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Pubbl. Ven, 10 Apr 2020

Negozio fiduciario con oggetto immobiliare: il nuovo orientamento della Corte di Cassazione

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Luca Collura
AvvocatoUniversità commerciale Luigi Bocconi



Per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che s’innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario (Cass. SS.UU. n. 6459 del 6.03.2020)


Sommario: 1. Premessa – 2. Introduzione alla figura del negozio fiduciario – 3. Il problema (della natura giuridica e) della forma del pactum fiduciae – 4. Il casus decisus – 5. La soluzione delle Sezioni Unite – 6. Conclusioni: i principi di diritto

1. Premessa

Il negozio fiduciario, così come ogni altro tipo di negozio non disciplinato dal nostro conditor legis e quindi da definirsi atipico o innominato, ha richiesto, e continua a richiedere, un grande sforzo da parte degli esegeti del diritto al fine di comprendere quale sia lo schema negoziale tipico cui più si avvicina, di modo da poter rinvenire la disciplina allo stesso applicabile.

Per addivenire ad un simile risultato, l’operatore del diritto, stabilita la natura giuridica di contratto dell’istituto che ha dinanzi – i.e. assodato che lo stesso sia un contratto, in quanto accordo bilaterale (o plurilaterale) volto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale –, deve poi, adottando uno dei criteri[1] seguiti da dottrina e giurisprudenza, individuare la disciplina in concreto applicabile, con tutte le conseguenze del caso (in termini tanto formali quanto sostanziali).

Relativamente al negozio fiduciario, discussa è tanto la natura giuridica[2] quanto, di conseguenza, la disciplina in concreto applicabile allo stesso.

Col presente lavoro, premesso un breve inquadramento dell’istituto sotto il profilo dogmatico, si condurrà un’analisi relativa ad uno degli elementi caratterizzanti del negozio de quo, i.e. il c.d. pactum fiduciae, vale a dire l’accordo interno tra fiduciante e fiduciario in forza del quale quest’ultimo deve gestire i beni oggetto del negozio per perseguire gli interessi del fiduciante, secondo le di lui direttive, e, in ultima istanza, trasferirli al fiduciante o ad altro soggetto da questi individuato.

2. Introduzione alla figura del negozio fiduciario

Il Codice civile – a parte il caso dell’art. 627 – non disciplina la figura del negozio fiduciario[3], che tuttavia è implicitamente ammessa in forza del disposto dell’art. 1322, c. 2[4].

La definizione tradizionalmente datane in dottrina è quella per cui si sarebbe dinanzi ad un negozio fiduciario qualora un soggetto (fiduciante) attribuisce ad un altro soggetto (fiduciario) la proprietà o altro diritto reale di un bene oppure altra situazione giuridica soggettiva di vantaggio, imponendogli al contempo l’obbligo di ritrasferirgli in futuro tale diritto, di trasferirlo ad un terzo o comunque di farne un certo uso[5].

Particolarmente discussa è la natura del negozio fiduciario e numerose sono state le tesi prospettate in dottrina ed in giurisprudenza, malgrado alcune siano rimaste di gran lunga minoritarie, se non addirittura isolate[6].

Una prima tesi[7], abbastanza risalente nel tempo, ha ritenuto di poter rinvenire nel negozio fiduciario un unico negozio, benché innominato, caratterizzato da un unico marcatore causale rappresentato dalla causa fiduciae, consistente nel trasferimento di proprietà a fronte dell’assunzione di un obbligo.

Altra corrente[8], di matrice principalmente giurisprudenziale, ha sostenuto che il negozio fiduciario sarebbe un negozio indiretto, i.e. un regolamento di interessi con cui le parti perseguono risultati differenti da quelli tipici dello schema negoziale utilizzato e corrispondenti a quelli di un altro negozio.

Secondo la teoria prevalente in dottrina[9] e in giurisprudenza[10], tuttavia, il negozio fiduciario è composto due negozi tra loro collegati: il primo sarebbe il negozio dispositivo, ad efficacia reale ed erga omens; il secondo – di natura meramente obbligatoria e a valenza solo inter partes (c.d. pactum fiduciae), in forza del quale il fiduciario dovrà ritrasferire il bene al fiduciante o a un terzo o comunque dovrà utilizzarlo per conseguire un certo fine[11] – avente natura, secondo alcuni, di mandato senza rappresentanza e, secondo altri, di contratto preliminare.

Da ciò si comprende quali siano le intenzioni delle parti quando pongono in essere un negozio fiduciario: esse vogliono un trasferimento di beni dal fiduciante al fiduciario affinché quest’ultimo, in esecuzione del pactum fiduciae, faccia quanto concordato con il fiduciante[12].

L’effetto, dunque, è quello di un trasferimento, ancorché fiduciario, di beni da un soggetto ad un altro[13], con la conseguente perdita da parte del fiduciante della titolarità dei beni alienati, che, malgrado in titolarità del fiduciario, saranno destinati ad un certo scopo[14], il quale potrà essere anche soltanto quello di un futuro ritrasferimento al fiduciante.

3. Il problema (della natura giuridica e) della forma del pactum fiduciae

Un problema antico e mai risolto è quello della natura giuridica e della forma da riconoscere all’accordo interno tra fiduciante e fiduciario, caratteristico del negozio in commento, in virtù del quale il secondo si obbliga verso il primo a gestire determinati beni in un determinato modo per poi, in ultima istanza, trasferirli al fiduciante o a un terzo da questi individuato.

Quest’accordo, definito pactum fiduciae, è stato tradizionalmente inquadrato, almeno quoad effectum, nello schema del contratto preliminare. Secondo la tesi assolutamente dominante[15], infatti, atteso che quest’accordo comporta che il fiduciario assuma verso il fiduciante l’obbligo di trasferirgli un determinato diritto – e, implicitamente, di stipulare con lui un contratto a ciò idoneo –, lo stesso, tramite il ricorso alla tecnica dell’assimilazione, va ricondotto al tipo “contratto preliminare”, con la conseguenza che ad esso si applica tutta la disciplina detta dal Codice civile per questo schema negoziale. Da tale sistemazione dogmatica, deriva principalmente quanto segue: a) il patto di fiducia avente ad oggetto un diritto reale immobiliare deve rivestire la forma scritta ad substantiam, atteso che l’art. 1351 c.c. dispone che il preliminare deve avere la stessa forma del contratto definitivo (forma c.d. per relationem) ed esso è nullo qualora sia stipulato solo oralmente; b) non è suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. il patto di fiducia che non rivesta ab origine tutti i requisiti di forma previsti dalla legge; c) l’eventuale dichiarazione unilaterale del fiduciario che attesti l’esistenza del patto stipulato verbis e si riconosca obbligato al trasferimento della res in favore del fiduciante non è idonea a supplire all’originario difetto di forma dell’atto.

All’interno di questo granitico orientamento si è inserita, qualche anno fa, una pronuncia della Suprema Corte[16] nel cui testo si legge che il pactum fiduciae non richiede la forma scritta ad substantiam, potendo la medesima essere soddisfatta dalla successiva dichiarazione unilaterale redatta per iscritto dal fiduciario con la quale egli si impegni a trasferire al fiduciante determinati beni, purché la medesima contenga la c.d. expressio causae, vale a dire faccia espresso riferimento al precedente patto di fiducia.

Se originariamente la tesi in parola pareva non avere avuto alcun seguito, la Sezione Seconda della Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 5 agosto 2019, n. 20934, trasmetteva gli atti al Primo Presidente perché valutasse l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite affinché dirimessero il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare in materia; quest’ultimo, valutate le ragioni dell’ordinanza interlocutoria, procedeva alla richiesta assegnazione.

4. Il casus decisus

La Seconda Sezione era stata chiamata a pronunciarsi su un caso riguardante un soggetto, asserito fiduciante, che, in virtù di una dichiarazione unilaterale redatta per iscritto dall’asserita fiduciaria, aveva chiesto ed ottenuto una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.

In particolare, nella dichiarazione de qua, l’asserita fiduciaria dichiarava di aver ricevuto dal fiduciante una somma di denaro per procedere ad acquistare direttamente da un soggetto terzo un certo immobile – che poi il fiduciante aveva ristrutturato a sue spese, continuando a sostenere ogni tassa e spesa che allo stesso inerisse – salvo il proprio obbligo di ritrasferirlo al fiduciante a semplice richiesta dello stesso. Alla richiesta di adempiere alle proprie obbligazioni, tuttavia, la stessa rimaneva inadempiente, costringendo il fiduciante ad adire le vie legali.

In primo grado, il Tribunale accoglieva le domande attoree, motivando che l’esistenza del negozio fiduciario (rectius, del pactum fiduciae) potesse ritenersi provata in forza della scrittura privata proveniente dalla fiduciaria.

La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado motivando che, nonostante il pactum fiduciae stipulato verbis fosse nullo per mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam, la successiva dichiarazione unilaterale redatta per iscritto dalla fiduciaria fosse idonea a valere come autonoma fonte dell’obbligazione fiduciaria e, come tale, suscettibile di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre.

Avverso la sentenza della Corte territoriale presentava ricorso per cassazione la fiduciaria sulla scorta di quattro motivi. Per quanto rileva in questa sede, la predetta osservava che la Corte d’Appello, dopo aver dichiarato la nullità del pactum fiduciae orale e riconosciuto valore confessorio alla dichiarazione unilaterale della fiduciaria, ha compiuto un salto logico consistente nel riconoscere alla dichiarazione de qua natura di dichiarazione negoziale unilaterale senza avvedersi che la medesima era mancante di causa, attesa la nullità del patto fiduciario.

5. La soluzione delle Sezioni unite

Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento – premesso un richiamo alla diatriba dottrinale e giurisprudenziale circa la natura giuridica da riconoscere in generale al negozio fiduciario e la causa dello stesso ed astenendosi dal prendere posizione in merito –, espongono le ragioni per cui l’orientamento dominante debba essere rimeditato in relazione alla natura e ai requisiti formali del pactum fiduciae.

Gli ermellini precisano tuttavia che il principio di diritto cui addiverranno ad esito del loro iter argomentativo sarà da ritenersi valido limitatamente al caso di fiducia statica[17], cioè di negozio fiduciario in cui difetti un previo trasferimento di diritti al fiduciario da parte del fiduciante, il quale si limiti a fornire al predetto la provvista per l’acquisto di un certo bene da un soggetto terzo (oppure, anche se la Corte non lo dice, si accordi col fiduciario affinché questi gestisca un bene già suo in un certo modo e nell’interesse del fiduciante prima di trasferirglielo).

La Corte esordisce chiarendo che, in un caso come quello concretamente sottoposto al suo giudizio, il pactum fiduciae non può essere assimilato, quoad effectum, al contratto preliminare e ad esso si deve invece riconoscere la natura di mandato senza rappresentanza. Nel testo della sentenza si legge infatti: a) nel preliminare l’effetto obbligatorio è strumentale all’effetto reale e lo precede mentre nel contratto fiduciario l’effetto reale viene prima e su di esso si va ad innestare quello obbligatorio[18]; b) l’obbligo nascente dal contratto preliminare si riferisce soltanto alla prestazione del consenso a concludere il contratto definitivo[19], per cui il successivo atto traslativo ha una causa propria ed indipendente da quella del preliminare; l’atto di trasferimento fiduciario, invece, è un classico caso di c.d. pagamento traslativo, in quanto l’atto con cui si opera il trasferimento del bene dal fiduciario al fiduciante è un negozio di esecuzione che trova la propria causa in un altro negozio, precisamente nel pactum fiduciae[20].

Ricondotto l’istituto del patto di fiducia nello schema del mandato senza rappresentanza, la Corte fa un ulteriore passo avanti. Al fine di stabilire quale sia la disciplina formale applicabile ad un contratto atipico, il Collegio statuisce che si deve fare ricorso al metodo dell’analogia onde accertare se il rapporto di somiglianza intercorra più con un contratto tipico a struttura debole (per il quale la legge non prescrive una forma ad substantiam) oppure con uno a struttura forte (nel quale il requisito della forma concorre ad integrare la fattispecie): atteso che il mandato senza rappresentanza, cui il pactum fiduciae è riconducibile, è un contratto a struttura debole[21], il patto di fiducia deve ritenersi contratto a forma libera, quand’anche esso preveda che il fiduciario debba ritrasferire al fiduciante un diritto reale immobiliare, essendo un atto a rilevanza meramente interna tra fiduciante e fiduciario.

Nell’eventualità che le parti non abbiano concluso l’accordo per iscritto ma solo verbalmente, quindi, potrà porsi un problema di prova dell’esistenza dell’accordo, giammai di validità del medesimo.

Le Sezioni Unite passano quindi a trattare la questione di diritto relativa alla rilevanza da riconoscere alla dichiarazione scritta con cui il fiduciario, in un momento cronologicamente successivo a quello di conclusione orale del pactum fiduciae, riconosca l’intestazione fiduciaria ed il suo obbligo al ritrasferimento.

Ad avviso del Collegio, la dichiarazione de qua non rappresenta il vestimentum di un accordo stipulato oralmente, cioè non va ad integrare, a posteriori, il requisito di forma richiesto dal pactum per la natura immobiliare del bene che deve essere ritrasferito; essa va ricondotta alla figura della promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. ed il suo effetto sarà quindi solo quello di determinare la relevatio ab onere probandi e di rafforzare la posizione del fiduciante, il quale sarà così esonerato dall’onere di dare la prova del rapporto fondamentale.

La dichiarazione del fiduciante, quindi, non è l’autonoma fonte dell’obbligazione del fiduciario, la quale è già stata da lui assunta al momento della stipula dell’accordo fiduciario, malgrado la stessa sia avvenuta solo in forma orale.

6. Conclusioni: i principi di diritto

A conclusione del suo complesso iter argomentativo, le Sezioni Unite formulano i due seguenti principi di diritto:

1. «Per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che s’innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario»;

2. «La dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, ricognitiva dell'intestazione fiduciaria dell'immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell'art. 1988 cod. civ., un'astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della contra se pronuntiatio, dell'onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria».


Note e riferimenti bibliografici

[1] La giurisprudenza conosce due tecniche: a) la c.d. “tecnica dell’assimilazione”, in base alla quale si deve accostare il singolo contratto ai vari tipi conosciuti dall’ordinamento, per poi qualificare e disciplinare il negozio atipico secondo la disciplina del tipo più simile; b) la tecnica c.d. “della prevalenza”, in base alla quale, compiuta la medesima operazione precedentemente descritta, laddove il negozio atipico presenti elementi in comune con più tipi conosciuti, si applica la disciplina del tipo che prevale in quanto avente più punti in comune. La dottrina, dal canto suo, ritenendo che così si rischierebbe di tradire la reale volontà delle parti, propone il c.d. “metodo tipologico”. Esso parte dal fondamentale assunto per cui è necessario distinguere tra le due categorie logiche di “concetto” e “tipo”: la prima fa sì che rientrino nello schema solamente quei contratti che presentino tutti e solo i caratteri del tipo legislativamente previsto (pertanto un contratto atipico come il leasing non potrebbe rientrare nel tipo “vendita”, atteso che il suo tratto caratterizzante è la concessione del bene in godimento e non il trasferimento della proprietà di esso); la seconda invece prende in considerazione solo i tratti caratteristici essenziali, per cui il contratto innominato può presentare anche delle varianti che derogano allo schema base predisposto dalla legge, con la conseguenza che le singole clausole del contratto andranno disciplinate sulla base della loro affinità con uno dei tipi disciplinati dal legislatore, che non necessariamente sarà uno soltanto, potendosi dunque ad un contratto innominato applicare anche la disciplina di più tipi contemporaneamente.

[2] Tuttavia, si badi bene, non si discute sul fatto che lo stesso sia un contratto quanto su quali siano le caratteristiche essenziali (cioè quale ne sia la causa o se esso sia un singolo contratto oppure si sia dinanzi ad un caso di collegamento negoziale o di negozio indiretto).

[3] Sulla proposta di una legge che disciplini specificamente la figura v. G. IACCARINO, L’opportunità di un contratto di fiducia tipico, in Not., 2014, 35 ss.

[4] Cass., 23 novembre 1983, n. 7152; Cass., 1° dicembre 1992, n. 12830. Contra, avendo negato l’ammissibilità nel nostro ordinamento del negozio fiduciario, per la ragione ch’esso sarebbe in contrasto con il principio del numerus clausus dei diritti reali: S. PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Metodo, teoria, pratica, Milano, 1951, 267 ss., 281, 331 ss.; L. CARRARO, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, rist. 1983, 75 e 78 ss.; V. M. TRIMARCHI, voce «Negozio fiduciario», in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 42 ss.

[5] F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1973, 178; L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, 244 e 245; C. M. BIANCA, Diritto Civile. 3. Il contratto, Milano, 2000, 711. Tale definizione, tuttavia, sebbene colga in pieno l’id quod plerumque accidit, non è idonea a ricomprendere tutte le ipotesi di negozio fiduciario che si presentano nella prassi, non essendo remota l’ipotesi in cui il fiduciante, lungi dall’attribuire un diritto al fiduciario, si limiti a fornirgli la provvista per acquistare un certo bene direttamente da terzi, salvo il di lui obbligo di gestirlo secondo le direttive impartitegli dal fiduciante e, infine, di ritrasferirglielo. Tanto precisato, tuttavia, nel presente lavoro, per comodità espositiva, si farà riferimento alla figura che più ricorre in concreto, vale a dire quella riportata nel corpo del paragrafo.

[6] Tali tesi sono tutte richiamate da F. ROTA e G. BIASINI, Il trust e gli istituti affini in Italia. Pianificazione patrimoniale e passaggio generazionale, Terza ed., Milano, 2017, 290, nota 10.

[7] Per tutti, C. GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento, in Riv. dir. comm., 1936, 345 ss.

[8] Cass., 2 aprile, 2009, n. 8024; Cass., 9 maggio 2011, n. 10163; Cass., 17 settembre 2019, n. 23093.

[9] L. CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari. Trasferimento, cessione e girata a scopo di mandato e di garanzia. Processo fiduciario, Padova, 1933, 27 e 28.

[10] Cass., 30 gennaio 1968, n. 296; Cass., 3 aprile 1980, n. 2159; Cass., 7 agosto 1982, n. 4438; Cass., 29 maggio 1993, n. 6024; Cass., 1° aprile 2003, n. 4886; Cass., 8 maggio 2009, n. 10590; App. Milano, 28 marzo 1997, in Corr. Giur., 1997, 1189; Cass., SS. UU., 6 marzo 2020, n. 6459.

[11] L’efficacia obbligatoria del patto di fiducia fa sì che, in caso di suo inadempimento da parte del fiduciario, il quale alieni i beni a soggetti non concordati, il fiduciante non potrà in alcun modo recuperare la res alienata, dovendosi accontentare del risarcimento del danno, sempre che riesca a provare l’esistenza del patto, ricadendo su di lui tale onere processuale. Qualora il fiduciario si limiti invece a non ritrasferire la res al fiduciante, quest’ultimo potrà ricorrere al rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre previsto dall’art. 2932 c.c. A tali conclusioni si giunge partendo dalla distinzione tra fiducia romanistica – che caratterizza il negozio fiduciario – e fiducia germanistica – inammissibile nel nostro ordinamento giuridico, la cui peculiarità è quella di aver accolto il principio di tipicità dei diritti reali, benché la figura in parola si possa riscontrare nella c.d. intestazione fiduciaria di azioni e nell’ambito delle società fiduciarie (contra, Cass., 21 marzo 2016, n. 5507, per la quale «L’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie integra gli estremi dell’interposizione reale di persona per effetto della quale l’interposto ne acquista la titolarità, pur essendo obbligato ad attenersi alle indicazioni dell’interponente nonché a ritrasferirle a quest’ultimo, ad una scadenza convenuta o al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario, con la conseguenza che legittimato all’esercizio della prelazione prevista da clausola statutaria è l’interposto e non l’interponente») –: la prima comporta che il fiduciante trasferisca effettivamente la titolarità di un certo diritto al fiduciario, ferma l’obbligazione da questi assunta con il pactum fiduciae di ritrasferirla al fiduciante; la seconda si distingue dalla prima perché al fiduciario non è trasferita la titolarità del diritto – che rimane del fiduciante, anche rispetto ai terzi – ma solo la legittimazione ad esercitarlo in nome proprio e nell’interesse del fiduciante.

[12] F. ROTA e G. BIASINI, Il trust e gli istituti affini in Italia. Pianificazione patrimoniale e passaggio generazionale, cit., 295 e 296.

[13] Si deve evidenziare, tuttavia, che l’effetto traslativo non è essenziale per la configurabilità di un negozio fiduciario. Come autorevolmente affermato da Cass., 7 agosto 1982, n. 4438, infatti, quando si guarda al fenomeno fiduciario occorre distinguere tra la fiducia c.d. dinamica e quella c.d. statica. Se la prima è caratterizzata da un trasferimento di beni dal fiduciante al fiduciario, la seconda ricorre qualora manca tout court un atto di trasferimento, perché il diritto oggetto del patto è già in titolarità del fiduciario il quale si impegna comunque a conformarne l’utilizzo al perseguimento nell’interesse altrui, per perseguire uno scopo concordato con il fiduciante. In argomento, in dottrina, si vedano, tra gli altri: F. GALGANO, Il contratto, II ed., Padova, 2011, 471; M. FRANZONI, Il contratto fiduciario e il contratto indiretto, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, II, 3, Il contratto in generale, Milano, 2009, 835; R. SACCO, in R. SACCO e G. DE NOVA, Il contratto, La causa, nel Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, I, Milano, 2004, 816; U. CARNEVALI, voce «Negozio giuridico: III) negozio fiduciario», in Enc. giur. Treccani, XXIII, Ed. Enc. it., 1990, 2 ss.

[14] A seconda dello scopo cui il trasferimento è finalizzato, si suole distinguere tra fiducia cum amico – nel qual caso l’attribuzione fiduciaria della res al fiduciante è volta a permettere ch’egli gestisca nell’interesse del fiduciante e in vista di un ulteriore trasferimento della titolarità di essa – e fiducia cum creditore – caratterizzata dal fatto che, in tal caso, il trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario è volto a far sì che quest’ultimo ottenga il bene a garanzia del proprio credito, per ritrasferirlo al fiduciante dopo che questi avrà adempiuto la propria obbligazione; la validità di tale fattispecie, però, è sempre dubbia, attesa la non remota possibilità ch’essa integri un negozio in frode alla legge per violazione del divieto del patto commissorio –. La distinzione è richiamata da F. CARINGELLA e L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, VI ed., Roma, 2015, 755.

[15] Cass., 18 ottobre 1988, n. 5663; Cass., 29 maggio 1993, n. 6024; Cass., 19 luglio 2000, n. 9489; Cass., 13 ottobre 2004, n. 20198; Cass. 7 aprile 2011, n. 8001; Cass., 26 maggio 2014, n. 11757; Cass., 25 maggio 2017, n. 13216: «Se il pactum fiduciae riguardi beni immobili, occorre che esso risulti da un atto in forma scritta ad substantiam, atteso che esso è sostanzialmente equiparabile al contratto preliminare per il quale l'art. 1351 c.c. impone la stessa forma del contratto definitivo»; Cass., 17 settembre 2019, n. 23093.

[16] Cass., 15 maggio 2014, n. 10633. Conforme, precedentemente: Cass., 30 gennaio 1985, n. 560; Cass., 27 agosto 2012, n. 14654: «Trattandosi di fattispecie non espressamente disciplinata dalla legge, in mancanza di una disposizione espressa in senso contrario, il pactum fiduciae non può che essere affidato al principio generale della libertà della forma». Per un commento all’attesto de qua v. A. SCHILLACI, Negozio fiduciario, impegno a ritrasferire la proprietà degli immobili su richiesta ed esecuzione in forma specifica, in Rivista Cammino Diritto, pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=687

[17] In merito si veda quanto detto sub nota 13.

[18] Tale statuizione, però, a parere di chi scrive, non coglie nel segno, in quanto, proprio nel caso di fiducia statica, qual è quello sottoposto al giudizio delle Sezioni Unite, l’effetto obbligatorio, come nel preliminare, precede quello reale ed è strumentale allo stesso.

[19] La presa diposizione della Cassazione non è priva di valore. Circa la natura giuridica del contratto preliminare si fronteggiano sostanzialmente tre tesi (per un approfondimento, si vedano: F. CARINGELLA e L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, cit., 883 e 884; F. CAVONE, Il contratto preliminare di vendita immobiliare, in Corr. giur., 2015, 413 ss.): a) la prima, alla quale la Corte mostra di aderire, scorge nel contratto preliminare un pactum de contrahendo, cioè un negozio meramente preparatorio da cui deriva solo un obbligo di facere consistente nella prestazione del consenso alla stipula del contratto definitivo; b) altra posizione (fatta propria da Cass., SS. UU., 27 febbraio 1985, n. 1720) è quella per cui il contratto preliminare, più che una promessa di consensi, sarebbe un pactum de dando, una promessa di prestazioni, per cui il promittente alienante è tenuto ad un’obbligazione di dare, consistente nel far acquistare al promittente acquirente il diritto promesso e ad una di facere, strumentale all’adempimento della precedente e consistente nell’acconsentire alla conclusione del definitivo, così come il promissario acquirente è tenuto ad una prestazione di facere avente ad oggetto la prestazione del proprio consenso al contratto definitivo; c) un ultimo orientamento, minoritario, è quello per cui il preliminare sarebbe un contratto definitivo obbligatorio, che quindi obbliga le parti ad adempiere alla prestazioni che si sono reciprocamente promesse.

[20] La Corte, più o meno volontariamente, aderisce quindi alla tesi, oramai abbastanza consolidata, sulla scindibilità tra titulus e modus. Seconda la tesi de qua (F. CARINGELLA e L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, cit., 747 e 748), malgrado nel nostro ordinamento non siano ammissibili negozi astratti, i.e. senza causa, è tuttavia possibile il caso di un negozio c.d. a causa esterna, che cioè rinviene la propria causa in un altro atto (titulus), posto a monte dello stesso, e del quale è attuazione (modus). Un esempio classico è proprio quello dell’atto con cui il mandatario senza rappresentanza, dopo aver acquisto un certo bene dal terzo, in esecuzione del mandato (modus), pone in essere un atto (titulus) con il quale trasferisce il bene stesso al mandante.

[21] In tal senso Cass., 2 settembre 2013, n. 20051; Cass., 28 ottobre 2016, n. 21805. Contra Cass., SS. UU., 19 ottobre 1954, n. 3861.