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Pubbl. Mar, 26 Mag 2020

La riforma delle intercettazioni ad opera della legge n. 7 del 2020

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Dario Tilenni Scaglione



Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni rappresentano un importante mezzo di ricerca della prova che, in virtù delle peculiari caratteristiche che lo connotano e degli interessi che vengono in gioco, prima fra tutte la segretezza delle comunicazioni - costituzionalmente tutelata - è stato più volte modificato dal legislatore nella speranza di delineare una disciplina in grado di contemperare i contrapposti interessi. Il presente lavoro, fondandosi su tale premessa, passa in rassegna gli interventi normativi che si sono avuti in questa materia, partendo dal d.lgs n. 216/2017 sino all´analisi della recente modifica apportata dalla legge n. 7 del 28 febbraio 2020, cercando di evidenziare punti di forza e zone d´ombra che caratterizzano tale delicata materia.


ENG The interception of conversations or communications represent an important means of seeking evidence that, by virtue of the peculiar characteristics that connote it and the interests that come into play, first of all the secrecy of the communications - constitutionally protected - has been modified several times by the legislator in the hope of outlining a discipline capable of balancing the opposing interests. This work, based on this promise, reviews the regulatory interventions that have taken place in this matter, starting from legislative decree no. 216/2017 until the analysis of the recent change made by law no. 7 of 28 february 2020, trying to highlight strengths and gray areas that characterize this delicate matter.

Sommario:  Premessa; 2. Necessità di riforma: il d.lgs. 216/2017;  2.1. La struttura del d.lgs. 216; 3. La legge n. 7 del 2020; 4. La vigente disciplina delle intercettazioni: a) limiti di ammissibilità, presupposti e forme del provvedimento; b) esecuzione delle operazioni e conservazione della documentazione; 4.1. L’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi alla luce del nuovo art. 270 c.p.p.: le Sezioni Unite 2 gennaio 2020, n. 51 ; 5. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Tra i mezzi di ricerca della prova disciplinati dal codice di procedura penale[1], rilevante importanza assumono le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni che veicolano innanzi al giudice fonti del suo convincimento che preesistono e che quasi sempre sono acquisite nella fase delle indagini preliminari; quindi, in quanto mezzi di ricerca della prova, operano essenzialmente in un momento antecedente alla formazione della prova che avviene, invece, nella fase dibattimentale nel contraddittorio delle parti[2].

La nozione di intercettazione, regolata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., è stata definita dalla giurisprudenza di legittimità come “la captazione ottenuta mediante strumenti tecnici di registrazione, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l’apprensione medesima è operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza agli interlocutori”[3].

Caratteristica delle intercettazioni è quindi il loro essere un “atto a sorpresa” che però incide fortemente su una fondamentale libertà costituzionalmente protetta, vale  a dire la libertà delle comunicazioni che l’art. 15 della Costituzione definisce quale diritto “inviolabile” e che pertanto può essere limitata solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nel rispetto di tutte le garanzie stabilite dalla legge.[4]

L’importante tutela offerta alla libertà della corrispondenza e della comunicazione si giustifica proprio perché esse costituiscono forme di espressione di un’altra inviolabile libertà: la libertà personale cristallizzata dall’art. 13 della Costituzione, intesa quale condizione indispensabile per il godimento di tutte le altre libertà riconosciute dal nostro ordinamento.

Proprio l’essere un mezzo di ricerca della prova particolarmente invasivo della libertà personale dei singoli, fa comprendere appieno l’importanza ed il rilievo dei vari interventi di riforma che si sono avuti negli ultimi anni, volti a contemperare i contrapposti interessi in gioco; ossia, da un lato, la libertà - costituzionalmente protetta - delle comunicazioni e dall’altro l’esigenza di ricercare ed acquisire fonti di prova per la repressione di reati di particolare allarme sociale. 

Rilevanti modifiche a tale materia sono state apportate innanzitutto dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216[5] e da ultimo dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 che ha convertito, con modificazioni, il decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161[6]

Il presente lavoro, sulla base di tali premesse, vuole delineare un quadro, seppur sommario, della disciplina delle intercettazioni; pertanto, dopo aver analizzato le modifiche intervenute negli ultimi anni, si passerà all’esame della disciplina attualmente vigente.

2.  Necessità di riforma: il d.lgs. n. 216/2017.

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni hanno da sempre attirato l’attenzione del legislatore che è intervenuto più volte, mosso dall’intento di eliminare alcuni effetti distorsivi di tale mezzo di ricerca della prova, specialmente sul piano della tutela delle garanzie difensive dei soggetti interessati.

Analizzando gli interventi legislativi in tale materia, si deve segnalare, innanzitutto, il d.lgs 29 dicembre 2017,  n. 216,  emanato in attuazione della delega prevista dalla legge 103/2017, la c.d. “Riforma Orlando” che, confermando il ruolo delle intercettazioni come fondamentale strumento di indagine, mirava a creare un giusto equilibrio tra la segretezza della corrispondenza e di ogni altro tipo di comunicazione e il diritto all’informazione[7].

La riforma attuata nel 2017 è frutto della necessità avvertita dal legislatore di porre mano a tale istituto, stante gli accesi dibattiti socio-politici che lo hanno interessato; infatti, da una parte c’era chi sollecitava la riforma per scongiurare l’eccessiva lesione della sfera di riservatezza dei cittadini e dall’altra, invece, i tentativi di riforma non erano mai andati  a buon fine perché ritenuti idonei a favorire la criminalità organizzata, limitando i poteri degli organi inquirenti.

Dal punto di vista giuridico, invece, si fronteggiavano due opposti orientamenti; un primo orientamento auspicava la riforma in quanto la disciplina non garantiva un equo bilanciamento dei valori costituzionali in gioco, mentre una diversa corrente di pensiero sosteneva che gli abusi riscontrati nell’impiego di tale mezzo di ricerca della prova fossero dovuti  non tanto a causa di limiti delle norme, quanto piuttosto in conseguenza di applicazioni pratiche scorrette[8].

Il confronto tra queste due impostazioni ha avuto il merito di indicare al legislatore quale metodo seguire nella modifica di tale istituto, distinguendo i diversi piani delle questioni determinate, separando, cioè, il profilo dei requisiti di ammissibilità delle intercettazioni e il catalogo dei reati per cui sono ammesse dal profilo degli inconvenienti che sarebbero potuti scaturire.

È emersa cioè la consapevolezza di distinguere le questioni e gli interessi di cui sono portatori i soggetti coinvolti e quindi regolamentare i rapporti tra l’Autorità giudiziaria che si avvale di tale strumento e i soggetti interessati, sempre nell’ottica della tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni, costituzionalmente garantite.

Tenendo a mente tali necessità, il legislatore del 2017, emanando il d.lgs. n. 216 ha attuato la delega contenuta nell’ art. 1 comma 82 della legge n. 103/2017 per apportare una prima modifica all’istituto.

La delega contenuta nella legge n. 103, ha diretto l’intervento del Governo essenzialmente in due direzioni; da un lato per evitare il diffondersi dei risultati acquisiti fin quando vige il segreto investigativo e dall’altro ha dato direttive all’Esecutivo in tema di c.d. captatore informatico, stabilendo una serie di criteri per regolamentare l’utilizzo di tale strumento particolarmente penetrante e invasivo della riservatezza delle comunicazioni.

      2.1. La struttura del d.lgs. n. 216/2017.

Dopo aver, seppur sommariamente, delineato le ragioni della riforma attuata nel 2017, appare opportuno esaminare la struttura ed il contenuto del d.lgs n. 216 che si compone di 9 articoli[9].

Con l’art.1 è stato introdotto nel codice penale il nuovo reato di “Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente” previsto dall’art. 617-septies, che punisce la diffusione, al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese o registrazioni effettuate fraudolentemente[10].

L’art. 2 disciplina le modalità di redazione del verbale delle operazioni di intercettazioni, vietando la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni del difensore nei colloqui con l’assistito e le comunicazioni che non hanno rilevanza ai fini delle indagini e quelle contenenti dati ritenuti sensibili dalla legge.

L’art. 3, invece, rappresenta il nucleo centrale della nuova disciplina perché regolamenta l’udienza di selezione e acquisizione delle conversazioni che dovrà essere chiesta dal pubblico ministero al momento del deposito delle captazioni e comunque non oltre la conclusione delle indagini preliminari.

Con l’art. 4 si disciplina l’uso del captatore informatico, precisando che è sempre consentito nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., quando si procede per i gravi delitti previsti dall’art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p.

L’art. 5 ha modificato l’art. 89 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale relativo al verbale delle operazioni di intercettazioni, inserendo il nuovo art. 89-bis riguardante l’archivio riservato delle intercettazioni e il nuovo art. 92 comma 1-bis, importante qualora sia stata richiesta una misura cautelare[11].

L’art. 6 a sua volta, vuole semplificare le condizioni per l’impiego delle intercettazioni nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione.

All’art. 7 sono previste disposizioni per le intercettazioni mediante captatore informatico, demandando ad un decreto ministeriale il compito di stabilire i requisiti tecnici di tale strumento.

L’art. 8 prevede la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall’attuazione della riforma non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, mentre l’ultimo articolo detta una norma transitoria in base alla quale la riforma potrà applicarsi alle intercettazioni autorizzate dopo 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo, ovvero alle intercettazioni autorizzate dopo la data del 26 luglio 2018.

Tuttavia, a tal proposito è necessario sin d’ora ricordare che la riforma realizzata con il d.lgs n. 216, non ha, di fatto, mai trovato attuazione, in quanto la sua entrata in vigore è stata più volte posticipata[12], fatta eccezione per le previsioni dell’art. 6 dello stesso decreto legislativo, relative ai presupposti delle intercettazioni in procedimenti per reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, che, sottoposto alla vacatio legis ordinaria, era già in vigore il 26 gennaio 2018[13].

Un altro rinvio all’entrata in vigore delle disposizioni emanate dal d.lgs 216/2017 è stato effettuato ad opera dell’art.1 del d.l. n. 161/2019 che, prima della sua conversione in legge, aveva previsto che tali disposizioni avrebbero trovato applicazione ai procedimenti penali iscritti successivamente al 29 febbraio 2020; tuttavia, in sede di conversione del decreto legge n. 161/2019, le Camere hanno ancora una volta rinviato l’operatività della nuova disciplina, che verrà applicata, dunque, ai procedimenti penali iscritti nel registro delle notizie di reato in data successiva al 30 aprile 2020. Questo ulteriore rinvio è giustificato «dall’esigenza, diffusa su tutto il nostro territorio, di completare l’opera di adeguamento strutturale ed organizzativo presso tutti gli uffici delle procure della Repubblica alle nuove disposizioni», con particolare riguardo alla «predisposizione degli aspetti organizzativi imprescindibilmente connessi con l’avvio della digitalizzazione del sistema documentale e del software delle intercettazioni predisposto dal Ministero della giustizia»[14].

       3. La legge n. 7 del 2020.

Superato così l’intervento del 2017, il legislatore, “ritenuta la necessità ed urgenza di perfezionare e completare la nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche ed ambientali prima che la stessa acquisti efficacia[15] è ritornato, a distanza di due anni, a rivedere nuovamente la disciplina delle intercettazioni, emanando il d.l. n. 161 del 30 dicembre 2019, a sua volta convertito nella legge n. 7 del 28 febbraio 2020 che, sostanzialmente, è intervenuta sulle stesse norme del codice di rito già oggetto di modifica nel 2017.

Infatti, come è stato osservato, si configura in tal modo una sorta di “controriforma”, seppur in mancanza di un’abrogazione espressa del d.lgs. n. 216/2017, di cui, al contrario è stata prorogata l’entrata in vigore[16].

La riforma attuata dalla legge n. 7, tuttavia, è intervenuta anche su altre norme del codice non interessate dalla precedente riforma; chiaro esempio è dimostrato dall’introduzione, all’interno dell’art. 415-bis c.p.p., di un nuovo comma 2-bis con il quale è stato stabilito che nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari deve essere dato avviso all’indagato e al suo difensore della facoltà loro concessa di esaminare per via telematica gli atti relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni, ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni, nonché di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero[17].

Analoghe considerazioni possono essere fatte anche con riferimento al nuovo comma 2-bis dell’art. 454 c.p.p., in materia di richiesta di giudizio immediato[18].

Viene, infatti, previsto che, qualora il pubblico ministero non abbia provveduto ai sensi dell’art. 268 commi 4,5,6 c.p.p., (non abbia cioè depositato i verbali e le registrazioni presso l’apposito archivio di cui al comma 1 dell’art. 269 c.p.p.) egli debba depositare unitamente alla richiesta di giudizio immediato anche l’elenco delle intercettazioni o flussi di comunicazioni ritenuti rilevanti ai fini probatori[19].

Un’ultima modifica operata dalla legge n. 7 riguarda, infine, l’art.114 del codice di rito che non era stata oggetto di modifica ad opera del d.lgs. 216 e che concerne il divieto assoluto di pubblicare, anche in forma parziale, il contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli artt. 268 e 415-bis c.p.p.

Si tratta di una novità posta a tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti dalle attività di captazione, ma che, purtroppo, rischia di rivelarsi inefficace allo scopo perseguito, considerata l’irrisoria sanzione prevista per la contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, ex art. 684 c.p[20], che peraltro è suscettibile di oblazione.

Infine, prima di analizzare le novità introdotte, appare utile segnalare che a seguito della legge n. 7 risultano abrogate le disposizioni prima dettate dagli artt. 268-bis, -ter, e –quater del codice di rito[21].

      4. La vigente disciplina delle intercettazioni.

La legge n. 7, approvata il 28 febbraio scorso è entrata in vigore già il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Sulla scorta delle modifiche apportate con tale legge è possibile, adesso, esaminare l’attuale disciplina prevista dal codice di rito in materia di intercettazioni.

Per ragioni di chiarezza espositiva, si analizzeranno dapprima gli artt. 266 e 267 c.p.p. relativi alle condizioni di ammissibilità e ai presupposti e forme del provvedimento, per poi esaminare gli artt. 268 e 269 c.p.p., ampiamente modificati, che riguardano rispettivamente, invece, l’esecuzione delle operazioni e la conservazione della documentazione.

a) Limiti di ammissibilità, presupposti e forme del provvedimento.

Innanzitutto, è necessario esaminare quali sono i presupposti richiesti ex lege affinché l’autorità giudiziaria possa validamente disporne.

Le intercettazioni, come anticipato, sono regolate dagli artt. 266 e ss. del codice di procedura penale. L’art. 266 c.p.p., si occupa di definire i limiti oggettivi per l’ammissibilità delle intercettazioni, elencando tassativamente una serie di reati che in quanto tale non è suscettibile di interpretazione estensiva.   

Infatti, considerata la forte capacità invasiva nella vita dei consociati e la delicatezza degli interessi in gioco, il legislatore consente le intercettazioni solo per quei reati che assumono rilievo per l’entità della pena o per il bene giuridico da essi tutelato; in particolare, l’art. 266 c.p.p., prevedendo dei limiti di ammissibilità, stabilisce che l’intercettazione è consentita nei procedimenti relativi a: a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni; b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni; c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono; f-bis) delitti previsti dall'articolo 600 ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater 1 del medesimo codice, nonché dall’art. 609 undecies;

f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516, 517 quater e 633, secondo comma, del codice penale; f-quater) delitto previsto dall'articolo 612 bis del codice penale; f-quinquies) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo[22].

Dal punto di vista delle innovazioni normative apportate al comma in esame, l’unica novità risiede nell’aver esteso l’ammissibilità delle intercettazioni ai procedimenti relativi ai reati previsti dalla lettera f-quinquies, ovvero quei delitti commessi avvalendosi del metodo mafioso o per agevolare l’attività delle associazioni mafiose.

Al secondo comma, la norma disciplina invece le c.d. intercettazioni ambientali, ovvero le intercettazioni di comunicazioni che avvengono tra presenti e che possono essere eseguite mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile[23], che sono sempre consentite nei procedimenti per i gravi reati previsti dall’art. 51 commi 3bis e 3quater c.p.p[24].

Particolari esigenze, invece, sono richieste dal medesimo comma qualora si voglia procedere ad intercettazioni nei luoghi di privata dimora ai sensi dell’art. 614 c.p[25]., infatti, in tali casi, stante l’inviolabilità del domicilio, costituzionalmente garantita, l’operazione di intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che in detti luoghi si stia svolgendo attività criminosa.

La legge n. 7 del 2020 ha modificato, invece,  il comma 2-bis dell’art. 266 c.p.p. – introdotto ex novo dal d.lgs. n. 216/2017[26] -  ammettendo l’intercettazione ambientale c.d. “domiciliare” mediante il captatore informatico anche per i reati dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio contro la P.A., per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni[27], senza la necessità della prova del reato in fieri[28]

La delicatezza di tale materia ha indotto il legislatore a definire ulteriori limiti onde poter disporre di tale mezzo di ricerca della prova; a tal proposito viene in rilievo l’art. 267 c.p.p., che disciplina i presupposti e le forme del provvedimento.

Innanzitutto è bene precisare che le intercettazioni possono essere disposte dal pubblico ministero solo a seguito di autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, il quale le autorizza con decreto motivato, allorquando sussistono gravi indizi di reato e l’intercettazione si pone come assolutamente indispensabile, non già per l’inizio, ma per la prosecuzione delle indagini.

Ciò significa che l’indagine investigativa non può trarre la sua origine dalla intercettazione, ma soltanto riscontro e forza ulteriori.

Presupposto di tale mezzo di ricerca della prova è, quindi, la presenza di gravi indizi di reità e cioè della commissione di un reato ma non necessita della presenza di gravi indizi di colpevolezza, vale a dire della attribuibilità di un reato ad una determinata persona; tanto è vero se si pensa che anche la vittima di un reato può essere sottoposta ad intercettazione per registrare conversazioni.  (ad es., si pensi alla vittima di estorsione).

Al primo comma, l’art. in esame disciplina anche le intercettazioni tra presenti mediante captatore informatico, già previsto dalla riforma del 2017 che ammetteva l’suo di tale strumento e nel decreto il g.i.p. doveva indicare “le ragioni che rendevano necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini”, nonché, soltanto laddove si procedeva per delitti diversi da quelli di cui all’art. 51, c. 3bis e 3quater c.p.p., «i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono».

Questo regime d’eccezione è stato esteso dalla legge “spazza-corrotti” anche ai delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., e a seguito della legge n. 7/2020 anche ai reati commessi da incaricati di pubblico servizio per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione.

Resta invariato invece il comma 2 che riconosce al pubblico ministero di disporre l’intercettazione con decreto motivato ma soltanto nei casi di urgenza, ovvero quando vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un grave pregiudizio alle indagini. Il decreto, in ogni caso, deve essere comunicato non oltre le ventiquattro ore al gip che, a sua volta, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l’intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati.  

Interessato dalla riforma è stato, invece, il comma 2-bis, che era stato introdotto dal d.lgs 216.  

In particolare, tale comma individua i presupposti per la disposizione d’urgenza di intercettazioni ambientali ricorrendo al c.d. “trojan horse” (cavallo di Troia), ovvero un programma informatico che, essendo in grado di attivare il microfono e la fotocamera dello smartphone o dei personal computers, permette le intercettazioni delle conversazioni tra presenti, senza dover apporre materialmente in un ambiente una microspia[29].

Nel testo previsto dalla riforma del 2017, il pubblico ministero poteva disporre la misura con decreto motivato, nei casi di urgenza, allorquando vi fosse «fondato motivo» di ritenere che dal ritardo potesse derivare «grave pregiudizio alle indagini» (art. 267, c. 2 c.p.p.) e soltanto nell’ambito di procedimenti per i delitti di cui 51, c. 3bis e 3quater c.p.p.

La recente legge ha, invece, esteso la possibilità di procedere d’urgenza alle intercettazioni ambientali mediante l’impiego del captatore informatico anche nei procedimenti per delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena edittale della reclusione non inferiore a cinque anni.

La legge si preoccupa anche di limitare la durata temporale di tali operazioni che non può eccedere i quindici giorni, ma che, tuttavia può essere prorogata dal giudice con decreto motivato, qualora persistano i presupposti necessari a tal fine.

Si è già detto che a seguito della legge n. 7, quanto previsto al comma 2-bis dell’articolo in esame, per le intercettazioni relative ai gravi delitti di criminalità è stato esteso anche ai procedimenti per i reati contro la P.A.

Tale scelta normativa, indubbiamente, è sintomatica di un chiaro intento repressivo da parte del legislatore di quei  reati che offendono il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, però, tale equiparazione tra reati di criminalità e reati contro la P.A.,  può dare luogo a forti critiche; tanto è vero che, come sostenuto in dottrina, non si comprende quale sia la ratio di tale intervento e come possa giustificarsi la sottoposizione dei predetti delitti ad una disciplina che, agevolando le attività investigativa, finisce con attenuare fortemente i profili di garanzia, considerando che viene sempre in gioco una libertà costituzionalmente tutelata (art. 15 Cost)[30].

Particolare rilevanza assume anche la soppressione dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 267 c.p.p[31]., introdotto dal d.lgs 216 che attribuiva alla polizia giudiziaria un compito preliminare di notevole importanza, cioè quello di selezionare le intercettazioni rilevanti per le indagini e di informare preventivamente il pubblico ministero mediante annotazione scritta ex art. 357 c.p.p., sui soli «contenuti» delle intercettazioni e comunicazioni, e non sul testo integrale delle comunicazioni captate.

Tale disposizione, particolarmente contrastata da alcuni Procuratori della Repubblica, infatti, obbligava l’ufficiale di p.g., delegato all’ascolto dal pubblico ministero, ad attenersi a quanto prescritto dal comma 2-bis dell’art. 268 c.p.p., ovvero a non trascrivere, neppure sommariamente, le comunicazioni o le conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge.

Tuttavia, la soluzione adottata rischiava di contrastare con il divieto, espresso dall’art. 268, c. 2bis c.p.p., di trascrivere, anche sommariamente (e quindi anche nell’ambito di un’interlocuzione preliminare tra polizia giudiziaria e pubblico ministero), conversazioni o comunicazioni prive di rilevanza ai fini delle indagini; per tale ragione, tenuto conto anche delle difficoltà che il p.m avrebbe potuto incontrare nel verificare correttamente la rilevanza delle comunicazioni nella fase iniziale delle indagini preliminari, appare corretta la soluzione adottata dal legislatore dell’ultima novella di eliminare l’inciso dal corpo della norma così da privare la polizia giudiziaria di un compito particolarmente importante e delicato.

È stato, infatti, giustamente osservato che «è oltremodo frequente nella pratica che i dialoghi vengano captati in una serie di intercettazioni, anche intervallate, che maturano un più ampio esito comunicativo solo a distanza e nella loro lettura complessiva»[32], ragion per cui, aver soppresso la disposizione de qua, appare ancora una volta una scelta giusta e ponderata.

Contestualmente all’espunzione dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 267 c.p.p. è stato anche sostituito il comma 2bis dell’art. 268 c.p.p., il quale, venute meno le attribuzioni della polizia giudiziaria in punto di valutazione della rilevanza delle intercettazioni, attualmente dispone che sia il pubblico ministero a dare indicazioni ed a vigilare «affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini».

b) Esecuzione delle operazioni e conservazione della documentazione.

Passando ad esaminare, invece, le modalità di acquisizione delle intercettazioni, la legge n. 7 adotta una soluzione diversa da quella abbracciata dal d.lgs n. 216, ripristinando il testo dell’art. 268 c.p.p., antecedente alla riforma del 2017.

L’art. 268 prevede, innanzitutto che le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale in cui è trascritto, anche sommariamente il contenuto delle comunicazioni intercettate.

Oggetto di modifica è stato il comma 2-bis dell’articolo in esame; nella formulazione previgente il legislatore aveva previsto il divieto di trascrivere, anche sommariamente le comunicazioni o conversazioni che fossero irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti e parimenti il divieto riguardava anche quelle intercettazioni non rilevanti che riguardassero dati personali definiti sensibili dalla legge.

A seguito della novella apportata con la recente legge, invece, in questo comma si attribuisce l’importante potere al pubblico ministero di dare indicazioni e vigilare affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo risultino rilevanti ai fini delle indagini.

I commi 3 e 3-bis, a loro volta, continuano ad essere vigenti nella loro originaria formulazione; tali disposizioni, in concreto prevedono che le operazioni, debbano essere compiute avvalendosi esclusivamente degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, però, qualora tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, è data facoltà al pubblico ministero di disporre, con provvedimento motivato, che le operazioni siano compiute mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

La possibilità di avvalersi di impianti appartenenti a privati per il compimento delle operazioni è invece riconosciuta dal comma 3-bis nelle ipotesi in cui si proceda ad intercettazioni  di comunicazioni informatiche o telematiche.

Per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi di persone idonee che non possono rifiutare, ai sensi dell’articolo 348, comma 4[33].

È stato modificato, invece, il comma 4, relativo alla conservazione dei verbali (c.d. brogliacci di ascolto) e delle registrazioni che sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero, che non sono più conservati presso la sua segreteria, bensì all’interno dell’archivio gestito, diretto e sorvegliato dal Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni[34].

Il d.lgs del 2017 aveva abrogato i commi 5, 6, 7 e 8 dell’art. in esame, che oggi sono nuovamente vigenti.

 Assume rilievo il disposto del comma 6, ove  viene circoscritto l’obbligo, imposto all’organo inquirente, di dare avviso ai difensori delle parti della facoltà di esaminare gli atti ed ascoltare le registrazioni, dopodiché  il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni indicati dalle parti, laddove le stesse non appaiano « irrilevanti ». Viene previsto, inoltre, che il giudice proceda, anche d’ufficio, allo stralcio non soltanto delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione (secondo quanto prevedeva l’art. 268, c. 6 c.p.p. prima della novella del 2017), ma anche di «quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza».

In base alla versione originaria dell’art. 268, c. 6 c.p.p. (antecedente alla riforma del 2017), al contrario, il giudice poteva rigettare la richiesta di acquisizione soltanto in caso di “ manifesta irrilevanza ” dell’intercettazione: pertanto, in caso di dubbio circa la rilevanza, questa avrebbe dovuto essere acquisita. In tal modo, vengono ampliati i margini di discrezionalità del giudizio dell’organo giudicante, il quale sarà legittimato a disporre l’acquisizione della conversazione del materiale intercettivo soltanto in caso di piena e certa rilevanza dello stesso.

L’aver adottato il criterio della rilevanza ha fatto discutere, perché, se da una parte tutela maggiormente il diritto alla riservatezza, limitando il materiale da acquisire, dall’altra parte, tuttavia, risulta essere un limite del diritto alla prova, in quanto non rispondente ai criteri generali di ammissione della prova di cui all’art. 190 c.p.p. che fa riferimento alla “irrilevanza non manifesta”[35].

Resta salvo, infine, il diritto del pubblico ministero e dei difensori di partecipare all’udienza di stralcio che viene garantito dando loro l’avviso almeno ventiquattro ore prima del procedimento di stralcio.

Infine, il comma 7 prevede la trascrizione integrale delle registrazioni (ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazione), per essere inserita nel fascicolo per il dibattimento, e che tale attività può essere disposta anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo dibattimentale, nel rispetto delle garanzie previste dalla legge[36].

Giunti a tal punto, non resta che esaminare l’art. 269 c.p.p., che disciplina la conservazione della documentazione.

Con tale norma, la legge n. 7/2020 ha reintrodotto il sistema di conservazione delle intercettazioni in vigore prima dell’intervento del 2017, mantenendo la previsione dell’archivio gestito dalla Procura della Repubblica che era stato istituito proprio dal d.lgs del 2017[37].

Tra le modifiche apportate dalla recente legge a tale norma, viene in rilievo l’eliminazione dell’aggettivo “riservato” relativo all’archivio in questione e dell’inciso “coperti da segreto” relativo ai documenti ivi custoditi.

La soppressione di tali affermazioni, non vuole certamente significare che soggetti terzi possano accedervi liberamente; tanto è vero che il carattere della segretezza è stato ribadito anche nel riformato art. 89-bis disp. att. c.p.p. che al secondo comma sancisce che le modalità di gestione dell’archivio assicurano la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali.

Una novità importante riguarda, invece, le facoltà riconosciute alle parti che abbiano accesso all’archivio riservato: mentre la riforma del 2017 prevedeva che i difensori delle parti potessero soltanto ascoltare le registrazioni, in base alla riforma operata da ultimo, le parti, adesso,  possono anche ottenere copia delle registrazioni e degli atti quando acquisiti a norma degli articoli 268 e 415bis c.p.p.

È opportuno precisare che resta comunque immutata la previsione secondo cui al g.i.p. ed al difensore dell’imputato è in ogni caso consentito l’accesso all’archivio e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate (art. 269, c. 1 c.p.p.).

La legge n. 7/2020 ha anche riportato il testo del comma 2 dell’art. 269 c.p.p. alla versione vigente prima della riforma del 2017.

    Quest’ultima aveva infatti previsto che le parti potessero chiedere, a tutela della riservatezza, la distruzione di quelle registrazioni, conservate nell’archivio riservato fino a sentenza irrevocabile, che non fossero state «acquisite». Era stato, in tal modo, estesa la portata della richiesta in esame, in quanto le registrazioni «non acquisite» costituiscono una categoria più ampia rispetto a quella delle registrazioni “non necessarie per il procedimento”, prevista dal testo originario del comma 2 dell’art. 269 c.p.p. È stato, peraltro, osservato come tale soluzione normativa determinasse potenziali «rischi di dispersione (o meglio perdita) della prova», laddove, a seguito dell’accoglimento dell’istanza di distruzione delle registrazioni, queste fossero state invece ritenute rilevanti per i fatti oggetto di prova.

Ora, invece, gli interessati possono chiedere al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione, la distruzione della documentazione non necessaria per il procedimento per ragioni di tutela della riservatezza e sulla richiesta l’organo giudicante deciderà con le formalità previste per le decisioni in camera di consiglio, ex art. 127 c.p.p, controllando l’operazione di distruzione di cui viene redatto apposito verbale.

4.1. L’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi alla luce del nuovo art. 270 c.p.p.: le Sezioni Unite 2 gennaio 2020, n. 51 

Per completare il quadro – per quanto sommario – delineato con il presente lavoro, sembra opportuno, seppur brevemente, soffermarsi sulla disciplina dettata dal riformulato art. 270 c.p.p., riguardante l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello per il quale le stesse sono state autorizzate[38].

L’attuale formulazione della norma presenta evidenti differenze rispetto a quella delineata dal d.lgs. 216/2017. Il legislatore, pur ribadendo l’impossibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, salvo che risultino rilevanti ed indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, innova la portata di quest’ultima disposizione, estendendo la possibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni anche qualora si tratti di reati previsti dall’art. 266, vale a dire di reati per i quali generalmente esse sono consentite.

Di fondamentale importanza appare il disposto del comma 1-bis, relativo alla utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni tra presenti operate con il captatore informatico per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione.

La riforma del 2017 aveva escluso l’utilizzabilità, fatta eccezione per la sola ipotesi in cui tali risultati fossero «indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza».

La legge n. 7 ha adottato, invece, una soluzione di tutt’altro tenore, prevedendo l’utilizzabilità dei risultati anche per la prova di reati diversi, purché compresi tra quelli indicati dal comma 2-bis dell’art. 266 c.p.p.

Si tratta, ancora una volta, dei delitti di criminalità organizzata (art. 51, c. 1bis e 1quater c.p.p.) e di quei delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione che siano puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. A ben vedere, il mancato inserimento del requisito della “indispensabilità” per l’accertamento del fatto riduce gli oneri di motivazione imposti al giudice e legittima, certamente, l’utilizzo dei risultati delle intercettazioni in un numero ben più ampio di casi.

L’importanza e la delicatezza delle questioni nascenti dall’applicazione della disciplina dettata dall’art. 270 c.p.p., impone come necessario il richiamo ad uno degli aspetti più discussi da dottrina e giurisprudenza, vale a dire il significato da attribuire al concetto di “procedimenti diversi” di cui parla la norma e proprio su tale tema sono intervenute di recente le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 51/2020[39].

Con tale sentenza, le Sezioni Unite, restringendo l’ambito di operatività del divieto di cui all’art. 270 c.p.p., ed aderendo all’orientamento maggioritario, hanno privilegiato una nozione sostanziale e strutturale di “diverso procedimento”, rispetto alla quale risulta privo di rilevanza l’aspetto estrinseco e formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato (ritenuto invece decisivo dall’opposto filone interpretativo)[40].

La Corte, con tale pronuncia, discostandosi dalla giurisprudenza prevalente, non ha valorizzato qualunque tipo di nesso sul piano oggettivo, probatorio o finalistico, ma esclusivamente la connessione stricto sensu intesa tra procedimenti, la quale ricorre nei casi previsti dall’art. 12 c.p.p.

   Secondo le Sezioni Unite, infatti, soltanto in quest’ultimo caso può essere ravvisato quel “legame sostanziale” tra il reato in relazione al quale il provvedimento autorizzativo all’intercettazione è stato emesso ed il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione che rende «quest’ultimo reato riconducibile al provvedimento autorizzatorio e, dunque, in linea con l’art. 15 Cost. », il quale, come affermato dalla stessa Corte costituzionale, vieta “autorizzazioni in bianco”[41].

   Le Sezioni Unite hanno sottolineato, infatti, che in ogni caso, i risultati ottenuti sulla base dell'intercettazione autorizzata in relazione ad un diverso reato, nell’ambito di un procedimento connesso ex art. 12 c.p.p., possono essere utilizzati unicamente al fine di accertare un reato rispetto al quale ricorrano i requisiti di ammissibilità di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p, i quali sono «espressione diretta e indefettibile della riserva assoluta di legge ex art. 15 Cost. (…) e dell'istanza di rigorosa - e inderogabile - tassatività che da essa discende»[42].

   La possibilità di utilizzare i risultati delle attività di intercettazione in procedimenti differenti, da un lato può far sorgere dubbi con riguardo alle intercettazioni “tradizionali”, ma dall’altro suscita forti perplessità rispetto alle intercettazioni ambientali effettuate mediante captatore informatico in ragione del carattere particolarmente invasivo e sofisticato di questa modalità di captazione delle comunicazioni e, conseguentemente, del più elevato rischio di lesione del diritto alla riservatezza non soltanto di soggetti terzi, estranei al procedimento e solo occasionalmente coinvolti dall’attività di ascolto, ma anche dello stesso indagato.

  Tali problematicità spiegano, dunque, perché da più parti è auspicata una dettagliata regolamentazione da parte del Ministero della Giustizia, anche al fine di assicurare il rispetto del pieno contraddittorio tra le parti in una materia tanto delicata quale quella delle intercettazioni; per cui, in attesa dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’impiego del captatore informatico in operazioni di intercettazione ambientale appare ammissibile esclusivamente nelle ipotesi delineate dalle Sezioni Unite Scurato[43], ossia nell’ambito di procedimenti per reati di criminalità organizzata, comprensivi sia dei delitti di cui all’art. 51, c. 3bis e 3quater c.p.p., sia dell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., e con esclusione del mero concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p. Inoltre, in base a quanto statuito dalla Suprema Corte, in tali casi il captatore informatico potrà essere impiegato anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., peraltro anche in mancanza di un reato in fieri[44].

       5. Considerazioni conclusive.

Sulla scorta di quanto detto, è possibile trarre delle conclusioni in merito ad una tematica tanto delicata quanto importante quale quella delle intercettazioni.

Un dato appare privo di dubbi, ovvero l’intento perseguito dall’ultimo intervento del nostro legislatore, che, consapevole della farraginosa disciplina previgente, interviene – verosimilmente quale ultimo passo di un cammino particolarmente angusto della riforma Orlando – nel tentativo di rimuovere le più evidenti storture riscontrate in tale materia, senza però compromettere, al contempo, la tutela della sfera di riservatezza di soggetti estranei che potrebbero essere interessati dal procedimento e la tutela dei soggetti sottoposti alle indagini, tutelandoli dal pericolo di diffusione di quelle conversazioni irrilevanti, contenti espressioni lesive della reputazione o involventi dati sensibili[45].

Così è stato rivalorizzato il potere selettivo delle conversazioni rilevanti in capo al pubblico ministero favorendo una procedura, talora meno formale, ma sufficientemente adeguata all’esigenza, di delimitare il raggio delle conversazioni e comunicazioni utilizzabili e rilevanti per le indagini, rispetto alle quali soltanto viene ora concessa la facoltà di pubblicazione da parte degli organi di informazione.

Ne è emersa una disciplina che – nel ponderare più moderatamente la tutela della segretezza di ogni forma di comunicazione sulle esigenze non solo investigative ma, più ad ampio raggio, processuali – rispondere in maniera più incisiva alle necessità della pubblica accusa e della difesa[46], senza però rinunciare allo spirito riformatore che ne aveva posto le premesse.

Al contempo, vede finalmente la luce la disciplina del captatore informatico che, a causa di orientamenti giurisprudenziali limitativi dell’utilizzo di tale strumento, aveva finito con l’essere considerato un mezzo investigativo poco adattabile ad elevata intrusività.

In conclusione, si può guardare con un certo favore alla nuova disciplina che, nel porsi alla stregua di una “contro-riforma” delle modifiche attuate con la legge Orlando e nel cercare di contemperare i vari interessi che vengono in gioco in un ambito così importante, tuttavia, sarebbe stata ancora più apprezzabile laddove avesse cercato – concretamente  –  di superare le insistenti difficoltà normative ma anche pratiche che continuano a caratterizzare tale mezzo di ricerca della prova[47], da sempre visto come pericoloso strumento di limitazione della libertà personale e della segretezza delle comunicazioni, dimenticando però che esso rappresenta uno dei più validi strumenti per assicurare il c.d. “diritto alla sicurezza”[48] che – oltre che essere richiamato dalla carta costituzionale – trova riconoscimento anche a livello sovranazionale[49]

Non resta, dunque, che auspicare che tutte le necessità che ancora caratterizzano il tema delle intercettazioni, vengano prese in considerazione dal legislatore il quale, possa attuare una incisiva opera di rimeditazione della materia in una cultura giuridica meno diffidente e più improntata a riconoscerne i benefici anziché le criticità che potranno, forse, essere delimitate dalla nuova normativa che si accinge a diventare diritto vivente.


Note e riferimenti bibliografici

[1] La disciplina dei mezzi di ricerca della prova è contenuta nel terzo titolo del terzo libro del codice di procedura penale.

[2] F. Izzo, “Compendio di diritto processuale penale”, XXXI ed., Simone 2019, p. 268.

[3] La definizione è tratta dalla sentenza della Cass., Sez. Un. pen., 24 settembre 2003., n. 36747.

[4] Art. 15 Costituzione:” La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.

[5] D.lgs. 29/12/2017, n. 216,  recante “Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1 commi 82,83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103.”

[6] Legge 28/02/2020, n. 7 che ha convertito, con modificazioni, il d.l. 30/12/19, n. 161, recante “Modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni “, pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Ufficiale n. 50 del 28/02/2020, consultabile all’indirizzo http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/02/28/50/sg/pdf

[7]Intercettazioni: il testo della riforma pubblicato in Gazzetta”,  in Altalex, 26 gennaio 2018.

[8] In tal senso, vedi, A. Nappi, “Sull’abuso delle intercettazioni”, in Cass. pen., 2009, p. 470.

[9] Il testo del d.lgs. n. 216/2017 è consultabile sul sito della Gazzetta Ufficiale, https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/01/11/18G00002/sg

[10] Art. 617-septies c.p.: “Chiunque, al fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione, è punito con la reclusione fino a quattro anni.

La punibilità è esclusa se la diffusione delle riprese o delle registrazioni deriva in via diretta ed immediata dalla loro utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.”

[11] Si ritiene, infatti, che in tale ipotesi, il Gip, investito della richiesta di una misura cautelare, debba verificare anche la rilevanza dei risultati delle intercettazioni prodotte ai fini probatori, disponendo la restituzione del materiale intercettato non rilevante in tal senso. Tale nuovo articolo, dispone, infatti che il Gip debba trasmettere al pubblico ministero non solo il provvedimento cautelare in duplice copia ma anche gli atti contenenti le comunicazioni o conversazioni intercettate ritenute non rilevanti o inutilizzabili.

[12] L’entrata in vigore del d.lgs. n. 216/2017 è stata posticipata, dapprima, dal 26 luglio 2018 (data di entrata in vigore prevista dal testo originario dell’art. 9 d.lgs. n. 216/2017) all’1 aprile 2019 (d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv. in l. 21 settembre 2018, n. 108), poi nuovamente all’1 agosto 2019 (l. 30 dicembre 2018, n. 145), e, infine, all’1 gennaio 2020 (d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv. in l. 8 agosto 2019, n. 77).

[13] Allo stesso modo, vigente già il 26 gennaio 2018, era anche l’art. 1 del decreto che ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 617- septies (“Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente”) che punisce la diffusione di riprese o registrazioni effettuate fraudolentemente al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui.

[14] Atto Camera n. 2324 - D.d.l. di conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, presentato alla Camera il 31 dicembre 2019, in http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.2324.18PDL0088160.pdf , p. 2.

[15] È quanto si legge nel D.L. n. 161/2019, consultabile in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/12/31/19G00169/sg

[16] C. Larinni, “La (contro)riforma delle intercettazioni: d.l. n. 161del 2019”, in Discrimen, 2020, p. 3.

[17] Al comma 2-bis dell’art. 415-bis c.p.p., si legge, infatti che : “Qualora non si sia proceduto ai sensi dell’articolo 268, commi 4, 5 e 6, l’avviso contiene inoltre l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Il difensore può, entro il termine di venti giorni, depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull’istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell’istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui all’articolo 268, comma 6”.

[18] Il nuovo comma 2-bis dell’art. 454 c.p.p., recita, invece: “Qualora non abbia proceduto ai sensi dell’articolo 268, commi 4, 5 e 6, con la richiesta il pubblico ministero deposita l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche rilevanti ai fini di prova. Entro quindici giorni dalla notifica prevista dall’articolo 456, comma 4, il difensore può depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull’istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell’istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui all’articolo 268, comma 6. Il termine di cui al presente comma può essere prorogato di dieci giorni su richiesta del difensore”.

[19] Sulle criticità emerse da queste nuove disposizioni, si veda, C. Larinni, op. cit., pag. 21 che sottolinea come difficilmente  il difensore potrà presentare una richiesta ponderata e consapevole di integrazione della selezione delle captazioni rilevanti, potendo avere accesso non ai verbali, alle registrazioni ed ai flussi di comunicazioni (dei quali non è previsto il deposito), ma soltanto all’elenco delle comunicazioni, che non è idoneo a rivelare alcunché con riguardo alla rilevanza delle stesse a fini di prova.

[20] Art. 684 c.p., : “Chiunque pubblica , in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da cinquantuno euro a duecentocinquantotto euro.”

[21] Queste norme, ora abrogate, disciplinavano rispettivamente: il deposito di verbali e registrazioni, l’acquisizione al fascicolo delle indagini e i termini e le modalità di decisione del giudice relativamente all’acquisizione delle conversazioni o comunicazioni.

[22] Tale lettera è stata inserita dall’art. 2, comma 1, lettera b-bis) del D. L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2020, n. 7.

[23] Si tratta del c.d. “Trojan horse”di cui si parlerà in proseguio.

[24] Questa previsione è sancita nel comma 2-bis, aggiunto dal Dlgs. 216/2017. 

Si tratta di reati particolarmente gravi, quali, a titolo esemplificativo: reati di criminalità organizzata, terrorismo, di pubblici ufficiali contro la P.A., riduzione o mantenimento in schiavitù  o in servitù, tratta di persone ed altri.

[25] Tale norma parla di “abitazione altrui, privata dimora o appartenenze di esse”. La ratio di tale disposizione si coglie nella considerazione che i luoghi di dimora non sono intesi solo nella loro materialità, ma anche come proiezione spaziale della persona, la cui libertà individuale si estrinseca nell'interesse alla tranquillità e sicurezza dei luoghi in cui si svolge la propria vita privata.

[26] L. Camaldo, “Le innovazioni previste dalla legge anticorruzione in tema di intercettazioni con captatore informatico”, in Dir. pen. cont., p.3.

[27] L’estensione dell’utilizzazione del captatore informatico anche ai reati contro la P.A., era stata già prevista dalla n. 3/2019 c.d. “legge spazza-corrotti”. Il comma 2-bis prevede, infatti che: “L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è consentita, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’articolo 4 c.p.p.

[28] C. Larinni, op.cit.,  pag. 5.

[29] F. Izzo, op. cit., p. 277.

[30] In tal senso, A. Scalfati, “Intercettazioni: spirito autoritario, propaganda e norme inutili”, in Arch. pen ., fasc. 1, 2020, p. 2., e  L. Filippi, “Riforme attuate, riforme fallite e riforme mancate degli ultimi 30 anni. Le intercettazioni”, in Arch. pen ., fasc. 3, 2019, p. 42.

[31] Il comma in esame, infatti, sanciva: “L’ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell’articolo 268, comma 2-bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni.”

[32] In tal senso, vedi.: C. Conti, “La riservatezza delle intercettazioni nella “delega Orlando”, in Dir. pen. cont ., fasc. 3, 2017, p. 83.

[33] L’art. 348 c.p.p., rientra tra le norme che regolano lo svolgimento dell’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria e disciplina l’assicurazione delle fonti di prova raccolte dalla P.G. Il comma 4, specificamente sancisce che:” La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera.”

[34] Questo è quanto sancito dal comma 4 dell’art. 268 c.p.p.,:” I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio di cui all’articolo 269, comma 1. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati presso l’archivio di cui all’articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.”

[35] In tal senso, vedi, C. Larinni, op. cit., p. 15. L’autrice sottolinea come il giudizio operato dal giudice sulla rilevanza del materiale intercettato, oltre a pregiudicare la piena attuazione del principio dispositivo della prova, appare in concreto anche difficile da attuare poiché si corre il rischio che il giudice interpreti il requisito della rilevanza in senso eccessivamente restrittivo o che, al contrario, in caso di dubbio, adotti  nuovamente il criterio della irrilevanza non manifesta.

[36] Il comma 7 dell’art. 268 prevede che:” Il giudice, anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’articolo 431, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento. Il giudice, con il consenso delle parti, può disporre l’utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini. In caso di contestazioni si applicano le disposizioni di cui al primo periodo.

[37] L’archivio ove è custodita la documentazione delle intercettazioni, è stato istituito dall’art. 5 del d.lgs 216/2017 che ha introdotto l’art. 89-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p., che, a seguito della legge n.7/2020 sancisce che: “Nell'archivio digitale istituito dall'articolo 269, comma 1, del codice, tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono.

 L'archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l'utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia. Il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito.

 All'archivio possono accedere, secondo quanto stabilito dal codice, il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all'ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete. Ogni accesso è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati.

I difensori delle parti possono ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell'archivio e possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti quando acquisiti a norma degli articoli 268, 415 bis e 454 del codice. Ogni rilascio di copia è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia.”

[38] Art. 270 c.p.p.:” Utilizzazione in altri procedimenti 1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1.

1-bis. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2-bis.

 2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l’autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 268, commi 6, 7 e 8. 3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate.

[39] Cassazione Penale, Sezioni Unite, 2 gennaio 2020 (ud. 28 novembre 2019), n. 51

[40] In base a questo orientamento, si sarebbe in presenza del “medesimo” procedimento e, dunque, non opererebbe il divieto di cui al comma 1 dell’art. 270 c.p.p., anche allorquando un procedimento, inizialmente unitario, sia stato successivamente frazionato, in quanto l’art. 270 c.p.p. postula l'esistenza di più procedimenti ab origine tra loro distinti. In tal senso, xx plurimis : Cass., sez. IV, 8 aprile 2015, n. 29907; Cass., sez. I, 17 dicembre 2002, n. 2930; Cass., sez. III, 14 aprile 1998, n. 1208.

[41] Corte cost., 4 aprile 1973, n. 34; Corte cost., 11 luglio 1991, n. 361.

[42] Cass., Sez. Un., 28 novembre 2019, n. 51, punto 8 del Considerato in diritto.

[43] Cass., Sez. Un., sent. 28 aprile 2016 (dep. 1 luglio 2016), n. 26889.

[44] L. Filippi, “Riforme attuate, riforme fallite e riforme mancate degli ultimi 30 anni. Le intercettazioni”, cit ., p. 42.

[45] D. Pretti, “La metamorfosi delle intercettazioni:la contro-riforma bonafede e l’inarrestabile mito della segretezza delle comunicazioni”, in Sistema penale, 2/2020, p. 106.

[46] Si pensi, ad esempio, al diritto dei difensori di chiedere ed ottenere copia delle registrazioni ex art. 268 comma 6 c.p.p.

[47] Per quanto concerne le difficoltà di cui si parla, si veda, D. Pretti, op. cit., p. 107, ove l’Autore sottolinea la necessità, sul piano operativo, di agevolare la captazione del traffico dati cifrato, ormai di larga diffusione, attraverso una normativa meno indulgente che imponga ai gestori delle diverse piattaforme di telecomunicazione di collaborare con l’autorità giudiziaria; parimenti, sul versante tecnico, sono auspicabili interventi normativi volti, oltre al resto, ad estendere lo statuto speciale delle intercettazioni di criminalità organizzata anche ad altre fattispecie di reato di non trascurabile gravità.

[48] La giurisprudenza della Corte Costituzionale lo declina alla stregua di un’esigenza di prevenzione e repressione dei reati. (cfr. Corte Cost., sent. 34 del 04/04/1973).

[49] Si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, rubricato “Diritto alla libertà e alla sicurezza”, a norma del quale:” Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza.”