Illegittimo respingere l´istanza di liberazione anticipata solo perché vi è una pendenza giudiziaria
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Adriano Randaccio
Dopo una breve premessa sull´origine della liberazione anticipata - anche alla luce delle fonti europee - si esamina la finalità dell´istituto, facendo chiarezza su quella che è la sua effettiva natura. Si identificano, poi, i soggetti legittimati a beneficiarne, passando, così, al requisito dell´arco temporale che necessariamente deve trascorrere affinché la liberazione anticipata possa essere concessa. Arrivando poi ad analizzare approfonditamente il presupposto necessario della ”partecipazione all´opera di rieducazione” per commentare, infine, la recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 33848/19) che ha ben chiarito la rilevanza dei precedenti giudiziari ai fini della concessione della liberazione anticipata.
Sommario: 1. Premessa; 2. Natura dell'istituto; 3. La valutazione semestrale; 4. Chiarimenti sul concetto di “partecipazione all’opera di rieducazione”; 5. Liberazione anticipata e pendenze giudiziarie alla luce delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione.
1. Premessa.
L'istituto della liberazione anticipata trova il suo fondamento nella Costituzione Repubblicana[1], più precisamente, il comma terzo, dell'art. 27 della Costituzione recita che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Proprio sull’art. 27, comma 3, Cost. e sulle sue possibili letture alla luce della CEDU (in particolare dell’art. 3), per come interpretata dalla Corte di Strasburgo, appare opportuno, preliminarmente, soffermarsi.
Specie con riferimento alla condizione dei detenuti, la giurisprudenza europea ha dato effettiva concretezza al divieto di trattamenti inumani e degradanti, infatti, molteplici sono state le condanne nei confronti di diversi Stati membri per violazione del succitato divieto. Condanne che hanno riguardato pure l’Italia nei noti casi Sulejmanovic (16 luglio 2009, ric. n. 22635/03); Cara Damiani (7 febbraio 2012, ric. n. 2447/05); Scoppola n. 4 (17 luglio 2012, ric. n. 65050/09) e, più di recente, Torreggiani e altri (8 gennaio 2013, ric. n. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/1045317/09). Da ultimo, con la sentenza Torreggiani, l’Italia è stata invitata a dotarsi entro un anno di un sistema efficace di ricorsi interni volto a garantire sia rimedi compensativi sia, soprattutto, rimedi preventivi contro le violazioni dell’art. 3 CEDU, rilevandosi, nella forma della sentenza pilota, un malfunzionamento sistemico che colpisce la tutela del diritto convenzionale.
La Corte sottolinea il carattere strutturale e metodico del sovraffollamento carcerario in Italia, ritenendo insufficienti gli sforzi finora compiuti dallo Stato italiano per contenere il fenomeno ed esortandolo ad agire in modo da ridurre il numero di persone incarcerate, in particolare attraverso una maggiore applicazione di misure punitive non privative della libertà e una riduzione al minimo del ricorso alla custodia cautelare in carcere. La Corte conclude affermando che “le autorità nazionali devono creare senza indugio un ricorso o una combinazione di ricorsi che abbiano effetti preventivi e compensativi e garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia. Tali ricorsi dovranno essere conformi ai principi della Convenzione, come richiamati in particolare nella presente sentenza, e posti in essere nel termine di un anno dalla data in cui questa sarà divenuta definitiva”.
Questo diritto, già desumibile dalla Costituzione italiana all'art. 27, comma 3, quindi, risulta “rafforzato” dalla previsione dell’art. 3 CEDU e dalla giurisprudenza europea che si è formata a partire da esso. Ne discene che la predisposizione di strumenti adeguati di tutela per questo diritto è anche da riguardare come “obbligo internazionale” che lo Stato italiano è tenuto ad osservare ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.
2. Natura dell’istituto.
Tradizionalmente, la liberazione anticipata viene considerata una misura alternativa, ma, in realtà, come possiamo desumere dall’analisi dell’istituto, è una misura premiale a tutti gli effetti. Essa, infatti, sostanziandosi in una pura e semplice riduzione della pena, realizza il risultato di anticipare il termine finale della sottoposizione del soggetto a privazione della libertà.
L’istituto della liberazione anticipata è previsto dall’ art. 54 della legge O.P. il quale sancisce che “al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare”.
Il presupposto sostanziale della liberazione anticipata è il riconoscimento della partecipazione del soggetto all'opera di rieducazione: funzione principale dell'istituto è, quindi, quella di gratificare un comportamento dell'interessato. La finalità del più efficace reinserimento nella società si realizza attraverso la riduzione della pena detentiva in corso di esecuzione, che determina l'anticipazione del ripristino dello stato di libertà per il condannato: in questo senso, pertanto, si parla di un efficace strumento di reinserimento sociale.
E' pacifico, dunque, sostenere che la liberazione anticipata consiste in un "beneficio" concesso al condannato che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione. Va ricordato, inoltre, che l'art. 54 della legge O.P. riconosce la detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata "al condannato a pena detentiva" che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione.
Sin dall'introduzione della disposizione è insorto un dubbio interpretativo circa il significato da attribuire alla condizione personale del soggetto "condannato a pena detentiva" quale requisito di legittimazione alla proposizione della domanda per l'accesso al beneficio, stante l'ampia formulazione testuale, se da intendersi riferito a tutti coloro che stanno espiando una pena detentiva, a prescindere dal luogo e dalle modalità in atto, oppure soltanto a coloro che a tale titolo si trovino ristretti in un istituto penitenziario.
Nei decenni passati si era affermato un orientamento interpretativo più restrittivo secondo il quale, poichè l'istituto si inserisce in una strategia di contrasto alla criminalità e di recupero della devianza, e, mediante il riconoscimento di una riduzione della pena, tende a stimolare il coinvolgimento e la cooperazione attiva del condannato nell'opera trattamentale in vista della sua risocializzazione, la stessa finalità perseguita esige che lo "status detentionis" sia in atto e che altrettanto perduranti siano l'osservazione della personalità in ambiente carcerario ed un programma di trattamento, rispetto ai quali poter valutare la partecipazione del soggetto sottoposto e dare attuazione allo scopo propostosi dal legislatore: l'eventuale cessazione dell'esecuzione penale o la condizione di libertà del condannato, già inserito nel contesto sociale, impediscono di realizzare la finalità premiale, sicchè non è consentito applicare la liberazione anticipata quando non sia praticabile il recupero sociale, nè è ammissibile ottenere uno sconto di pena da utilizzare per altre finalità, diverse dalla risocializzazione, o per decurtare la durata di pena dipendente da altre e diverse cause di detenzione[2].
Successivamente, tale linea interpretativa è stata parzialmente superata dalla Corte di Cassazione, la quale, ribadito il principio generale secondo il quale l’esaurimento del rapporto esecutivo per effetto dell’espiazione dell'intera pena inflitta, oppure per estinzione della stessa perchè condonata, esclude i presupposti di ammissibilità della domanda di liberazione anticipata, ha sostenuto la necessità di distinguere tali situazioni da quelle in cui l'uscita dal circuito carcerario del condannato non dipenda dal venir meno dell'esecuzione, quanto dalla "sospensione temporanea della pena per incompatibilità con le condizione di salute", la cui esecuzione dovrà riprendere non appena tali condizioni lo consentano[3].
La Corte ha dunque affermato che, nella seconda ipotesi, è consentito al soggetto proporre richiesta di ammissione alla liberazione anticipata in riferimento ad un periodo di detenzione pregressa, sempre che il rapporto esecutivo sia tuttora pendente e sia concretamente praticabile la valutazione della partecipazione all'opera di rieducazione, condotta nel corso dei semestri già scontati.
Ad analoghi approdi la giurisprudenza è pervenuta in riferimento alla condizione del condannato a pena detentiva che nel corso dell'esecuzione sia stato ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale o alla detenzione domiciliare, ossia a modalità espiative che non prevedono la permanenza in carcere, quando la richiesta sia riferita a un periodo detentivo già scontato e sia finalizzata a scomputare la riduzione ottenibile dalla durata della pena ancora da eseguire secondo le modalità proprie della misura alternativa, che di per sè non fa venir meno il rapporto esecutivo[4].
Siffatta soluzione ermeneutica ha poi trovato positivo riconoscimento normativo con l'introduzione nel testo dell'art. 47 Ord. pen. del comma 12 bis ad opera della legge 19 dicembre 2002, n. 277, art. 3, secondo il quale "all'affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'art. 54". Sulla scorta dei medesimi principi l'interesse ad accedere alla liberazione anticipata è stato riconosciuto anche a chi, avendo trascorso un periodo apprezzabile in stato di custodia cautelare, sia libero, non ancora sottoposto all'esecuzione della pena residua ed intenda avvalersi della liberazione anticipata per decurtare la pena derivante dalla sentenza di condanna definitiva ed evitare in tal modo la carcerazione esecutiva[5].
Anche in questo caso gli esiti interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza hanno finito per essere trasfusi in disposizione di legge, in quanto la legge 9 agosto 2013, n. 94, ha introdotto nell'art. 656 c.p.p., il comma 4 bis, secondo il quale "fuori dai casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la pena residua da espiare, computando le detrazioni previste dall' art. 54 della legge n. 354/1975, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, previa verifica dell'esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinchè provveda all'eventuale applicazione della liberazione anticipata". In tal modo, per espressa previsione normativa, non soltanto si è assegnato rilievo allo stato di libertà del richiedente il riconoscimento della liberazione anticipata, ma i pregressi periodi di custodia preventiva o di espiazione di pena dichiarata fungibile rispetto a quella da eseguire sono stati ritenuti utili al fine di impedire il reingresso in carcere del condannato.
Sulla scorta di tali premesse, la Suprema Corte ha riconosciuto l’accesso al beneficio della liberazione anticipata rispetto: a) al condannato all’ergastolo che nel corso dell’esecuzione venga ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale o alla detenzione domiciliare, quando la richiesta fosse riferita a un periodo detentivo già scontato e la concessione della misura fosse finalizzata a scomputare la riduzione ottenibile dalla durata della pena ancora da eseguire, secondo le modalità proprie della misura alternativa che di per sé non fa venir meno il rapporto esecutivo[6]; b) al soggetto, il quale, avendo trascorso un apprezzabile periodo in stato di custodia cautelare, si trovi in attesa di essere sottoposto all’esecuzione della pena residua ed intenda avvalersi della liberazione anticipata per evitare la carcerazione definitiva[7].
In conclusione è possibile affermare che “per poter beneficiare della libertà anticipata, non è richiesto che la detenzione sia in atto e comporti la segregazione all’interno di un istituto penitenziario, essendo piuttosto preteso il mancato esaurimento del rapporto di esecuzione penale in corso, sulla cui protrazione temporale l’istituto vada ad incidere in senso favorevole al condannato, anticipandone la cessazione”.
Nella vigente formulazione, la liberazione anticipata, assume prevalente carattere premiale e incentivante, come sottolinea la dottrina fin dalla prima riforma del 1986[8]. L'istituto mira essenzialmente ad indirizzare i detenuti alla partecipazione all'opera di rieducazione, usufruendo dell'opportunità offertagli dal trattamento ed anche dall'osservazione penitenziaria[9].
La natura "premiale" e il fine "risocializzante" dell'istituto si palesano, ancor di più, nel fatto che "la liberazione anticipata può essere applicata dal giudice in relazione a condanne per qualsiasi delitto commesso", tuttavia, se il reo commette un delitto non colposo durante l’esecuzione della liberazione anticipata o dopo la sua concessione perde immediatamente il beneficio. In pratica, la liberazione anticipata è volta alla gratificazione del reo - in quanto comporta lo sconto di pena di 45 giorni per ogni semestre di detenzione in carcere - ma risponde anche all’esigenza di ridurre il sovraffollamento nelle carceri, accorciando i tempi della permanenza negli istituti penitenziari.
L’ordinamento penitenziario stabilisce anche che, per la formazione dei semestri da prendere in considerazione, il giudice deve valutare anche il tempo trascorso in custodia cautelare o detenzione domiciliare, ma sempre che il detenuto abbia avuto una condotta propositiva.
Inoltre, dal 2013 (con l’entrata in vigore del decreto legge n. 146 del 2013, convertito dalla legge n. 10 del 2014) l’ordinamento penitenziario prevede anche l'istituto della liberazione anticipata “speciale” che, in particolari condizioni, conferisce al detenuto uno sconto di pena di 75 giorni ogni 6 mesi di detenzione e risponde alla ratio di ridurre il sovraffollamento negli istituti penitenziari. La liberazione anticipata speciale si applica ai semestri di detenzione scontati tra il 1° gennaio 2010 ed il 31 dicembre del 2015, con l’esclusione dei semestri trascorsi in regime di detenzione domiciliare, inoltre: "nei due anni successivi all’entrata in vigore del decreto legge n. 146 del 2013, convertito dalla legge n. 10 del 2014, il beneficio della liberazione anticipata comporta, ove ne siano riconosciute le condizioni (partecipazione all’opera di rieducazione secondo i criteri di cui all’art. 103 d.P.R. n. 230 del 2000), una detrazione di pena pari, in ogni caso, a settantacinque giorni. Solo se tale beneficio risulti già concesso, a decorrere al 1/1/2010, nella misura ordinaria di quarantacinque giorni di riduzione della pena, il riconoscimento di una detrazione di ulteriori trenta giorni per ogni singolo semestre è subordinato alla verifica che il condannato abbia continuato, nel corso dell’esecuzione successiva alla fruizione del beneficio, a dare prova di partecipazione all’opera di rieducazione"[10].
3. La valutazione semestrale.
Prima della riforma del 1986, la giurisprudenza della Corte di cassazione - in contrasto con la dottrina maggioritaria - al fine della concessione della liberazione anticipata sosteneva il principio di "globalità della valutazione del comportamento del detenuto". Questa impostazione comportava l'adozione di un unico provvedimento, da compiersi nella parte terminale della pena, contenente un giudizio di prevalenza dei giudizi di segno positivo rispetto a quelli di segno negativo del periodo di detenzione.
Poi, nel 1986, con la legge n. 663, si è specificato con chiarezza che la detrazione deve essere riferita ad ogni singolo semestre di pena scontata attribuendo, per questa via, maggiore rilevanza al principio di “semestralizzazione” il quale - largamente sostenuto anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 276 del 1990 - può essere inteso come potere-dovere del giudice di esprimere la valutazione, positiva o negativa, sulla richiesta di liberazione anticipata in relazione a ciascuno dei semestri di pena scontata, siano detti semestri valutati con separati provvedimenti, siano fatti oggetto di unica ordinanza, in ogni caso con facoltà di adottare decisioni diverse per i vari semestri[11].
Il semestre, dunque, diventa presupposto di concessione del beneficio, onde è possibile iniziare a chiedere la liberazione anticipata una volta scontato almeno un semestre. Ad avviso di chi scrive, la valutazione a cadenza semestrale del comportamento assunto dal detenuto, ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata, produce due risultati positivi rispetto al giudizio pronunciato solo nella parte finale dell'espiazione della pena: il primo è sicuramente quello che il soggetto che sta espiando una pena sarà maggiormente incentivato ad assumere un comportamento prodromico alla risocializzazione se sa che la sua condotta sarà giudicata nel breve termine e che, in caso di esito positivo, anche la conseguente detrazione di pena da espiare gli sarà subito riconosciuta. In secondo luogo, la decisione “semestrale” sulla concessione del beneficio della liberazione anticipata comporta, come ulteriore conseguenza positiva, la continua e ininterrotta sorveglianza sull’atteggiamento e sulla effettiva risocializzazione del condannato, e questo, tra l’altro, dà concreta attuazione al principio costituzionale secondo il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
In ogni caso, nel computo dei sei mesi non si considera soltanto la pena detentiva espiata, ma anche la custodia cautelare espiata e la detenzione domiciliare, cioè quello che conta non è la forma di detenzione, bensì il fatto di aver partecipato all’opera di rieducazione. Tuttavia il giudice deve tenere conto delle differenze riscontrabili nella condizione carceraria dell'imputato e del condannato.
L'ordinamento penitenziario prevede che il trattamento debba essere individuato in relazione ai risultati scientifici dell'osservazione della personalità del condannato e indica quali elementi del trattamento: l'istruzione, il lavoro, la religione, le attività culturali, ricreative; per gli imputati, invece, la partecipazione alle attività costituite dal trattamento ha carattere facoltativo e l'attività lavorativa può essere esclusa per giustificati motivi o per disposizione dell'autorità giudiziaria. Nel valutare, perciò, la sussistenza delle condizioni per la liberazione anticipata occorrerà verificare se l'eventuale svolgimento di attività rieducative fosse compatibile con la posizione giuridica dell'imputato e considerare che la partecipazione alle stesse è facoltativa[12].
Va ricordato, infine, che il semestre da valutare agli effetti della detrazione di pena, ex art. 54 O.P., può risultare dal cumulo di periodi detentivi non continuativi, purché essi non siano separati da un intervallo temporale così lungo da impedire di verificare concretamente la partecipazione del detenuto al trattamento rieducativo - fattispecie in cui tale possibilità è stata esclusa in relazione a periodi detentivi separati da un intervallo di circa 26 mesi-[13].
4. Chiarimenti sul concetto di “partecipazione all’opera di rieducazione”.
Come abbiamo potuto riscontrare, a seguito di una attenta analisi della natura dell’istituto, la liberazione anticipata è uno strumento premiale che si traduce in uno sconto di pena per tutti i condannati a pena detentiva purchè ricorra il presupposto fondamentale dell’aver dato prova della partecipazione all’opera di rieducazione. Ma cosa si intende per effettiva partecipazione all’opera di rieducazione?
Per rispondere a questa domanda non si può limitare l'analisi all’istituto della liberazione anticipata così come disciplinato dall’art. 54 della legge O.P., ma occorre che quest’ultimo venga letto e coordinato con una norma del regolamento penitenziario, che è l’art. 103, comma 2, il quale stabilisce che “la partecipazione del condannato all’opera di rieducazione è valutata con particolare rifermento all’impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertegli nel corso del trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna”. Quindi, a seguito di una attenta analisi della succitata norma, possiamo affermare che i criteri ai quali l'organo giurisdizionale deve attenersi al fine di concedere il beneficio della liberazione anticipata sono: 1) l’impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertegli nel corso del trattamento, specie impegnarsi nelle mansioni lavorative offerte dal trattamento rieducativo 2) il mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna[14].
Il presupposto della partecipazione del condannato al trattamento penitenziario costituisce requisito prevalente, rispetto all’accertamento della regolarità della condotta, ai fini della disamina della liberazione anticipata. La giurisprudenza ha chiaramente distinto le due condizioni necessarie ai fini della concessione della liberazione anticipata: ”il concetto di partecipazione all'opera di trattamento, che costituisce il presupposto per l'applicazione del beneficio previsto dall'art 54 della legge n 354 del 1975, non va confuso con la cosiddetta buona o regolare condotta, che costituisce uno degli elementi di valutazione - attenendo soltanto al comportamento esteriore del detenuto - che si manifesta con la mera adesione alla disciplina carceraria e può non coincidere con la collaborazione psichica all'attività svolta dagli operatori penitenziari”[15].
La verifica dell’effettiva adesione del condannato al trattamento, per sua stessa natura, ”non può che essere complessiva, riferibile cioè a tutto il periodo di detenzione preso in esame, non essendo concepibile, se non in casi del tutto eccezionali, che al trattamento - da considerarsi come un positivo processo evolutivo - il soggetto aderisca soltanto in determinati periodi di detenzione”[16].
La definizione normativa del contenuto del secondo presupposto, che deve sussistere ai fini della concessione della liberazione anticipata, ha l’effetto di limitare l’ampiezza della cognizione del giudice ai soli profili valorizzati dalla norma stessa. In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha più volte affermato che, nel novero degli elementi da valorizzare ai fini del giudizio sull’adesione al trattamento non può entrare l’atteggiamento del detenuto nei confronti della condanna, e, dunque, non può rilevare a suo danno l’eventuale protesta di innocenza ovvero la dichiarazione di essere vittima della giustizia: ”ai fini del riconoscimento della riduzione di pena per liberazione anticipata, la partecipazione all'opera di rieducazione non può ritenersi esclusa per il solo fatto che il condannato continui a proclamare la sua estraneità ai fatti, qualora risultino dall'osservazione della condotta l'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertegli nel corso del trattamento, l'atteggiamento collaborativo manifestato nei confronti degli operatori penitenziari e la positiva qualità dei rapporti intrattenuti con i compagni e i familiari”[17].
Una giurisprudenza, peraltro isolata, ha ulteriormente precisato il contenuto del precetto normativo, affermando che oggetto della valutazione del giudice, ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata, non è il mero impegno di partecipazione all'opera di rieducazione indipendente dai risultati conseguiti, bensì la sua adesione qualificata al trattamento penitenziario - rispetto agli obiettivi del quale l'istituto della riduzione di pena assolve una funzione strumentale accentuandone il momento della personalizzazione e stimolando la cooperazione del detenuto - con particolare riferimento all'atteggiamento psicologico con cui lo stesso ha fatto propri, nel periodo considerato, i risultati del programma di trattamento per lui predisposto e finalizzato al suo reinserimento sociale[18].
Come detto, si tratta di un orientamento in aperto contrasto con il tenore della norma prevista dall’art. 54 della legge n. 354 del 1975, che ha inteso premiare lo sforzo partecipativo del detenuto piuttosto che l’effettivo conseguimento di un risultato sul piano della rieducazione. La valutazione dell’adesione del condannato alle offerte trattamentali deve tenere conto, anzitutto, della personalità dell’interessato e dei riflessi che, sull’apprezzamento dell’adesione del reo alle proposte rieducative, proietta la gravità del reato commesso, “giacché tanto quest'ultimo appare più grave per la sicurezza sociale, tanto maggiori devono essere, da parte del condannato, il grado di adesione al trattamento e l'entità dei progressi realizzati. E tuttavia tale esigenza non può essere scissa dai progressi compiuti dal condannato nel corso del trattamento, poiché la valutazione concernente la gravità del reato e la personalità del suo autore è poi assorbita in quella più ampia concernente i risultati dell'osservazione scientifica, che a sua volta si fonda sull'acquisizione di dati biologici, psicologici e sociali“[19].
A parere di chi scrive, in tale contesto, particolare attenzione dovrebbe essere posta dal giudice nella valutazione di quanto le difficoltà personali, culturali e sociali possano influire sul grado di adesione del condannato al trattamento.
L’aumento esponenziale del numero di detenuti stranieri, nelle carceri italiane, pone in primo piano la questione dell’esigenza di “relativizzare” il giudizio sulla partecipazione del condannato al trattamento penitenziario[20].
A tal proposito, pare tuttavia opportuno applicare il criterio della relativizzazione del giudizio sulla partecipazione del condannato con estrema prudenza, essendo sempre immanente, in un tale contesto, il pericolo che l’estremizzazione dell’applicazione del principio de quo possa condurre a risultati inaccettabili ed iniqui, tanto alla luce del principio di eguaglianza di tutti davanti alla legge; quanto, segnatamente, a causa delle oggettive iniquità che un giudizio siffatto comporterebbe, allorquando premiasse o censurasse un accertato identico livello di partecipazione a seconda dell’appartenenza del detenuto ad un "contesto" culturale, religioso o sociale piuttosto che a un altro.
Un profilo, spesso trascurato e che tuttavia il giudice è chiamato a valutare, attiene alla verifica della misura in cui l’eventuale insufficienza o carenza di proposte trattamentali nell’istituto di pena abbia inciso sull’adesione del detenuto all’opera di rieducazione.
Con riferimento a tale profilo, la giurisprudenza prevalente ritiene, secondo un condivisibile orientamento, che le carenze dell’amministrazione, sotto il profilo della mancata predisposizione di strumenti trattamentali di rieducazione, non possano non essere tenute in considerazione nella valutazione dell’eventuale “inerzia” del detenuto nella partecipazione all’opera di rieducazione: “In tema di liberazione anticipata, posto il principio che, ai fini del requisito della partecipazione all'opera di rieducazione non é comunque sufficiente il solo fatto di aver mantenuto regolare condotta in istituto, deve ritenersi che, in assenza di trattamento penitenziario dipendente da deficienze organizzative dell'amministrazione carceraria, la prova di detta partecipazione può essere desunta da ogni altro elemento significativo della volontà del condannato di abbandonare gli schemi di vita devianti che hanno caratterizzato la sua vita anteatta, tenendo anche conto del suo comportamento in istituto, con particolare riguardo all'osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impostigli, all'atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari, ai rapporti intrattenuti con compagni e familiari. É, quindi, necessario, nell'ipotesi data, che il tribunale di sorveglianza svolga, anche di ufficio, approfondite indagini, mediante specifica richiesta all'istituto di pena, sia in ordine alle ragioni del mancato trattamento sia in ordine alla sussistenza di eventuali altri fatti apprezzabili riferibili al condannato, onde poter eventualmente accertare l'effettiva evoluzione della personalità dello stesso verso modelli di vita socialmente validi”[21].
In senso ancora più “estremistico” si pone un orientamento giurisprudenziale - non condivisibile poiché espunge dal giudizio ai fini del riconoscimento della liberazione anticipata uno dei due presupposti stabiliti dalla legge - il quale ritiene che, "qualora all’interno dell’istituto penitenziario vi sia una totale carenza di strumenti ed opportunità trattamentali, il giudizio ai fini del riconoscimento della riduzione di pena dovrebbe limitarsi alla verifica della sussistenza della regolarità comportamentale"[22].
Ovviamente, la valutazione della partecipazione all’opera di rieducazione comprende l’esame della gestione degli eventuali benefici penitenziari: ”Ai fini della concessione della liberazione anticipata è essenziale l'accertamento della partecipazione del condannato all'opera di rieducazione". Poiché ai sensi dell'art. 30 ter della legge 26 luglio 1975 n. 354 (ordinamento penitenziario) "l'esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento" - tanto che "deve essere seguita dagli educatori ed assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio" - ne consegue che "il negativo risultato di detti permessi ben può essere valutato quale dimostrazione della mancanza di quella partecipazione all'opera di rieducazione prevista quale condizione indispensabile ai fini della concessione della liberazione anticipata”[23].
Inoltre, la liberazione anticipata, disciplinata dall'art. 54, ord. pen., oltre che misura destinata a favorire un più efficace reinserimento nella società del detenuto, premiando la sua partecipazione all'opera di rieducazione, è concepita come uno strumento idoneo a mantenere la disciplina negli istituti penitenziari, con la conseguenza che deve essere negata a chi è incorso in sanzioni disciplinari e può essere concessa, invece, al condannato che ha mantenuto un comportamento rispettoso nei confronti degli operatori penitenziari e regolari rapporti con gli altri detenuti, senza incorrere in ammonizioni o sanzioni disciplinari[24]. Infine, posto che l'opera di rieducazione alla quale fa riferimento l'art. 54 ord. pen. ha la doppia finalità di premiare il detenuto che vi abbia partecipato e di garantire che nella società si reinserisca un soggetto in grado di operare scelte di vita diverse da quelle che hanno dato luogo all'inflizione della pena, deve ritenersi che, quando per qualsivoglia ragione, ancorché inerente all'organizzazione penitenziaria, il trattamento rieducativo non sia stato praticato, il beneficio in questione, mancando oggettivamente la realizzazione della duplice, anzidetta finalità, non possa essere concesso[25].
5. Liberazione anticipata e pendenze giudiziarie alla luce delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione.
Di notevole interesse risulta il tema relativo alla concessione della liberazione anticipata in caso di pendenze giudiziarie. A tal proposito, la più recente cassazione, non mutando orientamento e confermando il principio secondo il quale, ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata, va preso in considerazione il comportamento del condannato all’interno dell’istituto carcerario, pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale di sorveglianza, confermando il provvedimento del magistrato di sorveglianza, aveva respinto un’istanza di liberazione anticipata valorizzando in chiave negativa il comportamento che l’istante (collaboratore di giustizia) aveva tenuto in carcere, in occasione di un colloquio con l´ex convivente, consistito nel minacciare di morte la compagna ed i di lei genitori, ha affermato che “il Tribunale di sorveglianza ha l'obbligo di valutare la pertinenza dei fatti contestati rispetto all'opera di rieducazione alla quale il soggetto è stato sottoposto, non potendo il solo riferimento a una pendenza giudiziaria ritenersi preclusivo alla concessione del periodo di liberazione anticipata”[26].
Il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto che, in attesa degli sviluppi del procedimento, poteva darsi credito alla parola della persona offesa, contrapposta a quella del condannato, in quanto la sua denunzia "costituisce un fatto ed un'assunzione di responsabilità precisa innanzi alla legge, operata in termini dotati di una loro plausibilità e credibilità" e che, quali che siano gli esiti degli accertamenti in corso di esecuzione, "nelle condizioni date vi sono tutti i presupposti per ritenere che il condannato abbia avuto quanto meno un atteggiamento aggressivo e minatorio nei confronti della compagna e dei suoi genitori - atteggiamento che non può essere archiviato come compatibile con l'adesione al trattamento rieducativo“[27].
Invero, ad avviso di chi scrive, sembra non possa condividersi, alla luce dei principi costituzionali, la decisione del tribunale di sorveglianza che ha reputato superflui gli approfondimenti istruttori sollecitati dal condannato, vertenti su episodi successivi e distinti, concernenti la sopravvenuta normalizzazione dei rapporti tra quest’ultimo e la ex compagna e considerato che, quantunque le ulteriori informazioni sul collaboratore di giustizia relative al semestre non apparissero negative, emergendo un comportamento corretto e privo di violazioni, la condotta minatoria da lui posta in essere aveva determinato il rigetto della domanda di liberazione anticipata.
La decisione del Tribunale di sorveglianza appare – ictu oculi – contrastante con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, il quale, come doveroso ricordare, riconosce la garanzia di non essere ritenuto colpevole fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Secondo tale principio, chiunque accusa una persona di aver commesso un fatto costituente reato deve convincere il giudice mediante delle prove che costei è colpevole, quindi, non spetta all’imputato dimostrare la sua innocenza ma è compito degli accusatori dimostrarne la colpa. Considerato, tra l’altro, che in un sistema processuale come il nostro – di tipo accusatorio – se l’accusa non riesce a convincere il giudice della reità dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” in ossequio al principio dell’ “onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat” questi deve essere semplicemente dichiarato non colpevole. L’imputato, quindi, non è assimilato al colpevole fino al momento della condanna definitiva perché presunto innocente, pertanto, la sanzione penale non può essere anticipata in via provvisoria, se non nei casi e modi previsti dalla legge per provate esigenze cautelari.
Per questa via si ritiene che il Tribunale di sorveglianza abbia erroneamente rigettato la richiesta di liberazione anticipata fondando il medesimo rifiuto su una condotta ancora da accertare e ritenendola, prematuramente, idonea ad attestare la deviazione del condannato dal percorso segnato dal trattamento rieducativo. La consolidata giurisprudenza della Cassazione incline a ritenere legittima la valutazione dell’incidenza negativa, della commissione di reati commessi nel corso di periodi di libertà, sull’opera di rieducazione del condannato, in rapporto a semestri di pena espiata antecedentemente alla perpetrazione degli illeciti penali.
Il descritto orientamento giurisprudenziale può essere declinato secondo la seguente tassonomia: "per poter incidere sulla valutazione ai fini della liberazione anticipata, deve trattarsi di un reato di significativa gravità"[28]; "la valutazione della condotta penalmente illecita, successiva al periodo di detenzione, è comunque legittima, poiché il giudizio ai sensi dell’art. 54, legge 26 luglio 1975, n. 354, deve avere ad oggetto la complessiva condotta del soggetto"[29]. Si sono registrate, in particolare, alcune pronunce - rimaste tuttavia isolate - applicative di quella che, con efficace espressione, è stata definita una “valutazione a compartimenti stagni” della condotta del detenuto, con la conseguenza che si è giunti a ritenere che "la commissione di un delitto successivamente al semestre in valutazione non inficiasse il positivo giudizio sulla istanza di liberazione anticipata"[30].
Va tuttavia precisato che, nelle decisioni citate, la Corte si è limitata - in verità - a puntualizzare che non esiste alcuna automatica preclusione alla concessione del beneficio della liberazione anticipata qualora, successivamente al periodo preso in considerazione, il condannato commetta un ulteriore reato.
La concessione del beneficio in oggetto è solo subordinata alla valutazione positiva delle prove di partecipazione all'opera di rieducazione fornite "per ogni singolo semestre di pena scontata"; la commissione di gravi reati successivamente al periodo di detenzione, che deve essere valutato, riverbera negativamente sulla valutazione dell’effettiva partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, poiché la commissione di illeciti successiva all’esposizione al trattamento penitenziario evidenzia la partecipazione meramente formale del soggetto all’opera di rieducazione intrapresa nei suoi confronti[31].
Tornando al caso in esame, secondo la Cassazione, il Tribunale di sorveglianza, ha provveduto in apparente ossequio all'indirizzo ermeneutico secondo cui nel procedimento di sorveglianza possono essere valutati anche fatti costituenti mere ipotesi di reato, senza la necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, rilevando la sola valutazione della condotta del condannato al fine di stabilire se lo stesso, a prescindere dall'accertamento giudiziale sulla sua responsabilità penale, sia meritevole dei benefici penitenziari richiesti. I giudici di legittimità, pur riconoscendo la portata dell’indirizzo ermeneutico di cui sopra, hanno ritenuto di specificare che tale possibilità non esime, comunque, il Tribunale di sorveglianza dall'obbligo di "valutare la pertinenza dei fatti contestati rispetto all'opera di rieducazione alla quale il soggetto è stato sottoposto, non potendo il solo riferimento a una pendenza giudiziaria ritenersi preclusivo alla concessione del periodo di liberazione anticipata richiesto". Ne discende che, nel caso di specie, l'unicità ed episodicità della violazione, la natura del comportamento contestato e l'assenza di evidenze obiettive che rendano certa la conclusione del procedimento pendente con una sentenza di condanna, avrebbero dovuto indurre il Tribunale di sorveglianza a meglio verificare se ed in quale misura il contegno che si ascrive al condannato – richiedente il beneficio della liberazione anticipata – sia stato espressione di un atteggiamento aggressivo e minatorio in radice incompatibile con l'adesione al trattamento rieducativo.
Ebbene, alla luce delle molteplici decisioni dei giudici di legittimità – che fanno chiarezza su come valutare i comportamenti del condannato al fine della prova della partecipazione all’opera di rieducazione – possiamo affermare, senza dubbio alcuno, che tra le cause ostative alla concessione del beneficio della liberazione anticipata non vi rientra quella di avere precedenti giudiziari, anzi, come affermato dalla stessa Corte di legittimità, ai fini della liberazione anticipata, occorre avere riguardo al comportamento tenuto dal condannato all'interno degli istituti penitenziari, mentre rilevanza del tutto secondaria ed accessoria assumono i precedenti penali e giudiziari, i quali possono costituire elementi di base per l'esame scientifico della personalità e per elaborare il trattamento individualizzato ancorchè si riferiscano al comportamento del condannato in libertà[32].
[1] Deliberazione Assemblea Costituente 22 dicembre 1947. Costituzione della Repubblica Italiana (Gazzetta Ufficiale n.298 del 27 dicembre 1947 - entrata in vigore il 1°gennaio 1948.
[2] Orientamento propugnato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con due pronunce del 18.06.1991, la n. 15, Argenti, rv. 187707 e la n. 16, Sacchetto, rv. 187708.
[3] Cassazione, sez. I, n. 16269 del 26.04.2006, Lo Giudice, rv. 234220; sez. I, n. 30302 del 06.07.2001, Rossi, rv. 219554; sez. I, n. 1490 del 01.03.2000, Pezzella, rv.215936; sez. I, n. 4192 del 08.09.1995, Dalle Molle, rv. 202399; sez. I, n. 362 del 13.02.1992, Pugliesi, rv. 189217;
[4] Cassazione, sez. I, n. 30302 del 06.07.2001, Rossi, rv. 219554; sez. I, n. 7318 del 22.12.1999, dep. 2000, Olivari, rv. 215335.
[5] Cassazione, sez I, n. 5831 del 24.11.1998, Vasta, rv. 212099; sez I, n. 3005 del 28.04.1997, Falcone, rv. 207678; sez. I, n. 1110 del 23.02.1998, Ambrosi, rv. 210024; sez I, n. 3585 del 23.05.1997, Olivieri, rv. 207976
[6] Cassazione pen., Sez. I, 6 luglio 2001, n. 30302; Cassazione pen., Sez. I, 22 dicembre 1999, n. 7318.
[7] Cassazione pen., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 5831; Cassazione pen., Sez. I, 28 aprile 1997, n. 3005.
[8] Fiandaca G., Commento all'art. 18 L. 10 ottobre 1986, n. 663, in "Legislazione penale", 1987, p. 203.
[9] La stessa Corte costituzionale, con sentenza 31 maggio 1990, n. 276 (in "Cassazione penale", 1991, I, pp. 4 e ss.), indica che gli artt. 54, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e 18 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (che sostituisce il primo) costruiscono l'istituto della liberazione anticipata come "un beneficio diretto a sollecitare l'adesione e la partecipazione del condannato all'azione di rieducazione, mediante l'abbuono di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata, sicché l'abbuono spetta separatamente per ogni semestre in cui il soggetto abbia dato prova di partecipazione all'azione educativa e non in base ad una valutazione finale e globale, che può comportare la perdita del beneficio per una valutazione finale negativa di carattere disciplinare".
[10] Cassazione penale, sezione I, 9 gennaio 2018, n. 356, Mazzei.
[11] Canepa-Merlo, Marcheselli A., Merlo S., Lezioni di diritto penitenziario, Giuffrè editore, Milano 2002, p. 153.
[12] Cassazione penale, sezione I, 23 settembre 1994, n. 3656 (c.c. 18 luglio 1994), Cannella.
[13] Ordinanza, Tribunale di Sorveglianza di Torino, 27 marzo 2013, Pres. Viglino, Est. Vignera, ric. C. F.
[14] Canepa-Merlo, pag. 463, criteri di valutativi per la concessione del beneficio della liberazione anticipata
[15] Cassazione penale del 04.06.1977, n.833, Caruso,CED
[16] Cassazione penale del 04.06.1977, n.833, Caruso,CED
[17] Cassazione penale, sezione I, 31 gennaio 1996, n. 5443 (c.c. 31 ottobre 1995), P.G. in proc. De Simone.
[18] Cass., 9.10.1981, n.1161,Varone, CED.
[19] Cassazione penale, sez. I, del 25.6.96, n. 2407, Moni, in CED; conformemente a Cassazione penale, sez.I, del 15.3.1994, Schivano, in Cassazione Penale, 1995,1368
[20] Cfr.in tema Trib.Sorv. Ancona,18.5.1989, Agca, in Giurisprudenza Italiana, II, 1989, p. 410.
[21] Cassazione penale, sez. I, del 10.12.1995, n. 5344, Al Masalmeh ,in Rivista Penale, 1996,p.789.
[22] Cassazione penale, sez. I, del 06.06.1995, Sgura, in Rivista Penale, del 1996, p.518; Cassazione penale, sez. I, del 20.9.1996, Greco, in Cassazione Penale,1997,p.2855.
[23] Cassazione penale, sez I, del 04.02.1997, n.5618, Bruno, CED.
[24] Cassazione penale, 11 maggio 1995, Ianni, in "Cassazione penale", 1996, p. 2373.
[25] Cassazione penale, 11 gennaio 1995, Scivoli, in "Cassazione penale", 1995, p. 3530.
[26] Cassazione, n. 33848/2019.
[27] (Sez. 1, n. 42571 del 19 aprile 2013, Cagnoni, n. m.; Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011, Assisi, Rv. 250824; Sez. 1, n. 37345 del 27/09/2007, Negri, Rv. 237509).
[28] Cassazione penale, sez. I, del 05.06.1997, n. 3017, Grappone, in Rivista penale, 1997, p. 962.
[29] Cassazione penale, sez. I, del 17.04.2000, n.1740, Greco,CED; conforme Cassazione penale, sez. I, del 25.03.1992, Badalamenti, in Cassazione Penale, del 1993, p.2102.
[30] Cassazione penale, sez. I, del 24.05.1989, n.1288, Grimaldi,CED; in senso conforme, Cassazione penale, sez. I, del 29.03.1989, n. 827, Locci, CED.
[31] Cassazione penale, sez. I, del 23.03.1993, Privitera, in Cassazione Penale, del 1995, p.2279; Cassazione penale, sez. I, del 14.04.1997, Pirrozzi,in Cassazione Penale, del 1997, p. 962; Cassazione penale, sez. I, del 07.07.1999 n. 3342, Bayrak, CED.
[32] Cassazione penale, sezione I, 28 luglio 1989 (c.c. 7 luglio 1989, n. 2047), De Gregori.