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Pubbl. Ven, 3 Apr 2020

L´emergenza sanitaria e la gestione dei rapporti di lavoro durante la pandemia da COVID-19

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Marta Filippi



Dalla cassa integrazione al diritto di sciopero, fino ad affrontare il regime della malattia per i lavoratori positivi al coronavirus e il divieto di licenziamento.


Sommario: 1. L'incidenza dell'emergenza sanitaria sui rapporti di lavoro: ricostruzione della normativa emergenziale. - 2. Gli interventi a sostegno del lavoro nel decreto Cura Italia anche alla luce delle indicazioni dell'Inps - 2.1. La cassa integrazione ordinaria ed in deroga - 2.2. I congedi parentali ed il bonus baby sitter – 3. I bonus per gli autonomi – 4. La malattia dei lavoratori positivi al COVID-19 e il divieto di licenziamento - 5. Il diritto di sciopero e la minaccia della precettazione.

1. L'incidenza dell'emergenza sanitaria sui rapporti di lavoro: ricostruzione della normativa emergenziale.

Da quando il 31 gennaio 2020 il Governo ha dichiarato per la prima volta lo stato di emergenza nazionale a causa del diffondersi dell'epidemia da coronavirus, provvedimento invero passato quasi inosservato, l'esecutivo, dato il continuo aumento dei contagi e dell'aggravarsi della situazione sanitaria, ha via via cominciato ad emanare quasi quotidianamente una serie di decreti legge volti a limitare l'espandersi diffusione del virus COVID-19 e caratterizzati da una sempre maggiore rigidità restrittiva. Se inizialmente sono state adottate, infatti, una serie di misure limitative della libertà di movimento, di riunione e lavorativa e quale contropartita un insieme di disposizioni volte a sostenere l'economia ed il lavoro, che hanno conseguentemente risentito delle limitazioni citate, destinate a trovare applicazione in definite e specifiche aree geografiche, successivamente il Governo ha decretato l'estensione dei divieti suindicati a tutto il territorio nazionale.

Appare quindi preliminare ripercorrere brevemente l'insieme dei decreti-legge che hanno inciso sulla gestione dei rapporti di lavoro e sulle tutele riconosciute in capo ai lavoratori.

Il primo provvedimento che va in tal senso è il decreto legge del 23 febbraio 2020, n. 6, dove veniva operata una prima distinzione fra: 1) zone bianche nelle quali vi era solo l'obbligo di osservare in pubbliche e private attività determinate misure igienico-sanitarie, 2) zone gialle, quali il Veneto, Piemonte, Friuli, Emilia Romagna, Liguria, nelle quali era prevista una sospensione delle attività scolastiche fino all'8 marzo, la sospensione di competizioni sportive e grandi manifestazioni e cerimonie e procedure concorsuali; 3) zone rosse, ovvero i comuni tassativamente indicati nel relativo allegato, così detti anche focolai del contagio, all'interno nelle quali era prevista la sospensione delle attività lavorative, ad esclusione di quelle tese ad erogano servizi essenziali e di pubblica utilità.

Quale contro altare è stato in seguito approvato il decreto legge 2 marzo 2020, n.9, con il quale è stata prevista la possibilità di accedere alla cassa integrazione ordinaria per le unità produttive operanti nei comuni delle cd “zone rosse”, con estensione di tale possibilità anche ai datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale, oltre l'evenienza di sospendere la Cassa integrazione straordinaria per le imprese con sede sempre nei comuni della “zona rossa”, che vi avessero fatto ricorso prima dell'emergenza sanitaria, sostituendola con la Cassa integrazione ordinaria con causale emergenziale.

Sempre all'interno del decreto-legge era poi disciplinata la cassa integrazione in deroga per i datori di lavoro del settore privato, compreso quello agricolo, con unità produttive operanti nei comuni delle cd “zone rosse” che non potevano beneficiare degli strumenti di sostegno al reddito, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo massimo di tre mesi. Mentre per le imprese di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia veniva prevista la cassa integrazione in deroga solo nei casi di accertato pregiudizio e previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative

I successivi decreti del presidente del Consiglio dei ministri hanno poi previsto gradualmente l'estensione delle misure restrittive a tutto il territorio nazionale in particolare indicando l''uso dello smart working quale modalità raccomandata di lavoro applicabile ad ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa vigente.

A questi primi interventi è succeduto il decreto del 4 marzo 2020 con il quale si è disposta la sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado e la chiusura dei servizi educativi dell'infanzia così come dei nidi.

Un inasprimento delle misure anti-contagio si è infine avuto con il D.P.C.M. del 11 marzo 2020 attraverso il quale il Governo, anche sulla base di pressioni regionali, ha disposto la chiusura, fino al 25 marzo, su tutto il territorio nazionale, di tutte le attività di ristorazione e di altri negozi ad eccezione di quelli concernenti la filiera dei prodotti alimentari, le farmacie, le parafarmacie, le edicole, le tabaccherie, i bar e punti di ristorazione nelle aree di servizio stradali e autostradali e i negozi di prima necessità o di servizi alla persona, per giungere alla chiusura di tutte le attività produttive non essenziali con il D.P.C.M del 24 marzo 2020.

I due provvedimenti sono stati intervallati dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, meglio noto come decreto “Cura Italia”, con il quale sono state disposte una serie di misure volte a sostenere la sanità nazionale, il lavoro e le famiglie con applicazione estesa a tutto il paese.

2. Gli interventi a sostegno del lavoro nel decreto Cura Italia

Scendendo più nel dettaglio, al fine di sostenere la sanità, l'economia, il lavoro e il reddito delle famiglie, settori pesantemente colpiti dell'epidemia da Covid-19, l'organo esecutivo con il decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 è intervenuto attuando un piano di supporto attraverso lo stanziamento di circa 25 milioni di euro.

Per il lavoro in particolare il legislatore emergenziale ha operato attraverso tre differenti direttrici costituite:

  1. della possibilità di beneficiare della cassa integrazione per le aziende di tutto il territorio nazionale che nell'anno 2020 sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19 oltre che dall'espansione della platea dei soggetti che vi possono accedere attraverso la CIG in deroga (art. 19-22), (uso di ammortizzatori sociali)
  2. l'introduzione di permessi di congedo parentale straordinari, retribuiti al 50% e l'ampliamento dei giorni di permesso riconosciuti ai sensi della legge 104/92 (art. 23-25) (sospensione del rapporto lavorativo)
  3. il riconoscimento di un bonus per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell'Inps. (art. 26-27) (strumento indennitario)

Sono state poi previste altre disposizioni sempre volte a tutelare i lavoratori, ma sicuramente di notevole impatto, quali ad esempio: la sospensione delle procedure relative a licenziamenti collettivi e a quelli individuali per giustificato motivo oggettivo già avviate ed il contestuale divieto di iniziarne delle nuove per la durata di 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto legge; l'equiparazione del periodo di osservanza attiva subito dai lavoratori in termini di malattia non computabile nel periodo di comporto; un premio per i dipendenti che hanno svolto la loro attività lavorativa in sede per il mese di marzo e la proroga dei termini per la richiesta della Naspi. Infine, troviamo delle norme dettate in materia di regolamentazione della priorità per l'accesso allo smart working e l'istituzione di un fondo di ultima istanza destinato ai lavoratori colpiti nei loro redditi dalla crisi epidemiologica.

Ebbene, la presente costituisce una panoramica generale degli strumenti con i quali il Governo ha deciso di operare in campo di rapporti di lavoro a cui seguirà un’analisi più approfondita nei prossimi paragrafi.

2.1 La cassa integrazione ordinaria ed in deroga

Come già accennato la prima linea adottata dal governo al fine di gestire i rapporti di lavoro durante la fase emergenziale riguarda l'accesso agli ammortizzatori sociali, attraverso il ricorso alla cassa integrazione ordinaria. Ebbene, all'interno di tale linea d'intervento il legislatore si è mosso a sua volta in tre direzioni: cassa integrazione ordinaria con causale "emergenza Covid-19", per le aziende che già possiedono i requisiti di legge, tuttavia con procedimento semplificato; passaggio dalla CIGS (cassa integrazione straordinaria) alla CIGO succitata; cassa integrazione in deroga per i datori di lavoro non coperti da tutela.

Venendo all'analisi del primo strumento l'art. 19, del D.L n.18/2020 ha previsto la possibilità per le imprese, già ammesse a godere dell'ammortizzatore sociale in commento, di poter presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale, o di accesso all’assegno ordinario, con causale “emergenza COVID-19”, per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 e per una durata massima di nove settimane, entro il mese di agosto 2020.

Ai fini del godimento della cassa integrazione ordinaria richiesta per “emergenza da covid-19” è previsto un procedimento particolarmente semplificato rispetto a quello regolamentato dal D.lgs. 148/2015. La disposizione normativa deroga, infatti, in più parti la disciplina ordinaria. L'art. 19 del D.L. Cura Italia dispensa in primo luogo dall'osservanza dei termini procedurali e dagli obblighi di cui all'art. 14 del D.Lgs 148/2015, pur restando fermi i doveri di informazione, consultazione ed esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva.

Infine, l'ultimo capoverso della disposizione in commento specifica come la domanda non sia soggetta alla verifica delle causali richieste dalla disciplina in materia di CIGO, ovvero situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all'impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali e le situazioni temporanee di mercato.

Sempre al fine di agevolare i lavoratori il terzo comma dell'art. 19 stabilisce da un lato che i periodi di trattamento ordinario di integrazione salariale concesso con causale “emergenza covid-19” non sono conteggiati ai fini dei limiti previsti dagli articoli 4, commi 1 e 2 e 12, D.lgs. 148/201, rispettivamente concernenti il limite dei 24 mesi nel quinquennio mobile, quello delle 52 ore settimanali nel biennio mobile e del 1/3 delle ore lavorabili. Viene poi stabilito che il periodo suddetti sono considerati neutri con riferimento alle successive richieste di CIGO.

Ancora il quarto comma dell'art. 19 detta l'esclusione dell'applicazione del contributo addizionale, mentre l'ottavo comma, sempre in ottica di agevolazione, deroga ancora una volta alla disciplina vigente ed in particolare a quanto statuito dall'art. 1, comma 2, del D.lgs. 148/2015, il quale prescrive per l'accesso all'integrazione salariale un’anzianità di effettivo lavoro di almeno novanta giorni da far valere alla data di presentazione della relativa domanda di concessione.

La medesima ratio ispira anche la disciplina dell'assegno ordinario, prestazione di integrazione salariale erogata, nei casi di sospensione o riduzione dell'attività lavorativa, in favore dei lavoratori dipendenti di datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione dei Fondi di solidarietà e del Fondo di integrazione salariale, tanto che le stesse deroghe sono previste anche per tale tipo di provvidenza. Più specificatamente il quinto comma dell'art. 19 afferma che l’assegno ordinario di cui al comma 1 dell'art. 19 è concesso, limitatamente per il periodo indicato e nell’anno 2020, anche ai lavoratori dipendenti presso datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale (FIS) che occupano mediamente più di 5 dipendenti. Il già menzionato trattamento su istanza del datore di lavoro può essere concesso con la modalità di pagamento diretto da parte dell’INPS.

Il secondo intervento rientrante nell'ambito dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali riguarda la possibilità concessa alle imprese che godono della CIGS (cassa integrazione straordinaria) di convertirla in cassa integrazione ai sensi dell'art. 19 per un periodo massimo di 9 settimane. L'art. 20 specifica che la concessione del trattamento ordinario sospende e sostituisce il trattamento di integrazione straordinario già in corso e la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale può riguardare anche i medesimi lavoratori beneficiari delle integrazioni salariali straordinarie a totale copertura dell’orario di lavoro.

L'ultimo intervento in tema di cassa integrazione si muove nell'ottica di riconoscere trattamenti di cassa integrazione in deroga con riferimento ai datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario in costanza di rapporto di lavoro, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. In tal caso è comunque prescritta la stipula di un previo accordo che può essere concluso anche in via telematica con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale per i datori di lavoro. Anche per tali datori di lavoro l'integrazione salariale vale per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo non superiore a nove settimane, con riconoscimento della contribuzione figurata e degli accessori connessi, quali gli assegni famigliari.

La norma specifica, tuttavia, che restano esclusi i datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione della CIGO, del FIS o dei Fondi di solidarietà, oltre che i datori di lavoro domestici e quelli assunti dopo il 23 febbraio 2020. Anche in tal caso non si applicano i requisiti di anzianità di lavoro effettivo ed il contributo addizionale.

Per maggiore chiarezza, già in data 20 marzo l'Inps ha emanato un primo comunicato fornendo un primo quadro operativo concernente gli strumenti di integrazione salaria adottati dal legislatore, per la cui disamina si rinvia al sito dell'istituto di previdenza.

2.2. I congedi parentali ed il bonus baby-sitter

La seconda linea di azione seguita dal Governo è costituita dalla previsione di congedi straordinari, retribuiti al 50% per i genitori con figli fino a 12 anni, al fine di limitare le difficoltà sorte in capo alle famiglie a seguito della sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, ma che continuano ad erogare i servizi attraverso la didattica on line.

La norma di riferimento è l'art. 23 del decreto Cura Italia il quale limita tale possibilità ad periodo massimo di 15 giorni specificando che gli eventuali periodi di congedo parentale di cui agli articoli 32 e 33 del citato decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, fruiti dai genitori durante il periodo di sospensione di cui al presente articolo, sono convertiti nel congedo in commento, con diritto all’indennità e non computati né indennizzati a titolo di congedo parentale. Per la loro fruizione, tuttavia, si noti come la normativa emergenziale ponga la condizione che nel nucleo familiare non vi sia un altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, ovvero disoccupato o non lavoratore. Il congedo, spendibile anche in forma frazionata, può essere usufruito, senza la corresponsione di indennità né il riconoscimento di contribuzione figurativa, anche dai lavoratori del settore privato con figli minori di età compresa tra i 12 e i 16 anni, ma sempre alla condizione sopra citata. In questa ultima ipotesi opera un divieto di licenziamento, con diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro.

A tale misura possono accedere anche i lavoratori iscritti alla gestione sperata dell'Inps e gli autonomi iscritti all'Inps. In tal caso è riconosciuta un’indennità pari al 50 per cento della retribuzione convenzionale giornaliera stabilita annualmente dalla legge in base alla tipologia di lavoro autonomo svolto.

In alternativa viene disposta la possibilità per i medesimi lavoratori beneficiari, di optare per la corresponsione di un bonus valido per l’acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 600 euro. Tale misura, inoltre, costituisce per il momento l'unica posta in essere a sostegno dei lavoratori autonomi privi di rapporto previdenziale con l'Inps.

Il bonus viene erogato mediante il libretto famiglia di cui all’articolo 54-bis, legge 24 aprile 2017, n. 50 ed è riconosciuto anche ai lavoratori autonomi non iscritti all’INPS, subordinatamente alla comunicazione da parte delle rispettive casse previdenziali del numero dei beneficiari.

3. I bonus per gli autonomi

L'ultima linea di intervento del Governo è costituita da quella indennitaria. Ai liberi professionisti titolari di partita IVA che sia attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata dell’Inps e non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, viene infatti riconosciuta un'indennità di 600 € per il mese di marzo, senza tuttavia concorrere alla formazione del reddito a fini fiscali. La medesima indennità è riconosciuta in capo ai lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’Ago, anche essi non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Restano esclusi i professionisti titolari di partita Iva il cui rapporto previdenziale è costituito presso le Casse Professionali di appartenenza.

Infine, l'indennità di 600 è riconosciuta ex art. 27 anche ai lavoratori dipendenti stagionali del settore turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e la data di entrata in vigore del decreto, non titolari di pensione e di rapporto di lavoro dipendente sempre alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.18. Del 17 marzo 2020.

Si tratta di una misura che se da un lato tiene in considerazione il lavoro autonomo dall'altro esclude una significativa parte di professionisti, per il quale non vige la sospensione dell'attività lavorativa, ma che comunque non possono svolgere la propria attività a causa delle restrizioni alla libertà di movimento legislativamente imposte e sanzionate. Anche per tali motivi da più parti si sono invocate modifiche in sede di conversione del provvedimento con l'ampliamento della platea dei possibili destinatari.

4. La malattia dei lavoratori positivi al COVID-19 e il divieto di licenziamento.

Analizzate le tre direzioni nelle quali si è articolato principalmente l'intervento del Governo al fine di tutelare e supportare i lavoratori a contorno di esse l'esecutivo ha poi adottato altre disposizioni quali ad esempio quelle concernenti il periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato e la sospensione delle procedure di licenziamento individuale per g.m.o e collettivo.

A tal fine, l'art. 26 del decreto dispone l'equiparazione del periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori del settore privato alla malattia con riferimento al trattamento economico specificando inoltre che tale periodo non risulta computabile ai fini del periodo massimo di comporto.

Con riferimento invece al tema del licenziamento viene disposta la sospensione per 60 giorni dall'entra in vigore del decreto Cura Italia delle procedure finalizzate all'intimazione di licenziamenti collettivi e l'avvio di nuove. Allo stesso modo, fino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.

Questa disposizione in particolare ha dato luogo ad alcune osservazioni critiche da parte della dottrina. Si è infatti osservato sottolineato come tale norma potrebbe avere impatto su situazioni che non hanno alcun’attinenza con l'emergenza epidemiologica con conseguenze paradossali. La norma, infatti, non individuando alcun’eccezione permette la sua applicazione anche alle procedure ormai giunte alla conclusione nella quali manca solamente la formale intimazione del licenziamento. È ad esempio il caso in cui la procedura di licenziamento collettivo iniziata prima dell'insorgenza dell'emergenza sanitaria sia arrivata a conclusione mancando sola la comunicazione scritta ai lavoratori.

La norma in questione ha sollevato anche il caso dei lavoratori domestici. Tali sono, infatti, da un lato esclusi dalla tutela della cassa integrazione in deroga, non applicabile ai loro datori di lavoro e dall'altro non sono tutelati neanche dalle norme dettate in materia di licenziamento, rientrando nella categoria di lavoratori a cui si applica l'art. 2019 c.c., ovvero il licenziamento ad nutum. Ne consegue che per loro non trova certo applicazione la norma dispositiva del divieto di licenziamento, ai quali residuerebbe la possibilità di accedere alla Naspi o al Reddito di cittadinanza.

5. Il diritto di sciopero e la minaccia della precettazione

Nonostante le misure varate dal Governo a sostegno del lavoro ed il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dall'organo esecutivo e dai sindacati, non si può negare come il blocco delle attività produttive non essenziali e le norme restrittive degli spostamenti dei cittadini abbiano avuto dei pesanti contraccolpi sull'economia nazionale ed in particolare sul settore dei carburanti.

In questi giorni, infatti, si è sempre fatta più concreta la possibilità di una serrata operata da parte delle associazioni rappresenti la categoria. Tale situazione impone in primo luogo di specificare la differenza giuridica che si impone tra lo sciopero e la serrata. Questa si ha, infatti, quando la chiusa dell'impresa è disposta dal datore di lavoro mente lo sciopero è un diritto esercitabile esclusivamente dai lavoratori. Inoltre, se quest'ultimo è costituzionalmente garantito lo stesso non avviene per la serrata.

Ciò premesso, data la delicatezza delle situazione e dell'impatto che una tale astensione lavorativa avrebbe sull'insieme dei rapporti economici, causando il possibile rallentamento o interruzione dell'approvvigionamento di beni di consumo, è intervenuta nella questione la Commissione di garanzia, operante nel caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali ai sensi della legge 83/2000, la quale ha chiesto di revocare la possibile serrata dei benzinai e più in generale di astenersi dall'indire scioperi fino alla data del 30 marzo.

Del resto, come sottolineato dal presidente della commissione di garanzia nei confronti dei venditori di carburante si applicano le disposizioni contenute nella legge 83/2000 anche laddove lo sciopero sia chiamato serrata.

Appare evidente che l'intervento della Commissione sia alquanto condivisibile data la situazione emergenziale che il paese sta vivendo e dato il ruolo cruciale che i rivenditori di rifornimento di carburante giocano in questo periodo, così come quello di lavatori appartenenti ad altri settori, quale quello delle vendite. Certo è che nell'ambito dei servizi pubblici essenziali il diritto di sciopero trova un bilanciamento con altrettanti diritti costituzionalmente garantiti per cui il suo esercizio deve ritenersi soggetto alle eventuali indicazioni fornite dalla Commissione di Garanzia, fino all'estrema decisione di un suo differimento.