Pubbl. Gio, 16 Apr 2020
La regolarizzazione delle obbligazioni contrattuali alla luce degli effetti sortiti dal Covid-19
Modifica paginaLa grave crisi sociale, sanitaria ed economica provocata dal diffondersi del Coronavirus pone al giurista, tra gli altri, il problema circa l´impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali assunte precedentemente, in particolar modo agli impegni di natura commerciale, non solo di diritto interno, ma anche a livello mondiale, a causa dalle misure di restrizione varate dal Governo. Il contributo vuole analizzare gli istituti del nostro ordinamento a tutela delle parti contrattuali inevitabilmente danneggiate dalla crisi epidemiologica.
Sommario: 1. L’impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c.; 2. La causa di forza maggiore; 3. Gli effetti del Coronavirus sulla regolarizzazione dei rapporti contrattuali.
1. L’impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c.
A norma dell’art. 1256 c.c., l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diviene impossibile.
L’impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore costituisce un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, di tipo non satisfattivo, poiché l’obbligazione si estingue senza che il creditore riceva quanto dovuto e riesca, dunque, a soddisfare il proprio interesse.
L’impossibilità della prestazione si distingue in originaria e sopravvenuta. La prima consiste nel verificarsi di un impedimento originario, precedente o coevo al sorgere del rapporto obbligatorio, di cui pertanto viene a mancare un elemento essenziale. Mentre si configura la seconda nel caso in cui le circostanze che hanno impedito l’adempimento della prestazione si verifichino dopo la costituzione del rapporto.
L’ampia nozione di impossibilità dell’adempimento è disciplinata in distinti ambiti del Libro IV delle obbligazioni. Vengono in rilievo gli artt. 1256 e ss. c.c., che contemplano l’impossibilità sopravvenuta, definitiva o transitoria, totale o parziale, per causa non imputabile al debitore, che si soffermano sui riflessi patrimoniale che essa comporta per il creditore insoddisfatto.
Assume un carattere focale l’art. 1218 epigrafato «Responsabilità del debitore» che, nell’inadempimento delle obbligazioni, esonera il debitore dal risarcimento del danno «se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».
Ad un’attenta analisi, tale disposizione coincide in parte con quella dell’art. 1256 c.c., sì che l’impossibilità della prestazione esclude la responsabilità del debitore e produce indirettamente l’estinzione dell’obbligazione.
Si consideri, infine, l’art. 1463 c.c. epigrafato «Impossibilità totale» che, in materia di contratti a prestazioni corrispettive, impedisce alla parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta, di chiedere la controprestazione, imponendogli di restituire quella che abbia ricevuto, secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito.
Pertanto, gli artt. 1218 e 1256 c.c. consentono di valutare, al di là del semplice fatto dell’inadempimento, anche le ragioni che lo hanno determinato: l’impossibilità della prestazione è effetto connesso ad una causa che indirettamente determina l’inadempimento.
Affinché si possa configurare l’inadempimento è, tuttavia, necessario individuare la causa che ha determinato l’impossibilità della prestazione e che può può essere imputabile o meno al debitore. L’art. 1256 c.c. si riferisce, appunto, alla causa non imputabile al debitore, che comporta l’impossibilità della prestazione e costituisce ragione di estinzione dell’obbligazione e di liberazione del debitore, il quale è esonerato dall’obbligo di adempiere.
Il debitore sarà, però, tenuto a fornire la prova sia dell’impossibilità sopravvenuta, sia della non imputabilità della causa.
L’istituto giuridico dell’impossibilità, va tenuto ben distinto dalla mera difficoltà e dall’accestiva onerosità della prestazione.
La prima è un ostacolo che il debitore è tenuto a superare con l’impiego della dovuta diligenza, mentre la seconda è il grave aumento del costo economico della prestazione derivante da eventi straordinari ed imprevedibili. L’eccessiva onerosità non è un impedimento della prestazione e non estingue di per sé l’obbligazione, ma legittima il debitore al rimedio della risoluzione del contratto o della riduzione equitativa della prestazione.
Pertanto, è il maggiore costo della prestazione ad integrare l’ipotesi dell’impossibilità sopravvenuta, qualora l’impedimento possa essere superato soltanto con un sforzo finanziario del tutto sproporzionato rispetto al risultato dovuto.
Requisiti della impossibilità sopravvenuta quale causa estintiva dell’obbligazione sono la sopravvenienza, l’assolutezza ed infine la definitività; al contrario, l’impossibilità sarà temporanea qualora l’impedimento derivi da una causa prevedibilmente transitoria.
L’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o della natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritento obbligato ad eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha interesse a conseguirla.
Ulteriore bipartizione, che riveste carattere centrale, è la distinzione tra impossibilità oggettiva e soggettiva.
L’evoluzione del concetto ed il ruolo della buona fede, alla luce del principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Costituzione, ha determinato una graduale soggettivizzazione della nozione di impossibilità, volta ad attribuire rilevanza agli eventi ostativi che concernano la sfera del debitore e le impossibilità relative di esecuzione della prestazione che implicano di fatto l’inesigibilità ex bona fide della prestazione.
Si distingue, ancora, tra impossibilità totale o parziale. Nel primo caso, l’impossibilità sopravvenuta rende completamente irrealizzabile l’interesse creditorio, mentre quella parziale preclude solo parzialmente la realizzazione di tale interesse, ed in siffatta ipotesi, ai sensi dell’art. 1258, il debitore si libera dell’obbligazione eseguendo la parte residua ancora possibile.
Il concetto stesso di impossibilità sopravvenuto della prestazione, nell’applicazione pretoria, è stato oggetto di approfondite disamine e si è evoluto grazie all’avvento della nozione di causa in concreto del contratto1.
2. La causa di forza maggiore
Da una lettura congiunta degli artt. 1467 e 1256 c.c., viene in risalto uno dei principi volti a regolare i rapporti contrattuali: la causa di forza maggiore.
A tal proposito, è doveroso evidenziare come, sia nell’ordinamento italiano che in quello europeo, non esista una precisa ed univoca definizione di forza maggiore.
Secondo dottrina ed un’evoluta giurisprudenza ricomprenderebbe eventi naturali o umani (catastrofi naturali, terremoti, guerre, cause di impedimenti generati da misure di contenimento adottate dalle autorità locali) i quali sono contraddistinti per il loro carattere di imprevedibilità e straordinarietà2.
La causa di forza maggiore opera quale condizione assolutoria dell’inadempimento contrattuale nel momento in cui la sinallagmaticità e la corrispettività della prestazione vengono meno in virtù di eventi straordinari ed imprevedibili.
Essa è tale da determinare uno squilibro all’interno del rapporto contrattuale tale da determinare l’impossibilità stessa della prestazione.
Pertanto, i presupposti di operatività della causa di forza maggiore sono due: straordinarietà ed imprevedibilità, ricollegati ad un evento esterno alla sfera di azione delle parti, in particolar modo al debitore, attenendo sia alla sfera oggettiva che soggettiva del rapporto contrattuale.
È chiaro, dunque, che la forza maggiore è un principio contrattuale dai confini estremamente labili ed infatti il giudice gode di notevoli margini di discrezionalità nella sua applicazione.
3. Gli effetti del Coronavirus sulla regolarizzazione dei rapporti contrattuali.
L’eccezionalità dell’evento epidemiologico legato al Covid-19 (che rischia di trascinare nella povertà larga parta della popolazione italiana) impone al giurista di esaminare gli istituti legati all’impossibilità di adempimento, non solo di diritto interno, ma anche a livello mondiale.
Pertanto, visto l'aumento del numero di obbligazioni rimaste inadempiute a causa della pandemia, è opportuno interrogarsi se sia lecito o meno fare ricorso alla clausola clausola di forza maggiore.
L’impossibilità sopravvenuta, alla luce di un iter logico-giuridico, deve rivestire i requisiti dell’obiettività e dell’assolutezza, ossia deve essere tale non solo per quel particolare debitore, ma per ogni soggetto, e deve costituire un ostacolo che non può essere superato, neanche con uno sforzo estremo. Al riguardo, non ci si può limitare a considerare quale “catastrofe naturale” soltanto gli eventi guerra o terremoto, ma è necessario includervi anche l’epidemia da Covid-19, che a causa delle misure di contenimento del Governo ha “obbligato” il nostro Paese alla quarantena.
Ove invece l’impedimento all’esecuzione della prestazione può essere prevedibilmente eliminato con il decorso del tempo, l’impossibilità è temporanea, esonerando pertanto il debitore solo dalla risarcibilità dei danni da responsabilità per il ritardo. Si verifica, quindi, una mera sospensione del contratto, naturalmente non oltre i limiti dettati dall’interesse del creditore al conseguimento della prestazione.
Una volta cessata l’impossibilità temporanea, il debitore deve adempiere, indipendentemente da un proprio diverso interesse economico, che potrà eventualmente essere fatto valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Sebbene il d.l. 17 marzo 2020 n. 18, c.d. Decreto “Cura Italia” non qualifichi espressamente l’emergenza da Covid-19 come forza maggiore, esso impone al giudice, in tema di inadempimenti contrattuali ex art. 1218 c.c., di valutare la situazione di grave emergenza che sta affrontando il nostro Paese.
Il debitore, potrà, dunque, alla luce di quanto sopra detto, avvalersi dell'istituto della forza maggiore qualora non riesca ad adempiere le proprie obbligazioni contrattuali.
1 M. Fratini, Compendio di diritto civile,Molfetta, 2018.
2 P. Forchielli, Caso fortuito e forza maggiore (diritto civile), in Enc. giur., V, Roma 1988.