestato, portatore di consenso elettorale decisivo in occasione delle due elezioni amministrative del 2004 e 2006[164].

Da questa premessa generale, il Viminale si inoltra nella formulazione di un triplice ordine di considerazioni, necessarie per avanzare proposta di scioglimento.

La prima considerazione attiene al particolare rilievo assunto da quanto profferito, nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione di accesso, da un componente del consiglio comunale in merito alla fase di composizione della lista dei candidati collegata al sindaco in carica. In questa occasione, un segno di discontinuità rispetto al passato è stato manifestato da alcuni candidati, i quali hanno proposto di non inserire in lista soggetti appartenenti alla maggioranza uscente, tra i quali «significativo risalto assumeva l’assessore sopraindicato»[165]. Tuttavia la maggioranza e il sindaco (nel corso della sua audizione) rimarcavano come «la fuoriuscita dalla lista di quel candidato […] avrebbe determinato una sconfitta sicura»; la remissività dei candidati a questo calcolo elettoralistico comportava «l’accettazione del rischio dei legami esterni di quel candidato che, in base agli esiti investigativi, aveva assunto una posizione di assoluto rilievo nei rapporti con il capo clan locale», della cui volontà l’assessore si rendeva interprete nell’adozione delle delibere comunali.[166]

La seconda considerazione muove dal significativo «clima di intimidazione nel quale si è svolta la campagna elettorale del 2006», che ebbe quale episodio culminante il danneggiamento per colpi da arma da fuoco di due esercizi commerciali, «i cui titolari avevano espresso solidarietà politica ad un candidato in competizione con l’allora sindaco»[167].

La terza ed ultima considerazione concerne la figura del dirigente responsabile dell’ufficio tecnico comunale, ritenuto un ulteriore decisivo anello di congiunzione tra le amministrazioni succedutesi negli ultimi anni, nei confronti del quale era intervenuta, tra l’altro, richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno nell’associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e truffa aggravata. Il Ministro ha osservato come «la gestione dell’Ufficio tecnico comunale, la cui composizione è rimasta inalterata al mutare delle compagini politiche dell’ente, risulta fortemente compromessa per le pressioni ed i condizionamenti della criminalità organizzata»[168].

Ebbene, sul punto emblematica è la vicenda della gestione del locale porto turistico. La consorteria criminale, attraverso il sindaco pro tempore del comune di Amantea e il dirigente responsabile dell’ufficio tecnico, sarebbe riuscita ad ottenere concessione della gestione del porto di Amantea sin dal 2003 e per i successivi quattro anni. Il tutto per mezzo di una ditta controllata dalla cosca locale, senza peraltro mai acquisire la certificazione antimafia. Solo nel gennaio 2007, dopo l’acquisizione da parte degli organi investigativi degli atti concernenti il procedimento di affidamento, il dirigente si è rivolto al sindaco per ottenere direttive in merito. Quest’ultimo, da parte sua, rileva il Ministro, dopo una prima determinazione diretta ad avviare un procedimento di annullamento in autotutela dell’affidamento della gestione, si è in seguito orientato, unitamente alla Giunta, nel senso di richiedere un parere pro veritate sulla vicenda. Questa situazione, si osserva nella relazione, è sintomatica dello «stato di penetrante condizionamento della struttura politico-amministrativa» da parte della criminalità organizzata; con ciò «evidenziandosi la debolezza del sindaco nel suo ruolo di garante della legalità e della capacità dei poteri criminali di impadronirsi della funzione decisionale degli organi elettivi del comune di Amantea»[169].

A conclusione della sua disamina, il Ministro dell’Interno afferma che gli accertamenti della commissione di indagine hanno «evidenziato inequivocabilmente, convergenti elementi sintomatici della tendenza a soddisfare gli interessi dei gruppi affaristici legati alla criminalità organizzata da parte degli organi elettivi dell’ente, oltre che dell’apparato burocratico»; a tal uopo rendendosi doverosa l’applicazione della misura straordinaria prevista dall’art. 143 TUEL[170].

Alla luce delle circostanze descritte, nella proposta di scioglimento la durata della misura dissolutoria è stata fissata in diciotto mesi.

10.3. Il decreto di scioglimento al vaglio del giudice amministrativo.

10.3.1. Le sentenze del Tribunale Amministrativo.

Avverso il decreto presidenziale di scioglimento, vengono proposti due distinti ricorsi giurisdizionali davanti al TAR della Calabria, sede di Catanzaro, da parte dei componenti del disciolto consiglio comunale.

Da un lato, avanzano impugnazione i componenti della Giunta Municipale di Amantea e, dall’altro, il sindaco ed il vicesindaco dello stesso comune. In entrambi i casi la richiesta è l’annullamento del decreto 4 agosto 2008 del Presidente della Repubblica ed atti collegati, deducendo i ricorrenti l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.

È subito da premettere un dato fondamentale: vista l’identità della vicenda esaminata e per evitare inutili ripetizioni sia delle questioni di fatto che di diritto, si ritiene opportuno affrontare il contenuto delle due decisioni in maniera omogenea e unitaria. Disegnare un quadro organico è utile per comprendere al meglio le dinamiche e le complessità del caso in esame.

Inoltre, si tenga conto che, ancorché non sia stato possibile consultare (per ragioni di riservatezza) la relazione della Commissione d’accesso, con ordinanza istruttoria n. 44 del 12 dicembre 2008 il Presidente del Tribunale ha ordinato al Prefetto di Cosenza di depositare copia della suddetta relazione. Sulla scorta delle risultanze dell’atto acquisito, i ricorrenti hanno proposto alcuni motivi aggiunti, dei quali si terrà conto nei limiti di quanto reso pubblico nelle sentenze[171].

Il TAR Catanzaro, con sentenze 21 ottobre 2009, n. 1124 e 1125, ha rigettato entrambe le richieste di annullamento delle misure dissolutorie.

Nel complesso si lamentava la violazione degli artt. 2, 24 e 97 Cost., dell’art. 143 d.lgs. 267/2000, degli artt. 1, 3 e 6 della legge 241/1990, nonché eccesso di potere per sviamento, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione, errore e travisamento dei fatti, difetto di istruttoria ed irragionevolezza manifesta

Dopo aver ricostruito la vicenda ed aver richiamato la giurisprudenza elaborata in relazione all’art. 143 TUEL, il giudice amministrativo si sofferma dettagliatamente sui singoli motivi di impugnazione.

Anzitutto, i ricorrenti tendono ad escludere qualsiasi consapevole coinvolgimento degli organi elettivi nel fenomeno di infiltrazione, perpetrato da organizzazioni criminali per il tramite di alcuni esponenti e, in particolare, dell’assessore, poi arrestato, e di soggetti dell’apparato burocratico. Viene rimarcata l’inconsapevolezza, da parte degli altri esponenti della maggioranza, del ruolo investito dall'assessore e dell’attività di condizionamento svolta da quest’ultimo; specie considerando che, al momento della formazione della lista, le informazioni sul suo conto erano ben diverse e, di conseguenza, era impossibile nutrire sospetti sui legami di questi con il clan[172].

I ricorrenti – con il primo motivo aggiunto proposto a seguito dell’acquisizione della relazione prefettizia – suffragano la tesi della discontinuità tra vecchia e nuova amministrazione comunale attraverso il richiamo di tutte le iniziative assunte dalla prima, fra le quali spiccano: l’attività di recupero tributi evasi o non riscossi, l’aggiornamento del censimento delle unità immobiliari, la regolamentazione dell’affidamento all’esterno di incarichi e servizi, la cessione gratuita di area di proprietà del Comune per la costruzione della caserma dei Carabinieri, l’istituzione della stazione unica appaltante presso la provincia di Cosenza, l’aspra critica della gestione da parte della società a ciò incaricata (coinvolta nell’operazione antimafia della DDA di Catanzaro), la costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico dell’ex sindaco e del dirigente dell’ufficio tecnico comunale[173].

Per di più, costituirebbe una mera congettura l’affermazione secondo la quale la campagna elettorale del 2006 si sarebbe svolta in clima di intimidazione. Viceversa, i due episodi di danneggiamento per colpi di arma da fuoco, ad opera della criminalità organizzata, andrebbero collocati nel quadro delle attività di intimidazione compiute nei soli confronti degli esercizi commerciali[174].

Su questo primo nucleo di censure, il collegio giudicante osserva che: «la compromissione della libertà di determinazione degli organi elettivi, del buon andamento e del regolare funzionamento dei servizi non deve necessariamente concretarsi in situazione di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata»[175]. In realtà, prosegue, «emerge dagli atti che quello che è posto in discussione non è il coinvolgimento diretto del Sindaco OMISSIS e di tutti gli esponenti della maggioranza nel fenomeno di infiltrazione, quanto l’incapacità della nuova amministrazione di operare nel segno di un’effettiva discontinuità rispetto alla precedente nell’opera di contrasto all’infiltrazione mafiosa nella gestione politico-amministrativa dell’Ente»[176]. A tal proposito, si precisa che l’incapacità di contrastare la consorteria criminale non implica necessariamente un coinvolgimento nella stessa, ma è sufficiente che la P.A. sia assoggettata al volere mafioso. Il discorso sulla consapevolezza del ruolo di anello di congiunzione svolto dall'assessore, del resto, è fuori discussione, poiché in caso contrario si sarebbero prodotte conseguenze anche sul piano penale a carico del sindaco e degli altri esponenti della maggioranza[177].

A ben guardare, le medesime considerazioni relative ai calcoli elettoralistici «non appaiono effettuate nell’ottica di una consapevolezza del ruolo del OMISSIS nell’attività criminosa, ma nella prevalenza di detti calcoli rispetto all’esigenza, evidentemente avvertita da altri candidati della lista, di dare un concreto segno di discontinuità con la precedente maggioranza. […] non sembra possibile negare che le discussioni sulla candidatura del OMISSIS presupponessero, perlomeno, l’esistenza di riserve sull’effettiva natura del serbatoio di preferenze elettorali in favore dello stesso». In effetti, conclude il collegio, bisogna considerare che è la relazione della Commissione ad attestare che «lo stesso Sindaco OMISSIS ha dichiarato di avere avuto perplessità nell’inserire in lista il OMISSIS, ma di essersi rassegnato a ciò nel timore di una sconfitta certa»[178].

Quanto agli episodi di intimidazione in periodo di campagna elettorale, il giudice amministrativo, per un verso, chiarisce che quelle avanzate dalla Commissione d’indagine sono solo delle ipotesi e che nessun addebito viene mosso agli esponenti della maggioranza; per un altro verso, esse sono avvalorate da una circostanza ben definita, ovverosia la «solidarietà espressa dagli operatori commerciali per lo schieramento avverso rispetto a quello che avrebbe successivamente vinto le elezioni». È questa la ragione per la quale gli episodi vengono menzionati: essi sono «significativi del gradimento delle organizzazioni criminali per lo schieramento politico facente capo al OMISSIS, in vista, evidentemente, delle possibilità di condizionamento connesse anche alla candidatura del OMISSIS»[179].

Per quanto riguarda le iniziative, anche rilevanti, messe in moto dalla nuova amministrazione comunale, esse «possono, al più, dimostrare unicamente l’esistenza di una determinata volontà politica, ma non l’effettiva capacità di contrastare il fenomeno di infiltrazione»[180].

Una importante questione sulla quale si sofferma il collegio è quella relativa al ruolo, secondo la Commissione decisivo per dimostrare il collegamento tra vecchia e nuova amministrazione, ricoperto dal dirigente dell’ufficio tecnico.

Ad avviso dei ricorrenti, non si sarebbe tenuto conto del fatto che il sindaco ha dapprima sospeso e poi rimosso il dirigente de quo in epoca non sospetta e, comunque, non si sarebbe considerato che l’avvento della nuova amministrazione non comporta l’automatico venire meno del rapporto di lavoro con lo stesso[181].

In particolare, si sottolinea come la vicenda dell’affidamento della gestione del porto turistico si sia verificata in un’epoca antecedente all’elezione del nuovo consiglio comunale, venendosi pertanto a configurare una sorta di responsabilità oggettiva a carico di quest’ultimo. Sarebbe, a tal proposito, del tutto fuori luogo l’addebito relativo alla reazione degli organi dell’amministrazione e, in particolare, del Sindaco, a seguito dell’acquisizione, nel gennaio 2007, degli atti relativi al procedimento di affidamento. La decisione di acquisire il parere pro veritate, anziché procedere alla repentina interruzione del rapporto, sarebbe stata assunta al fine di evitare una condotta poco diligente e superficiale, tale da esporre il comune di Amantea a richieste risarcitorie provenienti dalla ditta affidataria[182].

Con il secondo motivo aggiunto, si evidenzia che quasi tutti i fatti censurati dalla Commissione di accesso si riferiscono alla direzione dell’ufficio tecnico. Con ciò dimenticandosi di approfondire i rapporti tra amministrazione del sindaco ed il dirigente ed alle iniziative intraprese nei confronti di quest’ultima, tra le quali, appunto, la rimozione dell’incarico[183]. Ancora, la relazione si dilungherebbe eccessivamente su fatti privi di rilevanza, specie sul radicamento nel territorio della criminalità organizzata, senza però soggiungere gli elementi sintomatici del rapporto comune-mafia[184].

Viene poi, con il terzo motivo aggiunto, rimarcata la rilevantissima importanza attribuita dalla relazione prefettizia alla gestione dell’ufficio tecnico, dovendosi perciò escludere, in maniera incontestabile, la sussistenza dei presupposti per l’adozione della misura dissolutoria, atteso che la situazione di infiltrazione viene rilevata con riferimento all’ufficio tecnico e non al consiglio Comunale[185].

Il collegio giudicante, in primo luogo, asserisce che non è condivisibile la censura per la quale si sarebbero dovuti assumere provvedimenti di natura repressiva nei soli confronti del titolare dell’organo burocratico, e non già degli organi elettivi. Le circostanze relative all’attività svolta dall’ufficio tecnico, osserva il TAR, sono evidentemente considerate «nel complessivo quadro dell’inefficiente contrasto opposto dagli organi elettivi all’azione delle organizzazioni criminali. La misura dello scioglimento dell’organo consiliare non è una sorta di strumento sanzionatorio nei confronti dei titolari degli organi elettivi o burocratici, ma uno strumento volto a porre rimedio a situazioni di possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata. L’avere ravvisato nel dirigente dell’ufficio tecnico uno degli elementi chiave dell’infiltrazione criminale non implica che le problematiche che ne derivano possano trovare tutte rimedio nella rimozione del soggetto di cui si tratta, dovendosi anche ricercare ed eliminare le cause che hanno consentito il verificarsi della situazione», tra le quali la «incapacità dell’amministrazione in carica di operare un’efficace contrasto agli attacchi della criminalità». In definitiva, le misure adottate dal sindaco «non potevano risolvere la situazione caratterizzata dalla penetrazione dei poteri criminali»[186].

Il problema della irrilevanza di quanto ha a che fare con l’insediamento mafioso sul territorio, viene risolto dal TAR nel senso della strumentalità della «ricostruzione del sistema di potere alla capacità di cogliere le ragioni della rilevata penetrazione nell’apparato amministrativo-burocratico». In mancanza di tale descrizione, in effetti, non si riuscirebbe a comprendere la «effettiva forza» e la «rilevanza di esse in quel determinato ambito territoriale»[187].

Sulla vicenda del porto turistico il collegio dissente con decisione. Anzitutto, viene esclusa a monte la configurabilità di un qualsiasi tipo di responsabilità oggettiva in capo alla amministrazione guidata dal sindaco, non attenendo l’addebito all’origine della vicenda portuale. Successivamente, si sostiene che quello che è stato messo in rilievo è che «anziché adottare misure decise, adeguate alla gravità del fatto, si è ripiegato su una soluzione dilatoria quale quella di assumere un parere pro veritate, giudicata gradita alle organizzazioni criminali, così come risultante dalle intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, trascritte nella relazione della Commissione di accesso». Perciò, non può avere importanza «il fatto che l’assunzione del parere sia stata vista come soluzione prudenziale, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli per l’Ente». In definitiva, l’aver richiesto tale parere è stata giudicata «indicativa della capacità delle organizzazioni criminali, partecipi della società affidataria della gestione del porto, di condizionare le scelte dell’amministrazione, mediante i canali di cui disponeva nell’ambito della stessa»[188].

Per quanto riguarda le vicende afferenti alla gestione dell’ufficio tecnico, di notevolissima importanza secondo la relazione, il giudice amministrativo deduce la chiara irrilevanza della problematica prospettata, dal momento che quelle fatte dalla Commissione sono osservazioni «di carattere esclusivamente organizzativo, che nulla hanno a che vedere con i rapporti reciproci instauratisi tra organi elettivi e burocratici»[189].

Ulteriore profilo di discussione è quello riguardante l’attualità dei rapporti tra l’amministrazione in carica e le organizzazioni criminali, secondo i ricorrenti insussistente in quanto non sostenuta da alcun riscontro probatorio.

Anche qui il TAR si trova in disaccordo. Rievocando quanto la relazione prefettizia evidenzia circa la presenza, nella vecchia e nuova amministrazione, di soggetti legati alla consorteria criminale, viene ribadita l’insufficiente manovra comunale di contrasto al fenomeno mafioso, essendo stati adottati interventi sin troppo timidi dinanzi a fatti eclatanti (tra i quali il caso del porto di Amantea). Considerata l’ampia discrezionalità degli organi di Stato e atteso il loro compito di combattere le situazioni di condizionamento mafioso, il quadro di circostanze prospettato è «sufficiente a giustificare l’esercizio del potere dissolutorio, essendosi rilevata la sussistenza di collegamenti e forme di condizionamento di cui alla norma, che, come rilevato in precedenza, non devono necessariamente condurre ad addebiti personali» e «non essendo affatto necessario in situazione di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata»[190]. In altri termini, altro è favorire gli scopi del sodalizio criminoso o assecondarne gli interessi, altro è esserne assoggettato o condizionato, laddove ai fini dello scioglimento è sufficiente versare in una delle ultime due situazioni.

Ultima questione affrontata concerne il presunto indirizzamento delle indagini, da parte della Commissione di accesso, in via del tutto parziale ed in spregio del canone della ricerca genuina della verità. In tal senso, essa sarebbe venuta meno al compito di raccogliere in maniera asettica ed obiettiva tutti gli elementi rilevanti in un senso o nell’altro[191]. A ciò il TAR risponde muovendo da un presupposto ben preciso: non si può dubitare che la Commissione non sia tenuta a dimostrare una tesi precostituita. In effetti, essa ha sì indirizzato le indagini nella direzione segnata da fatti precedenti di notevole rilevanza e gravità, «ma questo non può condurre a dire che sono stati rilevati solo fatti in grado di supportare il provvedimento dissolutorio. Le affermazioni dei ricorrenti non appaiono supportate in realtà da alcun riscontro concreto, limitandosi essi ad affermare apoditticamente la mancanza di obiettività nello svolgimento delle indagini»[192].

Volendo disegnare un quadro sintetico delle due decisioni, il TAR Catanzaro, nel rigettare il ricorso, ha enunciato una serie di principi di diritto che vengono di seguito condensati.

La sentenza n. 1124/2009 dichiara, in primo luogo, che l’adozione dello scioglimento per infiltrazioni di tipo mafioso, ex art. 143 TUEL, risulta collegata all’esistenza di circostanze aventi «un grado di significatività e concludenza» inferiore rispetto a quello che deve essere alla base di un procedimento penale o di prevenzione.

In secondo luogo, i collegamenti e le forme di condizionamento non devono necessariamente riguardare situazioni traducibili in addebiti personali, trattandosi, invece, di rilevare ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.

In terzo luogo, la compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento e del regolare funzionamento dei servizi non deve necessariamente concretarsi in situazione di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata.

In quarto luogo, ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento, non è necessaria la prova diretta ed inconfutabile dei singoli episodi su cui si fonda la valutazione complessiva della situazione di condizionamento.

In quinto luogo, la misura dello scioglimento dell’organo consiliare non è una sorta di strumento sanzionatorio nei confronti dei titolari degli organi elettivi o burocratici, ma uno strumento volto a porre rimedio a situazioni di possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.

Al contempo, la sentenza n. 1125/2009 proclama una massima giuridica in relazione alla fase istruttoria.

La Commissione di accesso ha indirizzato le indagini nella direzione segnata da fatti precedenti di notevole rilevanza e gravità, sui quali è già intervenuta l’autorità giudiziaria. Ma questo non può condurre a dire che sono stati rilevati solo fatti in grado di supportare il provvedimento dissolutorio. Le affermazioni dei ricorrenti, infatti, non appaiono supportate in realtà da alcun riscontro concreto, limitandosi essi ad affermare apoditticamente la mancanza di obiettività nello svolgimento delle indagini.

Per questioni di completezza occorre soggiungere che, al fine di completare il risanamento delle istituzioni locali colpite da infiltrazioni di criminalità organizzata, l’11 dicembre del 2009 il Consiglio dei Ministri ha disposto la proroga dello scioglimento del consiglio comunale di Amantea[193].

10.3.2. La pronuncia del Consiglio di Stato.

Avverso le sentenze del TAR Catanzaro, i componenti del disciolto consiglio comunale, che hanno visto respinti i propri ricorsi, hanno proposto due distinti appelli dinanzi al Consiglio di Stato. Quest’ultimo, con ordinanza 16 febbraio 2010, n. 63, li ha riuniti e disposto adempimenti istruttori, che sono stati eseguiti.

Sinteticamente, gli appellanti denunciano la violazione dell’art. 143 TUEL presentando una serie di deduzioni, le quali possono essere compendiate in un’argomentazione centrale: la relazione redatta dalla Commissione d’accesso non avrebbe evidenziato elementi attendibili, ragionevolmente univoci, in ordine all’esistenza degli indicati collegamenti o condizionamenti dell’apparato amministrativo e degli organi elettivi dell’ente da parte della criminalità organizzata[194].

Dopo aver rappresentato la consolidata giurisprudenza in materia di scioglimento degli enti locali, nonché aver riepilogato gli elementi fondamentali su cui si basano la relazione della Commissione d’accesso ed il provvedimento di scioglimento, il Consiglio di Stato si sofferma dettagliatamente sulle singole questioni prospettate.

Anzitutto, in relazione alla vicenda della gestione del porto, si deve muovere da un duplice presupposto: in primis, l’affidamento e la proroga della gestione è avvenuta da parte della precedente Amministrazione; in secundis, non essendovi ancora un contratto stipulato, il Comune, al fine di valutare se stipulare il contratto o revocare la gestione, ha ritenuto di dover prima acquisire un parere legale pro veritate.

Ebbene, si osserva che «non si può tralasciare che l’affidamento della gestione è avvenuto durante la precedente Amministrazione comunale, e che la nuova Amministrazione si è trovata a gestire un rapporto in corso, ignorando le pregresse vicende; quando sono emersi dubbi sulla vicenda, peraltro non determinati da sospetti circa il collegamento criminale della società affidataria, ma da inadempimenti contrattuali, il Comune ha tempestivamente avviato le necessarie iniziative di autotutela, facendole prudentemente precedere da un parere pro veritate che, peraltro, ha evidenziato l’inesistenza di precedenti penali di stampo mafioso in capo all’affidatario». A giudizio dei consiglieri di Stato, pertanto, «sono state tempestivamente avviate iniziative di autotutela in ordine al sospetto affidamento della gestione del porto, ereditato dalla precedente amministrazione»[195].

Quanto al ruolo svolto dal dirigente interessato, si tratta di «un dirigente non nominato da questo consiglio comunale, ma dal precedente, e nei cui confronti non emergevano elementi che inducevano a sospettarne il collegamento o condizionamento criminale. Quando sono emerse negligenze della dirigente, il Consiglio si è tempestivamente attivato per la sua rimozione dall’incarico. Elemento essenziale da considerare è che il Consiglio comunale ha dapprima sospeso, e poi rimosso il dirigente in epoca non sospetta (il provvedimento di sospensione data 5 giugno 2007 e quello di rimozione data 31 ottobre 2007), cronologicamente anteriore al rinvio a giudizio del dirigente (avvenuto nel giugno 2008); inoltre il Comune si è diligentemente costituito in giudizio nella vertenza di lavoro promossa dalla OMISSIS davanti al giudice del lavoro». In definitiva, «il dirigente ereditato dalla precedente amministrazione è stato rimosso prima del suo coinvolgimento penale»[196].

Per quanto riguarda la continuità dell’assessore arrestato con il precedente consiglio comunale e la sua asserita collusione con il sodalizio mafioso, il collegio giudicante arguisce che «costituisce elemento di fatto incontrovertibile che fosse penalmente incensurato, e che sia stato candidato dal nuovo Sindaco perché considerato politicamente forte, ma senza la consapevolezza, in capo al nuovo Sindaco, dei suoi collegamenti criminali». In virtù di ciò, «non risulta comprovato se e in che misura l’assessore OMISSIS sia stato l’anello di collegamento o condizionamento mafioso nei confronti dell’intero consiglio comunale» [197].

Nessuna prova vi sarebbe, inoltre, che «gli episodi di danneggiamento in danno di due esercizi commerciali durante la campagna elettorale siano imputabili ad una campagna mafiosa intimidatoria nei confronti di rivali […] degli esponenti politici che hanno vinto le elezioni». Di conseguenza, «non risulta comprovato un coinvolgimento del partito politico vincitore delle elezioni negli episodi di danneggiamento verificatisi durante la campagna elettorale e neppure risulta provato che i danneggiamenti siano avvenuti a causa della campagna elettorale»[198].

Successivamente, il Consiglio di Stato si dissocia dalle modalità di svolgimento della fase istruttoria. In particolare, la Commissione d’accesso viene biasimata per non aver comparato gli elementi raccolti, spesso risalenti nel tempo, con gli sforzi che la nuova amministrazione sostiene di aver fatto per contrastare il fenomeno mafioso, specie considerando il contesto sociale fortemente inciso dalla presenza di una criminalità organizzata forte ed agguerrita[199]. In altre parole, non sono stati adeguatamente valutati gli atti posti in essere dalla nuova amministrazione comunale.

Unitamente alle attività indirizzate a segnare una soluzione di continuità con il passato, vale a dire l’avvio del procedimento di autotutela in relazione alla gestione del porto e rimozione del dirigente dell'ufficio tecnico, non si può assolutamente prescindere dalla considerazione di alcune iniziative promosse nell’interesse pubblico. Tra queste si possono annoverare il «recupero di tributi non riscossi; designazione di un assessore ai lavori pubblici lontano dagli interessi mafiosi; adesione alla stazione unica appaltante; riorganizzazione degli uffici e servizi comunali nel mese di ottobre 2017». Né, continua il giudice di appello, risulta «comprovata l’adozione di atti illegittimi o l’omissione di atti dovuti, né la sussistenza di colpevoli inerzie, che siano conseguenza immediata e diretta del collegamento criminale»[200].

In sintesi, si rileva che «l’Amministrazione dell’interno ha operato in assenza di elementi univoci e convergenti, omettendo di identificare comportamenti e situazioni oggettivamente idonei a rappresentare, in capo all’Amministrazione disciolta, quei pericoli di infiltrazione e di condizionamento che avrebbero dovuto giustificare, sul piano degli obiettivi propositi del legislatore, la misura adottata»[201].  

Per tutte queste motivazioni, il Consiglio di Stato ha accolto gli appelli e, in riforma della sentenza appellata, ha deciso di annullare i provvedimenti impugnati in primo grado[202].

È possibile riportare di seguito il principio di diritto enucleato dalla pronuncia.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, costituisce un potere straordinario il cui esercizio presuppone l'accertamento dell'esistenza di elementi di fatto tali da rendere plausibile l'affermazione che gli organi menzionati, in carica, siano collegati o condizionati dalla malavita organizzata, tanto da rappresentare un attentato per l'ordine e la sicurezza pubblica. In tal senso, il dato testuale della norma, nella parte in cui ritiene sufficiente la presenza di riscontri non meglio specificati su collegamenti o forme di condizionamento, è indicativo del disegno legislativo di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata sulla scorta di circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore rispetto a quelle che legittimano l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe.

10.3.3. Ulteriori precisazioni a latere.

Per questioni di completezza, si segnala che gli stessi ricorrenti, avendo ottenuto una decisione favorevole in appello, hanno adito il TAR per il risarcimento dei danni patiti a causa dell’illegittimo scioglimento del consiglio comunale.

La seconda sezione del TAR Catanzaro, con sentenza 27 marzo 2012, n. 343, ha condannato il Ministero dell’interno a risarcire oltre 2 milioni di euro, segnatamente «per il pregiudizio patrimoniale, connesso alla mancata percezione delle indennità, degli stipendi e dei c.d. gettoni di presenza degli amministratori nonché per il danno non patrimoniale, connesso al provvedimento illegittimo, che ha inciso su una sfera di interessi riconducibili al novero dei diritti inviolabili tutelati dall’art. 2 della Costituzione» (c.d. diritto all’immagine)[203].

Si vuol fornire qualche cenno, infine, sulla questione recentissima che ha coinvolto nuovamente l’amministrazione comunale di Amantea.

Alla luce delle risultanze di un attento monitoraggio svolto nei confronti dell’ente, il prefetto di Cosenza, con decreto del 12 aprile 2019, successivamente prorogato, ha disposto l’accesso presso il comune ex art. 143, commi 1 e 2, TUEL, nominando un’apposita Commissione d’indagine per espletare gli accertamenti di rito. Detta Commissione, in data 11 ottobre 2019, ha rassegnato le proprie conclusioni, sulla scorta delle quali il prefetto, il 24 novembre 2019, ha inviato la propria relazione conclusiva al Ministro dell’interno, nella quale ha dato atto della ritenuta sussistenza degli elementi per l’adozione del provvedimento dissolutorio nei confronti del consiglio comunale di Amantea.

Il 7 febbraio 2020 il Ministro dell’interno ha avanzato proposta di scioglimento dalla quale emergono una serie di circostanze fattuali che lo hanno indotto, conclusivamente, a giudicare sussistenti le condizioni per attivare il meccanismo di cui all’art. 143 TUEL.

Sulla base di tale proposta, nella seduta del 13 febbraio 2020, il Consiglio dei ministri, a seguito di accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali, a norma dell’articolo 143 del TUEL, ha deliberato lo scioglimento per diciotto mesi del consiglio comunale di Amantea e il contestuale affidamento dell’amministrazione dell’ente ad una Commissione di gestione straordinaria.[204]

La formalizzazione della misura dissolutoria è arrivata con l’emanazione, da parte del Presidente della Repubblica, del d.P.R. 17 febbraio 2020[205].

Purtroppo, in questa sede non è possibile soffermarsi sulla recentissima vicenda, in quanto allo stato attuale né sono state emesse decisioni giudiziarie, né è dato sapere se i componenti dell’ente disciolto hanno intenzione di adire il Tribunale Amministrativo Regionale.

Solo un duplice ordine di considerazioni.

Anzitutto, si può notare che il decreto presidenziale emanato nell’anno corrente è corredato non solo della proposta ministeriale di scioglimento (come il decreto del 2008), ma anche della relazione prefettizia, peraltro redatta in maniera davvero esaustiva e dettagliata.

Inoltre, si rileva che mentre la vicenda amanteana del 2008 è stata sussunta sotto la fattispecie prevista dall’art. 143 del d.lgs. 267/2000, quella del 2020 è stata (e sarà eventualmente in sede giurisdizionale) trattata alla luce delle modifiche apportate dalle ultime novelle (del 2009 e 2018), unitamente ai recenti contributi dottrinari e giurisprudenziali in materia.

11. Riflessioni conclusive.

Quello progettato nel 1991 doveva essere un impianto normativo in grado di reagire, in un contesto emergenziale, alla crescente penetrazione della criminalità organizzata all’interno delle istituzioni locali.

In principio a carattere prevalentemente sanzionatorio, è invalsa nel tempo la convinzione, soprattutto tra i magistrati, che l’istituto dello scioglimento andava ripensato. Ci si rese conto che il sodalizio mafioso non costituiva (e non costituisce) un fenomeno eccezionale, cui poter far fronte esclusivamente con dispositivi repressivi.

Si doveva prevenire il problema, e solo eventualmente curarlo.

Il radicamento malavitoso nelle piccole realtà comunali, come quella di Amantea, è l’esempio lampante di una forte amalgamazione tra articolazioni territoriali della ‘ndrangheta e amministrazioni civiche.

Le analisi statistiche parlano forte e chiaro.

Tra l’altro, il legislatore si è dimostrato un attento osservatore delle concrete dinamiche delle aule municipali. Egli ha capito che il consiglio comunale (o provinciale), quale organo di indirizzo politico, non è l’unica via possibile di infiltrazione. Anche l’apparato burocratico-gestionale può piegarsi agli interessi della consorteria criminale.

In effetti, se si pensa che già dagli anni novanta è in atto un processo di separazione tra la funzione di indirizzo politico e l’attività di gestione amministrativa, si comprende bene come il potere non si trova più nelle sole mani del consiglio, ma viene distribuito in modo tale da implementare il massimo grado di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, obiettivi cui è lo Stato è indirizzato grazie all’art. 97 Cost.

Scriveva il prof. Feliciano Benvenuti: «il grande sforzo al quale è chiamato il futuro, è proprio quello di raggiungere il massimo possibile di conoscenze obiettive da porre alla base delle decisioni politiche […]»[206].

Il decreto legge n. 364/1991, introduttivo della misura di scioglimento, si inseriva in un contesto normativo già caratterizzato dai primi germi spirituali di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, con l’affermazione dei principi di professionalità e di diretta responsabilità della dirigenza (art. 51 della legge n. 142 del 1990). Questo dipinto legislativo veniva a mano a mano rifinito dal legislatore, il quale aveva in mente di raffigurare la fine della competenza generale del consiglio comunale, per tramutarlo in organo di indirizzo politico a competenza limitata[207].

Ebbene, in linea con il progetto di separazione tra le due funzioni[208], non è un caso che il legislatore, con legge n. 94 del 2009, abbia esteso la verifica degli elementi significativi (art. 143 TUEL) anche all’apparato burocratico.

Al mutamento della morfologia organizzativa delle case municipali, con la consegna di specifiche competenze all’organo gestionale, non può che corrispondere un ulteriore tentativo di ingerenza criminale.

Un conto è se le competenze dell’organo di indirizzo politico sono di natura onnicomprensiva, un altro è se sono limitate a determinate categorie di attività, per cui quelle di carattere esecutivo vengono assegnate al segmento burocratico.

La mafia segue il potere, e di certo non si fa influenzare da chi lo detiene. Laddove le converrà sferrare il proprio colpo non indugerà a farlo, a prescindere che si tratti di consigliere, assessore, dirigente o dipendente.

L’epilogo di questo elaborato vuol essere rappresentato da un passo di un libro, i cui autori, il dott. Nicola Gratteri e il prof. Antonio Nicaso, sono da anni impegnati a disvelare le verità amare delle cosche calabresi. Tra le più impensabili, il pactum sceleris che vede come contraenti politici e mafiosi.

«Un tempo era il boss ad andare a casa del politico a chiedere assunzioni o favori. Oggi è il politico che va a casa del boss a chiedere pacchetti di voti. […] È una ‘ndrangheta che, sempre più, si sta inserendo nel mondo legale, che ha rapporti con uomini delle istituzioni, che fa di tutto per apparire normale, come se non esistesse o come se tutto fosse riconducibile a un rapporto di costi e benefici. Oggi la ‘ndrangheta è più presente nelle istituzioni perché partecipa sempre più alla vita politica, soprattutto a quella amministrativa, prova ne sono il numero, in aumento, dei comuni sciolti per mafia».[209].

Le mura dei palazzi municipali vanno pian piano sgretolandosi.

E l’apertura di fessure tra i mattoni lascia intravedere l’altra faccia delle organizzazioni di stampo mafioso, che non hanno bisogno per forza della violenza per attingere i propri obiettivi.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Con particolare riferimento all’organizzazione criminale della ‘Ndrangheta, cfr. N. DALLA CHIESA, F. CABRAS, Rosso mafia. La ‘ndrangheta a Reggio Emilia, Bompiani, 2019, p. 152: «Mimetizzarsi nell’economia legale rientra negli obiettivi degli ‘ndranghetisti che operano in territori vergini, i quali mirano a una legittimazione socioeconomica attraverso l’acquisizione di uno status imprenditoriale, che consenta non solo il riciclaggio finanziario, ma anche quello identitario».

[2] Cfr. R. CERAMI, Concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Convegno in memoria di Gilda Loforti, Cefalù, 14-15 maggio 2010, Giuffrè, 2011, pp. 30-32: «[…] l’individuazione di un’area di interesse imprenditoriale ha portato all’affermazione di un potere di supremazia su quel segmento produttivo, con la conseguenza che tutti gli ambiti di espansione che lo riguardano finiscono per ricadere, in via tendenziale, sotto la sua sfera di controllo illecito, con tutto quello che ne consegue in termini di inquinamento complessivo delle condizioni di crescita e di sviluppo sociale di tale settore economico. […] gli imprenditori partecipi di questo complesso sistema stabiliscono con l’organizzazione (mafiosa) un rapporto di scambio basato sulla reciproca cooperazione e sulla stabilità delle relazioni sistemiche che li collegano, che coinvolge i rispettivi interessi personali e imprenditoriali».

[3] Per i rapporti tra mafia e mondo imprenditoriale è d’obbligo citare un passo dell’illuminante opera di G. FALCONE e M. PADOVANI, Cose di Cosa Nostra, BUR, 2012, p. 129: «Cerchiamo di immaginarlo questo mafioso, è divenuto capitano d’industria. Ricco, sicuro di potere disporre di una quantità di denaro che non ha dovuto prendere a prestito e che quindi non deve restituire, si adopera per creare, nel suo settore di attività, una situazione di monopolio, basata sull’intimidazione e sulla violenza. Se fa il costruttore, amplierà il suo raggio di azione fino a comprendervi le cave di pietra, i depositi di calcestruzzo, i magazzini di materiale sanitario, le forniture in genere e anche gli operai. In una simile situazione perché mai dovrebbe occuparsi delle estorsioni? Gli altri proprietari delle cave, gli industriali del cemento e del ferro verranno a poco a poco inglobati da una rete monopolistica sulla quale egli eserciterà il controllo».

[4] Il termine «contiguità» è utilizzato nella requisitoria del famoso Maxiprocesso di Palermo (1986-1992), ma è oramai ampiamente diffuso. Cfr. U. SANTINO, Mafia e maxiprocesso: dalla “supplenza” alla “crisi della giustizia”, in Autori Vari, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, 1992, pp. 97-178.

[5] U. SANTINO, Politica e mafia, in Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” – Onlus, 2015, www.centroimpastato.com.

[6] Il termine «coabitazione» appare per la prima volta in Atti parlamentari, XI legislatura, Doc. XXII n. 2., Relazione sui rapporti tra mafia e politica (relatore: on. Luciano Violante), Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, www.camera.it., p. 35.

[7] Per un approfondimento sul concetto di «produzione politica della mafia», si rinvia a U. SANTINO, La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e la produzione politica della mafia, in G. Fiandaca, S. Costantino (a cura di), La mafia, le mafie. Tra vecchi e nuovi paradigmi, Di Girolamo, 1994.

[8] G. FALCONE e M. PADOVANI, op. cit., prologo alla prima edizione del 1991: «La mafia sistema di potere, articolazione del potere, metafora del potere, patologia del potere. La mafia che si fa Stato dove lo Stato è tragicamente assente. La mafia sistema economico, da sempre implicata in attività illecite, fruttuose e che possono essere sfruttate metodicamente. […] La mafia che, in un mondo dove il concetto di cittadinanza tende a diluirsi mentre la logica dell’appartenenza, tende, lei, a rafforzarsi. […] Il contenuto politico delle sue azioni ne fa, senza alcun dubbio, una soluzione alternativa al sistema democratico. Ma quanti sono coloro che oggi si rendono conto del pericolo che essa rappresenta per la democrazia?»

[9] Per i numeri precisi dei decreti di scioglimento relativi alle regioni a non tradizionale insediamento mafioso, si rinvia a Amministrazioni sciolte per mafia: dati riassuntivi (1993-17 marzo 2020), tabella “Riepilogo regioni a non tradizionale insediamento mafioso”, www.avvisopubblico.it.

[10] Per un quadro completo dei decreti di scioglimento per singola regione, cfr. Amministrazioni sciolte per mafia: dati riassuntivi (1991-19 marzo 2020), tabella “Riepilogo regione per regione”, www.avvisopubblico.it.

[11] A. PERTICI, La prevenzione della corruzione, Giappichelli, 2019, p. 114.

[12] Per la quantità di comuni coinvolti, la funzione ricoperta dai danneggiati, il tipo di atti intimidatori, la collocazione geografica, ecc. cfr. S. PANIZZA, Social media e fenomeni intimidatori nei confronti degli amministratori locali, in Informatica dir., 2017, p. 264 ss.

[13] Questa espressione icastica è rinvenibile in Atti parlamentari Senato, XVII legislatura, Doc. XXII-bis n. 1., Relazione conclusiva della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, www.senato.it., p. 50. Vale la pena riportare uno spezzone testuale: «C’è un’altra storia dell’Italia. Una storia che attende ancora di essere scritta. Una storia sommersa fatta di nomi, di luoghi, di sofferenze, che ci appartiene per intero e che è giusto conoscere. È quella delle centinaia di amministratori locali uccisi, feriti, intimiditi, minacciati, costretti a vivere sotto tutela oppure ad arrendersi di fronte a pressioni insostenibili».

[14] La terza parte della Relazione, di cui alla precedente nota, riferisce una serie di argomentazioni formulate sulla scorta di informazioni in possesso di varie Prefetture, allo scopo di illustrare la problematicità del fenomeno: «la violenza politica non è stata solo quella del terrorismo, che pure molte vittime ha provocato tra gli amministratori locali. Essa ha avuto corso, e continua ad averlo, anche all’interno delle competizioni elettorali con il ricorso alla violenza come arma politica. Sono numerosi i casi di scioglimento di consigli comunali che pongono come elementi a base del provvedimento dissolutorio le ripetute intimidazioni quando non gli omicidi a danno di amministratori o candidati. La vera “cifra oscura” del fenomeno è quella legata alle dimissioni degli amministratori a causa delle intimidazioni. Si conoscono e sono ricostruiti alcuni casi eclatanti ma il vero peso del problema, che rappresenta un grave vulnus alla democrazia, non è di fatto conosciuto», pp. 51-52.

[15] D.P.R. 12 agosto 2016.

[16] C. CAVALIERE, La democrazia battuta e mortificata per 289 volte, 27 settembre 2018, www.repubblica.it.

Al riguardo, viene osservato che: «[…] Quasi mezzo secolo di sdegnoso disinteresse ha prodotto quella storia mancata che costringe oggi a sciogliere per mafia pezzi dello Stato, il cuore politico del rapporto istituzioni-cittadini: i Comuni appunto. Una statuaria indifferenza crollata di colpo. Di colpo, nel 1991 nasce il fenomeno, quasi si fosse stati colti alla sprovvista. Come se prima la mafia, nelle sue varie declinazioni regionali, non avesse già gestito direttamente istituzioni, risorse, enti pubblici e quant’altro. […] già dopo le prime elezioni comunali del 1946 i casi di municipi in cui è evidente la gestione diretta della criminalità organizzata sono innumerevoli, ma solo per un paio di eclatanti episodi c’è traccia dell’intervento del ministero senza mai pronunciare la parola mafia che allora formalmente non esisteva. […] Sarà la mattanza degli anni ottanta e la circostanza che decine di consigli comunali sono zeppi di diffidati di P.S. a mettere fine a quella finzione. Ancora una volta sarà il sangue a dettare il tempo della reazione, con la politica costretta ad inseguire gli avvenimenti, a tenere il conto di oltre sessanta amministratori locali uccisi i cui nomi si fa fatica ancora oggi a ricordare».

[17] C. CAVALIERE, Un vaso di coccio. Dai governi locali ai governi privati. Comuni sciolti per mafia e sistema politico istituzionale in Calabria, Rubbettino Editore, 2004, p. 92.

[18] A. CANTADORI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, in “Per Aspera Ad Veritatem” n. 24, 2002, www.gnosis.aisi.gov.it; R. ROLLI, Il Comune degli altri. Lo scioglimento degli organi di governo degli enti locali per infiltrazioni mafiose, Aracne, 2013, pp. 73-76.

[19] Lo scopo di tale norma era quello di non pregiudicare la prosecuzione dell’attività dell’ente a causa della responsabilità soltanto di uno o di alcuni degli amministratori. Per una disamina accurata sul tema, cfr. V. MONTARULI, Lo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali per infiltrazioni della criminalità organizzata, ESI, 2014.

[20] Per una qualificazione del decreto-legge n. 164/1991 come baluardo giuridico di natura emergenziale, cfr. M. MAGRI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni della criminalità organizzata di tipo mafioso: vecchi e nuovi dubbi di costituzionalità, in attesa di una riforma dell’art. 143 Tuel, in Diritto Amministrativo, fasc. 1, 1 marzo 2018, p. 97; V. METE, Fuori dal Comune: lo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose, Roma-Acireale, Bonanno, 2009, p. 62 ss.; C. PROVENZANO, Scioglimento dei comuni per mafia. Quando lo Stato sequestra democrazia e libertà, Città del Sole Edizioni, 2016, p. 38 ss.

[21] A. CANTADORI, op. cit.

[22] C. CAVALIERE, La democrazia battuta e mortificata per 289 volte, op. cit.

[23] P. PEZZINO, La mafia siciliana come «industria della violenza». Caratteri storici ed elementi di continuità, in Dei delitti e delle pene, La Nuova Italia, 1993, p. 2.

[24] Cfr. V. ANTONELLI, L’applicazione della legge anticorruzione alle autonomie locali, in B.G. MATTARELLA, M. PELLISSERO (a cura di), La legge anticorruzione, Giappichelli, 2013, p. 262.

[25] L’art. 39 della legge 142/1990 si limitava a sancire, al comma 4, che: «Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve avvenire entro novanta giorni dalla pubblicazione del relativo decreto. Tale termine può essere prorogato per non più di novanta giorni al solo fine di far coincidere le elezioni con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge» e, al comma 7, che: «Iniziata la procedura di cui ai commi precedenti ed in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, per motivi di grave e urgente necessità, può sospendere, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per la provvisoria amministrazione dell'ente».

[26] Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata o similare, XIV legislatura, seduta del 12 luglio 2005, Documento di sintesi della discussione sulle problematiche concernenti la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, www.parlamento.it., p. 10.

[27] A. CANTADORI, op. cit.

[28] Art. 39, comma 1, lett. b, n. 1 e 2.

[29] A. CANTADORI, op. cit.

[30] M. MAGRI, op. cit., p. 85 e 126; P. VIRGA, Infiltrazioni mafiose negli enti locali, in Corr. giur., 1991, p. 821 ss.

[31] TAR Lazio, ordinanza di rimessione 8 luglio 1992, n. 681, secondo cui le violazioni concernevano gli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 125 e 128 Cost.

[32] Corte Costituzionale, sent. 19 marzo 1993, n. 103, Par. 2. del “Ritenuto in fatto”, www.giurcost.org.

[33] Ibidem.

[34] Ibidem.

[35] Ivi, Par. 3.2. del “Considerato in diritto”.

[36] Ivi, Par. 3.3.

[37] Ivi, Par. 5.5.

[38] Ivi, Par. 3.2.

[39] La prima volta, ivi, Par. 3.4. e la seconda volta Par. 3.6.

[40] Ivi, Par. 3.4.

[41] Volendo essere più precisi, sarà proprio la giurisprudenza amministrativa, discostandosi dall’esegesi del giudice delle leggi, a rimodulare la natura sanzionatoria del provvedimento di scioglimento, conferendogli un’anima preventiva. In tal senso, cfr. Cons. St., 21 giugno 2002, n. 3386; Cons. St., 22 giugno 2004, n. 4467. Più recentemente, cfr. Cons. St., sez. III, 28 maggio 2013, n. 2895, secondo cui lo scioglimento degli enti per infiltrazioni mafiose ex art. 143 TUEL «non è di tipo sanzionatorio, ma preventivo». Si segnala, altresì, Cons. St. n. 1662/2016: «lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 267/2000, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato». In senso conforme, cfr. Cons. St., sez III, 2 ottobre 2017, n. 4578; Const. St., sez. un., 10 gennaio 2018, n. 96.

[42] Ivi, Par. 1.

[43] Ivi, Par. 1.1. del “Ritenuto in fatto”.

[44] Ivi, Par. 4.1.

[45] Corte Cost., 24 maggio 1977, n. 86, www.giurcost.org. La Consulta, in particolare, riconduce alla competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri (e segnatamente dei Ministri nelle materie di loro spettanza) la «direzione, nel più ampio senso del vocabolo, della gestione di tutto quanto attiene ai supremi interessi dello Stato». A fondare questa conclusione è l’appiglio costituzionale del primo comma dell’art. 95, in virtù del quale il Presidente del Consiglio dei Ministri «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile». Ad avviso della Corte, in questa espressione «non può non essere compresa la suprema attività politica, quella attinente alla difesa esterna ed interna dello Stato».

[46] G. B. GARRONE, voce Atto politico (disciplina amministrativa), in Dig. disc. pubbl., 1987, pp. 544 ss.

[47] Ivi, Par. 2. del “Considerato in diritto”.

[48] Ibidem.

[49] M. MAGRI, op. cit., p. 80.

[50] M. MAGRI, op. cit., p. 120.

[51] Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266. In tal senso, cfr., in giurisprudenza, Const. St., sez. VI, 16 febbraio 2007, n. 665; in dottrina, cfr. R. ROLLI, op. cit., p. 123 ss.

[52] Per la qualificazione del decreto di scioglimento in termini di atto avente natura amministrativa, cfr. anche F. CELLE, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento di tipo mafioso, in Foro amm. TAR, n. 4/2004, p. 1211; B. GAGLIARDI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalità organizzata, in Foro amm. Consiglio di Stato, 11, 2005, p. 3334 ss.; A. CIANCIO, Lo scioglimento dei consigli comunali per motivi di inquinamento da criminalità organizzata nella giurisprudenza costituzionale, in Giur. it.,1996, p. 28.

[53] Corte Cost., cit., Par. 3.6. del “Considerato in diritto”.

[54] Ibidem.

[55] Ibidem.

[56] Ivi, Par. 5.1.

[57] Ibidem.

[58] Ivi, Par. 5.3.

[59] Ibidem.

[60] Ivi, Par. 5.4.

[61] Ivi, Par. 5.2.

[62] Ivi, Par. 5.6.

[63] M. MAGRI, op cit., p. 85; G. CORSO, Criminalità organizzata e scioglimento dei consigli comunali e provinciali: osservazioni critiche alla giurisprudenza costituzionale, in Nuove autonomie, 1993, p. 117 ss.: “se la Corte avesse dichiarato illegittimo l’art. 15-bis, demolendolo in ogni sua parte, come il suo ruolo avrebbe richiesto, c’era da attendersi che il Ministro dell’Interno denunciasse alla televisione l’impossibilità di combattere la delinquenza perché l’organo «garantista» di legittimità costituzionale glielo impedisce; e non era da escludere che qualche forza politica, o qualche uomo politico, accusasse i giudici della consulta di «collusione». Magari trovando eco in qualche «benemerito» magistrato penale che, con gli applausi e gli incoraggiamenti di Michele Santoro, Maurizio Costanzo, Gianfranco Funari ed altri simili eroi del nostro tempo, sogna una Italia i cui confini siano segnati dalle mura di un enorme carcere”;

[64] P. CLARIZIA, La nuova disciplina dello scioglimento degli organi elettivi, in G. SPANGHER e F. RAMACCIA (a cura di), in Il sistema della sicurezza pubblica, Giuffrè, 2010, p. 386.

[65] A. CANTADORI, op. cit.

[66] Ibidem.

[67] Cfr. nota 45.

[68] In tal senso, cfr. D. ROMEI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento mafioso, in Rass. Avv. Stato, n. 2/2014, p. 365; R. DE ANGELIS EFFREM DI TORRERUGGIERO, La normativa di contrasto alle infiltrazioni mafiose con particolare riferimento alla gestione commissariale degli Enti locali, 30 ottobre 2012, su www.sarannoprefetti.it; L. PIGNONE, Brevi note in tema di scioglimento degli organi degli enti locali, su www.justowin.it.

[69] In Gazz. Uff. 21 aprile 1998, n. 92.

[70] B. GAGLIARDI, op. cit., loc. cit.. Secondo l’Autrice, il nesso tra ordine pubblico e sicurezza è desumibile anche sulla scorta dell’art. 126 Cost. il quale, a proposito dello scioglimento dei consigli regionali, fa riferimento non al tradizionale concetto di ordine pubblico, bensì alle ragioni di sicurezza nazionale; L. PIGNONE, op cit.

[71] F. STADERINI, P. CARETTI, P. MILAZZO, Diritto degli enti locali, CEDAM, 2011, p. 297.

[72] B. GAGLIARDI, op. cit., loc. cit. Tuttavia, in giurisprudenza non sembrava possibile applicare le ipotesi previste dall’art. 39 della legge n. 142/1990 all’infiltrazione ed al condizionamento mafioso, in quanto tale previsione legislativa era finalizzata a sanzionare gravi disfunzioni nell’attività degli enti locali, piuttosto che la rimozione e la prevenzione di fenomeni di infiltrazione o condizionamento da parte della criminalità organizzata. In tal senso, cfr. P. CLARIZIA, op. cit., p. 385; A. CONTADORI, op. cit.

[73] D. ROMEI, op. cit., p. 367; D. PONTE, Commento all’art. 143, in F. PITERÀ - R. VIGOTTI (a cura di), La riforma degli enti locali: commentario al d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, UTET, 2002, p. 640 ss. In giurisprudenza, cfr. TAR Calabria, Reggio Calabaria, 24 marzo 1999, n. 351; TAR Sicilia, Palermo, 13 gennaio 1999, n. 58.

[74] Cfr. nota 56.

[75] Sulle critiche della dottrina alle conclusioni della Corte Costituzionale, cfr. G. CORSO, op. cit., loc. cit.; A. CIANCIO, op. cit., p. 18 ss.

[76] F. STADERINI - P. CAETTI - P. MILAZZO, op cit., p. 344-345; M. MAGRI, op. cit., p. 89.

[77] P. CLARIZIA, op. cit., p. 406. L’Autore sottolinea come l’eccessiva discrezionalità del Governo non si esplica solo in relazione al potere di adottare il provvedimento dissolutorio, ma si risolve anche in una spregiudicata attività ermeneutica. Attesa l’indeterminatezza della formulazione letterale della norma, le interpretazioni dell’Esecutivo hanno comportato forti differenziazioni applicative, a seconda dei singoli uffici territoriali del Governo.

In giurisprudenza, per una qualifica del provvedimento di scioglimento come atto caratterizzato da ampio margine di discrezionalità, cfr. TAR Catanzaro 29 gennaio 2002, n. 106, in Foro amm. TAR, 2002, p. 258.

[78] Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata o similare, XIV legislatura, seduta del 12 luglio 2005, cit., pp. 7-8: «L’assoluta necessità di verificare che l’attività amministrativa degli enti interessati di condizionamento mafioso sia improntata all’imparzialità, oltre che al buon andamento, impone di prevedere che i controlli delle commissioni di accesso e di indagine vertano su tale aspetto e che la violazione di tale principio, se causata da fenomeni di infiltrazione o condizionamento, costituisca giusta causa dello scioglimento del consiglio dell’ente […]; tutto ciò, fermo restando l’interesse alla maggiore specificazione delle ipotesi ed alla concretezza dei rilievi sulla base dei quali può fondarsi la proposta di scioglimento». Con particolare riguardo alla responsabilità dei gestori dell’ente locale, la Commissione auspica l’intervento di «norme che regolino le misure da adottare nel caso in cui emergano precisi elementi a carico del personale e dei dirigenti», p. 5.

[79] In tal senso, cfr. M. MAGRI, op. cit., p. 87. Per un approfondimento di questo aspetto, cfr. V. METE, op. cit.

[80] Cons. St., 22 giugno 2004, n. 4467. In tal senso anche Cons. St., 21 giugno 2002, n. 3386.

[81]Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata o similare, XIV legislatura, seduta del 12 luglio 2005, cit., pp. 3-4.

[82] A.R. CICALA, Lo scioglimento dei Consigli comunali e provinciali per infiltrazione e condizionamento mafioso, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1999, p. 847; E. LEOTTA, Breve rassegna di giurisprudenza in materia di provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, 2007, www.giustizia-amministrativa.it; F. CELLE, op. cit., p. 1213; B. GAGLIARDI, op. cit., loc. cit.; CIANCIO, op. cit., p. 23 ss.

[83] L’art. 143 TUEL, così come novellato dalla legge n. 94/2009, è rubricato «Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti».

[84] Quello della Commissione Affari costituzionali della Camera era un progetto ideato sulla scorta del suggerimento di diverse proposte legislative. Il risultato voleva essere una complessa riforma della disciplina che, al contempo, si collocasse nel giusto punto d’incontro fra le forze politiche. Cfr. proposte di legge C. 1134 ed abb., Testo unificato come modificato dagli emendamenti approvati dalla Commissione (seduta del 14 novembre 2007), «Norme in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali soggetti a condizionamenti ed infiltrazioni di tipo mafioso o similare e in materia di responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche».

[85] P. CLARIZIA, op. cit., p. 395; A. CORVI, Nuove risposte al crimine organizzato tra diritto penale e sanzioni amministrative, in O. MAZZA - F. VIGANO’ (a cura di), Il “Pacchetto sicurezza” 2009, Giappichelli, 2009, pp. 353-358.

[86] Merita qui segnalare che, secondo P. CLARIZIA, op. cit., p. 406., l’espressa previsione della sussistenza di tali elementi probatori più rigorosi non sembrerebbe, tuttavia, modificare la prassi applicativa, dal momento che riprende sostanzialmente il contenuto della circolare esplicativa del 25 giugno 1991 n. 7102 del Ministero dell’interno che era stata posta a fondamento della pronuncia di legittimità costituzionale della Consulta, n. 103 del 1993, quale garanzia che l’esercizio dello straordinario potere di scioglimento fosse ancorato alla «presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusione anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata, sì da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi delle comunità locali il permanere di quegli organi alla guida degli enti esponenziali di esse».

[87] In tal senso, cfr. F. ALFANO - E. GULLOTTI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata, in Nuova rassegna on line, 3, 2010. In giurisprudenza, v. TAR Lazio, Roma, 18 giugno 2012, n. 5606; Cons. St., 24 aprile 2009, n. 2615; Cons. St., 6 aprile 2005, n. 1573.

[88] Cfr., altresì, Cass. civ., sez. un., 30 gennaio 2015, n. 1747: «non solo il procedimento giurisdizionale volto alla dichiarazione di incandidabilità è autonomo rispetto a quello penale, ma anche diversi ne sono i presupposti, perché la misura interdittiva di cui all'art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali non richiede che la condotta dell'amministratore integri gli estremi dell'illecito penale […] perché scatti l'incandidabilità alle elezioni, rileva la responsabilità dell'amministratore nel grave stato di degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e quindi è sufficiente che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio». In tal senso, più recentemente, cfr. Cons. St., 20 gennaio 2016, n. 197; 24 febbraio 2016, n. 748; 15 marzo 2016, n. 1038; 2 maggio 2016, n. 1662.

[89] Così M. MAGRI, op. cit., p. 117. In tema di rapporti parentali tra amministratore e criminalità, un approfondimento è rinvenibile in giurisprudenza: cfr. Cons. St., 10 marzo 2011, n. 1547; Cons. St., 14 maggio 2003, n. 2590. Contra, TAR Bari, 16 luglio 2018, n. 1084; Cons. St., 16 settembre 2015, n. 4340, secondo cui: «non è prova sufficiente dell’influenza mafiosa il fatto che il soggetto abbia rapporti di parentela (anche molto prossimi, come quello tra padre e figlio) con un indiziato di appartenenza mafiosa, se alla mera relazione familiare non si accompagnano, in concreto, anche elementi indicativi di stretti collegamenti per affari o, comunque, per interessi comuni».

[90] Sull’inapplicabilità del principio del contraddittorio, cfr. TAR Lazio, 16 ottobre 2017, n. 10361, secondo cui: «L’affievolimento delle garanzie partecipative e del contraddittorio nel procedimento è pienamente giustificato, secondo il supremo organo della giustizia amministrativa, dal fatto che si tratta di misura che esige interventi rapidi e decisi (Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2005, n.5878); e, come da ultimo ribadito sempre in merito ai provvedimenti ex art.143 TUOEL, le esigenze di celerità del provvedere – in presenza della necessità di pronta tutela degli interessi di rilievo pubblico inerenti alla sicurezza ed all'ordine pubblico a mezzo di provvedimento preventivo e cautelare - consentono di omettere l’avviso partecipativo secondo quanto previsto dall'art.7 della legge n.241 del 1990 (Cons. Stato, Sez. III, 9 luglio 2012, n.3998; CGA, 21 novembre 2011, n.866)».

[91] Il più recente orientamento in materia è contenuto nella sentenza del Cons. St., 8 giugno 2016, n. 2454, in virtù del quale: «[…]dal punto di vista pratico[…] la proposta di scioglimento è stata preceduta dalla formale nomina di una commissione di accesso (ossia di indagine), la cui attività si è protratta per mesi; gli amministratori in carica ne erano ovviamente al corrente e dunque avevano la possibilità di presentare alla commissione stessa, nonché al Prefetto, le osservazioni che ritenessero opportune».

[92] Per la definizione dei presupposti, cfr. Cons. St., 30 ottobre 2013, n. 2661; Cons. St., 2 marzo 2007, n. 1004; Cons. St., 5 ottobre 2006, n. 5948; Const. St., 6 aprile 2005, n. 1573; Const. St., 4 febbraio 2003, n. 562; Cons. St., 3 febbraio 2000, n. 585. Così anche in dottrina: cfr., F. LONGO, Lo scioglimento dei consigli comunali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso e questione di contesto, in Foro amm. CdS, 2008, p. 881.

[93] Cons. St., 2 luglio 2014, n. 3340.

[94] Ibidem. In senso conforme, cfr. Cons. St., 26 settembre 2014, n. 4845 e, più recentemente, Cons. St., 2 maggio 2016, n. 1662.

[95] Ex plurimis, cfr. Cons. St., 10 marzo 2011, n. 1433.

[96] In tal senso, v. D. ROMEI, op. cit., p. 368.

[97] In tal senso, cfr. TAR Calabria, Catanzaro, 29 gennaio 2002, n. 106; Cons. St., 4 agosto 2006, n. 4765; Cons. St., 23 luglio 1999 n. 719; TAR Campania, Napoli, 10 marzo 2006, n. 2873; id., 15 novembre 2004, n. 16778; id., 16 giugno 2000, n. 2193; id., 30 gennaio 1998, n. 319.

[98] A tal uopo, il giudice amministrativo richiede, di regola, il deposito di tutta la documentazione, anche se secretata (comprensiva dei verbali delle riunioni tecniche di coordinamento dei vertici delle Forze di Polizia e delle sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, delle relazioni della Commissione d’indagine, ecc.), in quanto indispensabile ai fini della decisione del ricorso. Così facendo è consentito, al contempo, l’esercizio effettivo del diritto di difesa delle parti ricorrenti. In questo senso, cfr. TAR Lazio, ordinanza 5 novembre 2015, n. 12485.

[99] La soluzione di continuità con il passato si è avuta con il d.lgs. n. 29/1993 (recante «Razionalizzazione delle organizzazioni delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego»), poi integrato da una serie di novelle tra il 1997 ed il 1998. Nondimeno, solo con il d.lgs. n. 165/2001 (intitolato «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»), modificato dal d.lgs. 150/2009 e, da ultimo, dalla legge n. 124/2015 (c.d. «riforma Madia»), si è finalmente stabilito il passaggio, a livello normativo, alla separazione tra la funzione di indirizzo politico e l’attività di ordine burocratico. Si tratta, in ogni caso, di una materia in progressiva e costante crescita. Cfr. M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Giappichelli, 2019, p. 123.

[100] In particolare, la prima normativa sulle autonomie locali (legge n. 146/2000) e la riforma del pubblico impiego (a partire dal d.lgs. n. 29/1993) hanno progettato un sistema nel quale i titolari degli incarichi elettivi hanno il compito di stabilire l’indirizzo politico-amministrativo dell’ente, mentre la concreta attuazione di quest’ultimo, tramite l’adozione di atti amministrativi rilevanti verso l’esterno, rientra invece nella competenza dei funzionari, in particolare di coloro che ricoprono ruoli dirigenziali. Cfr. A. CORVI, op. cit., p. 357.

[101] In tal senso, cfr. F. STADERINI - P. CARETTI - P. MILAZZO, op. cit., p. 310; A. CORVI, op. cit., pp. 357-358, ove l’Autrice fa l’esempio dei provvedimenti abilitativi in materia urbanistica, che oggi vengono adottati dal dirigente responsabile di settore e non più dal sindaco: «ebbene, per la cosca che intenda sfruttare illegalmente una discarica abusiva, coltivare “buoni rapporti” con il funzionario pubblico può essere tanto conveniente come stringere accordi con il politico».

[102] In giurisprudenza, cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, 14 dicembre 2010, n. 1593, in virtù del quale: «il principio di separazione tra le sfere politica e gestionale non esclude, anzi, avvalora, la responsabilità complessiva degli amministratori elettivi, perché attribuisce loro una piena autonomia di scelta delle modalità e dei contenuti dell’azione amministrativa dell’ente e, dunque, una correlativa piena responsabilità finale quanto ai suoi risultati, che assorbe il controllo funzionale sugli uffici dell’ente, tramite la nomina dei responsabili, l’adozione dei programmi e dei regolamenti, l’istituzione di effettivi e selettivi meccanismi premiali e di controllo dell’attività degli uffici e dei loro addetti e così via. In altri termini, in forza del principio di separazione, l’organo politico è direttamente e pienamente responsabile del risultato finale dell’amministrazione, perché è sciolto da ogni controllo (esterno o interno) di legittimità sugli atti o di merito sulle scelte di governo».

[103] M. MAGRI, op. cit., pp. 110-111. Tra l’altro, l’Autore compie un’osservazione di carattere sistematico: tenendo conto della nuova disciplina organica, l’incandidabilità alle elezioni comunali, provinciali e circoscrizionali è fatta derivare (art. 10 del d.lgs. n. 235/2012) da una sentenza di condanna definitiva per determinati reati, tra i quali quello di associazione a delinquere di stampo mafioso. Ed anche la sospensione dalla carica è condizionata da una condanna, sebbene non definitiva, oppure all’applicazione di una misura di prevenzione applicata dall’autorità giudiziaria o, ancora, ad una misura cautelare: insomma, è fondata su presupposti tipici, accomunati dall’essere tutti consequenziali a provvedimenti di natura giurisdizionale. Attese queste premesse, l’incandidabilità ex art. 143, comma 11, TUEL, così come novellato nel 2009, costituisce, ad avviso dell’Autore, «una sorta di sospensione amministrativa automatica del diritto di accesso alle cariche elettive, in conseguenza di un mero quadro indiziario, concreto, univoco e rilevante, costruito attorno al singolo amministratore rispetto al condizionamento di tipo mafioso».

[104] L’obbligo del Prefetto di «sentire», durante il processo decisionale di sua competenza, il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica risponde ad una particolare esigenza. Quest’ultimo, in qualità di organo consultivo, informa l’Ufficio prefettizio dei collegamenti parentali o di altro genere tra i funzionari e gli appartenenti ala criminalità organizzata ovvero alla sussistenza di rapporti contrattuali con imprese colluse con le organizzazioni criminali. Così, cfr. P. CLARIZIA, op. cit., pp. 411-412. In senso contrario, cfr. V. MONTARULI, op. cit., p. 93, ad avviso del quale tale Comitato è formato anche dal presidente della provincia, dal sindaco del comune capoluogo provincia, nonché dai sindaci di altri comuni interessati. La presenza di queste figure, nell’iter di scioglimento di un ente locale, «dovrebbe essere inibita, perché potrebbe influire negativamente sulla decisione finale, minando l’imparzialità e neutralità della procedura amministrativa, facendo in modo che assuma una connotazione politica».

[105] La ratio della presenza del procuratore della Repubblica risiede nella volontà di offrire al Prefetto la migliore conoscenza possibile circa la realtà oggetto di indagine, in relazione ai fattori criminali potenzialmente inquinanti e condizionanti. Inoltre, sempre ai sensi del comma 3, il Prefetto ha la facoltà di richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica, se per i medesimi fatti oggetto degli accertamenti o per eventi connessi sia pendente un procedimento penale. Quest’ultimo, anche in deroga all’art 329 c.p.p. (obbligo di tenere segreti gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari), deve comunicare all’Ufficio prefettizio tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere secretate per le esigenze del procedimento. Così, P. CLARIZIA, op. cit., loc. cit., il quale ritiene garantista ed utile la scelta di inserire la figura del procuratore all’interno della fase procedimentale di scioglimento; invero, egli afferma che «la previsione della presenza del procuratore della Repubblica ha costituito il recepimento di una situazione che si verifica ordinariamente ed assume anzi in questo caso una particolare rilevanza perché serve a garantire che l’accesso sia disposto quando siano presenti quanto meno elementi indiziari di natura penale». In effetti, sostiene enfaticamente l’Autore, «la presenza del rappresentante dell’Ufficio del pubblico ministero competente per territorio nel predetto Comitato può risultare utile per contribuire ad attribuire alle motivazioni, poste a base delle decisioni adottate dal Ministro dell’interno nell’ambito della propria autonomia, maggiore solidità argomentativa ed a prevenire possibili polemiche o strumentalizzazioni».

[106] Cfr. nota 89.

[107] Così, D. ROMEI, op. cit., p. 381; M.S. CINNERA, La partecipazione dell’incandidabile alle elezioni per il rinnovo dei consigli comunali (e provinciali): nullità dei voti o delle elezioni?, in www.giustamm.it. In senso conforme, in giurisprudenza, cfr. CGARS, 14 marzo 2000, n. 113; TAR Sicilia, Catania, 27 maggio 1999, n. 1021.

[108] D. ROMEI, ibidem.

[109] M. S. CINNERA, op. cit.

[110] A. CANTADORI, op. cit.

[111] Rubricato «Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali».

[112] Si segnala, peraltro, che in seguito alla novella del 2018, di cui successivamente si discorrerà, i componenti della commissione vanno individuati mediante apposito nucleo istituito presso il Ministero dell’interno (art. 32-bis, comma 1, legge n. 132 del 2018), di cui fanno parte non oltre cinquanta unità: dieci con qualifica di prefetto e quaranta con qualifica fino a viceprefetto (art. 32-bis, comma 2).

[113] Cfr. nota 58.

[114] V. METE, Dove governano i commissari, in Narcomafie, n. 6/2011.

[115] Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata o similare, XIV legislatura, seduta del 12 luglio 2005, cit., p. 13.

[116] Alla Camera dei Deputati vennero presentate le seguenti proposte legislative: la n. 152 del 15 marzo 2013 (Villecco Calpari); la n. 1553 del 9 settembre 2013 (Formisano); la n. 2356 del 7 maggio 2014 (Nuti ed altri); la n. 2387 del 15 maggio 2014 (Mattiello ed altri). Al Senato della Repubblica, vennero presentate: la n. 681 del 21 maggio 2013 e la n. 795 del 5 giugno 2013 (Lo Moro Ricciuti); la n. 1687 del 20 novembre 2014 (proposta governativa dei ministri Alfano, Orlando, Padoan); la n. 2248 del 17 febbraio 2016 (Buemi); la n. 2477 del 13 luglio 2016 (Saggese ed altri).

[117] Per la tipologia ed il numero di enti locali sciolti si rimanda, ancora una volta, ai dati riassuntivi riportati sul portale www.avvisopubblico.it. Cfr. nota 3.

[118] M. MAGRI, op. cit., p. 89. Nella relazione prefettizia allegata al d.P.R. 27 agosto 2015 («Nomina della commissione straordinaria per la provvisoria gestione del Municipio X di Roma Capitale», in G.U. n. 214 del 15 settembre 2015) sono state inserite le «Considerazioni e proposte circa le misure applicabili nei riguardi di Roma Capitale».

[119] Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, XVII legislatura, seduta n. 144 del 15 marzo 2016, in www.camera.it. Viene di seguito riportato un frammento, abbastanza esteso ma estremamente considerevole, del discorso pronunciato dal Ministro dell’interno, Angelino Alfano, in merito alla necessità di revisione dell’art. 143 TUEL: «Ritornando al discorso sull'applicazione dell'articolo 143 del testo unico e sui limiti che la norma sembra mostrare, evidenzio quella che, a mio parere, resta la principale carenza ordinamentale. La norma non contempla, infatti, misure diverse da quella dissolutoria, anche quando gli elementi, sebbene non sufficienti a giustificare l'extrema ratio dello scioglimento, richiedano tuttavia soluzioni meno traumatiche, ma non meno efficaci a riportare l'amministrazione sui binari di una maggiore correttezza legalitaria. Si tratta di un vuoto legislativo che non può essere colmato efficacemente da interventi di sola supplenza amministrativa. Del resto, si fa strada da tempo l'idea che, in sostituzione di sanzioni afflittive, si possano proficuamente applicare misure di carattere «terapeutico» che non comportino l'interruzione delle attività da parte degli organi ordinari, né il loro allontanamento definitivo, ma il loro affiancamento con l'intervento mirato di commissari ad acta e di tutor. È ciò che è accaduto, per esempio, recentemente in tema di reati societari, allorché sono state apprestate misure, che sono state affidate all'ANAC e ai prefetti, che vanno in questa direzione per importanti società del nostro Paese. Non sarebbe illogico trasporre questo concept anche all'area della tutela legalitaria delle amministrazioni locali, arricchendo così lo strumentario di un'ulteriore misura cautelare preventiva, non essendo francamente, a mio avviso, plausibile che tra il provvedimento di scioglimento e la sua mancata adozione non possa trovare spazio intermedio alcuna ipotesi fondata su una più avanzata forma di controllo collaborativo. Passo al tema delle possibili linee-guida. La questione di cui voglio parlare nasce dall'esecuzione delle attività di accesso. È del tutto evidente, infatti, che dalla conduzione delle attività di accesso vengono a dipendere l'esaustività degli accertamenti e la conseguente capacità di far propendere, con quel rigore necessario a cui accennavo, verso l'ipotesi dissolutoria. Si avverte poi l'esigenza, fin da quando questo strumento di verifica legalitaria è stato attivato, che il quadro degli elementi raccolti dalla commissione di accesso abbia in sé la necessaria congruenza circa il grado e l'intensità dell'inquinamento mafioso. In altri termini, è altamente raccomandabile che il giudizio sulla ricorrenza o meno dei presupposti per far luogo allo scioglimento non venga a dipendere esclusivamente dalle rivenienze giudiziarie, peraltro soggette, per loro natura, alla possibilità di un riesame, con eventuali conseguenze inevitabili sull'impianto accusatorio dell'indagine amministrativa. Per fare questo è necessario che i componenti delle varie commissioni di accesso, ferma restando la loro autonomia operativa, abbiano a disposizione una metodologia di lavoro basata su un modello di indagine da replicare nei vari contesti. Si tratta, in sostanza, di fare sì che un'attività delicatissima venga a seguire un preciso archetipo, anche per massimizzare l'utilità del tempo a disposizione dei commissari, non più determinato ad libitum, bensì normativamente indicato nella sua massima estensione in 180 giorni. Con apposite linee-guida potranno puntualmente essere definiti gli ambiti amministrativi in cui dovranno concentrarsi l'ispezione, le attività indispensabili da svolgersi e le modalità di raccolta, nonché di analisi dei dati. Si tratta di un documento di indirizzo fondato sui risultati di un'autoanalisi che la stessa nostra amministrazione ha, peraltro, già condotto nel corso di svariati master e che sarà oggetto proprio a breve di una mia direttiva rivolta ai prefetti e ai componenti delle commissioni di indagine».

[120] Atti parlamentari, XVII legislatura, Doc. XXIII n. 38., Relazione conclusiva della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (relatrice: on. Rosy Bindi), www.camera.it.

[121] Ivi, p. 258.

[122] Ivi, p. 11.

[123] Ivi, p. 27.

[124] Ivi, p. 391.

[125] Cfr. nota 3.

[126] Ivi, p. 263.

[127] Ivi, pp. 267-268.

[128] Ivi, pp. 262-263.

[129] Ivi, p. 391.

[130] Ivi, p. 264.

[131] Ivi, p. 265.

[132] Ivi, p. 266.

[133] Ivi, p. 267.

[134] Ibidem.

[135] Ivi, p. 257.

[136] Intitolato «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata».

[137] La dichiarazione di incandidabilità dell’amministratore, responsabile delle condotte che hanno causato lo scioglimento, si snoda attraverso due fasi: una amministrativa, corrispondente all’adozione del provvedimento dissolutorio nel quale emergano elementi di collegamento tra consigliere e consorteria criminale, ed una giurisdizionale, che si svolge dinanzi al tribunale competente per territorio, il quale valuta la sussistenza degli elementi indiziari con riferimento agli amministratori indicati nella proposta del Viminale (si applicano le disposizioni in materia di camera di consiglio previste dal libro IV, titolo II, capo VI, c.p.c.).

Va peraltro segnalato che la giurisprudenza ha affermato che la natura decisoria della pronuncia resa dal giudice civile, da cui la possibilità del ricorso straordinario in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. contro il provvedimento della Corte d’Appello confermativo della decisione del Tribunale, comporta che, giungendo la definitività della declaratoria di inammissibilità solo ad esito del processo di Cassazione, per «primo turno elettorale successivo allo scioglimento» debba intendersi quello successivo alla ultimazione della fase giurisdizionale e non il turno dopo la data di adozione del decreto di scioglimento. In tal senso, cfr. TAR Sicilia, 15 ottobre 2012, n. 2005; CGARS, sentenza 2 aprile 2013, n. 395; Cass. civ., 22 settembre 2015, n. 18696.

[138] La questione è stata sollevata in riferimento agli artt. 3, 5, 23, 25, 27, 77, 97, 114, 117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119 e 120, secondo comma, Cost., nonché all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Cfr. Cort. Cost, sentenza 24 luglio 2019, n. 195, Par. 5 del “Ritenuto in fatto”, www.cortecostituzionale.it.

[139] Ibidem.

[140] Ibidem.

[141] Ibidem.

[142] Par. 10 del “Considerato in diritto”.

[143] Ibidem.

[144] Ibidem.

[145] Come, ad esempio, nel procedimento che può condurre alla deliberazione dello stato di dissesto dell’ente: art. 243-quater, comma 7, TUEL.

[146] Ivi, Par. 14.

[147] Ibidem.

[148] Ivi, Par. 15.

[149] Ibidem.

[150] Amantea – Operazione Nepetia, infiltrati in istituzioni e forze dell’ordine, in Calabria Notizie, 21 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale, www.calabrianotizie.it, il 28 febbraio 2008), ora su www.web.archive.org; Operazione Nepetia: arrestato OMISSIS, www.archivio.antimafiaduemila.com.

[151] Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2007- 30 giugno 2008, dicembre 2008, www.stampoantimafioso.it, p. 477; 'Ndrangheta, Consiglio di Stato annulla lo scioglimento del Comune di Amantea nel cosentino, 1 aprile 2010, www.adnkronos.com; 'Ndrangheta, Consiglio di Stato annulla lo scioglimento del comune di Amantea, 1 aprile 2010, www.aiellocalabro.net; Amantea – Operazione Nepetia, infiltrati in istituzioni e forze dell’ordine, in Calabria Notizie, op. cit.

[152] Amantea: sciolto consiglio comunale, 1 agosto 2008, www.strill.it; ‘Ndrangheta, Consiglio Stato, no scioglimento comune Amantea, 1 aprile 2010, www.ansa.it.

[153] Relazione annuale, cit., loc. cit.

[154] Relazione annuale, cit., pp. 114-115.

[155] Al comune d’Amantea s’insedia la Commissione d’accesso, 21 gennaio 2008, www.nuovacosenza.com. La commissione risultava composta dal viceprefetto Carlo Ponte; dal tenente colonnello Demetrio Buscia comandante del Reparto operativo del Comando provinciale dei Carabinieri di Cosenza; dal capitano Alberto Ventura comandante della Compagnia della Guardia di finanza di Paola; l'ing. Giovani Ricca, segretario generale dell'Autorità di Bacino regionale della Calabria e l'avv. Massimo Siano, responsabile “Gare e contratti'' dell'Ufficio legale Anas-Calabria. Inoltre, la commissione è stata successivamente con un esponente della Polizia dello Stato, il dirigente del Commissariato di Polizia di Paola vicequestore aggiunto Mario Lanzaro. Nello stesso tempo, attesa la necessità di imprimere un’accelerazione all’attività di accertamento, il Prefetto ha disposto la cessazione dell’incarico per l’ing. Giovanni Ricca e per l’avv. Massimo Siano, a cause delle incombenze connesse agli Uffici d’appartenenza ed alle distanze da coprire per raggiungere il Comune. Cfr. Il Prefetto integra la Commissione d’accesso agli atti al Comune di Amantea, 29 gennaio 2008, www.nuovacosenza.com.

[156] OMISSIS arrestato per voto di scambio, era socio in affari del boss Gentile. PM Spagnuolo (DDA) “Condizionata società legale”, 19 marzo 2008, www.nuovacosenza.com; Arrestato il consigliere regionale OMISSIS, con lui anche un carabiniere ed un finanziere. È il quinto consigliere regionale in manette, 19 marzo 2008, www.nuovacosenza.com.

[157] Relazione annuale, cit., pp. 477-478.

[158] Decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 2008, recante «Scioglimento del consigli comunale di Amantea e nomina della commissione straordinaria», in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, anno 149 – numero 199, 26 agosto 2008, p. 4.

[159] Ivi, p. 3.

[160] Ibidem. La commissione straordinaria era composta dal dott. Giorgio Criscuolo, dal dott. Francesco Sperti e dal dott. Pietro Tescione.

[161] Ibidem.

[162] Ibidem.

[163] Ivi, p. 4.

[164] Ibidem.

[165] Ibidem.

[166] Ibidem.

[167] Ibidem.

[168] Ibidem.

[169] Ibidem.

[170] Ibidem.

[171] Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro, sez. I, 21 ottobre 2009, n. 1124 e 1125, www.giustizia-amministrativa.it, p. 3.

[172] Ivi, p. 11.

[173] Ivi, pp. 10-11.

[174] Ivi, pp. 11-12.

[175] Ivi, p. 12.

[176] Ibidem.

[177] Ivi, p. 13.

[178] Ivi, pp. 13-14.

[179] Ivi, p. 14.

[180] Ivi, p. 13.

[181] Ivi, pp. 15-16.

[182] Ivi, p. 16.

[183] Ibidem.

[184] Ibidem.

[185] Ivi, pp. 16-17.

[186] Ivi, pp. 17-18.

[187] Ivi, p. 18.

[188] Ivi, pp. 18-19.

[189] Ivi, p. 19.

[190] Ivi, pp. 20-21.

[191] Ivi, p. 21.

[192] Ivi, p. 22.

[193] Cfr. Antimafia. Consiglio Ministri proroga scioglimento Amantea, 11 dicembre 2009, www.strill.it; Prorogato di un anno il commissariamento del Comune di Amantea, 11 dicembre 2009, www.nuovacosenza.com.

[194] Cons. St., sez. VI, 1 giugno 2010, n. 3462, www.iuav.it, p. 2.

[195] Ivi, pp. 3-5.

[196] Ivi, pp. 4-5.

[197] Ibidem.

[198] Ibidem.

[199] Ivi, p. 4.

[200] Ivi, p. 5.

[201] Ivi, p. 4.

[202] Cfr. ‘Ndrangheta, Consiglio di Stato annulla lo scioglimento del Comune di Amantea nel cosentino, 1 aprile 2010, www.adnkronos.com; ‘Ndrangheta, Consiglio di Stato annulla lo scioglimento del comune di Amantea, 1 aprile 2010, www.aiellocalabro.net; ‘Ndrangheta, Consiglio di Stato annulla lo scioglimento del comune di Amantea, 1 aprile 2010, www.quotidianodelsud.it; ‘Ndrangheta: Consiglio Stato, no scioglimento comune Amantea, 1 aprile 2010, www.ansa.it.

[203] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 27 marzo 2012, n. 343, www.giustizia-amministrativa.it. Cfr. Il Ministero deve pagare gli amministratori di Amantea: ecco la sentenza del TAR, 8 febbraio 2013, www.trn-news.it; Amantea, il Tar: risarcimento agli amministratori, 29 marzo 2012, www.miocomune.it.

[204] Sciolto per 18 mesi il consiglio comunale di Amantea, 20 febbraio 2020, www.interno.gov.it; Amantea, sciolto per 18 mesi il Consiglio comunale, 14 febbraio 2020, www.quicosenza.it; Comune di Amantea sciolto per mafia, 14 febbraio 2020, www.ansa.it.

[205] Decreto del Presidente della Repubblica 17 febbraio 2020, recante «Scioglimento del consigli comunale di Amantea e nomina della commissione straordinaria», in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, anno 161 – numero 65, 12 marzo 2020, p. 3.

[206] F. BENVENUTI, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, in Scritti giuridici, vol. 1, Monografie e manuali, Marsilio, 2006, p. 905.

[207] M. MAGRI, op. cit., pp. 104-105.

[208] Cfr. note 99 e 100.

[209] N. GRATTERI, A. NICASO, Storia segreta della ‘ndrangheta, in Conclusioni, Mondadori, 2018.