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Pubbl. Lun, 13 Apr 2020

L´invalidità delle fideiussioni cd. omnibus redatte su schema A.B.I.

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Salvatore Tartaro



Le ricadute dell´interesse sovranazionale al corretto funzionamento del mercato concorrenziale e la questione relativa all´ipotesi di invalidità delle fideiussioni omnibus redatte in conformità allo schema derivato delle Norme Bancarie Uniformi, promosse dall´A.B.I., per violazione della normativa antitrust di derivazione comunitaria.


Sommario: 1.Introduzione; 2. Brevi cenni sul Provvedimento n. 55/2005 di Banca d'Italia; 3. Le conseguenze della dichiarazione di nullità dell'intesa anticoncorrenziale; 3.1 Il filone mediano inaugurato dalla Sezione I ; 3.2 Il contrasto giurisprudenziale; 4. L'onere probatorio a carico del fideiussore: l'uniforme applicazione e il valore di prova privilegiata del provvedimento n. 55/2005.

1. Introduzione

In tema di nullità dei contratti di fideiussione redatti su schema ABI non si è ancora pervenuti ad una soluzione unanimemente condivisa in dottrina né, per lo più, in giurisprudenza.

In disparte le questione relativa alla validità della provvedimento di Banca d’Italia nel mutato contesto economico, inconducente rispetto al caso concreto, tutte quelle volte che sia accertata la perdurante ed effettiva applicazione dello schema delle fideiussioni cd. omnibus, derivante dalle Norme Bancarie Uniformi censurate quale intese restrittive della concorrenza dall'Autorità Amministrativa di settore, qui ci si vuole soffermare su due questioni di precipua importanza.

La prima involge il diritto sostanziale e concerne, in buona sostanza, l’accertamento degli effetti dell’intesa concorrenziale nulla, e cioè se la nullità dell’intesa si riverbera anche sui contratti “a valle” ovvero se all’utente finale leso da una contrattazione che non ammette alternative per l'effetto di una collusione "a monte" possa esperire unicamente l’azione risarcitoria prevista dall’art. 33 L. 287/1990.

La seconda riguarda aspetti processuali e, più precisamente, la distribuzioni degli oneri probatori, essendo controverso se il fideiussore abbia l’onere di fornire prova dell’applicazione uniforme dello schema contrattuale da parte dell’istituto bancari, e cioè la prova del nesso di causalità tra l’intesa concorrenziale a monte e l’applicazione uniforme dello schema ABI, a valle.

Per mera completezza va dato atto del fatto che la politica comunitaria in tema di concorrenza è imperniata sul principio generale del divieto di accordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto d’impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

Suole distinguersi le cd. intese orizzontali da quelle cd. verticali, a seconda che vengano posti in essere da imprese operanti nel medesimo livello del processo produttivo o distributivo ovvero in fasi diverse dello stesso.

Mentre in tema di intese verticali l’oggetto anticoncorrenziale o l’effetto distorsivo della concorrenza va accertato caso per caso per mezzo di una complessa indagine di merito, le intese orizzontali, ove volte a consentire agli operatori di fissare di concerto le decisioni in merito a variabili strategiche, devono ritenersi aprioristicamente vietate all’interno dell’Unione Europea.

Nel nostro ordinamento la tematica in questione è disciplinata dall’art. 2 L. 287/1990 che definisce “intesa”, ogni accordo, pratica o deliberazione adottata da più imprese ovvero da enti consortili o associativi.

2. Brevi cenni sul Provvedimento n. 55/2005 di Banca d'Italia

In disparte se il catalogo di intese vietate contenuto al comma 2 siano o meno tassativo, pare opportuno precisare sin da ora che le Norme Bancarie Uniformi, da cui deriva lo schema delle fideiussioni cd. omnibus, possono essere pacificamente ricondotte alle fattispecie di cui alla lett. a), in quanto finalizzate a fissare “direttamente” alcune condizioni contrattuali.

L’Associazione Bancaria Italiana, che ad oggi è composta da una fitta rete di Istituti Associati, raggruppa in sé operatori economici che operano sullo stesso livello di produttivo e distributivo, di talché è evidente che l’intesa possa pacificamente inquadrarsi nell’alveo delle cd. intese orizzontali, per le quali v’è una presunzione assoluta di attitudine anticoncorrenziale.

Tale conclusione, del resto, è avvalorata dal provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 di Banca Italia, emanato al seguito della segnalazione dell’Autorità Garante del Mercato e della Concorrenza, ove è precisato che “le determinazioni di un’associazione di imprese, costituendo elemento di valutazione e di riferimento per le scelte delle singole associate, possono contribuire a coordinare il comportamento di imprese concorrenti” e che “la restrizione della concorrenza derivante da una siffatta intesa risulterebbe significativa nel mercato rilevante, atteso l’elevato numero di banche associate all’ABI”.

Orbene, è qui doveroso ricordare che Banca d’Italia, all’esito dell’istruttoria, ha accertato “la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI” discendente “da una consolidata prassi bancaria preesistente”. [1]

Il giudizio di disapprovazione espresso da Banca Italia muove dal principio in forza della quale si ritiene che, affinché un'intesa produca effetti distorsivi della concorrenza, è necessario che sia tesa a fissare condizioni contrattuali incidenti su aspetti significativi del rapporto negoziale che impediscano un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti.

Sulla scorta di tale precisazione, l'Autorità Amministrativa ha ritenuto sussistere un effetto distorsivo della concorrenza con riferimento alla clausola relativa alla rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. e per le c.d. clausole di “sopravvivenza” della fideiussione che, in ultima analisi, sono risultate orientata ad “addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”.

In applicazione dell’art. 2, c. 3 L. 287/1990, dunque, Banca d’Italia ha dichiarato nulla l’intesa raggiunta in seno all'Associazione Bancaria Italiana (cd. N.B.U.) che ha portato alla produzione dello schema delle fideiussioni cd. omnibus e, per gli effetti, ha intimato all’ABI di trasmettere la bozza di un nuovo schema privo delle disposizioni ritenute lesive.

3. Le conseguenze della dichiarazione di nullità dell'intesa anticoncorrenziale 

Brevemente si ricorda che, in tema di conseguenze dell'intesa anticoncorrenziale sulle singole operazioni economiche, è ormai consolidato l'orientamento in forza del quale si qualificano le operazioni poste in conformità all'intesa anticoncorrenziale come "effetto" dell'intesa medesima sicché, in aplicazione del comma terzo dell'art. 2 L. 247/1990, si è ritenuto sussistere una ipotesi di invalidità cd. "a valle" [2]

Prima di entrare nel merito della vexata quaestio del regime d'invalidità applicabile alle fattispecie di negozio fideiussorio conforme al censurato schema A.B.I., sulla quale si contrappongono fondamentalmente due teorie, si vuole anzitutto recede ogni dubbio in ordine alla legittimazione attiva del privato all’azione di nullità del contratto “a valle” dell’intesa che, invece, una recente pronuncia parrebbe aver messo in discussione.

3.1 Il filone mediano inaugurato dalla Sezione I

Nella sent. 24 ottobre 2019, n. 22573, la sez. I Civile della Corte di Cassazione ha precisato che “dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti”.

Il predetto obiter dictum, frettolosamente estrapolato dai commentatori affiliati al filone pro banca, a ben vedere, non ha portata generalizzante e non involge direttamente la questione della legittimazione attiva del privato all’azione di nullità del negozio fideiussorio conforme alle Norme Bancarie Uniformi, trattandosi di argomento adottato a corroborare la tesi della portata non generalizzante, nel merito della questione del regime invalidante da applicare, del principio di diritto contenuto nell’ord. 29810/2017 che, dunque, deve ritenersi circoscritto alla questione dell'efficacia retroattiva dell'accertamento compiuto dall'Autorità Amministrativa.

In disparte ogni critica sul punto, va, dunque, dato atto del fatto che la Sezione I ha inteso adottare una linea mediana, limitandosi ad escludere la portata generalizzante degli effetti che si vuole riconoscere alla dichiarazione della nullità a monte dell’intesa, rispetto alle singole operazioni economiche a valle.

Letta con attenzione la predetta pronuncia, si vuole evidenziare che di magiore interesse per il tema d'indagine oggetto del presente elaborato è la censura involgente la statuizione dell'impugnata pronuncia della Corte di Appello di Napoli ,nella parte in cui aveva ritenuto che “sebbene nel contratto di fideiussione stipulato tra gli appellanti e la Banca, siano presenti le clausole sopra riportate (2, 6 e 8) riproducenti nella sostanza il contenuto delle clausole ABI, dichiarate illegittime dall'Autorità Garante, tuttavia la nullità delle stesse non può condurre ad una declaratoria di nullità dell'intero contratto, in mancanza di allegazione che quell'accordo, in mancanza delle dette clausole, non sarebbe stato concluso. Ne consegue che, benchè le clausole 2, 6 e 8 del contratto di fideiussione siano nulle, il contratto è tuttora valido ed esistente tra le parti."

Nell’esaminare la doglianza del ricorrente, giudicata inammissibile, la Corte evidenzia che “avendo l'Autorità amministrativa circoscritto l'accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese, ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 c.c. e ss. e che possa trovare applicazione l'art. 1419 c.c., come avvenuto nel presente caso, laddove l'assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite”. [3]

La Corte, dunque, non ha escluso, che l’utente finale possa esperire l’azione di accertamento dell’invalidità ma ha adottato una linea di compromesso tra le opposte tesi del regime invalidante applicabile, ritenendo, funditus, che l’applicazione del regime della nullità totale in luogo di quella parziale, sia conseguenza dell'accertamento fattuale, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 1419 cod. civ., in quanto tale rimesso al Giudice di merito alla luce del concreto assetto degli interessi contrapposti emergenti dal caso di specie.

Recesso ogni dubbio sulla sussistenza di un vizio invalidante promanato dall’intesa anticoncorrenziale, pare il caso di precisare che, a parere di chi scrive, il contrasto giurisprudenziale sul regime applicabile all’accertamento del vizio invalidante delle fideiussioni cd. omnibus redatte secondo le NBU deve essere risolto nel senso dell’applicazione del regime dell’invalidità totale.

3.2 Il contrasto giurisprudenziale

In tema di nullità virtuale il codice civile prevede il contemperamento del principio di meritevolezza del contratto con quello di conservazione degli effetti.

Le disposizioni di cui agli artt. 1418, co. 1 e 1419, co. 1 cod. civ. costituiscono una regola unitaria in forza della quale ritenere prevalente il principio di conservazione del contratto ove il vizio invalidante involga esclusivamente alcune disposizioni contrattuali sicché la declaratoria di nullità dell’intero negozio per contrarietà a norme imperative dovrà essere pronunciata solo ove le parti dell’accordo censurate siano risultate determinanti nel complessivo assetto di interessi regolati dal contratto e, dunque, irrinunciabili per alcuna delle parti dello stesso (rectius: “se risulta che le parti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”)

Insomma, ove l’indagine di fatto conduca all’esito di ritenere che il complessivo assetto di interessi convenuto dalle parti non risulti scalfito dalla caducazione delle singole disposizioni, la nullità sarà localizzata e parziale, con salvezza degli ulteriori effetti.

Si tratta, a ben vedere, di un criterio oggettivo in quanto la locuzione “se risulta che le parti non lo avrebbero concluso” attiene al fatto della conclusione dell’accordo e non anche all’unilaterale volontà di uno dei contraenti.

La questione del regime di invalidà applicabile, dunque, va risolta all'esito del compimento di un giudizio controfattuale, in forza del quale si riterrà applicabile il regime della nullità parziale in luogo di quella totale solo ove, eliminato l’antecedente logico, consistente nel vizio invalidante, risulti che le parti avrebbero concluso un contratto recante il medesimo assetto di interessi.

Se, dunque, anche il filone della nullità parziale parrebbe, in via generale, conforme a diritto, non può sottacersi che, con riferimento allo specifico tema di indagine, le pronunce allocabili in tale filone [4], addivengono ad una conclusione lineare muovendo da un evidente paralogismo che anche la Corte di Cassazione nella pronuncia del 26 settembre 2019, n. 24044 ha omesso di rilevare.

La fallacia argomentativa deriverebbe, come accuratamente sottolineato anche dalla giustizia arbitrale (si veda, a tal proposito, ABF, Collegio di Milano, lodo 25 maggio 2019), da una errata contestualizzazione dell’antecedente del giudizio controfattuale che, a ben vedere, coincide, si con le clausole del contratto di garanzia che l’Autorità Amministrativa ha giudicato lesive dell’interesse generale alla libera concorrenza, ma in un contesto economico ipotetico liberato dalla prassi illegittima che il provvedimento dell’Autorità Amministrativa intendeva paralizzare.

Insomma, ciò che deve verificarsi non è se, in assenza delle clausole censurate, le parti avrebbero concluso il contratto di garanzia bensì se, in assenza dell’intesa contenuta nelle Norme Bancarie Uniformi, le parti del contratto impugnato avrebbero egualmente concluso un accordo recante il medesimo assetto di interessi.

Il ragionamento su cui si fonda la tesi della nullità parziale, infatti, si fonda sulla irragionevole e semplicistica constatazione in forza della quale si ritiene che le parti del negozio fideiussorio sarebbero addivenute egualmente alla conclusione dell’accordo di garanzia in quanto comunque rispondente agli interessi di copertura del rischio del credito e, ciò, a fortiori ratione per il garante che avrebbe concluso quello stesso contratto con un regime più favorevole.

Tale ragionamento collide con i principi dell’ermeneutica contrattuale nella parte in cui omette di tenere in debito conto che le valutazioni in ordine alla volontà delle parti richiedono un approccio di tipo contestuale.

In tal senso un contratto che potrebbe apparire conveniente e, quindi, probabilmente voluto, in un contesto, potrebbe apparire non conveniente, e, quindi, probabilmente non voluto, in un altro.

Sotto un differente profilo il ragionamento non tiene conto della sussistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di garanzia e quello principale di mutuo o concessione di credito.

In tal senso appare evidente che lo scemare delle garanzie a tutela del credito potrebbe avere ricadute pratiche sul costo dell’operazione economica.

In altri termini, una garanzia “più forte” consentirà di praticare al debitore principale condizioni migliori rispetto a quelle che sarebbero praticate nel caso di una garanzia “più debole”.

Anche il Collegio di Milano dell’Arbitro Bancario Finanziario, recentemente investito dell’accertamento della nullità dei un negozio fideiussorio conforme allo schema ABI, ha ritenuto che la questione del se il contrato sarebbe stato ugualmente stipulato “non va effettuata con riferimento al contesto esistente al momento dell’accertamento della nullità (come invece tendono surrettiziamente a fare i ragionamenti di alcune sentenze)” e neppure con riferimento al contesto falsato dalla limitazione della concorrenza, in concreto esistente al momento della stipulazione del contratto, bensì “immaginando il contesto che sarebbe esistito in assenza dell’atto principale colpito da nullità e, quindi, su un mercato non falsato dalla presenza dell’intesa”.

Il giudizio controfattuale, in altri termini, deve verificare “se in un mercato ragionevolmente concorrenziale, non falsato dalla presenza dell’intesa nulla, i contraenti avrebbero raggiunto ugualmente l’accordo sul contenuto del contratto pur mutilato delle clausole in questione”.

Insomma, alla luce delle precisazioni rese dall’Autorità Amministrativa, l’A.B.F. ritiene ragionevole “che in un contesto di disapplicazione dell’intesa nulla, e di riconosciuta nullità delle clausole in questione, il contratto non sarebbe stato concluso ad analoghe condizioni”. [5]

Ciò, beninteso, quale quid da aggiungere ai principi generali già fortemente richiamati dai fautori del filone della nullità totale.

Intanto, ed è bene ribadirlo, l’art. 2, co. 3 L. 287/1990 “attribuisce rilievo a qualsiasi manifestazione dell’intesa vietata e, sanzionando quest’ultima con la nullità ad ogni effetto, riverbera l’invalidità sulle stesse manifestazioni dell’accordo a monte”. [6]

Il negozio “a valle”, dunque, deve essere inteso come “effetto” dell’intesa anticoncorrenziale che, attingendo alla sua causa, deve ritenersi contrario all’ordine pubblico economico comunitario.

Inoltre, la violazione della disciplina antitrust collide con l’ordine pubblico economico comunitario, e cioè quello promanato dalle disposizione di cui agli artt. 101 e 102 TFUE, e dalle norme derivate contenute nella legge antimonopolistica; norme, quest’ultme, che “operano ipso iure a prescindere da un previo provvedimento di accertamento delle infrazioni da parte delle autorità nazionali” (cfr. Tribunale di Siena, sent. 14 maggio 2019).

4. L'onere probatorio a carico del fideiussore: l'uniforme applicazione e il valore di prova privilegiata del provvedimento n. 55/2005.

Secondo una tesi che ha trovato isolato accoglimento in giurisprudenza, l’effettiva applicazione uniforme delle clausole censurate dall’Autorità Amministrativa nel caso concreto costituirebbe elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2, co. 3 L. 287/1990 e, dunque, parte dell'onere probatorio a carico del garante.

In vero la tesi, che parrebbe accolta in un obiter dictum dalla sent. 13846/2019 della Corte di Cassazione, appare frutto di un equivoco originato dall’inclusione del lemma “se applicate uniformemente” contenuto nel dispositivo del provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia.

L’Autorità Amministrativa, invero, ha effettivamente accertato l’applicazione uniforme delle clausole censurate, come si evince nitidamente nella parte motiva del provvedimento n. 55/2005, di talché appare oltremisura irragionevole attribuire a tale lemma un significato contraddittorio rispetto al contenuto dell’intero provvedimento.

Tale ultima puntualizzazione ha, invero, trovato conforto in una recente pronuncia della Corte di Cassazione ove è stato fatto il punto in tema di oneri probatori a carico del fideiussore.

La Corte, nella pronuncia in questione, ha sgomberato il campo dalla questione controversa relativa al contenuto precettivo o programmatico del provvedimento dell’Autorità Amministrativa precisando che “anche a voler prescindere dal rilievo per cui il provvedimento in questione presentava un contenuto prescrittivo, essendosi in esso stabilito che l'ABI emendasse le proprie circolari con riguardo alle disposizioni di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale da diffondere presso il sistema bancario, trasmettendo preventivamente gli atti così corretti alla Banca d'Italia -, ciò che rileva, ai presenti fini, è che i fatti accertati e le prove acquisite nel corso del procedimento amministrativo non siano più controvertibili”, a ciò aggiungendo che “benché l'accertamento abbia avuto luogo in un procedimento svoltosi tra le imprese e l'autorità competente, deve ritenersi che la circostanza che il singolo utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di concorrenza (per tutte, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475) comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi ed un senso alla stessa istituzione dell'Autorità Garante, la piena utilizzabilità da parte loro, una volta accertate condotte di violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela, degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non sono stati formalmente parte".

In tal senso, il Supremo Collegio ha attribuito “ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico" che “impedisce che possano rimettersi in discussione proprio i fatti costitutivi dell'affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza, se non altro in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede". [7]

E’ evidente, dunque, che, l’affermazione per cui l’uniforme applicazione delle clausole costituisce parte integrante degli incombenti probatori a carico del fideiussore, nel presupporre che il Giudice di merito investito della declaratoria di nullità debba nuovamente accertare la sussistenza dell’illecito concorrenziale finisce con il contraddire il ruolo di prova privilegiata che si riconosce trasversalmente ai provvedimenti delle Autorità Amministrative Indipendenti.

Nel caso in cui il fideiussore chieda, dunque, anche in via di eccezione, la declaratoria di nullità del negozio fideiussorio conforme allo schema ABI, ciò che il Giudice di merito è chiamato ad accertare non è se vi sia stata lesione dei diritti concorrenziali bensì “la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali, di cui qui si dibatte, col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva: giacchè, come è chiaro, l'illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l'ABI non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla Banca d'Italia nel provvedimento del 2 maggio 2005, ma la Banca Popolare di Bergamo avesse egualmente sottoposto all'odierno ricorrente un modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano comunque oggetto dell'intesa di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a)”. [8]


Note e riferimenti bibliografici

[1] Banca d'Italia, Provvedimento del 2 maggio 2005, n. 55;

[2] per tutte cfr. Tribunale di Siena, sent. 14 maggio 2019;

[3] cfr. Cass. Civ., sent. 24 ottobre 2019, n. 22573;

[4] cfr. Trib. Ancona, sent. del 17.12.2018, n. 1993; conf: Trib. Roma, sent. del 03.05.2019, n. 9354; Tribunale di Mantova, sez. II, sent. 16 gennaio 2019;

[5] cfr. Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, lodo del 25 maggio 2019;

[6] cfr. Tribunale di Siena, sent. 14 maggio 2019; conf.: Cass. Civ. Sez. Un., sent. 4 febbraio 2005, n. 2207;

[7] cfr. Cass. Civ., sez. I, sent. 22 Maggio 2019, n. 13846; conf.: Cass. Civ., sent. 20 giugno 2011, n. 13486;

[8] cfr. Cass. Civ., sez. I, sent. 22 Maggio 2019, n. 13846)