Pubbl. Lun, 8 Apr 2019
L´introduzione del c.d. Revenge Porn: il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti
Modifica paginaCodice Rosso: la stesura dell´emendamento della ”pornovendetta” va al Senato.
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il c.d. “Revenge Porn”: cenni. - 3. Contenuto del “nuovo reato” ex art. 612 ter c.p. - 4. Rilievi conclusivi.
1. Premessa
Il provvedimento all'esame dell'Assemblea (Disegno di legge C. 1455 "Modifiche al codice di procedura penale: disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere") modificato dalla Commissione Giustizia, riformulando l'emendamento Zanella, introduce nel codice penale la nuova fattispecie delittuosa di "Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti".
A legislazione vigente il nostro ordinamento penale non prevede un reato specifico di diffusione di materiale sessualmente esplicito destinato a rimanere privato, ma soltanto una serie di disposizioni che puniscono la condotta di colui il quale in vario modo divulga non consensualmente il materiale in questione: basti pensare alla diffamazione a mezzo internet (art. 595 c.p.), al trattamento illecito di dati personali (art. 167, d.lgs. n.196/2003), alle pubblicazioni e spettacoli osceni (art. 528 c.p.), alla produzione e divulgazione della pornografia minorile (art. 600 ter c.p.), alle interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.), allo stalking (atti persecutori ex art. 612 bis c.p.) e al reato di diffusione di riprese e registrazione fraudolente (art. 617 septies, comma 1, c.p.). Per di più, in passato, le condotte riconducibili al reato de quo, venivano spesso fatte coincidere alle ipotesi di “femicidio indiretto”, in cui l’auto-uccisione della donna avveniva a seguito di gravi violazioni della sfera intima[1].
2. Il c.d. “Revenge Porn”: cenni.
Con la locuzione inglese “revenge porn”[2], si fa riferimento alla “vendetta pornografica” che definisce il fenomeno di condivisione telematica non consensuale, che matura solitamente nell’alveo di una relazione sentimentale, consistente nella pubblicazione di immagini o video hard da parte del revenger (uno dei due membri della coppia), con lo scopo di vendicarsi arrecando conseguenze dannose ed irreversibili all’ex partner[3].
La definizione sembra corretta, ma rimane la sensazione che si potesse utilizzare invece una locuzione già esistente nella lingua italiana, quale “Pornovendetta”[4]. Tuttavia, in questo caso, l’espressione di forestierismo, sta ad indicare tutte le forme di condivisione via web già punite nei Paesi Anglosassoni e assimilabili per certi versi alla molestia online, che può comunemente interpretarsi come un “ricatto sessuale”[5].
Il revenge porn non va inteso come un problema momentaneo o isolato, poiché il progredire delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha inasprito l’offensività di determinate condotte e ha esasperato le conseguenze irrimediabili della divulgazione online di materiale intimo[6].
La piaga del fenomeno, non poteva lasciare indifferente ancora a lungo il legislatore italiano; ma a differenza di altri Paesi (come il Regno Unito, il Canada e molti Stati degli USA), in Italia, le condotte di condivisione telematica non consensuale di immagini o video sessualmente espliciti non costituiscono gli estremi di un reato. Nel Regno Unito, ad esempio, il successo dell’emendamento sul revenge porn, è dovuto alle statistiche delle vittime del fenomeno stesso, mentre in Italia, i riflettori si sono accesi dopo la tragica vicenda di Tiziana Cantone, suicidatasi il 13 settembre 2016, dopo essere diventata popolare, suo malgrado, per la diffusione online di alcuni video hard.
3. Contenuto del “nuovo reato” ex art. 612 ter c.p.
Nonostante, analogo disegno di legge, fosse stato presentato precedentemente in Senato, l'art. 612 ter (previsto dopo l'articolo 612 bis c.p. “Atti persecutori” c.d. stalking, nell'ambito dei delitti contro la persona -Libro II, Titolo XII-, e in particolare dei delitti contro la libertà morale -Capo III, Sezione III-) è stato inserito nell'Allegato A riferito al C-1455 della seduta in Assemblea del 2 aprile 2019.
Il testo dell’emendamento approvato dalla Camera con 461 voti a favore e nessun voto contrario, all’art. 5 bis stabilisce l’introduzione del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, ossia il c.d. Revenge porn.
L’art. 5 bis, comma 1, introduce l’articolo 612 ter per punire con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000, chiunque:
- dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate (primo comma);
- avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento (secondo comma).
La norma ha carattere sussidiario, difatti la clausola iniziale «salvo che il fatto costituisca più grave reato» sembra orientare l'applicazione solo quando il fatto non presenti gli estremi di un più grave reato. Circa la costruzione normativa, il delitto in questione, configurato come reato comune ( in quanto soggetto attivo può essere “chiunque” ), sembra rappresentare un reato di pericolo, per la cui configurabilità non viene richiesta la viralità della condivisione online tale da ledere la riservatezza della vittima con irreversibili conseguenze.
Come può evincersi, la norma, in realtà prevede due fattispecie di reato: il primo comma, dal punto di vista materiale, richiede che il soggetto agente ponga in essere condotte di divulgazione, dopo la realizzazione o la sottrazione di materiale sessualmente esplicito. Il fatto, però, per essere penalmente rilevante, deve avere per oggetto immagini o video destinati a rimanere privati, ma poi successivamente pubblicati o diffusi senza il consenso dell'interessato. Invece, sul piano soggettivo, trattandosi di un delitto, tutti i frammenti della fattispecie devono essere coperti dal dolo. Difatti, perché si configuri il reato è richiesto il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di sottrazione o realizzazione di immagini o video dal contenuto sessualmente esplicito e poi la successiva pubblicazione o diffusione del materiale intimo.
Il secondo comma, invece, punisce chi riceve o acquisisce il materiale sessualmente esplicito ponendo in essere le condotte articolate nel primo comma senza il consenso delle persone rappresentate al fine di arrecare nocumento attraverso la divulgazione del materiale suddetto. Sembra che il legislatore ha voluto escludere le condotte di chi dimostri di non aver voluto arrecare conseguenze dannose alla vittima, ma, tuttavia, l'onore probatorio sembra abbastanza gravoso.
La disposizione prevede poi alcune circostanze aggravanti speciali. In particolare:
- la pena è aumentata se a commettere il delitto è il coniuge o una persona legata da relazione sentimentale alla vittima, ed altresì se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici (terzo comma);
- la pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza (quarto comma).
Per quanto concerne le questioni processuali, il delitto di revenge porn è procedibile a querela della persona offesa. La querela è proponibile nel termine di sei mesi e la remissione può essere soltanto processuale. Tuttavia, si procede d’ufficio qualora ricorra l’ipotesi del quarto comma o se il fatto è commesso in relazione a reati per i quali si deve procedere d’ufficio (quinto comma).
4. Rilievi conclusivi
In definitiva, il nostro ordinamento abbisogna di una fattispecie di reato ad hoc idonea a reprimere il dilagante fenomeno del revenge porn. La ratio dell'intervento si giustificherebbe, pertanto, nel vuoto di tutela e nella severità dell’impatto sulla vittima della condotta divulgativa non consensuale, poiché una volta online, qualsiasi sia il materiale pubblicato, non conosce oblio; pertanto l’irreversibilità della pubblicazione sembrerebbe giustificare extrema ratio dell’intervento del diritto penale[7].
In ogni caso, se la formulazione della norma dovesse rimanere tale, continuerebbe a destare incertezze non facilmente superabili. A fronte di ciò, colmate le inevitabili lacune e superate le aporie scontate, i numerosi dubbi interpretativi potranno sciogliersi solo con l'applicazione concreta della fattispecie in esame.
In conclusione, riportando l’intervento quanto mai appropriato della deputata Federica Zanella, ci si augura che l'evidente foga punitiva che pare caratterizzare il nuovo intervento normativo, possa essere in parte corretta nel corso dell’iter legislativo.
«Ribadisco, noi riteniamo che fosse fondamentale colmare questo vulnus normativo, perché le due fattispecie di reato di sexting e revenge porn vanno veramente a dare delle risposte immediate ai cittadini ed è per quello che a noi non interessava, come abbiamo significato più volte, “brandizzare” un emendamento, ci interessava che questa norma passasse. Siamo felici che finalmente ci sia, siamo felici che sia una battaglia condivisa con l'intero Parlamento»[8].
[1] In argomento, è significativo il caso mediatico di Tiziana Cantone, ragazza suicidatasi a Napoli, in conseguenza del malessere psicologico causato dalla diffusione, diventata virale, di un video pornografico compiuto dalla stessa. In argomento, Macrì Francesco, Femicidio e tutela penale di genere, Torino, 2018, 149 ss.
[2] Locuzione inglese composta dalle voci revenge «vendetta» e porn abbreviazione di pornografhy «pornografia».
[3] Gian Marco Caletti, “Revenge porn” e tutela penale, in Diritto penale contemporaneo 3/2018, 74 ss.
[4] L’Accademia della Crusca, la secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire la purezza della lingua italiana, analizzato dal punto di vista lessicale il disegno di legge che introduce il reato di “revenge porn”, ha esortato ad evitare l'uso di "forestierismi opachi". I linguisti dell’Accademia, bocciando il termine inglese “revenge porn”, hanno criticato i commentatori del disegno di legge, suggerendo, pertanto, l’adozione della forma univerbata, esistente nella lingua italiana, quale “Pornovendetta”. Cfr, La Repubblica 4 aprile 2019.
[5] Di solito, trattasi di selfie o video sessualmente espliciti, scattati dalla stessa vittima, ma destinati a rimanere privati, oppure di riprese all’insaputa dell’interessato.
[6] Gian Marco Caletti, op.cit., 66 ss.
[7] ivi, 69.
[8] XVIII Legislatura, Resoconto stenografico dell’Assemblea, seduta n.154 di martedì 2 aprile 2019. Disponibile su www.camera.it.