ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 12 Giu 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Brevi considerazioni sulla crisi della politica e sulla centralità della democrazia

Modifica pagina

Andrea Nisticò



La trasformazione della politica fa emergere la necessità di una riappropriazione degli spazi pubblici da parte del cittadino e la riaffermazione di una dimensione etica e collettiva che consenta il legittimo confronto delle diverse forze presenti. Le evoluzioni sociali, culturali, economiche pongono continuamente in discussione gli equilibri costituiti, ma non si può, comunque, consentire che determinino una degradazione della democrazia, la quale è fondamento della libertà individuale.


ENG The transformation of politics brings out the need for a reappropriation of public spaces by the citizen and the reaffirmation of an ethical and collective dimension that allows the legitimate confrontation of the different forces present. Social, cultural and economic developments continually question the established balances, but they cannot, however, be allowed to bring about a degradation of democracy, which is the foundation of individual freedom.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il concetto di democrazia; 3. La crisi del sistema politico italiano; 4. Conclusioni.

1. Introduzione

La crisi economica iniziata nel 2007-2008 ha determinato nuovi scenari economici, sociali e politici, ponendo in discussione le basi dello Stato moderno. Le risposte concrete elaborate dai governi non sono state sufficienti a rispondere ai bisogni sociali e, al contempo, la situazione economica non ha registrato significativi valori di crescita, consegnando alla politica un quadro molto critico e di difficile soluzione[1].

In tale contesto l'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano istituì, il 30 marzo 2013, due gruppi di lavoro, uno sulle riforme istituzionali e un altro in materia economico-sociale ed europea.

La Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle Riforme Istituzionali[2] ha posto l’accento sul “bisogno di riforme in grado di ravvivare la partecipazione democratica, di assicurare efficienza e stabilità al sistema politico e di rafforzare l’etica pubblica: principi e valori che costituiscono il tessuto connettivo di ogni democrazia moderna e ingredienti del suo successo nella competizione globale”.

Dalle Relazioni dei "Saggi" emerge una fotografia critica sia dal punto di vista politico che da quello economico ed un progressivo deterioramento del rapporto tra la classe politica di governo e i cittadini. Il diffuso malcontento, che trova solo la punta dell'iceberg nella scarsa affluenza alle urne, è l'indice di un fallimento del concetto di politica quale strumento di rappresentazione delle istanze che provengono dai soggetti rappresentati[3].

Si è a lungo parlato, nei mass-media, di antipolitica[4], quale fenomeno di reazione all'incapacità politica di produrre una svolta complessiva del paese. Questa, però, è una mera semplificazione poiché le radici di una così forte idiosincrasia verso i rappresentanti politici non sono espressione della negazione della politica, ma di un certo modo di fare politica[5]. I diversi campanelli d'allarme sono stati ignorati dal policy maker, con l'evidente conseguenza che la società ha reagito rompendo gli schemi tradizionali della geografia partitica[6].

L’avversione così forte verso la dimensione della res publica merita una riflessione profonda, poiché le ragioni della crisi della politica spesso sono le stesse che hanno determinato mancate riforme o scelte del tutto lontane dai bisogni della popolazione.

La prima notazione che la dottrina[7] rileva sul nostro sistema politico attuale è il completo appiattimento programmatico e l’assenza di un patrimonio valoriale che orienti le azioni parlamentari e di governo.

Il patrimonio di idee e valori non può essere relegato ad un inutile orpello del fare politica, ma dovrebbe rappresentare la bussola d’azione che differenzia le diverse formazioni partitiche e, quindi, guidarne le scelte. Il completo disconoscimento di questa dimensione teleologica produce l’evidente conseguenza che le differenze tra i diversi partiti sono pressoché scomparse e l’azione parlamentare e di governo ha perso ogni coordinata, finendo per essere mera amministrazione di potere, senza alcuna aspirazione a cambiare la realtà o a proporne un modello alternativo[8].

Risulta utile riaffermare con forza i valori e i principi sanciti dalla Costituzione, che dovrebbero essere condivisi e rispettati da tutti, elettori ed eletti. Ciò al fine di compensare l’assenza di una dimensione etica dei partiti, non per una funzione censoria, ma per essere strumento espressivo del comune sentire della cittadinanza.

La trattazione di questo argomento richiede, però, delle cautele. Infatti, non si può tacere che il Novecento ha dimostrato la pericolosità delle derive ideologiche, le quali sono state usate per giustificare crimini atroci e, in definitiva, per negare la democrazia. Appare necessario soffermarsi, preliminarmente, sul concetto di democrazia, paradigma fondamentale della libera società moderna e limite invalicabile di ogni forma di amministrazione della cosa pubblica.

2. Il concetto di democrazia

Il patrimonio di valori e  principi a presidio delle norme di governo della cosa pubblica, in uno stato di diritto come il nostro, non può prescindere, in alcun modo, dalle norme della Costituzione.

La nostra Carta si basa su quattro ideologie maturate nella cultura giuridica europea. Le idee cardine della Costituzione italiana sono state ben ricostruite da Norberto Bobbio nell’ omonima riflessione[9], nella quale s'individuano quali capisaldi della Carta: l’idea liberale, l’idea democratica, l’idea socialista e quella del cristianesimo sociale.

Le quattro idee fondanti, illustrate da Bobbio, rappresentano non solo le basi della Costituzione ma anche i pilastri della società italiana. All’interno delle quattro ideologie è facile riconoscere il comune sentire dell’operaio, dell’imprenditore, del libero professionista, del lavoratore subordinato, ciascuno con il proprio bagaglio di esigenze e con la propria visione del mondo e della cosa pubblica.

Al contempo, risulta difficile incasellare le posizioni degli attuali partiti politici in una delle quattro idee, se non per vaghi e scarni riferimenti nel dibattito politico a cui seguono raramente azioni concrete[10].

Individuato il patrimonio di valori di riferimento del nostro paese, è ragionevole chiedersi cosa sia la democrazia.

La risposta a questa domanda è ardua, poiché l’origine della democrazia risiede nell’esperienza di Atene nel VI secolo a.c. e si è poi sviluppata lungo tutto il corso della storia sino ai giorni nostri con continui mutamenti e adattamenti alle circostanze delle diverse epoche. Inoltre, non vi è dubbio che tale argomento ha lungamente dominato il dibattito filosofico e giuridico[11], il quale ha fornito grandi spunti di riflessione oltre gli stretti confini del pragmatismo che mira a usare il concetto di democrazia solo per legittimare il potere politico. In questa sede, stante l’enorme mole della letteratura in materia, è necessario ridurre il campo d’indagine.

Partendo dalla più essenziale delle definizioni, possiamo affermare che la democrazia è una "forma di governo che si basa sulla sovranità popolare e garantisce a ogni cittadino la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere pubblico”[12]. Questa è una definizione ineccepibile dal punto di vista dottrinale, ma non soddisfacente per cogliere la complessità delle relazioni interne degli stati democratici moderni.

Infatti, si deve anche considerare che nel complesso gioco democratico occorre tenere in considerazione, per come chiarito dalla dottrina pubblicistica[13], la contrapposizione tra la “democrazia costituzionale”, la quale si caratterizza per il primato della Costituzione, e la “democrazia legislativa”, fondata sulla centralità della legge. 

Queste due visioni di legalità democratica accedono a due modelli giuridici differenti. Il primato della Costituzione mira a salvaguardare i diritti fondamentali e le regole democratiche dagli arbitri delle maggioranze politiche contingenti, prevedendo procedimenti rafforzati di revisione costituzionale con lo scopo di garantire il nucleo democratico del paese. La centralità della legge trae la sua origine dal positivismo giuridico, il quale riconosce alla legge le caratteristiche di un atto sovrano, quale esplicazione della democrazia politica e quindi obbligatorio e cogente.

Il primato verticistico della Costituzione riduce l’assolutezza della legge o meglio la visione “legicentrica”, ponendo le basi per l’affermazione di un parametro giuridico permanente e superiore con il quale la legge deve misurarsi. Inoltre, la “democrazia costituzionale” funzionalizza le norme giuridiche le quali non sono più frutto della libera determinazione del legislatore ma strumenti attuativi delle norme costituzionali medesime[14].

La Costituzione consente di affermare i diritti fondamentali e di regolare, in termini giuridici, il rapporto tra poteri pubblici ed individui. Le statuizioni dei diritti dell'individuo operano un limite ed una funzionalizzazione dell'azione pubblica, ma connotano anche in senso positivo il concetto di democrazia promuovendo la sfera individuale dalla quale promana la sovranità. Le affermazioni giuridiche codificate nelle norme fondamentali hanno una peculiare cogenza che vincola il Legislatore, la giurisdizione ordinaria, speciale e costituzionale affinché sia data effettiva realizzazione al disegno costituzionale nonché giustiziabilità ai diritti e alle libertà.          

L'innovazione della Carta risiede proprio nell'aver accolto una concezione sostanziale di democrazia, la quale non si esaurisce nell'elenco dei diritti o nel codice di procedura del funzionamento dei poteri costituzionali ma trova intrinseca realizzazione nell'impegno a rimuovere tutti quegli ostacoli che impediscono, di fatto, l'esercizio delle libertà. Rispetto al positivismo giuridico il piano della validità normativa non è declinato nel mero rispetto della procedura di approvazione della norma giuridica ma si focalizza soprattutto nel contenuto della disposizione normativa, quale strumento teleologicamente orientato alla realizzazione dei principi e dei valori codificati nelle norme fondamentali.          

La centralità della persona umana scavalca la costruzione formale del positivismo giuridico.
Tale impianto è accolto anche dalla Corte Costituzionale[15] che nella sentenza n.1146 del 1988 afferma che “la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana".

La Corte Costituzionale ha, da sempre, strenuamente difeso il nucleo fondamentale della Carta. Sul punto è utile ricordare il percorso giurisprudenziale che ha portato all'affermazione della teoria dei controlimiti. Essa si connota per la definizione di intangibilità dei principi supremi e dei diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale dello Stato i quali hanno una resistenza peculiare rispetto a qualsiasi fonte giuridica interna o esterna all'ordinamento giuridico nazionale[16].

Le considerazioni, sin qui formulate, si collegano perfettamente con le riflessioni di Bobbio, il quale evidenzia[17] che “quando parliamo di democrazia, non ci riferiamo soltanto a un insieme di istituzioni, ma indichiamo anche una generale concezione della vita. Come regime politico la democrazia moderna è fondata sul riconoscimento e la garanzia della libertà sotto tre aspetti fondamentali: la libertà civile, la libertà politica e la libertà sociale.

Il pensiero di Bobbio sulla democrazia è rilevante poiché coglie l’essenza complessa del rapporto politico moderno. Una democrazia ricca di libertà formali, ma priva della libera partecipazione dei cittadini, è la forma più pericolosa di degenerazione a cui siamo esposti[18].

Oggi, l’assenza di valori nella classe politica determina un vuoto nel metodo decisionale pubblico all’interno del quale s'insinuano le tecnocrazie, le burocrazie e le dittature economiche le quali, se non governate da sapienti scelte politiche, rischiano di ingenerare malessere sociale e di mortificare le istituzioni[19].

Anche su questo punto il filosofo torinese ribadisce[20] che “una democrazia ha bisogno, certo, di istituzioni adatte, ma non vive se queste istituzioni non sono alimentate da saldi principi. Là dove i principi che hanno ispirato le istituzioni perdono vigore negli animi, anche le istituzioni decadono, diventano, prima, vuoti scheletri, e rischiano poi al primo urto di finire in polvere. Se oggi c'è un problema della democrazia in Italia, è più un problema di principi che di istituzioni”.

Al contrario, la politica è spesso condizionata dall’amministrazione del contingente ed ha finito per cancellare ogni alta aspirazione a trasformare la società attraverso ideali o valori nobili[21].

La breve riflessione, sin qui condotta sul concetto di democrazia, consente di poter ragionare con maggiore consapevolezza sul necessario bisogno di recuperare il patrimonio di valori che accedono alla persona umana e che trovano legittimazione diretta ed indiretta nella Carta[22].

Valori da ascrivere al necessario bagaglio comune che dovrebbe appartenere a ciascun decisore pubblico.

Provando ora a spostare l’attenzione dal piano strettamente formale a quello concreto, non possiamo tacere che tutte le considerazioni sin qui svolte non trovano adeguato spazio nelle grandi scelte di governo del paese o negli indirizzi dei partiti politici[23].

La mancanza di modelli innovativi ha finito per privare di valore la stessa politica, la quale debole nel patrimonio ideale ha degradato verso forme sbiadite di democrazia, dimostrando lentezza ed incapacità ad interpretare le istanze di cambiamento nascenti nella società[24].

3. La crisi del sistema politico italiano

Nel complesso gioco democratico concorrono, spesso, forze opposte che si contrappongono.
Il ruolo della politica dovrebbe essere quello di tradurre le diverse istanze in provvedimenti legislativi per innovare la società con l’impronta che ciascun partito o coalizione intende imprimere alla propria azione di governo[25].

Tale compito è devoluto esclusivamente alla politica, nessuna delle altre istituzioni repubblicane può sostituirsi al Parlamento sovrano. La qualità della democrazia, con la fisiologica alternanza partitica,  passa attraverso la capacità del sistema di comprendere e risolvere le problematiche che sorgono nella società e fornire soluzioni efficaci. Il partito, per come riconosciuto dall’art. 49 Cost., è un’istituzione indispensabile del sistema democratico, poiché è la sede naturale per l’elaborazione e l’espressione della volontà popolare[26].

La crisi dell’istituzione partitica finisce per travolgere la democrazia, provocando un vero e proprio cortocircuito del sistema partecipativo[27].

Su questo argomento la dottrina[28] segnala che è in atto anche una crisi del rappresentato dovuta alla perdita delle identità collettive e, addirittura individuali, allo smarrimento del senso del legame sociale, alla volatilità dei ruoli sociali. Per Luciani[29] “tutto rende problematica la stessa identificazione del soggetto da rappresentare. Il difficile, insomma, è comprendere «chi» e «cosa» viene rappresentato, una volta che lo si rappresenta, perché la stessa identità del dèmos è labile”.

La crisi complessiva del rapporto rappresentativo rende ancora più necessario il "mezzo politico" per ricondurre ad una forma istituzionale le diverse idee che animano le forze sociali del paese. In questo s'innesta la rivendicazione “antipolitica”, la quale reclama un maggiore coinvolgimento nelle grandi scelte del paese[30].   

L’istituto della rappresentanza deve essere necessariamente arricchito con uno strumentario che consenta di dare voce ai cittadini e di poter dare loro la possibilità di incidere veramente nelle scelte del paese. Una rivisitazione del referendum e dell’iniziativa legislativa popolare potrebbe aiutare a ricostruire un rapporto fiduciario, sin troppo degradato[31].

La mancanza di partecipazione aumenta la frustrazione dell’elettore, il quale si sente convitato di pietra ad un “gioco” dove finisce per essere lo spettatore più che il protagonista.

La turbolenza sociale, abbinata alla complessità odierna, alimenta, senza sosta, sentimenti negativi di disaffezione verso il sistema istituzionale nel quale si esercita il ruolo dei partiti[32]. Il fenomeno è, poi, ulteriormente amplificato dalla struttura del mondo contemporaneo profondamente globalizzato ed in cui i cambiamenti avvengono in maniera veloce.

In definitiva la "società liquida"[33] è il prodotto dei nostri tempi, dove non vi è più un’aspirazione migliorativa, una tensione alla conquista di libertà o di diritti come è accaduto in passato.
Vi è un appiattimento e una rassegnazione diffusa che la politica non ha saputo canalizzare in una forma democratica, piuttosto viene cavalcato il malessere con scopi elettorali, finendo per perdere il senso stesso della rappresentanza[34].

Tutto ciò logora la fiducia verso la classe di governo, spesso ridotta alla sola figura del leader di turno che personalizza l’attività politica e di governo, finendo per legare le proprie sorti personali con quelle del movimento d’appartenenza[35].

Questo è il prodotto di una politica post-ideologica, priva di valori e idee, incapace di produrre una “proposta del mondo” alternativa a quella attuale e, magari, differente da quella degli altri competitor[36].

La società si è rinchiusa in un’indifferenza e in un disinteresse che legittimano anche le scelte più deleterie per il popolo. L’affievolimento della coscienza collettiva civile pregiudica la qualità della democrazia, favorendo l’affermazione di quella che viene definita la dittatura della minoranza[37].

Un segno di preoccupante rilevanza è la progressiva diminuzione della partecipazione popolare al gioco democratico codificato[38]e la crescente domanda di instaurare forme di partecipazione democratiche di tipo diretto senza alcuna mediazione[39]. La crisi di fiducia dei corpi intermedi, come ad esempio dei partiti e dei sindacati, è l'emblema di un concetto di democrazia che vede nella rappresentanza una forma di delegittimazione delle proprie istanze. I crescenti bisogni economici e l'aumento della povertà hanno accentuato le forme di protesta e le richieste di maggiore incisività delle politiche pubbliche, spesso indicate come tardive ed inadeguate. Un'attenta analisi di queste spinte consente di cogliere la loro forza disgregatrice del tessuto sociale e del valore della comunità. Queste forze, benché appaiano unite nel momento della contestazione, sono divise nelle scelte da assumere e nelle soluzioni da adottare producendo l'evidente conseguenza di alimentare un senso di caos e di crescente impotenza rispetto ai problemi in essere. Non vi è dubbio che tali processi sono stati anche favoriti da una continua riforma della legge elettorale[40], spesso percepita come strumento di conservazione del potere più che come strumento di esatta traduzione della volontà popolare. 

Il superamento di una logica disgregatrice e antistatalista non può prescindere da una revisione del sistema istituzionale, nel quale deve essere garantita la fisiologica alternanza delle forze politiche, ma anche attraverso un apparato amministrativo efficiente e più concreto ed anche con un impegno forte per ridurre le crescenti diseguaglianze sociali[41].

Nel solco di questi auspici è lecito chiedersi quale debba essere il ruolo dei partiti. La natura di tali associazioni, nel rispetto dell'art. 49 Cost., è quello di essere forza aggregatrice che, con metodo democratico, concorra a determinare la politica nazionale, regionale e locale. Tuttavia, il punto più critico nel funzionamento dei partiti è rappresentato proprio dalla democrazia interna, spesso limitata o del tutto assente. Tale vulnus concorre a dare una percezione negativa del partito e spezza il necessario legame con il territorio e con i suoi cittadini.  Queste notorie considerazioni hanno indotto alcune forze politiche ad un maggiore sforzo democratico nella scelta dei candidati, della classe dirigente e delle posizioni politiche[42]. Nonostante ciò, risulta completamente assente una vera "vita" di partito articolata intorno al concetto di membership, mentre risulta sempre più accentuato il ricorso al marketing ed alla comunicazione, attraverso lo storytelling, tecniche che appaiono più appropriate al mondo commerciale che a quello politico[43]. Il futuro dei partiti, nella loro accezione più nobile, è da ricondursi al maggiore ruolo che deve essere attribuito agli iscritti in merito alla scelta della leadership nazionale e locale, alla scelta dei candidati alle elezioni ed anche sulle politiche relative a temi particolarmente rilevanti. Il ruolo di appartenenza dell'iscritto, che è sempre meno declinato in chiave ideologica, deve essere ridefinito nel quadro di un corretto esercizio del potere di confronto e del potere decisionale con l'auspicabile superamento delle correnti interne, quali fazioni armate di una permanente lotta fraticida[44]. Non meno importanza riveste la questione della poca trasparenza che spesso circonda l'amministrazione delle risorse del partito. La gestione spesso alimenta dubbi e getta ombre sulla corretta amministrazione del patrimonio economico comune[45].  In tal senso la pubblicazione di rendiconti e bilanci, a ogni livello, dovrebbe rappresentare una regola morale oltre che giuridica.

La nichilizzazione della sfera politica di ciascun cittadino finisce per rendere vulnerabile l’intero sistema. L'abbandono della res publica da parte dei cittadini ha reso evidente che il partito, quale forma associativa, ha perso la sua radice nobile per scivolare verso forme di degenerazione sempre più marcate. Il paradigma partitico che, più di frequente, è adottato nell’Italia della seconda repubblica è quello dell' oligarchia[46], in cui prevalgono interessi economici, personalismi, lotte interne e trame di potere. Appare molto sbiadito il disegno costituzionale di un partito quale libera associazione di cittadini, quale agorà necessaria per rendere effettiva la partecipazione alla vita pubblica del paese.

La ricostruzione del partito è sicuramente un buon viatico per ridare forza allo strumento della rappresentanza, che dovrebbe articolarsi in una relazione constante con i propri elettori e non un'investitura frutto della decisione del leader che detiene il potere.  La lotta al populismo, che è portatore di una visione distorta della politica, deve essere condotta lungo una strada pragmatica in cui agli annunci corrispondano le azioni, in cui le politiche maturino nella società con il corretto bilanciamento delle tante forze che si contrappongono.

4. Conclusioni

La, seppur breve, riflessione sullo stato della democrazia sin qui condotta deve tenere in debito conto la rivoluzione digitale che ha investito il mondo intero e che inciderà sempre di più anche nel modo di fare politica e di amministrare la cosa pubblica.

La rete è lo strumento più capillare che oggi abbiamo a disposizione e consente attraverso i social network di amplificare il pensiero che proviene dal basso e rappresenta uno strumento di relazione o consultazione con chi fa politica. La maggiore “socialità” di cui disponiamo non è foriera solo di aspetti positivi. Infatti, la comunicazione in rete o nei social network, proprio perché non moderata da nessuno, diventa facile strumento di sfogo o di aggressione verso chi ha un pensiero diverso dal proprio. Questa “brutalità” comunicativa, riversata nell’agone politico, rischia di produrre una mischia digitale che si combatte a colpi di foto, di video, di post e di like.

La negazione delle formalità democratiche, a fronte di una sorta di democrazia diretta e digitale[47], non appare favorire l’elaborazione di discussioni proficue e pacifiche, ma rischia di premiare i più abili nella comunicazione e nel marketing, senza alcuna valutazione circa il contenuto delle proposte.

Tuttavia, è comunque necessario tenere in considerazione ciò che proviene dal web per valorizzarne le opportunità. Spesso, vediamo che la comunicazione sociale dei politici è circoscritta alla pubblicità del proprio operato senza alcuna apertura verso gli utenti, che possono approvare o criticare. Sono molto rari i casi di tavole rotonde virtuali, di giornate tematiche digitali dedicate all’ascolto dei cittadini e alla raccolta di idee e proposte. Queste iniziative potrebbero veicolare i valori di un partito o di un movimento, suscitare la voglia di partecipazione, a patto che il coinvolgimento non sia solo di carattere formale o procedurale[48].

La fiducia e la coerenza, anche nel digitale, sono i valori di riferimento ai quali nessun utente è disposto a negoziare. Tutto ciò consentirebbe di sviluppare un rapporto nuovo con l’opinione pubblica, la quale potrebbe trarre dei vantaggi dal relazionarsi con un parlamentare o con un leader di partito. Al contempo, la politica non sarebbe costretta a inseguire la rete, ma sarebbe in grado di dialogare agilmente essendo parte credibile del sistema di relazioni digitali.

La considerazione della rivoluzione digitale da parte della sfera pubblica è indispensabile per sintonizzarsi correttamente sulle frequenze della contemporaneità.

In questo contesto potrebbe eclissarsi definitivamente uno dei tratti fondamentali della politica che è rappresentato dalla mediazione tra interessi e posizioni diverse, aspetto ineliminabile per la ricerca di una coesione sociale senza la quale si vivrebbe in un clima di guerra civile politica permanente[49].

L’innovazione tecnologica può mutare la forma, ma non l’essenza della democrazia. Se provassimo a immaginare una democrazia esclusivamente digitale, senza Parlamento e con istituzioni deboli, probabilmente assisteremmo alla presa del potere da parte del gruppo più abile a manipolare i meccanismi decisionali[50].  

La sfida alla quale il nostro paese è chiamato è ancora quella di rilanciare la democrazia e non di promuovere dei surrogati moderni. Il ragionamento deve ripartire dall'assunto che la sovranità appartiene al popolo. E’ necessario rimettere al centro della vita politica il cittadino. L'impresa è ardua, forse utopica, ma indispensabile per fermare un declino che oggi pare inarrestabile.

In conclusione, la degenerazione della funzione della politica fa emergere la necessità di una riappropriazione degli spazi pubblici da parte del cittadino e la riaffermazione di una dimensione etica e collettiva che consenta il legittimo confronto delle diverse forze presenti. Le trasformazioni sociali, culturali, economiche pongono continuamente in discussione gli equilibri costituiti, ma non si può, comunque, consentire che determinino una degradazione della democrazia, la quale è fondamento della libertà individuale.

Proprio in tale contesto è indubbio che occorre riaffermare con forza i diritti fondamentali che la nostra Carta riconosce ma che faticano sempre di più a trovare tutela e realizzazione.
La crisi economica ha messo in evidenza quanto la lotta alla povertà e alla disoccupazione nonché l’accesso all’istruzione non siano tematiche di secondo piano, ma rappresentano la precondizione per garantire la vera libertà del cittadino, la quale passa dalla liberazione del bisogno materiale e dalla libertà nell’autodeterminazione individuale[51].

E’ nel momento della crisi che si sente il maggiore bisogno di una politica autorevole, non servente solo a logiche burocratiche, ma attenta verso il malessere che attraversa ampi e diffusi strati della società[52]. Preme ribadire che nei prossimi anni non sarà sufficiente un simulacro di democrazia per affrontare le sfide complesse che la storia mette dinanzi ai governanti, ma occorrerà rimettere al centro della scena la persona umana, preoccupandosi in primo luogo dei suoi bisogni principali attraverso una fattiva garanzia dei diritti sociali, che appaiono sempre di più sopraffatti da logiche economiche che ne vorrebbero la loro cancellazione[53].

La riflessione, sin qui condotta, ci riporta alla questione della morale pubblica quale modus corretto di esercizio del potere politico. Un continuo appello ai valori e ai principi costituzionali dovrebbe tradursi in una corretta visione verso cui indirizzare l'impegno per la ricerca del bene comune. L'arte del buon governo passa attraverso la buona politica che chiama ad amministrare "le persone ricche, non di oro, ma di quella ricchezza che rende l'uomo felice, la vita onesta e fondata sull'intelligenza. Se invece vanno al potere dei pezzenti avidi di beni personali e convinti di dover ricavare il loro bene di lì, dal governo, non è possibile una buona amministrazione."[54]


Note e riferimenti bibliografici

[1] Al riguardo AA.VV., Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica, a cura di R. Bifulco e O. Roselli, Giappichelli, 2013, Torino, passim ed anche J. A. De Aguirre, La lezione della crisi economica: quello che è stato e quello che verrà, Rubbettino Editore, 2014, Soveria Mannelli, passim. Un interessante focus sui bisogni sociali in AA.VV., Dentro la crisi. Povertà e processi di impoverimento in tre aree metropolitane, a cura di G. B. Sgritta,  Franco Angeli Editore, 2010, Milano, pp. 9 ss.

[2] M. Mauro, V. Onida, G. Quagliariello, L. Violante, Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali, istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, passim.

[3] L'argomento è affrontato in chiave storica da G. Duso, La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, Franco Angeli Editore, 1988, Milano, pp. 59 ss. Un'attenta analisi della situazione italiana in  C. F. Ferrajoli, Rappresentanza politica e responsabilità. La crisi della forma di governo parlamentare in Italia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, passim.        

[4] Per delle considerazioni sul fenomeno dell'antipolitica G. Cantarano, L'antipolitica: viaggio nell'Italia del disincanto, Donzelli Editore, Roma, 2000, pp. 16 ss. e 96 ss.

[5] G. Cantarano,  Ibidem pp.115 ss. L'autore sottolinea che "la reazione antipolitica della società fa da contrappunto alla spoliticizzazione della politica assoluta. Ecco perché l'antipolitica è un rovesciamento della politica dal suo interno. L'antipolitica è tanto così politica che la politica tradizionale stenta ancora a riconoscerne la portata."

[6] La nascita della Movimento Cinque Stelle è la principale novità del quadro partitico dell'Italia contemporanea ed ha rappresentato un polo di aggregazione dei delusi della politica tradizionale. Una dissertazione su questo argomento è di M. L. Lanzone, Il MoVimento cinque stelle: il popolo di Grillo dal web al Parlamento, Epokè, Novi Ligure, 2015, passim ed anche M. Monina, Il perché di una vittoria. Il Movimento 5 Stelle, Fanucci Editore, Roma, 2013, passim.   

[7] Sul tema G. Azzariti, La crisi dei partiti come crisi della loro capacità rappresentativa in Crisi della democrazia e crisi dei partiti in Italia e nel mondo, a cura di F. Marcelli e G. Incorvati, Ariccia, Aracne Editrice, 2010, p.107 ss.  

[8] Un valido approfondimento è di F. Saccà, La crisi dei partiti e le trasformazioni della politica, in Riv. Sociologia n. 2/2013, Gangemi Editore, Roma. Per inquadramento completo sulla struttura e sulle funzioni del partito  F. Raniolo, I partiti politici, Editori Laterza, Bari, 2013, passim.

[9] R. Bobbio, Le idee cardine della Costituzione Italiana, disponibile al seguente indirizzo web:www.presentepassato.it/Documenti/Diritto/bobbio_ideologie.htm

L’idea liberale, promanazione del liberalismo, pone l’individuo quale valore assoluto indipendentemente dalla società e dallo Stato di cui fa parte, e che pertanto lo Stato è il prodotto di un libero accordo tra gli individui. Il corollario di tale assunto è che lo Stato liberale è uno Stato limitato, cioè uno Stato in cui si tende ad eliminare il più possibile gli abusi del potere, e quindi a garantire la libertà dei cittadini dall'ingerenza dei pubblici poteri. La centralità dell’individuo trae forza giuridica dal fatto che la titolarità dei diritti, che spettano a ciascuno, appartiene all’uomo in forza di un diritto naturale autonomo e anteriore rispetto alla nascita dello Stato. L’idea democratica s’ispira al valore dell’eguaglianza. Partendo dall'idea dell'uguaglianza, la teoria democratica afferma che il potere deve appartenere non ad uno solo o a pochi, ma a tutti i cittadini. Questa idea spiega la centralità della sovranità popolare, intesa quale potere di dettare leggi e di farle eseguire. La dottrina democratica ha come suo fine principale la difesa dei diritti politici, con la quale espressione si intendono i diritti di partecipare direttamente o indirettamente al governo della cosa pubblica. Strettamente legati ai diritti politici è il sistema elettivo e il principio maggioritario. Il primo permette l'esercizio del potere dal basso e quindi uno Stato fondato sul consenso. Il secondo presuppone che le deliberazioni degli organi collegiali debbono essere prese a maggioranza; da tale principio deriva il sistema cosiddetto del governo di maggioranza, che si distingue tanto da quello autocratico del governo di minoranza o di uno solo, quanto da quello, del resto irrealizzabile, dell'unanimità. L’idea socialista muove da un'ispirazione egualitaria ma considera l'eguaglianza politica e giuridica, promossa dalla dottrina democratica, un'eguaglianza puramente formale. Il potere politico è considerato uno strumento di dominio nelle mani di coloro che detengono il potere economico. Il socialismo ritiene che la causa delle ingiustizie sociali che generano il disordine delle società non è tanto la differenza tra governanti e governati, quanto quella fra ricchi e poveri, di cui la prima è uno specchio generalmente fedele. Pertanto il socialismo ritiene che, per estirpare alle radici il disordine sociale, occorra instaurare un ordine in cui sia combattuta non solo la diseguaglianza politica, ma anche quella economica. Il mezzo che il socialismo propugna per eliminare la diseguaglianza economica è l'abolizione, in tutto o in parte, della proprietà individuale, e l'instaurazione di un regime sociale fondato, in tutto o in parte, sulla proprietà collettiva. Il socialismo è sempre una forma, più o meno ampia, di collettivismo. Lo Stato socialista considera uno dei suoi principali compiti quello d’intervenire per indirizzare le attività economiche verso certi fini di interesse generale, ora limitandosi a proteggere i più deboli economicamente con varie forme di assistenza (Stato assistenziale, nella espressione inglese Welfare State, cioè Stato benessere), ora dirigendo, attraverso una pianificazione parziale o totale, l'economia del paese (Stato collettivista).
 Il cristianesimo sociale muove dalla dottrina sociale della Chiesa Cattolica. Del liberalismo essa rifiuta il presupposto individualistico e la libertà di concorrenza, che condurrebbero ad una lotta di tutti contro tutti, ove il più povero è destinato a soccombere. Ma pure accettando, del socialismo, l'esigenza di proteggere le classi più umili contro quelle dei più potenti, cioè l'impostazione di quella che si chiamò la "questione sociale", rifiuta energicamente la tesi socialista dell'abolizione della proprietà privata. Considerando la proprietà come un diritto naturale, cioè come un diritto senza il quale l'uomo non può sviluppare appieno la propria personalità, la dottrina del cristianesimo sociale aspira, anziché alla sua soppressione, alla sua più ampia diffusione, in modo che possano diventare proprietari dei mezzi di produzione, attraverso forme che vanno dalla frantumazione della grande proprietà agricola alla partecipazione azionaria degli operai alle grandi imprese, il maggior numero di individui. Anche nella concezione dello Stato, il cristianesimo sociale rifugge dagli estremi della concezione negativa dei liberali e di quella considerata troppo positiva dei socialisti. Sin dall'inizio ammise, contro il liberalismo, che lo Stato doveva intervenire nella vita economica soprattutto per proteggere le classi più povere; sostenne contro lo Stato agnostico lo Stato dirigista, e fu fautore e promotore di legislazione sociale. Ma attenuò lo statalismo che giudicava eccessivo dei socialisti, sostenendo la necessità che si formassero fra l'individuo e lo Stato libere associazioni a scopo economico e sociale, le quali permettessero, da un lato, il superamento dell'individualismo l'attuazione dell'idea solidaristica, ed evitassero, dall'altro, il pericolo di cadere nel livellamento collettivistico.

[10] Un'interessante argomentazione è elaborata da S. Cassese, La democrazia e i suoi limiti, Mondadori Libri, Milano, 2017, pp. 18 ss. L'autore evidenzia una progressiva perdita dell'impronta ideologica, infatti "In Italia i nomi dei partiti erano scelti per caratterizzarsi e dividere (comunisti, socialisti, democristiani), mentre ora sono sempre meno identificativi (chi si dichiarerebbe contrario alla democrazia e alla libertà, per fare riferimento alle denominazioni di due delle principali formazioni politiche?). La maggior parte delle associazioni politiche italiane ha rinunciato anche a usare la parola «partito» nella propria denominazione. Alcune addirittura si identificano nel nome del leader riportandolo nel simbolo elettorale."

[11] Su questo argomento vi è una produzione scientifica molto vasta, per ovvie esigenze di sintesi si segnalano solamente le riflessioni di Platone, La Repubblica, a cura di F. Sartori, Roma-Bari, Laterza, 2007, passim; Platone, Contro la democrazia, a cura di F. Ferrari, Milano, Biblioteca Univ. Rizzoli, 2008, passim; A. de Tocqueville, La democrazia in America, a cura di G. Candeloro, Milano, Biblioteca Univ. Rizzoli, 1999, passim; J.J. Rousseau, Il contratto sociale, a cura di J.Bertolazzi, Milano, Feltrinelli, 2014, passim H. Kelsen, La Democrazia, Bologna, Il Mulino, 1955, passim; N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1995, passim; L. Canfora, La democrazia. Storia di un'ideologia, Roma - Bari, Laterza, 2004, passim; G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Torino, Einaudi, 2007, passim; D. Musti, Demokratìa. Origini di un'idea, Laterza, 1995, passim; G. Sartori, Democrazia: cosa è, Milano, Rizzoli, 2007, passim; E. Sciacca, Interpretazione della democrazia, Milano, Giuffrè, 1988, passim; K. Arrow, Social choice and individual values, New Haven and London, Yale University Press, 1951, passim; M. Balinsky e P. Young, Fair representation, New Haven and London , Yale University Press, 1982, passim; C. Crouch, Postdemocrazia, Roma-Bari, Laterza, 2003, passim; U. Spirito, Critica della democrazia, Milano-Trento, Luni Editrice, 1999, passim; G. Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Milano, Mondadori, 2009, passim; L. Canfora, Critica della retorica democratica, Roma-Bari, Laterza, 2002, passim.

[12] Definizione tratta dalla voce "Democrazia" in Enciclopedia Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2016.

[13] In argomento L. Ferrajoli, La democrazia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2016, passim, ed anche R. Bifulco, Il dilemma della democrazia costituzionale, in Riv. AIC, 4/2012.

[14] Sul punto è necessario richiamare gli studi di M. Fioravanti, La Corte e la costruzione della democrazia costituzionale, Relazione al Convegno per i sessant'anni della Corte costituzionale, Roma, 28 aprile 2016, disponibile sul sito www.cortecostituzionale.it, pp. 4 ss.  L'autore ha messo in luce come la democrazia legislativa non sarebbe stata in grado di assolvere ai tre compiti che erano stati affidati alla Repubblica. In particolare il primo compito si riconduce ad una finalità che è quella di riconoscere in Costituzione l’esistenza di una società piena di conflitti, e carica di diseguaglianze, che può e deve essere governata con lo scopo di conformarla a quei principi generali di giustizia, che le Costituzioni democratiche del Novecento enunciano con grande chiarezza, e che si riassumono nel diritto di ognuno di sviluppare la propria personalità, di costruire una condizione di vita libera e dignitosa; il secondo compito è quello d’individuare, e proteggere, lo strato della esistenza che può e deve essere considerato inviolabile, ovvero indisponibile da parte di tutti coloro che esercitino del potere, di carattere pubblico, ma anche privato, e dunque idoneo per collocarvi, in quello strato, e in posizione di anteriorità rispetto alla norma positiva statale, la persona, con il suo bagaglio di diritti, civili e politici, ma anche sociali, perché collegati all’accesso ai beni essenziali della vita, come l’istruzione, la salute, il lavoro; infine, il terzo compito è quello di costruire un sistema di poteri limitati e tra loro posti in condizione di equilibrio, in particolare tra i poteri d’indirizzo, che risultano dalla ordinaria competizione per la determinazione dell’indirizzo politico di maggioranza e i poteri di garanzia, che nel loro nucleo fondamentale sono dati dalla iurisdictio, ovvero dal potere di “dire” il diritto, di fissare cioè limiti positivi allo svilupparsi dell’indirizzo politico, che potrà così avere uno spazio suo proprio, entro cui manifestarsi discrezionalmente e in libertà, ma non tutto lo spazio, non l’intero spazio della Costituzione”. Il primato del legislatore viene così messo in discussione sia dal “concetto d’inviolabilità, faceva sentire forte l’esigenza di un limite che potremmo definire “assoluto”, che si collocava ben al di là della ordinaria pratica della riserva di legge” che dal “concetto di equilibrio, faceva sentire forte l’esigenza di avere poteri tutti limitati, contro la tradizione della suprema potestas, che poi in concreto era quella del legislativo, che era il potere che più impersonava il principio di sovranità”.

[15] Sul punto cfr. anche Corte Cost. sent. 18 dicembre 1973 n.183, sent. 5 giugno 1984 n.170, sent. 22 ottobre 2014 n.238.

[16] Una analisi sulla genesi, sull'ampiezza e sull'aplicazione della teoria dei controlimiti in E. Mottese, L'applicazione in Italia del Diritto dell'Unione Europea. La teoria dei controliminiti, in AA. VV., Diritto internazionale: Casi e materiali, a cura di R. Sapienza, Torino, Giappichelli, 2013, p. 1 ss.   

[17] N. Bobbio, Se vengono meno i principi della democrazia, in Risorgimento, 1958.

[18] Sempre su questo tema V. Pazè, Cittadini senza politica. Politica senza cittadini, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2016, pp.  ed anche V. Pazè, In nome del popolo. Il problema democratico, Edizioni Laterza, Bari, 2011, pp. 98 ss. e 172 ss. 

[19] L'argomento è sviluppato in modo compiuto da G. Azzolini, Dopo le classi dirigenti: La metamorfosi delle oligarchie nell'età globale, Edizioni Laterza, Bari, 2017, pp. 22 ss. L'autore sottolinea che "il processo di globalizzazione politica, ovvero l'allontanamento dei luoghi effettivi delle decisioni collettive dalle loro fonti di legittimazione, comporti un incremento dell'opacità nell'esercizio del potere. Laddove questo acquisisce tratti, è inevitabile che si moltiplichino i suoi arcani.    

[20] N. Bobbio, Ibidem.

[21] Sempre S. Cassese, Ibidem, pp.20 ss., rileva che "l' indebolimento dei partiti come strumento di formazione della domanda politica (elaborazione di ideologie, di programmi e di piattaforme elettorali) e di cinghia per la sua trasmissione si riflette sullo Stato e sui poteri locali, dove le esigenze collettive arrivano sfocate e il personale elettivo è impreparato".

[22] Sul punto F. Pizzolato, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano, Università Cattolica - Vita e Pensiero, 1999, p. 102 ss. ed anche Q. Camerlengo, Costituzione e promozione sociale, Il Mulino, Bologna, 2013, passim.

[23] Le complesse tematiche connesse a tale argomento trovano adeguata trattazione in AA.VV., La politica. Categorie in questione, Franco Angeli, Milano, 2015, passim, ed anche G. Fioroni, I compiti della politica oggi. Idee per un vocabolario, in AA. VV., Della politica. Un vocabolario per ricominciare, a cura di G. Fioroni, Armando Editore, Roma, p. 12 ss. L'autore evidenzia che"la scelta di fare a meno dei "valori", perché ritenuti ammuffiti, odoranti di sacrestia, inconciliabili con l'idea di modernità, ha favorito la situazione a cui oggi assistiamo: una politica senza valori ha perduto il riferimento a quel "comune sentire" che costituisce un popolo, e che permette ai singoli di accettare un sacrificio nel momento presente, perché le condizioni di vita di tutti migliorino in futuro. Condividere delle scelte, a qualsiasi livello, è diventato dapprima arduo, e poi quasi impossibile, perché è venuta meno una prospettiva comune in cui riconoscersi. Troppo tardi si è iniziato a capire che senza i valori la politica si svuota e che bisogni diversi, prima conciliabili in una sintesi, oggi sono destinati a rimanere contrapposti e inevitabilmente insoddisfatti".

[24] Sul punto M. Ciliberto, La democrazia dispotica, Bari, Laterza Editori, 2011, pp. 146 ss.

[25] Sulla funzione del partito politico nella società R. De Mucci, Profili di analisi della partecipazione politica in Italia, in AA.VV., Culture politiche e mutamento nelle società complesse, a cura di F. Saccà, Franco Angeli Editore, Milano, 2015 pp. 44 ss. ed anche F. Lanchester, Teoria e prassi della rappresentanza politica nel ventesimo secolo, in Rappresentanza e Governo alla svolta del nuovo secolo. Atti del Convegno di Studi - Firenze 28-29 ottobre 2004, a cura di S. Rogari, Firenze, Firenze University Press, 2006, pp. 7 ss.    

[26] Sulla previsione dell'art. 49 Cost. S. Bonofiglio, I partiti e la democrazia. Per una rilettura dell'art. 49 della Costituzione, Il Mulino, Bologna, 2013, passim. L'autore ribadisce che "non è possibile una democrazia senza partiti, ma senza partiti politici democraticamente organizzati la democrazia corre sempre il rischio della deriva verso vecchie forme di plebiscitarismo autoritario oppure verso nuove forme di populismo."

[27] F. Marcelli, Alla ricerca della democrazia in crisi, in Crisi della democrazia e crisi dei partiti in Italia e nel mondo, a cura di F. Marcelli e G. Incorvati, Ariccia, Aracne Editrice, 2010, p.25 ss.  L'autore ha messo in evidenza che il nostro sistema politico è finito in stallo da circa trent’anni essenzialmente per quattro motivi: “a) Corruzione, violazioni della legalità e utilizzo della forma-partito per l’arricchimento di singoli e di gruppi. Un fenomeno come tangentopoli, esploso all’inizio degli anni Novanta ma che trova le sue radici ben prima e si proietta fino ai giorni nostri, nonostante i ripetuti tentativi di sradicarlo. Alla base di tali fenomeni di corruzione c’è la commistione pubblico-privato e la sottrazione delle scelte al controllo della cittadinanza; b) Lesione del principio democratico “una testa un voto” mediante l’introduzione di sistemi elettorali sempre meno in grado di tradurre in modo fedele la differenza delle opinioni esistenti all’interno dell’elettorato in nome di un’esigenza di semplificazione del quadro politico del tutto malintesa e peggio interpretata; c) Emarginazione del Parlamento dal circuito decisionale, riduzione dello stesso a un “parco buoi” i cui componenti, anche per effetto dell’abolizione del voto di preferenza e della consegna del potere di selezione della classe politica alle segreterie dei partiti, sono sempre meno l’espressione della società civile; d) Riduzione del potere di regolamentazione e di amministrazione pubblica mediante l’emergere di poteri di fatto, legali ed illegali, operanti a livello transnazionale.

[28] M. Luciani, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, a cura di N. Zanon e F. Biondi, Milano,Giuffrè, 2001, passim.

[29] M. Luciani, Ibidem, p. 117

[30] La complessità dell'argomento è ben inquadrata da G. Orsina, La democrazia del narcisismo: Breve storia dell'antipolitica, Marsilio Editori, Venezia, 2015, passim ed anche C. Carboni, La società cinica: Le classi dirigenti italiane nell'epoca dell'antipolitica, Edizioni Laterza, Bari, 2015, passim. 

[31] Gli istituti di democrazia diretta sono ben approfonditi in P. Ignazi, Partito e democrazia. L'incerto percorso della legittimazione dei partiti, Il Mulino Editore, Bologna, 2019, passim e in G. Gangemi, Innovazione democratica e cittadinanza attiva, Gangemi Editore, Roma, passim.

[32] Sull'argomento si richiamano le considerazioni di G. Azzariti, La crisi dei partiti come crisi della loro capacità rappresentativa in Crisi della democrazia e crisi dei partiti in Italia e nel mondo, a cura di F. Marcelli e G. Incorvati, Ariccia, Aracne Editrice, 2010, p.101 ss.  - Il Prof. Gaetano Azzariti ha messo in luce che “attualmente i partiti si mostrano incapaci di confrontarsi con la complessità sociale, non più in grado di rappresentarne gli interessi politici entro le istituzioni rappresentative; se essi si rivelano incapaci di tradurre la frammentazione sociale in specifici indirizzi politici, non più in grado di guidare e riunificare la divisione pluralistica della società entro un orizzonte comune, ne consegue un doppio risultato negativo. Da un lato, la volontà del popolo sovrano rimane divisa e dunque impotente; dall’altro, parallelamente, anche i partiti vengono a smarrire la propria capacità di strumenti in grado di far concorrere tutti i cittadini a determinare la politica nazionale, che è poi la specifica missione che la Costituzione assegna loro”. Lo stesso Azzariti pone l’accento sul fatto che “la storia sociale e politica del Novecento è stata la storia dei partiti, ma è stata anche la storia dell’irruzione delle masse entro le istituzioni democratiche. Attraverso i partiti, le “masse” si sono fatte Stato, le “moltitudini” si sono costituite in “popolo”. Così, simmetricamente, è attraverso le masse organizzate che i partiti si sono insediati entro le istituzioni, rinvenendo in esse la loro ultima e più profonda legittimazione. È proprio la straordinaria legittimazione sociale che hanno conquistato i partiti che giustifica e spiega il ruolo che di fatto hanno ricoperto all’interno della costruzione dell’ordinamento statale. In Italia, poi, furono le vicende storiche e politiche che condussero il nostro Paese fuori dalla seconda guerra mondiale ed oltre il regime autoritario, ad assegnare ai partiti riuniti nel CLN il ruolo decisivo prima di “levatrici” e poi di “costruttori” del nuovo ordinamento costituzionale”.

[33] La definizione è di Zygmunt Bauman, al riguardo Z. Bauman, Modernità liquida, Edizioni Laterza, Bari, 2011, passim. L'Autore evidenzia che il tratto della modernità e che “l’unica sua costante sia il cambiamento e l’unica certezza sia l’incertezza”.  

[34] La crisi della rappresentanza chiama in causa l'affermazione del populismo, inteso quale fenomeno politico tendente "a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa, privilegiando modalità di tipo plebiscitario, e la contrapposizione di nuovi leader carismatici a partiti ed esponenti del ceto politico tradizionale" (definizione tratta da Enciclopedia Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2019). Su questo argomento G. Baldini, Populismo e democrazia rappresentativa in Europa, in Riv. Quaderni di Sociologia n.65/2014, Rosenberg & Sellier Editore, Torino, 2014, pp. 11 ss. ed anche G. Moschella, Crisi della rappresentanza politica e deriva populista, in Riv. Consultaonline 2019 Fasc. II, www.giurcost.org/studi/moschella3.pdf  e L. Viviani, Crisi della rappresentanza politica e trasformazioni della democrazia: la sfida del populismo, in AA.VV, Diseguaglianze e crisi della fiducia: Diritto, politica e democrazia nella società contemporanea, a cura di L. D'Alessandro e A. Montanari, Franco Angeli Editore, Milano, 2018, pp. 77 ss.

[35] Al riguardo F. Bordignon, Il partito del capo, Milano, Maggioli Editore, 2014, pp. 241 ss.

[36] Sulla politica post-ideologica F. Ferrarotti, Struttura organizzativa e ideali etici del partito politico, oggi, in AA.VV., Nell'età post-ideologica, quale identità per i partiti? Modelli di sviluppo locale e di partecipazione, a cura di R. Natili Micheli, Perugia, Morlacchi Editore, 2009, pp.31ss. 

[37] Su questo punto ed anche sulla "teoria delle élites" si richiamano le riflessioni di G. Mosca, Elementi di Scienza Politica, Bari-Roma, Laterza, 1953, passim e di V. Pareto, Trattato di sociologia generale, Milano, Edizioni di Comunità, 1964, passim.

[38] Cassese, Ibidem, p. 10, mette in evidenza che "il referendum costituzionale italiano del dicembre 2016 è stato vinto da oltre diciannove milioni di votanti, che rappresentano solo il 37 per cento dell’elettorato. Donald Trump è stato eletto quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti nel novembre 2016 solo con un quarto dei voti dei cittadini americani. Al referendum sull’appartenenza all’Unione europea svoltosi nel giugno 2016 nel Regno Unito ha optato per uscire il 52 per cento del 72 per cento degli aventi diritto al voto.

[39] Ciliberto, Ibidem, pp. 161 ss. ed anche F. Pallante, Contro la democrazia diretta, Torino, Einaudi, 2020, passim. L'autore in senso critico rileva che "Annullare le distanze tra governanti e governati è un’aspirazione che torna oggi a farsi sentire con un’intensità sino a qualche tempo fa sconosciuta. La sfiducia nella classe politica – il disprezzo, in molti casi – sembra aver toccato l’apice. Dai politici si è estesa ai partiti; da questi agli organi rappresentativi. Sino a dilagare, coinvolgendo le istituzioni costituzionali e, in generale, le strutture di governo della società. Siamo al popolo contro le élite, secondo un’interpretazione di successo. D’altronde, se la «casta» pensa solamente a se stessa, chi altri, se non il popolo, potrebbe pensare al popolo? Ed ancora: "Quel che occorre è trovare il modo di rimettere in circolazione riflessività, lungimiranza, responsabilità. Non offrire ulteriori occasioni agli istinti dominanti. Occorre, anzitutto, provare a comprendere come sia stato possibile rovinare così in basso: quando e perché un sistema che aveva saputo trarre l’Italia in salvo dalle devastazioni della Seconda guerra mondiale, sino a farne una delle principali potenze del pianeta, si sia tramutato in causa d’inarrestabile declino. E occorre, di seguito, provare a riflettere su come riavviare una dinamica positiva, rimettendo in circolazione l’idea che scopo del vivere comune non sia esclusivamente quello di incrementare le occasioni di benessere privato, costi quel che costi, ma anche quello di partecipare, tutti insieme, all’edificazione di una società ispirata a un ideale di vita buona – secondo l’insegnamento aristotelico per cui le città, e cioè gli Stati, non possono accontentarsi di essere tali «solo a parole», ma devono ambire a risultare realmente «degne di questo nome»".

[40] Sempre Cassese, Ibidem, p. 11, ricorda che "in centocinquant’anni si sono succedute tredici formule elettorali e ben tre dal 1993" ed anche G. Azzariti, I rischi dell’ “antipolitica” tra legge elettorale e referendum, relazione al seminario ASTRID “Quale riforma elettorale serve al Paese?”, svoltosi a Roma il 28 maggio 2007 e disponibile al link http://www.astrid-online.it/static/upload/protected/AZZA/AZZARITI_intervento_corretto-conv.-astrid-28-maggio-II.pdf.

[41] Sul tema M. Cammelli, Quando il "mito" è necessario: a proposito di riforme costituzionali, in  AA.VV., Crisi della politica e riforme istituzionali, a cura di G. Giraudi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. 3 ss.

[42] Al riguardo F. Scuto, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 132 ss.

[43] Per una compiuta analisi F. Pira, Comunicazione politica: come nasce e come cresce, in AA.VV., La nuova comunicazione politca, Dal volantino al Blog dalla radio a Second Life: strumenti, strategie e scenari, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, passim.

[44] Scuto, Ibidem, pp. 65 ss.

[45] In tal senso I. A. Nicotra, Il quadro delle fonti normative in tema di prevenzione e contrasto alla corruzione, in La prevenzione della corruzione. Quadro Normativo e strumenti di un sistema in evoluzione. Atti del Convegno. Pisa, 5 ottobre  2018, a cura di  A. Pertici e M. Trapani, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 62 ss.  ed anche Bilanci e donazioni, il grande bluff della trasparenza in https://www.openpolis.it/bilanci-e-donazioni-il-grande-bluff-della-trasparenza/

[46] Il termine è mutuato sempre da S. Cassese, Ibidem, pp.19, il quale afferma che "i vertici dei partiti appaiono come oligarchie destinate soltanto a distribuire potere e a organizzare il seguito elettorale. I leader danno sempre più un’impronta personale al proprio potere, che quindi si «verticalizza». I partiti, infine, strumento della democrazia, debbono essere democratizzati a loro volta, per garantire che al loro interno si rispettino le regole democratiche o che non diventino una minaccia per la democrazia.

[47] La questione è stata oggetto di studio in S. Rodotà, Tecnopolitica: la democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza Editore, Bari, 2004, passim e in S. Rodotà, Iperdemocrazia: Come cambia la sovranità democratica con il web, Laterza Editore, Bari, 2013, passim.    

[48] Sul rapporto tra web e politica R. De Rosa,  Partecipazione politica e nuovi media, Roma, Edizioni Nuova Cultura, pp. 80 ss. ed anche AA. VV., Politica e Internet, a cura di J. Jacobelli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011, passim.

[49] Su questo argomento si richiamano le riflessioni di H. Kelsen, Il primato del parlamento, Milano, Giuffrè,  1982, passim.

[50] Per una trattazione più approfondita si rinvia a E. Vitale, La democrazia e la rete. Molte difficoltà, quante opportunità?, in AA.VV., Web e società democratica: Un matrimonio difficile, a cura di E. Vitale e F. Cattaneo,  Accademia University Press, Torino, 2018, pp. 167 ss.

[51] Sul punto una interessante riflessione si rinviene in F. Casazza, Sviluppo e libertà in Amartya Sen: provocazioni per la teologia morale, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 2007, pp. 178 ss.

[52] C. Galli, Itinerario nelle crisi, Milano, Bruno Mondadori, 2012, passim.

[53] In argomento L.Taschini, I diritti sociali al tempo della condizionalità, Torino, Giappichelli, 2019, pp.  87 ss. ed anche S. Gambino, Crisi economica e diritti sociali, in AA. VV., Diritti sociali e crisi economica. Problemi e prospettive, Torino, Giappichelli, 2015, pp.  45 ss. e poi G. Grasso, I diritti sociali e la crisi oltre lo Stato nazionale, in AA. VV., Diritti sociali e crisi economica, Milano, Franco Angeli Editore, 2017, pp. 58 ss.       

[54] Repubblica (521a), in Platone, Opere, vol. II, Bari, Laterza, 1967, p. 345 ss.