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Pubbl. Lun, 6 Apr 2020

Riflessioni sul regime intertemporale del trattamento sanzionatorio per violazione delle misure anti COVID-19

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Mauro Giuseppe Cilardi
AvvocatoUniversità degli Studi di Bari



Il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 ha abrogato il reato di inosservanza delle misure di contenimento del contagio da Covid-19, introducendo una fattispecie di illecito amministrativo. Il contributo analizza i profili relativi al regime sanzionatorio applicabile ai fatti illeciti commessi prima dell´entrata in vigore della nuova norma.


Sommario: 1. Premessa: la depenalizzazione operata dal decreto-legge n. 19/2020; 2. Illecito amministrativo, "salvo che il fatto costituisca reato"; 3. Natura della sanzione amministrativa e rapporti con la pena; 4. Le ragioni della depenalizzazione; 5. Il regime intertemporale del trattamento sanzionatorio in caso di successione di una norma penale e una norma amministrativa; 6. Sanzione formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale? Chiarimenti; 7. Riflessioni conclusive.

1. Premessa: la depenalizzazione operata dal decreto-legge n. 19/2020

Al fine di regolare in modo organico e sistematico l'attuale situazione emergenziale, in data 24 marzo 2020 il Consiglio dei Ministri, su proposta del suo Presidente e del Ministro della salute, ha approvato il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 avente ad oggetto “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 25 marzo 2020 ed è entrato in vigore il giorno successivo.

Tra le novità più importanti, è meritoria la decisione governativa di tipizzare con precisione le misure di contenimento geografico del virus e di distanziamento sociale adottabili dal Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1, comma 2) e di ricollegare al mancato rispetto delle medesime l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, il cui importo è pari ad una somma variabile da 400 a 3.000 euro (art. 4, comma 1).

Invero, fino all'emanazione del d.l. in questione, la condotta del soggetto che non ottemperava alle predette misure era suscettibile di integrare, a seconda dei presupposti risultanti in concreto, plurime fattispecie di reato. Innanzitutto l'inosservanza delle misure limitative dava luogo ad un'autonoma figura contravvenzionale, in quanto l'art. 3, comma 4 dell'abrogato d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 operava un rinvio, al fine dell'individuazione della pena, all'art. 650 cod. pen., che punisce l'inosservanza dei provvedimenti emanati dalla pubblica autorità. Potevano, inoltre, venire in rilievo: il delitto di falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale ex art. 495 cod. pen.; il delitto di epidemia di cui al combinato disposto ex artt. 452, comma 1, n. 2), e 438 cod. pen.; i reati di lesioni personali e di omicidio, alternativamente puniti nella forma colposa (artt. 590 e 589 cod. pen.) e dolosa (art. 582 e 575 cod. pen.).

Con l'entrata in vigore del nuovo decreto-legge, invece, la mancata attuazione delle specifiche misure normativamente individuate integra, in via di principio, un illecito di natura amministrativa e non più una fattispecie di reato.

Si è, pertanto, verificato un fenomeno di depenalizzazione, ossia di degradazione dell'illecito penale in illecito amministrativo, il quale implica conseguenze pratiche dirimenti, con riferimento non soltanto alle condotte che verranno poste in essere in futuro, ma altresì alle violazioni già compiute e, quindi, alla sfera giuiridica dei soggetti ai quali la pubblica autorità abbia contestato la commissione di un reato, durante la vigenza del pregresso apparato normativo.

2. Illecito amministrativo, "salvo che il fatto costituisca reato".

È necessario premettere che la trasgressione delle disposizioni stabilite nel nuovo decreto-legge è ancora suscettibile di rilevare penalmente. 

La norma che sancisce la depenalizzazione si apre, infatti, con una clausola di sussidiarietà espressa a carattere indeterminato ("salvo che il fatto costituisca reato"). In tal modo, si dà attuazione al principio di sussidiarietà, che regola il rapporto tra norme penali o tra norme penali e norme che sanciscono illeciti amministrativi o civili.

In virtù dell'art. 15 cod. pen., tale principio è operante esclusivamente nei casi stabiliti dalla legge e regola le situazioni in cui una stessa condotta integra più fattispecie di reato idonee, al tempo stesso, a tutelare il medesimo bene giuridico e connotate da un grado crescente di gravità dell'offesa. In tale ipotesi, sarà operativa soltanto la norma che prevede il livello di offesa più grave, sicché le altre norme, non trovando applicazione, sono definite sussidiarie rispetto ad essa.

Il legislatore ha adottato la tecnica della clausola sussidiarietà espressa indeterminata, che è tipica delle norme che prevedono un illecito amministrativo: si ricorda, ad esempio, l'art. 1, comma 7 del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella l. 14 maggio 2005, n. 80, modificata dalla l. 23 luglio 2009 n. 99, ai sensi del quale la condotta tipica è punita con una sanzione amministrativa, salvo che il fatto costituisca reato.

Con riferimento alla fattispecie in esame, ne consegue che le violazioni delle misure di distanziamento sociale non integrano più il reato contravvenzionale punito con la sanzione prevista dall'art. 650 cod. pen., bensì danno luogo ad illeciti amministrativi, a meno che i fatti commessi assumano una gravità tale da essere ricondotti in determinate fattispecie di reato, nel qual caso sarà operativa la sanzione penale. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla violazione intenzionale del divieto di allontanarsi dalla propria dimora da parte delle persone sottoposte a quarantena perché risultate positive al virus: in tale ipotesi, è proprio l'art. 4, comma 6 del d.l. n. 19 a prevedere che la condotta sia punita ai sensi dell'art. 260 r.d. n. 1265/1934, salvo che il fatto integri il reato di cui all'art. 452, comma 1, n. 2) cod. pen. o un reato più grave. Allo stesso modo, laddove l'inosservanza delle misure di legge cagioni come effetto diretto la morte altrui, la fattispecie che verrà in rilievo sarà il delitto di omicidio.

È evidente, allora, che, sebbene il legislatore abbia optato per una tendenziale depenalizzazione, non è esclusa la rilevanza penale di specifiche condotte, idonee a compromettere in maniera più sensibile gli interessi giuridici in gioco, quali la vita, l'integrità fisica e la salute.

3. Natura della sanzione amministrativa e rapporti con la pena.

Deve precisarsi che il fenomeno della depenalizzazione postula una successione nel tempo di norme eterogenee. L'eterogeneità deriva dal fatto che la successione cronologica non riguarda due norme penali: invero una norma amministrativa succede ad una norma di carattere penale.

La differenza non è di poco conto, in quanto la sanzione penale e la sanzione amministrativa, benché condividano la medesima funzione, sono ontologicamente differenti e, di conseguenza, sono sottoposte a due diverse discipline.

In particolare, ambedue le tipologie di sanzioni assolvono ad una funzione di prevenzione generale e speciale degli illeciti: invero la loro previsione è funzionale, rispettivamente, a distogliere i consociati dal commettere fatti illeciti e ad impedire che chi ha commesso un illecito torni in futuro a commettere un nuovo fatto disapprovato dall'ordinamento giuridico.

In questa logica è evidente che sia la sanzione penale sia la sanzione amministrativa abbiano carattere afflittivo, perché limitano, in misura variabile, i diritti dei soggetti che ne risultano destinatari.

Ne consegue che, incidendo direttamente nella sfera giuridico-patrimoniale dei consociati, entrambe necessitano di una copertura legislativa. Viene in rilievo, sul punto, l'art. 23 della Costituzione, in forza del quale le prestazioni personali e patrimoniali possono essere imposte esclusivamente per legge. 

Alla legge sono equiparati gli atti aventi forza di legge, ossia gli atti ai quali la stessa Costituzione attribuisce la capacità di innovare l'ordinamento giuridico e, tra questi, per espressa previsione costituzionale (art. 77) rientra il decreto-legge, ossia lo strumento normativo alla cui emanazione il Governo ricorre nei casi di assoluta necessità e urgenza, tra cui pacificamente rientra l'attuale emergenza da coronavirus.

Pertanto la decisione di applicare ad un illecito una sanzione di natura penale o amministrativa è rimessa esclusivamente al titolare del potere legislativo, che gode di un potere avente carattere discrezionale, ma non illimitato, in quanto deve essere esercitato in conformità al criterio della ragionevolezza (art. 3 Cost.)

Tale criterio si impone, in quanto la qualificazione di un illecito come penale o amministrativo comporta delle conseguenze pratiche estremamente rilevanti per il singolo.

Sebbene, infatti, siano accomunate dalle medesime finalità, la pena e la sanzione amministrativa incidono diversamente sui diritti del destinatario: la prima colpisce prevalentemente la libertà dell'individuo e, in minor modo, il suo patrimonio; al contrario, la finalità afflittiva della sanzione amministrativa si riverbera esclusivamente sul patrimonio, potendo gravare anche in misura estremamente considerevole. Invero, più rilevante sarà l'entità dell'importo e maggiore sarà l'effetto deterrente prodotto dalla sanzione.

È agevole, altresì, cogliere le relative differenze sul piano della disciplina normativa. In primo luogo, le sanzioni amministrative sono sottratte dal campo di applicazione delle garanzie valevoli per le sanzioni penali, aventi copertura costituzionale (artt. 25 e 27) ed eurounitaria (Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Vengono, in particolare, in rilievo i principi di legalità del reato e della pena, dell'equo processo e del divieto di giudicare due volte uno stesso soggetto per lo stesso fatto di reato. 

È, quindi, differente il procedimento di irrogazione delle sanzioni, posto che la sanzione amministrativa viene comminata direttamente dalla pubblica autorità e i termini per ricorrere in opposizione dinanzi all'autorità giudiziaria sono connotati da generale speditezza; al contrario la sanzione penale viene inflitta dall'autorità giudiziaria all'esito di un processo contraddistinto dal contraddittorio tra pubblica accusa e presunto colpevole e dalla completezza dell'istruttoria, da cui derivano un considerevole impiego di energie e risorse pubbliche e una durata temporale più estesa.

Inoltre, l'irrogazione della pena comporta, generalmente, l'iscrizione nel casellario giudiziale, il cui scopo è quello di documentare i precedenti penali di ogni soggetto. La sanzione amministrativa non produce, invece, effetti con riferimento al certificato penale (comunemente denominato fedina penale).

4. Le ragioni della depenalizzazione.

Deve sottolinearsi che la decisione normativa di sostituire le pregresse fattispecie di reato con la previsione di una sanzione amministrativa si fonda su due ordini di ragioni.

Da un lato, in tal modo il Governo persegue l'obiettivo di deflazionare il carico giudiziario e, quindi, la macchina processual-penalistica, che avrebbe patito un evidente rallentamento, considerato altresì che, allo stato, la celebrazione dei processi è temporaneamente sospesa, fatte salve circoscritte ipotesi di urgenza.

In secondo luogo, la minaccia di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile tra i 400 e i 3.000 euro spiega una efficacia dissuasiva maggiore di quella corrispondente alla precedente ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 650 cod. pen. (che prevede alternativamente l'arresto fino a 3 mesi e l'ammenda fino a 206 euro). Invero, nell'ottica governativa, la diretta incidenza della sanzione sul patrimonio e l'elevata entità della somma hanno la funzione di indurre i consociati ad astenersi dal commettere violazioni delle misure di distanziamento.

Del resto, non deve sottacersi che tali misure sono preordinate alla tutela di beni giuridici fondamentali e di primario rilievo, quali la salute collettiva e l'ordine pubblico.

Ne consegue, allora, che l'importanza valoriale dell'interesse protetto dalla norma non determina, automaticamente, la natura penale del relativo presidio. Sul punto, invece, acquista un peso determinante il grado di efficacia deterrente riconducibile alla sanzione, sicché, in determinati casi, la minaccia di una sanzione amministrativa risulta maggiormente idonea a tutelare il bene giuridico tutelato rispetto alla previsione di una pena, proprio perché incide sui beni che compongono il patrimonio del consociato.

5. Il regime intertemporale del trattamento sanzionatorio in caso di successione di una norma penale e una norma amministrativa.

Chiarita la natura giuridica della sanzione amministrativa e i rapporti con la pena, deve ora analizzarsi la disciplina normativa operante in materia di successione nel tempo di norme eterogenee. In particolare, tale disamina permette di fare luce sulle conseguenze giuridiche della condotte poste in essere prima dell'entrata in vigore del nuovo decreto-legge, per chiarire se le medesime conservano o meno rilievo per l'ordinamento giuridico.

Si precisa che, laddove la norma successiva fosse di carattere penale, la successione nel tempo avrebbe natura omogenea e sarebbe regolata dall'art. 2 cod. pen., che sancisce i principi del divieto di retroattività della legge penale sfavorevole (consacrato, altresì, dall' art. 25, comma 2 della Costituzione) e della retroattività della legge penale favorevole.

In particolare, in virtù dell'art. 2, comma 2 cod. pen., qualora la norma successiva abrograsse il reato, la punizione eventualmente già comminata per quel reato perderebbe la propria copertura legislativa e ciò determinerebbe la revoca dell'eventuale sentenza di condanna già passata in giudicato. Se invece la norma posteriore si limita a prevedere per quel reato un trattamento migliorativo per il reo, il principio costituzionale di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3) impone un'applicazione retroattiva della disciplina favorevole, che diventa operativa anche per quei fatti commessi in precedenza, con il limite però del passaggio in giudicato della relativa sentenza, posto a tutela del fondamentale canone della certezza del diritto (art. 2, comma 4 cod. pen.).

Merita considerazione un aspetto importante: il principio di irretroattività sfavorevole costituisce esemplificazione del generale principio di irretroattività della legge, sancito dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile: invero, considerata l'attitudine della legge a regolare i rapporti giuridici tra i consociati, essa non può che disporre che per l'avvenire, ossia non può essere applicata per rapporti e situazioni che si sono verificati prima della sua entrata in vigore.

Poichè tale principio è espresso in una norma di legge ordinaria, esso è suscettibile di essere derogato da una norma di legge successiva, posto che tra norme di pari grado prevale quella successiva dal punto di vista cronologico.

Un esempio di tale deroga è sancito proprio nell'art. 2, comma 4 cod. pen., che prevede la retroattività della norma penale favorevole. Inoltre, poiché la pena incide negativamente sulla libertà dell'individuo, il principio di irretroattività riceve una copertura costituzionale all'art. 25, comma 2, con riferimento all'ipotesi in cui a sopravvenire sia una legge che prevede una nuova fattispecie di reato, sicché essa non può che disporre per l'avvenire. In virtù della garanzia costituzionale, quindi, una legge ordinaria non può mai derogare al principio di irretroattività sfavorevole, giacché nella gerarchia delle fonti la Costituzione è posta ad un livello sovraordinato rispetto alla legge: in altre parole, nell'ambito penalistico, il principio di irretroattività della legge ha portata assoluta, se a sopravvenire è una norma sfavorevole per il reo.

Tali premesse si rendono necessarie per comprendere la disciplina della successione nel tempo di norme eterogenee. Al riguardo, deve evidenziarsi che la depenalizzazione produce un risultato identico a quello prodotto dall'abrogazione: in entrambi i casi il fatto non è più penalmente rilevante. In virtù di ciò, allora, si sarebbe indotti a ritenere che la disciplina sopravvenuta, essendo più favorevole, possa retroagire ai fatti di reato commessi prima della depenalizzazione.

Nella depenalizzazione, tuttavia, contestualmente all'abolizione del reato, il legislatore interviene prevedendo un illecito amministrativo. La norma sopravvenuta esula, dunque, dalla materia penale e, di conseguenza, la successione nel tempo delle norme eterogenee deve essere regolata dal principio di naturale irretroattività della legge, sancito dall'art. 11 disp. prel. cod. civ.

Ne conseguono due precipitati applicativi: i fatti commessi prima della depenalizzazione non rilevano né come illeciti amministrativi né come reati. Invero, la sanzione amministrativa è esclusa, in quanto la legge si applica solo per i fatti successivi alla sua entrata in vigore; essi, inoltre, non sono più sanzionabili penalmente, perché la legge sopravvenuta ha l'effetto di abolire il reato e trova, pertanto, applicazione l'art. 2, comma 2 cod. pen.

Se ciò è vero in linea di principio, deve evidenziarsi che, vertendosi in materia extrapenale, il principio di irretroattività della legge ha portata relativa e può essere derogato da una norma di legge, che imponga l'applicazione retroattiva dell'illecito amministrativo mediante un'apposita disciplina transitoria.

È in quest'ottica che si spiega la disciplina transitoria prevista nelle leggi di depenalizzazione n. 689/1981 (artt. 40 e 41) e n. 8/2016 (art. 8), in forza della quale le disposizioni che hanno derubricato i reati in illeciti amministrativi si applicano, altresì, ai fatti commessi prima della loro entrata in vigore. In mancanza di tali disposizioni, i fatti pregressi non sarebbero sanzionabili né dal punto di vista amministrativo né sul piano penale e ciò costituirebbe una grave violazione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza, con riferimento ai fatti posti in essere dopo l'entrata in vigore della norma che ha sancito la depenalizzazione.

Si creerebbe, invero, una situazione connotata da una evidente disparità di trattamento tra fatti commessi in vigore della nuova legge, qualificabili come illeciti amministrativi e fatti commessi sotto la vigenza della norma incriminatrice abrogata, che, non più previsti come reato, diventerebbero automaticamente leciti e, come tali, sarebbero privi di risposta sanzionatoria da parte dell'ordinamento giuridico, con conseguente creazione di una inconcepibile "zona franca" di impunità.

La disciplina transitoria consente, allora, di risolvere questa aporia del sistema, derogando al principio di irretroattività della legge per ragioni di giustizia e ragionevolezza.

Attraverso questa chiave di lettura, dunque, si spiega la norma transitoria di cui all'art. 4, comma 8 del decreto-legge n. 19/2020, che sancisce espressamente l'applicazione retroattiva della norma che ha trasformato i reati in illecito amministrativo, precisando, in un'ottica di adeguatezza e proporzionalità, che per tali fatti il quantum della sanzione ha natura rigida, in quanto è fissato nella misura minima (400 euro) ridotta della metà.

6. Sanzione formalmente amministrativa, ma sostanzialmente penale? Chiarimenti

È dirimente una precisazione: il principio di irretroattività sfavorevole e di retroattività della legge penale favorevole sono applicabili non soltanto alla sanzione penale, ma altresì alla sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale. È tale la sanzione che, a prescindere dalla qualificazione giuridica formale, presenta un grado di afflittività e una natura tale da disvelare una sostanziale essenza penale. 

Tale esegesi è oramai consolidata nella giurisprudenza nazionale e deriva da un orientamento pluriennale della Corte Europea dei diritti dell'uomo, recentemente condiviso dalla Corte di giustizia. In virtù di ciò, il sistema delle garanzie previste dall'ordinamento giuridico eurounitario in materia penale (tra cui i principi di irretroattività sfavorevole e di retroattività favorevole) trova applicazione con riferimento agli illeciti e alle sanzioni che abbiano natura penale, indipendentemente dal nomen iuris adottato nella legislazione nazionale e dalla natura, penale o amministrativa, dell'organo deputato all'applicazione.

Potrebbe, allora, porsi la questione relativa alla natura giuridica da attribuire alla sanzione amministrativa introdotta dall'art. 4 del d.l. n. 19/2020. Qualora, infatti, essa abbia natura sostanzialmente penale, tale conclusione impatterebbe sulla natura della norma, la quale non dovrebbe più essere considerata una norma di depenalizzazione, ma una norma penale che si limita a modificare il trattamento sanzionatorio previsto per fatti che continuano a rilevare penalmente, con evidenti ripercussioni sul regime normativo della successione nel tempo, che diventerebbe una successione di norme penali e, pertanto, dovrebbe attestarsi alle regole poste dall'art. 2 cod. pen. Ne consegue che, ai fini della disciplina dei fatti posti in essere prima dell'entrata in vigore del nuovo decreto, dovrebbe valutarsi quale, tra la norma pregressa e la norma successiva, preveda il trattamento più favorevole per il colpevole, affinché sia questa a trovare applicazione ai sensi dell'art. 2, comma 4 cod. pen.

Qualora, dunque, si giungesse alla conclusione che la norma sopravvenuta contenga una disciplina peggiorativa, i fatti antecedentemente commessi dovrebbero essere regolati dalla norma previgente di cui all'art. 3, comma 4 d.l. n. 6/2020. Tale conclusione è suscettibile di esporre la norma transitoria di cui all'art. 4, comma 8 d.l. n. 19/2020 ad una censura di illegittimità costituzionale, posto che, prevendendo la retrodatazione dell'efficacia della norma sostanzialmente penale peggiorativa, comporta una deroga al fondamentale principio dell'irretroattività sfavorevole, che in materia penale ha portata assoluta.

Un argomento spendibile per affermare la natura sostanzialmente penale della nuova sanzione amministrativa potrebbe far leva sull'entità della somma che il trasgressore è tenuto a pagare (da un minimo di 400 ad un massimo di 3.000 euro). Si è detto, tuttavia, che l'elevato grado di severità della sanzione è funzionale al potenziamento della carica dissuasiva e deterrente della norma, considerati i valori giuridici in gioco della salute collettiva e dell'ordine pubblico.

Inoltre, sul punto viene in rilievo l'orientamento recentemente espresso dalla Corte costituzionale (sentenza n. 223/2018), in virtù del quale la valutazione sulla maggior gravità tra la sanzione penale e la sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale postula un confronto complessivo tra gli apparati sanzionatori che presidiano le singole norme.

Alla luce di ciò, deve considerarsi che la pena prevista dall'art. 650 cod. pen. consta, alternativamente, dell'arresto o dell'ammenda, mentre la sanzione amministrativa di cui al nuovo d.l. n.19 riveste esclusivamente carattere pecuniario. Valorizzando, dunque, la possibile privazione della libertà connessa alla realizzazione del reato sanzionato ai sensi dell'art. 650 cod. pen., può sostenersi che la sanzione amministrativa, potendo incidere soltanto su beni patrimoniali, è più favorevole della precedente sanzione, posto che al bene giuridico libertà individuale è universamente riconosciuto un valore più pregnante di quello che si attribuisce al bene giuridico patrimonio. 

In ossequio a tale esegesi, anche nell'eventualità in cui si voglia attribuire natura sostanzialmente penale alla nuova sanzione amministrativa, la relativa norma dovrebbe applicarsi ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, secondo la disciplina della successione nel tempo di norme penali di cui all'art. 2, comma 4 cod. pen, in quanto prevede un trattamento favorevole per il reo.

7. Riflessioni conclusive.

Alla luce di quanto esposto, possono trarsi le seguenti conclusioni. 

L'emanazione del decreto-legge n. 19/2020 è finalizzata a garantire una razionalizzazione ed una organicità della normativa di contrasto alla diffusione del contagio da covid-19, superando le difficoltà di sistema e le paventate incompatibilità costituzionali riferibili al pregresso decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, che ha costituito la fonte legittimante dei successivi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e provvedimenti regionali emanati.

In quest'ottica e considerata la straordinarietà e il carattere inedito dell'attuale situazione emergenziale, la scelta governativa che è parsa più opportuna è stata quella di limitare il più possibile l'intervento della repressione penale, relegandolo a situazioni e fattispecie connotate da un elevato grado di offensitivà e, contestualmente, di attivare lo strumento deterrente e dissuasivo della sanzione amministrativa a carattere pecuniario, il cui importo può oscillare all'interno di una cornice monetaria gravosa, in una chiave di adeguatezza e proporzionalità, considerato l'elevato valore dei beni giuridici protetti.

Tale opzione normativa è, altresì, dipesa dalla constatazione del numero di denunce penali, presentate tra l'11 e il 24 marzo, pari ad un ammontare di circa 100.000, che avrebbero sicuramente rallentato il funzionamento della macchina della giustizia, con un notevole aggravio di spesa pubblica, energie e tempo.

Di conseguenza, il Governo ha disposto che il mancato rispetto delle misure limitative, tassativamente individuate, integri un illecito amministrativo, con conseguente abolizione della contravvenzione prevista dall'art. 3, comma 4 del d.l. n. 6/2020.

Tale abolizione determina il venir meno della rilevanza penale dei corrispondenti fatti illeciti commessi prima dell'entrata in vigore del nuovo d.l. n. 19. Ne consegue che coloro che hanno commesso tali fatti non possono più essere chiamati a rispondere del reato di cui all’art. 3, comma 4 d.l. n. 6/2020, eccettuata l’ipotesi della violazione della quarantena da parte del positivo al coronavirus, che ha tuttora rilevanza penale in virtù dell’art. 4, comma 6 d. l. n. 19. Precipitato applicativo è che i relativi procedimenti penali, eventualmente avviati durante la vigenza del precedente decreto, dovranno essere oggetto di archiviazione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Poiché, però, sarebbe irragionevole e contrario ad esigenze di giustizia sostanziale ritenere lecite le medesime condotte che il nuovo decreto-legge qualifica come illeciti amministrativi, l'art. 4, comma 8 del d.l. n. 19 prevede una eccezionale deroga al principio di naturale irretroattività della legge, stabilendo che anche i fatti pregressi debbano essere puniti con una sanzione amministrativa, quantificata nella misura minima ridotta della metà. In tal modo, dunque, poiché il minimo della sanzione è pari a 400 euro, la sanzione amministrativa è quantificabile in 200 euro, ossia una somma pressoché coincidente con il quantum dell'ammenda ("fino a 206 euro"), al cui pagamento il trasgressore era sottosposto in vigenza del precedente decreto-legge, che rinviava, con riferimento alla pena, all'art. 650 cod. pen.


Note e riferimenti bibliografici

M. Fratini, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del diritto, Roma, 2019;

R. Giovagnoli, Manuale di diritto penale. Parte generale, Itaedizioni, Torino, 2019;

G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2019;

V. Tigano, Successione di leggi penali ed amministrative punitive, disposizioni transitorie e condizioni di compatibilità con il principio di irretroattività, in Arch. pen., 2019, 3