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Pubbl. Sab, 30 Mag 2020

Emergenza sanitaria e poteri amministrativi di regolazione

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Chiara Campagna



L´attuale scenario di emergenza nazionale presta il fianco ad una molteplicità di riflessioni sul piano giuridico, specie in tema di poteri di regolazione riconosciuti alle Autorità Pubbliche centrali e periferiche. Invero, proprio in relazione al margine di manovra concesso alle Autorità predette (Sindaco, Prefetto, Capo della Protezione Civile) nel perseguimento dell´interesse pubblico e tenuto conto della maggiore o minore intensità dei vincoli che la legge pone all´attività amministrativa, si incardina la questione dell´effettivo riconoscimento in capo alla P.A. di poteri amministrativi limitativi del principio di legalità sostanziale, tra i quali rientra, in primis, quello delle ordinanze extra ordinem, volto a contrastare situazioni di emergenza di qualsivoglia tipo.


Sommario: 1. La tutela della salute e il riparto di competenze tra Stato e Regioni; 2. Il diritto alla salute nel sistema amministrativo italiano a "geometrie variabili"; 3. I margini di manovra della P.A.: l'affievolimento del principio di legalità in senso forte; 4. I poteri amministrativi di regolazione dell'amministrazione decentrata: il potere di ordinanza del Sindaco ex art. 54 TUEL; 5. Il potere di ordinanza della Protezione Civile; 6. Conclusioni.

1. La tutela della salute e il riparto di competenze tra Stato e Regioni.

La tutela della salute, stigmatizzata nell’art. 32 della nostra Carta Fondamentale, è stata da sempre riconosciuta dal legislatore costituente il primo tra i diritti inviolabili dell’uomo, inteso non solo come singolo ma anche come membro di una collettività organizzata.

L’importanza assoluta di tale diritto, si evince, peraltro, in ulteriori disposizioni costituzionali, il cui caso emblematico è rappresentato proprio dall’art. 117, comma 3, Cost., il quale richiama espressamente la tutela della salute tra le ipotesi di potestà legislativa e regolamentare concorrente tra Stato e Regioni. Ciò comporta, in ragione del suddetto riparto di competenze, la necessità di distinguere il piano normativo da quello gestionale al fine di comprendere al meglio l’organizzazione dei servizi sanitari nel nostro Paese. Invero, se sul piano normativo spetta allo Stato definire con legge i principi fondamentali del sistema sanitario, sul piano gestionale compete alle Regioni darne effettiva attuazione. 

Emerge in modo evidente, dunque, la volontà del legislatore, insieme ai successivi interventi di riforma del Titolo V della Costituzione[1], di non volere radicare la tutela di tale diritto fondamentale alla sola competenza legislativa esclusiva dello Stato, quale apparato centrale, bensì di consentire anche alle autonomie territoriali, in forza del riconoscimento del pluralismo istituzionale e del decentramento amministrativo, espressamente e rispettivamente sanciti dagli artt. 114 e 5 Cost., di godere di un potere di regolazione a garanzia della salute della comunità tutta.

2. Il diritto alla salute nel sistema amministrativo italiano a "geometrie variabili".

Nell’ambito del sistema amministrativo, il diritto alla salute assurge, altresì, a rango di diritto soggettivo, legittimando talvolta il ricorso a poteri extra ordinem e latu sensu amministrativi, per la cui tutela effettiva non risulta necessario ricorrere ad una forma di intermediazione del potere pubblico, rispondendo, dunque, allo schema norma-fatto-effetto.

Prendendo le mosse dal momento dinamico del diritto amministrativo come forma di attuazione del public power riconosciuto alla P.A., si evidenzia, peraltro, come esso trovi il suo fondamento nella relazione che intercorre tra amministrazione, intesa non solo come apparato burocratico ma anche come mera attività amministrativa, e privati, concretizzandosi in un rapporto non puramente paritetico ma partecipativo e relazionale, grazie al quale si opacizza il carattere unilaterale dell’autorità pubblica in ossequio al confronto leale e democratico tra potere e interesse. La legge, infatti, nel legittimare un determinato apparato amministrativo all’esercizio del potere, individua, quali obiettivi dell’azione, determinati fini di interesse pubblico.

È proprio la doverosità del perseguimento di un interesse di stampo prettamente pubblico che rappresenta uno dei maggiori punti dolenti tra l’attività pubblicistica e l’attività negoziale privatistica, libera nell’individuazione dei fini oltre che delle modalità attraverso cui perseguirli.

Alla P.A. è, difatti, riconosciuta una capacità di diritto pubblico, che trova la sua massima estrinsecazione nell’esercizio di un potere amministrativo, sistematicamente riconosciuto proprio nell’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, che lo vincola sostanzialmente “al perseguimento dei fini determinati dalla legge e retto da principi di economicità, efficienze, efficacia, sussidiarietà, imparzialità, pubblicità e trasparenza”. Nell’esaminare i principi che regolano il potere amministrativo, non può, dunque, dimenticarsi come spesso i principi di derivazione costituzionale, europea e internazionale si intreccino a formare un sistema omogeneo e compatto di garanzie e tutele, anche in virtù dei richiami operati non solo dall’art. 117, comma 1, Cost., ma anche dall’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo summenzionata.

Trattasi di un potere non originario ma derivato, nel senso che è la legge che seleziona gli interessi da proteggere attraverso una norma attributiva del potere, la quale poggia sulla tradizionale distinzione tra norme di azione, che disciplinano l’esercizio del potere nel solo interesse della P.A., e norme di relazione, che regolano i rapporti intercorrenti tra amministrazione e privati cittadini.

3. I margini di manovra della P.A.: l'affievolimento del principio di legalità forte.

Giova, altresì, precisare che proprio sulla base della norma di attribuzione del potere appare opportuno operare una distinzione in relazione ai margini di manovra concessi alla P.A. nel perseguimento dell’interesse pubblico. È possibile, infatti, che l’attività pubblica sia riconosciuta come attività vincolata, quando è la stessa legge con rigidità a stabilire ex ante tutti i presupposti inerenti l’esercizio del suddetto potere, lasciando alla P.A. solo il potere di verificarli, o come attività discrezionale, ovvero nel caso in cui la legge lascia all’autorità amministrativa ampi margini di decisione anche di natura tecnica per l’adozione di una puntuale determinazione. È per questa ragione che la discrezionalità giunge a connotare l’essenza stessa dell’amministrazione, che si trova sovente a dover bilanciare gli interessi che caso per caso si contendono il campo.

Sul punto appare opportuno, difatti, tracciare il discrimen tra discrezionalità amministrativa e tecnica: mentre la prima consiste nella facoltà di scelta da parte della P.A. tra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, attraverso un’operazione di bilanciamento tra quelli in conflitto; la seconda, invece, non presuppone un vaglio di interessi ma implica il ricorso a nozioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico, connotandosi di inevitabile soggettività.

Ne discende che la stessa discrezionalità non può considerarsi in senso assoluto libera e autonoma, dovendo tararsi su di una maggiore o minore intensità dei vincoli che la legge pone all’attività amministrativa.

La legalità, infatti, viene tradizionalmente definita come il principio dei principi, assumendo in particolare un ruolo centrale di garanzia e tutela del cittadino di fronte al rischio di un esercizio non corretto e arbitrario del potere pubblico. Pur non essendo citato in modo espresso nella Costituzione, tale principio può rintracciarsi implicitamente negli artt. 25, comma 2, 24, 95, 97, 103, 113 Cost., ponendosi, peraltro, come monito al rispetto del principio "montesqueiano" di separazione dei poteri. È la stessa legge che, infatti, viene intesa non tanto come vincolo, ma come fattore di legittimazione, tanto da assumere, sia a livello costituzionale che a livello sovranazionale, matrice sostanziale.

Essa si pone in modo imperativo come strumento atto alla fissazione non solo delle regole, dei presupposti e dei criteri direttivi di esercizio del potere, ma anche del contenuto, con particolare riferimento ai fini, ai modi e alle regole di carattere procedimentale che lo attualizzano. E tale assunto corrisponde alla accezione che nel nostro ordinamento riveste il principio di legalità, intesa quindi in senso forte.

Giova, a tal proposito, precisare, che la portata applicativa del suddetto principio si articola in tre differenti intensità: debolissima, debole e forte. E se da un lato la legalità in senso debolissimo è intesa come mera conformità del provvedimento alla legge, essendo validi tutti gli atti non vietati dalla legge; dall’altro, la legalità in senso debole si riferisce a un vero e proprio limite positivo al potere amministrativo, essendo consentiti solo gli atti da essa autorizzati.

Analizzato, dunque, il principio di legalità nella sua connotazione sostanziale in senso forte, a cui il nostro stesso ordinamento aderisce, si rileva come esso sia stato, tuttavia, temperato da istituti che ne hanno determinato una vera e propria attenuazione o degradazione. Trattasi, segnatamente: delle ordinanze di necessità e urgenza, volte a tutelare la sicurezza, l’incolumità e dunque interessi pubblici primari; del riconoscimento di poteri impliciti, quali poteri attribuiti alle Autorità Amministrative Indipendenti, al fine di far fronte a materie di particolare complessità tecnica in mancanza di una investitura legislativa (risultano per vero investite di poteri di rule making, che non incidono negativamente e direttamente sulla sfera giuridica del privato), la cui lacuna sia compensata da un rafforzamento della legalità procedurale[2]; dei regolamenti indipendenti ex art. 17, comma 1, lett. e) della legge n. 400 del 1988, completamente autonomi senza che alcuna legge investa con un’autorizzazione il titolare del potere regolamentare.

4. I poteri amministrativi di regolazione dell'amministrazione decentrata: il potere di ordinanza del Sindaco ex art. 54 TUEL.

Ne discende, dunque, che tra i poteri amministrativi di regolazione in caso di emergenze di qualsivoglia tipologia, e limitativi della legalità sostanziale, rientra in primis quello delle ordinanze extra ordinem. Gli ordinamenti statuali, infatti, al fine di far fronte a situazioni che possano mettere a rischio interessi fondamentali della comunità, si dotano del potere di ordinanza, di difficile inquadramento nell’ambito delle fonti secondarie del diritto amministrativo. Si tratta, invero, di atti a contenuto atipico che possono anche derogare, come espressione del potere extra ordinem, alla disciplina normativa di rango primario, ma pur sempre nel rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento.

È bene precisare, inoltre, che, con l’avvento della Costituzione, tale potere è stato preliminarmente riconosciuto in gran parte al Governo, non solo nei casi di straordinaria urgenza e necessità ma anche in caso di guerra, attraverso l’emanazione di decreti legge ex art. 77 Cost., quali atti aventi forza di legge nel sistema delle fonti del diritto.

Ma procedendo con l’analisi dell’istituto in questione, l’attenzione non può che soffermarsi sulla capacità delle suddette ordinanze di derogare alla disciplina di rango primario, facendo, altresì, sorgere dubbi interpretativi circa la loro natura giuridica. Sul punto, si sono contese il campo tre differenti orientamenti: si è fatta strada la tesi normativa, secondo la quale le predette ordinanze rientrano nell’alveo delle fonti del diritto in ragione del loro contenuto generale, astratto e innovativo; su altro versante, è stata elaborata una seconda tesi, la quale riconosce natura provvedimentale a tali atti, rimarcando l’eccezionalità del potere nonché la temporaneità degli effetti incompatibile con il carattere normativo. Infine, una tesi preferibile propone una valutazione in base alle circostanze concrete delle ordinanze.

Sotto il profilo oggettivo, tra i presupposti che legittimano l’attribuzione del potere straordinario di ordinanza, si tiene espressamente conto delle situazioni di necessità e urgenza, la cui indeterminatezza ha sollevato dei profili di illegittimità costituzionale, come emerge dall’art. 54 del TUEL. Invero, con sentenza n. 115 del 2011 la Consulta[3] ha dichiarato l’illegittimità del comma secondo nella parte in cui comprende la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”. A detta della Corte, la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci non limitato ai soli casi contingibili e urgenti, viola la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.[4], in quanto non prevede alcuna forma di delimitazione della discrezionalità amministrativa. Proprio in ragione di evitare un potere amministrativo illimitato, lesivo, pertanto, del principio di legalità in senso forte, sono stati elaborati una serie di limiti di natura non solo temporale ma anche procedurale: trattasi della temporaneità dei provvedimenti extra ordinem e degli obblighi di motivazione e adeguata istruttoria. Un ulteriore richiamo al potere di ordinanza del sindaco si rinviene, inoltre, nel comma quinto dell’art. 50 del TUEL, il quale statuisce l’intervento dello stesso, quale rappresentante della comunità locale, in caso emergenze sanitarie o di igiene pubblica.

5. Il potere di ordinanza della Protezione Civile.

Nell’ordinamento vigente, tuttavia, il potere di ordinanza di necessità e urgenza non si incardina esclusivamente nella figura del sindaco, potendosi bensì individuare una molteplicità di soggetti investiti del potere su richiamato. Basti pensare al Prefetto, quale ufficiale del governo, come emerge dall’art. 2 del R.D. 733 del 1931 (TULPS); al Presidente della Giunta Regionale, quale autorità sanitaria regionale; al Ministro della Sanità, ai sensi dell’art. 32 della l. 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

La legge n. 225 del 1992 istitutiva della Protezione Civile ha, altresì, dotato quest’ultima del potere di ordinanza.

È bene precisare che, in epoca previgente, si è assistito a notevoli abusi nonché ad un utilizzo improprio di tale strumento da parte della stessa Protezione Civile, il cui impiego, previsto anche per eventi di non particolare gravità, ha per molti costituito una vera e propria forma di violazione del principio di determinatezza in ragione dell’inserimento, nella summenzionata legge, dell’espressione "grandi eventi".

Oggi, al fine di perimetrare e circoscrivere il continuo e abnorme proliferarsi delle suddette ordinanze, si osserva che le stesse presuppongono la dichiarazione a monte dello stato di emergenza ad opera del Consiglio dei Ministri, adottata da ultimo nella forma di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, limitandone, per vero, il margine di discrezionalità e autonomia regolativa.

L’assoluta decompressione del potere riconosciuto in capo alla Protezione Civile, ha aperto, inoltre, le strade al fenomeno del commissariamento. Sempre più frequente è, infatti, la previsione e l’istituzione di organi amministrativi straordinari che trovano ragion d’essere in svariate esigenze quali: una situazione d’emergenza, un’impossibilità a provvedere per l’amministrazione ordinaria, un’esigenza di realizzare obiettivi specifici e prioritari.

Prima della riforma del Titolo V della Costituzione, tale istituto trovava espresso riferimento nella figura del Commissario di Governo, cui era stato addirittura attribuito un potere di visto delle leggi regionali prodotte dai relativi organi. Condizione successivamente mutata con la riformulazione dell’art. 120 Cost., la quale ha invece registrato un notevole ridimensionamento del ruolo di controllo del Governo, in favore di una maggiore autonomia delle Regioni e degli enti locali in merito allo stato emergenziale regolato in prima battuta dall’intervento della Protezione Civile.

Emerge, dunque, che l’attivazione del sistema nazionale della Protezione Civile e del commissariamento si pone non più come potere sostitutivo, in particolare, delle Regioni o degli enti locali, salvo casi di ripetuta inerzia, ma come mero supporto all’attività degli stessi.

In linea di principio, difatti, le decisioni assunte a livello statale non possono essere derogate dagli enti regionali e locali, specie nel caso in cui sia stata dichiarata una situazione di emergenza nazionale, al fine di mantenere omogeneità e unitarietà alla strategia politica adottata dal Governo e in virtù del principio di leale collaborazione. Tuttavia, motivate deroghe possono rinvenirsi nel caso di prescrizioni più stringenti rispetto a quelle statali, con la possibilità degli enti locali di poter, specie in casi di emergenza sanitaria, assumere autonome decisioni relative all’organizzazione ed erogazione delle prestazioni attinenti alla salute pubblica.

6. Conclusioni.

Ne discende che tali argomentazioni trovano la loro ragion d’essere nell’obbligo gravante in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, sancito dall’art. 95 Cost., di assicurare il mantenimento dell’unità dell’indirizzo politico e amministrativo, al fine di evitare, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, che interventi regionali o locali possano vanificare la complessiva gestione dell’emergenza soprattutto in casi in cui debbano essere limitati diritti costituzionalmente garantiti.

Ciò non osta, in via generale, al riconoscimento di una gestione unitaria e centralizzata da parte del potere politico condivisa con le altre realtà territoriali, seppur non dotate di totale autonomia, tenuto conto delle peculiarità di ogni contesto locale.

Sul punto, peraltro, giova menzionare un recentissimo parere del Consiglio di Stato[5] circa l’annullamento straordinario da parte del Governo, ex art. 138 T.U.E.L.[6], di un’ordinanza emanata dal Sindaco di Messina[7], poi definitivamente disposto con D.P.R. 9 aprile 2020.

I giudici amministrativi con il provvedimento de quo hanno, infatti, riscontrato non solo la violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., introducendo una vera e propria disparità di trattamento tra “i soggetti che per motivi legittimi hanno necessità di attraversare lo Stretto, rispetto alla generalità dei cittadini sul restante territorio nazionale”, ma anche un concreto oltraggio degli artt. 13 e 16 Cost[8].

Ebbene, in buona sostanza, l’attenzione di questi tempi è stata posta concretamente sulla tutela dell'unità dell'ordinamento, la quale evidenzia una sua rinnovata attualità e rilevanza, proprio a fronte di fenomeni di dimensione globale, quali l'attuale emergenza sanitaria che affligge il Paese, al fine di garantire il razionale equilibrio tra i poteri dello Stato e tra questi e le autonomie territoriali.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Legge costituzionale n. 3 del 2001.

[2] F. CARINGELLA, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Dike, 2019.

[3] Corte Cost., 7 aprile 2011, n. 115, con cui la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la norma che, a partire dal 2008, consentiva al sindaco, quale ufficiale del Governo, di adottare ordinanze anche non contingibili e urgenti, al fine di eliminare gravi pericoli per la sicurezza urbana.

[4] Art. 23 Cost., il quale dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

[5] Consiglio di Stato, parere 7 aprile 2020, n. 735.

[6] L’art. 138 TUEL afferma, infatti, che “In applicazione dell’art. 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con Decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il parere del Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”.

[7] Ordinanza del Sindaco di Messina 5 aprile 2020, n. 105.

[8] L’ Art. 13 Cost., infatti, quale unica deroga alla libertà personale, ammette i provvedimenti che l’autorità di pubblica sicurezza può adottare in casi di eccezionalità e urgenza indicati tassativamente dalla legge; l’art. 16 Cost. poi prevede, inoltre, che ciascun cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo quanto diversamente previsto dalla legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.