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Pubbl. Dom, 26 Apr 2020

Video amatoriali alle Forze dell´ordine che eseguono controlli: profili di liceità

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autori Giuseppe Ferlisi , Marco Nigro



Traendo spunto dai recenti casi di cronaca e dai numerosi video diffusi sui social network, ritraenti cittadini che filmano con il proprio smartphone il personale di sicurezza in attività servizio, questo articolo si propone di verificare se tale condotta è permessa e quando e se può diventare reato.


ENG Taking as a starting point the recent news cases and the numerous videos on social networks depicting citizens filming with their smartphones the security staff in service activity, this paper aims to verify whether this conduct is allowed and when, and whether it can turn into a crime.

Sommario: 1. Introduzione 2. Le pronunce del Garante della Privacy; 3. La Corte di Giustizia europea e la giurisprudenza italiana; 4. I reati in materia di violazione dei dati personali.; 5. Conclusioni

1. Introduzione

Lo scorso 20 Aprile il Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia ha sollevato il “caso” delle riprese video durante i controlli di Polizia: “troppa strafottenza, troppa mancanza di rispetto verso chi cerca di mantenere l’ordine in un momento in cui è a rischio la salute di tutta la popolazione” è quanto affermato da Stefano Paoloni nel comunicato stampa 40/2020 (allegato al presente elaborato), il quale aggiunge “un fenomeno di queste settimane che reputo offensivo e lesivo della dignità di ogni singolo poliziotto. Riprendere con i cellulari le fasi di un controllo di Polizia, farlo in modo sempre più provocatorio, offensivo e lesivo non solo della divisa che indossiamo ma dello Stato che rappresentiamo è cosa che deve essere immediatamente fermata”. 

Effettivamente, con i noti limiti in materia di spostamento e mobilità personale, ampiamente diffusi altrove in questa Rivista, essere sottoposto a controllo da parte delle forze dell’ordine è diventata una evenienza ordinaria e, in proporzione, sono aumentate per i cittadini anche le occasioni per registrare le fasi di un controllo di polizia,  anche al fine di precostituirsi una prova in caso di abusi.
Difatti, uscire di casa e spostarsi è ormai consentito solo per le note “esigenze” (lavoro, salute, beni primari) le quali, se sottoposti ad accertamento, dovranno essere oggetto della altrettanto famosa “autodichiarazione” o, in alternativa, riferite al personale e raccolte in apposito verbale.
Tuttavia, l’alto numero di decreti emessi dall’Esecutivo (anche a distanza di giorni) l’ambiguità di alcune disposizioni (capaci di generare dibattiti interpretativi anche tra i non addetti ai lavori) unitamente all’aggravamento delle restrizioni imposte da alcune regioni (vedi la Campania) hanno generato disorientamento e nervosismo non solo tra i cittadini, ma anche nelle stesse forze dell’ordine, improvvisamente catapultate nel gestire un’emergenza epidemiologica senza precedenti.

A ciò si è aggiunga come, negli ultimi anni, con il progresso tecnologico, la pretenziosità di molti cittadini di informarsi e ritenersi competenti dopo qualche ricerca su google è via via cresciuta e questa, unita ad un certo atteggiamento di diffidenza nei confronti degli apparati, ha prodotto dei casi che fino a qualche decina di anni fa non si sarebbero mai verificati; uno di questi è, appunto, quello di filmare con lo smartphone le forze dell’ordine, ritenendosi più informati o competenti degli stessi o comunque vittima di non meglio imprecisate ingiustizie (è ormai divenuto virale il famoso caso dell'uomo che vantava di essere soggetto di diritto internazionale e quindi avulso da limitazioni nazionali).
Non va infine sottaciuto che a questo atteggiamento ha, purtroppo, contribuito anche qualche noto caso di cronaca che, a causa di singoli soggetti che hanno fatto risentire le stesse forze di appartenenza, ha dipinto per il personale di pubblica sicurezza un’immagine di prepotenti o, peggio, picchiatori.

Può certamente capitare che il personale di p.g. sia in errore, per questo il presente elaborato, anche sulla spinta delle dichiarazioni “forti” rese nel comunicato stampa del Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia, intende chiarire se si possano riprendere o meno in video gli stessi nel corso di un controllo e l’eventuale uso che si possa fare del filmato qualora si riscontrino, in esso, condotte non conformi o irregolarità.

Sebbene si è partiti da un caso attuale, quello del controllo dell’autocertificazione, tale interrogativo può presentarsi anche in occasioni di manifestazioni pubbliche, ad esempio.

2. Le pronunce del Garante della Privacy

Orbene, la questione viene affrontata in Italia già nel 2011, quando il Garante della Privacy rispose ad un quesito posto dal Ministero degli Interni: si possono filmare o fotografare gli agenti delle forze dell’ordine?

In quel caso il Garante rispose affermativamente, almeno in linea generale, aprendo così alla possibilità di riprendere in video o foto gli agenti nell’ambito dell’esercizio delle proprie funzioni; tuttavia dispose che potevano applicarsi alcune eccezioni in caso ci fossero ordinanze specifiche, per limitare la diffusione di immagini delle forze dell’ordine in un determinato luogo o determinato momento per ragioni di sicurezza.
Ciò produsse alcune incongruenze, ma tale decisione del Garante del 2011 merita di essere menzionata perché chiarì come anche alle forze dell’ordine si applicassero le norme del Codice della Privacy, con l’effetto che i dati personali degli agenti valgono come quelli di un normale cittadino.
A tal riguardo, il Codice della privacy allora in vigore – prima del suo adeguamento al recente GDPR di fonte europea – differenziava la condotta di “riprendere” con quella di “diffusione”, stabilendo che si possano effettuare riprese anche di un comune cittadino, ma che per pubblicarla si necessita sempre di un suo consenso, su qualunque piattaforma, sia stampata che digitale.
Tale divieto, comunque, non vale quando l’ignaro cittadino è ripreso accidentalmente, ad esempio, quando si scatta una foto per riprendere il monumento; altra eccezione è rappresentata, ovviamente, dal diritto di cronaca, ossia per diffondere una notizia di interesse generale senza scadere nella morbosità.

3. La Corte di Giustizia europea e la giurisprudenza italiana.

Successivamente, nel 2019, veniva interrogata della questione la Corte di Giustizia Europea, che si espresse con la sentenza C-345/17: un uomo lettone aveva filmato la sua deposizione in un commissariato e diffuso il video su Youtube.
In Lettonia la giurisprudenza ordinò la rimozione del video e contro queste decisioni fu investita proprio la Corte Europea.
La sentenza summenzionata specificò che le immagini degli agenti nell’esercizio delle loro funzioni sono dati personali, e per questo tutelati dalla privacy, potendosi diffondere solo per il diritto di cronaca, diritto esercitabile anche dai non giornalisti.
In sostanza la Corte confermava la decisione del Garante per la privacy italiano di qualche anno prima, statuendo che registrare l’immagine delle persone, anche pubblici ufficiali, rientri nell’ambito dei dati personali, ivi compresi i casi in cui la registrazione è immagazzinata in un sistema di registrazione continua come lo smartphone e la successiva pubblicazione sulla pagina internet.
I giudici europei chiarivano che le riprese effettuate da una persona che non ricopre il ruolo di giornalista professionista non escludono il fatto che tale trattamento sia stato svolto per scopi giornalistici; il concetto di "finalità giornalistica" deve essere inteso in senso lato e in esso può farsi rientrare il più generale scopo della divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee. Con la conseguenza che i video di agenti di polizia ripresi nella loro qualità di pubblici ufficiali intenti nell'espletare le loro mansioni e pubblicati su internet possono ritenersi legittimi, potendosi disquisire in sede di merito della diffusione e della sua inerenza o meno con il diritto di cronaca.

La giurisprudenza italiana, più volte interrogata sulla questione (ex multis Cass. sent. n. 24288/2016 del 10.06.2016, allegata), ha risposto alla questione ribadendo quanto già espresso in più arresti in proposito della registrazione “di nascosto”.
E’ sempre possibile registrare ciò che dice una persona, anche senza il suo consenso, purché questo non avvenga presso il suo domicilio o altro luogo di privata dimora, o comunque dove la persona “registrata” abbia una maggiore sfera di riservatezza (automobile, lavoro, studio professionale, luogo di lavoro). Tra questi, non rientrano Commissariato, Stazione dei Carabinieri o uffici comunali, tutti luoghi pubblici o aperti al pubblico, in cui parlare di lesione della privacy ha poco senso; ovviamente tra i luoghi pubblici rientra anche la strada.
La registrazione può essere fatta da qualunque privato, senza bisogno dell’ autorizzazione preventiva del Magistrato, ed è per questo che ad essa non è assimilata la normativa in materia di intercettazioni in senso stretto, che sono, invece, di competenza della polizia giudiziaria.
Per la Suprema Corte, chi dialoga accetta il rischio di essere registrato.
Infatti, il contenuto della conversazione captata può essere prodotta in processo senza particolare formalità, rientrando tra le cd. prove atipiche regolate dall’art. 189 c.p.p. ed il cui accoglimento è subordinato alla decisione del giudice, il quale deve verificare se la stessa prova comprime la libertà morale del soggetto in gioco.
Ovviamente tutte queste considerazioni in tema di registrazione audio sono compatibili con le ipotesi di registrazione audio e video, quindi tutti quei casi di registrazione a mezzo dello smartphone.
Registrare sembra, quindi, una condotta consentita, con l’eccezione, però, di norme ad hoc, quali ad esempio quelle che limitano questo esercizio in tema di segreto istruttorio, e quelle che ne restringono il luogo.
Infatti, chi registra una conversazione in privata dimora, intesa nella sua accezione allargata e ricomprendente tutti i luoghi in cui si svolge la propria vita privata, commetterebbe il reato di illecita interferenza nell’altrui vita privata.
Tale reato, previsto dall’art. 615 bis c.p. punisce chi “mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614 (abitazione altrui, o altro luogo di privata dimora, o appartenenze di essi), è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. E' soggetto alla stessa pena chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte dell'articolo”.
Esso si perfeziona, quindi, nel momento in cui l’autore stesso si procura indebitamente le immagini o la registrazione audio e se tale impostazione lo rende un reato a consumazione “istantanea”, esso può ben atteggiarsi quale reato permanente quando il comportamento viene eseguito con modalità continuativa, ad esempio a mezzo di una “app” che consente di visionare a distanza quanto ripreso da telecamere precedentemente occulate; a tale scopo, il reato permanente permette l’arresto in flagranza (es. Cass. Sez. V. n. 9966/2018).

4. I reati in materia di violazione dei dati personali

Di tal che, tornando al caso in analisi, se registrare il personale di polizia che ci sottopone a controllo sembra l’esercizio di un diritto lecito – essendo la pubblica via certamente un luogo pubblico - ciò che trasforma tale condotta in reato è sicuramente la sua pubblicazione, su qualunque mezzo sia, compresi social network o WhatsApp, di quest’ultimo i suoi “gruppi” sono sempre più considerati alla stregua di un social vero e proprio, con le conseguenze penali anche in tema di diffamazione, ad esempio.
Violare il Codice della Privacy e le disposizioni al suo interno sono vere e proprie condotte di reato, ma per farne un sunto preciso, occorre sicuramente fare riferimento al recente GPDR, introdotto con il Regolamento UE n. 2016/679.
Il GDPR dispone (art. 84) che sia compito dei singoli Stati membri regolamentare la materia criminale, con sanzioni che siano "effettive, proporzionate e dissuasive". In tale prospettiva il legislatore italiano ha rivisto le fattispecie penali previste dal Codice in materia di protezione dei dati personali, confermandole sostanzialmente ed introducendo la previsione del danno come elemento caratterizzante in alternativa allo scopo di profitto.
Quindi, non si terrà contro del solo profitto economico dell’autore dell’illecito, ma anche del danno arrecato agli interessati, compreso il danno d’immagine e reputazionale della vittima, in tal modo coprendo le fattispecie di revenge porn (analizzato altrove da questa Rivista in un elaborato raggiungibile a questo link).
Inoltre, visto che la materia prevede un’astratta concorrenza tra Garante della privacy e la giurisdizione penale, è stato previsto un meccanismo di coordinamento tale che il Magistrato del Pubblico Ministero deve informare al Garante “al più presto”, e viceversa, che il Garante deve trasmettere alla Procura la documentazione raccolta in sede amministrativa se viene ravvisato un reato.
Altro meccanismo di coordinamento è quello volto ad adottare la cd. “doppia sanzione”, prevedendo la non applicazione della sanzione penale nel caso in cui, allo stesso fatto, viene applicata la sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante.
A fini riassuntivi, le fattispecie di reato in materia di protezione di dati personali sono le seguenti:

- Trattamento illecito di dati;
- Comunicazione e diffusione illecita di dati personali;
- Acquisizione fraudolenta di dati personali;
- Interruzione dell'esecuzione dei compiti o dell'esercizio dei poteri del Garante;
- Inosservanza di provvedimenti del Garante;
- Violazioni in materia di controlli a distanza dei lavoratori.

Per motivi di indagine, si esaminerà solo il reato attinente al caso di specie, ossia il trattamento illecito di dati; è questa, infatti, la condotta che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno inteso quale vietata ed è quella al quale andrebbe incontro chi diffonde il video del controllo al “posto di blocco”.
Il trattamento illecito di dati è punito dall’art. 167 del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Tale disposizione, già prevista, è stata ampliata con l’introduzione del GDPR e prevede che “è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, arreca nocumento all'interessato in violazione di specifiche disposizioni di legge” (come quelle che regolamentano il trattamento di dati ex art. 9 e il trasferimento internazionale dei dati personali). L'aggiunta del "danno" consente di ricomprendere tra le fattispecie punibili anche condotte quali il "revenge porn”.
“E' altresì punito chi, al fine di trarre per sè o per altri profitto o di arrecare danno all'interessato procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un'organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti, arreca nocumento all'interessato.”
La pena è diminuita se per lo stesso fatto è applicata la pena pecuniaria del Garante.

5. Conclusione

A seguito delle recentissime pronunce europee e nazionali, possiamo assumere la liceità della registrazione, anche a mezzo video, delle forze dell’ordine, a patto che questo non costituisca una forma talmente invasiva tale da costituire reato, come quello di interruzione di pubblico ufficio punito dall’art. 340 c.p.
Ovviamente, si necessita che la captazione sia operata in luogo pubblico.
Diversamente, la diffusione è vietata in ogni modalità, costituendo questa una violazione dei dati personali, tutelati per ogni cittadino così come per i pubblici ufficiali, allorquando non vi sia consenso dell’interessato ovvero vi sia diffusione senza offuscamento del volto o di altri particolari volti all’identificazione.
Diversamente, una diffusione, per così dire, “libera” del video è da ritenersi lecita solo quanto rientri nell’esercizio del diritto di cronaca, invocabile anche dai non giornalisti professionisti, ma dai parametri molto stringenti, quali l’interesse pubblico della notizia e la non lesione della dignità della persona ripresa.


Note e riferimenti bibliografici