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Pubbl. Sab, 11 Apr 2020

La posizione dell´individuo nel diritto internazionale e le restrizioni per fermare il Covid-19

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Riccardo Samperi
Dottorando di ricerca



La soggettività internazionale dell´individuo non può essere invocata per giustificare la violazione degli obblighi imposti dal governo per fermare il contagio da Covid-19.


ENG The international personality cannot be invoked by individuals to justify violations of rules made by the government in order to stop the contagion from Covid-19.

Coronavirus, ciclista multato per la terza volta: lui rivendica di essere “persona umana soggetto di diritto internazionale”

Così titola Il Fatto Quotidiano (*) - analogamente ad altri quotidiani - su una vicenda di cronaca che è arrivata all'attenzione di moltissimi cittadini in questo periodo di emergenza. Il nostro scopo, con il presente articolo, è chiarire quanto ci sia di vero in quell'affermazione.

Il diritto internazionale, a differenza del diritto interno, non è emanato da una autorità giuridica sovraordinata rispetto ai destinatari (il Parlamento negli ordinamenti di civil law, la giurisprudenza in quelli di common law), ma è prodotto dai suoi stessi destinatari: gli Stati, che sono enti “superiorem non recognoscentes” (ovvero, non riconoscono un superiore), posti tra loro su un piano di (formale) parità[1].

Si tratta, quindi, di un diritto prodotto su base volontaristica, sotto forma di consuetudine o di accordi, condensati in trattati internazionali.

È evidente la differenza tra le due categorie di norme: quelle consuetudinarie vincolano la totalità degli Stati; al contrario, quelle pattizie vincolano soltanto gli Stati parti del trattato (salvo che – come spesso accade – il contenuto del trattato coincida con consuetudini internazionali).

Le entità statali sono, quindi, i soggetti per eccellenza del diritto internazionale[2].

Il novero dei soggetti giuridici internazionali, tuttavia, non si esaurisce nell’insieme degli Stati che formano la Comunità internazionale, ed infatti sono dotati di soggettività anche enti ulteriori, come le Organizzazioni internazionali[3].

La dottrina tradizionale escludeva che gli individui, in quanto tali, fossero dotati di soggettività giuridica sul piano internazionale, e ciò perché:

  1. essi non prendono parte al procedimento di formazione delle norme internazionali, siano esse consuetudinarie o pattizie;
  2. a differenza degli Stati, non possono agire personalmente a tutela dei propri diritti (sia in via di autotutela che davanti a tribunali internazionali)[4].

In sostanza, gli individui sarebbero stati meri “oggetti” o, al più, meri beneficiari indiretti delle norme internazionali[5].

Per usare le parole di Santi Romano,

«essendo la Comunità internazionale […] una comunità paritaria, fondata sul principio dell’indipendenza e dell’uguaglianza dei suoi membri, ne rimangono esclusi coloro che, per vincoli di subordinazione verso altri enti, non potrebbero in essa assumere una certa posizione di autonomia, che è altresì necessaria perché il mantenimento dei loro impegni non sia impedito da una volontà estranea. In altri termini, le persone internazionali sono sempre, per usare un’espressione del linguaggio diplomatico, delle Potenze»[6].

Si tratta di una teoria sviluppatasi tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, quando gli Stati, assoluti o totalitari, avevano un potere sostanzialmente illimitato sugli individui, che non erano “cittadini”, ma “sudditi”.

Al tempo, gli Stati creavano norme giuridiche vincolanti solo per disciplinare interessi propri, per lo più politici, economici e militari. Inizialmente, i Trattati avevano ad oggetto materie quali guerra, pace, rapporti economici; tutte questioni, insomma, molto eterogenee tra loro, ma accomunate dal profondo disinteresse dei governanti verso l’individuo.

Dunque, la teoria elaborata dalla dottrina tradizionale è comprensibile (e anche condivisibile) soltanto se inquadrata nel contesto storico di riferimento. Gli autori classici non hanno fatto altro che “fotografare” la realtà giuridica internazionale nella quale vivevano; ed effettivamente, in quel contesto, gli individui erano condannati all’irrilevanza sul piano del diritto internazionale.

Bisogna, tuttavia, prendere atto del profondo cambiamento intervenuto iniziato dalla seconda metà del XX secolo. Dopo l’abominio della Seconda Guerra mondiale, infatti, la società civile ha gradualmente acquisito consapevolezza del proprio ruolo (quantomeno nel “blocco occidentale”) e a fare pressione sul mondo politico, rivendicando i propri diritti.

Non a caso, è proprio in questa fase storica che si afferma la “dottrina dei diritti umani”, che ha profondamente inciso – mutandolo – sul contenuto dei trattati internazionali, i quali iniziano ad occuparsi di diritti umani – oltre che di interessi prettamente statali[7].

Per tali ragioni, la ricostruzione teorica della dottrina classica, aderente alla realtà giuridica del tempo, appare oggi superata. L’individuo, quindi, oggi è un soggetto di diritto internazionale, seppur dotato di una soggettività più ristretta e limitata rispetto a quella degli Stati. Tale assunto è confermato da talune circostanze fattuali che costituiscono indici rivelatori della parziale soggettività degli individui, ossia: a) il moltiplicarsi di trattati internazionali, sia universali che regionali, a tutela dei diritti umani; b) il riconoscimento, da parte della giurisprudenza internazionale, della titolarità di diritti immediatamente esercitabili dagli individui nei confronti degli Stati; c) il riconoscimento di una responsabilità, personale e diretta, in capo agli individui in caso di commissione di gravi crimini internazionali[8].

È chiaro, tuttavia, che la soggettività internazionale non può essere “sfruttata” per giustificare la violazione delle leggi dello Stato. La rilevanza internazionale dell’individuo, infatti, è circoscritta alla titolarità di diritti fondamentali e al corrispondente obbligo degli Stati di rispettarli. La titolarità di tali posizioni soggettive, però, non fa venire meno i doveri dei cittadini nei confronti dello Stato, solitamente sanciti a livello costituzionale, che costituiscono uno dei pilastri su cui si fonda lo Stato democratico e di diritto.

Nell’ordinamento italiano, l’articolo 2 della Costituzione «richiede l’adempimento [n.d.r. da parte dei cittadini] dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» che sono:

  1. Il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4);
  2. Il dovere di difendere la Patria (art. 52);
  3. Il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art. 53);
  4. Il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi (art. 54).

Le uniche persone fisiche che godono di uno speciale trattamento sono gli stranieri e gli agenti diplomatici e consolari nel Paese ospitante:

«gli Stati sono tenuti ad astenersi da comportamenti che possono compromettere il c.d. dovere di fedeltà dello straniero rispetto al proprio Stato: non possono imporre obblighi di natura politica o militare, né impedirgli di rientrare nel proprio paese qualora richiamato dal proprio Stato, che mantiene il c.d. jus advocandi sui propri cittadini. È consentita, invece, l’imposizione di obblighi di natura patrimoniale o civica (nel caso, ad esempio, di calamità naturali), che però devono essere giustificati dalla presenza di un legame effettivo dello straniero rispetto allo Stato impositore»[9].

L’articolo 37 della Convenzione di Vienna sulle relazioni ed immunità diplomatiche del 1961, che codifica una norma consuetudinaria, riconosce l’immunità diplomatica ai capi delle missioni diplomatiche, ai membri delle famiglie di questi, ai membri del personale amministrativo e tecnico della missione, ai capi di Stato e di governo e ai ministri degli esteri nelle loro visite ufficiali all’estero. Tali soggetti godono di immunità in quanto organi dello Stato di nazionalità, per conto del quale operano.

Tradizionalmente si distinguono immunità personali (ratione personae) e funzionali (ratione materiae).

L’immunità funzionale concerne le attività svolte dai soggetti sopra menzionati nell’esercizio delle loro funzioni, e permane anche dopo la cessazione dalle stesse[10].

Per la dottrina prevalente, esiste una norma consuetudinaria di carattere generale, in virtù della quale l’immunità funzionale impedisce allo Stato ospitante l’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei soggetti immuni, i cui atti sarebbero imputabili non alla persona fisica, ma allo Stato di rappresentanza, in virtù della teoria di immedesimazione organica[11].

Per quanto concerne l’immunità personale, essa preclude l’esercizio della funzione giurisdizionale nei confronti dei soggetti titolari dell’immunità per il compimento di qualsiasi atto (e non soltanto per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni).

Qualora il medesimo soggetto, per il periodo in cui esercita le proprie funzioni, goda contemporaneamente delle due tipologie di immunità, quella personale, più ampia, ingloba quella funzionale[12].

Non è agevole individuare i beneficiari dell’immunità personale. Sicuramente ne godono gli agenti diplomatici, che – ai sensi della Convenzione di Vienna del 1961 – hanno una immunità assoluta dalla giurisdizione penale e, con alcune eccezioni, da quella civile e amministrativa (art. 31). Egli, inoltre, gode di inviolabilità personale ed è esente dall’obbligo di deporre come testimone[13]. Secondo l’orientamento maggioritario, beneficerebbero dell’immunità personale – analogamente agli agenti diplomatici – anche i capi di Stato e di governo e i ministri degli esteri in missione ufficiale[14]. Sarebbero quindi esclusi i familiari di tali soggetti.

Naturalmente tali immunità non possono essere invocate nell’ipotesi in cui il soggetto si sia macchiato di crimini internazionali, individuati dallo Statuto della Corte penale internazionale (genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e tortura)[15].


Note e riferimenti bibliografici

(*) Link

[1] C. Focarelli, Lezioni di storia del diritto internazionale, Perugia, 2005, 1.

[2] P. Bargiacchi, A. Sinagra, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Milano, 2009, 34.

[3] Nel parere dell’11 aprile 1949, la Corte internazionale di giustizia, ha riconosciuto all’ONU «the capacity to bring an international claim against the responsible de jure or de facto government with a view to obtaining the reparation due in respect of the damage caused to the United Nations, to the victim or to persons entitled through him», p. 14. Nel caso di specie, il conte Folke Bernadotte, mediatore incaricato dalle Nazioni Unite di negoziare la pace tra Israele e gli Stati arabi, era stato ucciso a Gerusalemme e l’Organizzazione aveva accusato Israele di non avere adottato tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza di Bernadotte, contribuendo, così, alla sua morte.

[4] Tuttavia, la situazione è profondamente mutata dopo la seconda guerra mondiale. Oggi, infatti, vi sono tribunali internazionali che ammettono ricorsi individuali (si pensi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e alla Corte di giustizia dell’Ue). F. Mastromartino, La soggettività degli individui nel diritto internazionale, in Diritto e questioni pubbliche, Palermo, 2011, 415-437.

[5] E. Cannizzaro, Corso di diritto internazionale, Torino, 2016, 329-330.

[6] S. Romano, Corso di diritto internazionale, Padova, 1939, 60. Quadri R., La sudditanza nel diritto internazionale, Padova, 1935, 58 e ss.

[7] A. Cassese, Diritto internazionale, Bologna, 2013, 193 e ss. T. Treves, Diritto internazionale, Milano, 2005, 191 e ss. M. Franchi, I. Viarengo, Tutela internazionale dei diritti umani. Casi e materiali, Torino, 2017, 1 e ss. C. Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 2013, 1 e ss. C. Focarelli, La persona umana nel diritto internazionale, Bologna, 2013.

[8] R. Samperi, La soggettività internazionale degli individui: una questione ancora aperta?, Messina, 2017, 5. F. Mastromartino, op. cit. C. Focarelli, Schemi delle lezioni di diritto internazionale, Perugia, 2003, 30. P. Bargiacchi, A. Sinagra, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Milano, 2009, 91. A. Gioia, Diritto internazionale, Milano, 2010, 4. S. Marchisio, Corso di diritto internazionale, Torino, 2014, 281. R. Sapienza, Diritto internazionale, Torino, 2013, 51.

[9] A. Cassese, Diritto internazionale, Bologna, 2013, 193-195.

[10] P. De Sena, Diritto internazionale e immunità funzionale degli organi statali, Milano, 1996. M. Frulli, Immunità e crimini internazionali, Torino, 2007.

[11] H. Kelsen, Principles of International Law, Londra, 1952, 235 e ss. G. Morelli, Diritto processuale civile internazionale, Padova, 1954, 201 e ss.

[12] M. Frulli, Immunità, Enciclopedia giuridica Treccani, 2013.

[13] M. Frulli, op. cit.

[14] A. Watts, The Legal Position in International Law of Heads of States, Heads of Governments and Foreign Ministers, 1994, 9 e ss., cit. di M. Friulli, op. cit.

[15] M. Friulli, op. cit.