ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 17 Apr 2020

Note di storia delle fonti del diritto canonico: dai bullaria ai codici recenti (1983 e 1990)

Luciano Labanca
Dottore di ricercaNessuna



L´articolo ha l´obiettivo di presentare le fasi salienti della storia delle fonti del diritto canonico, partendo dal Concilio di Trento, con le fonti pontificie (Bolle e Brevi) e quelle legate agli enti della Curia Romana, fino alla fase decisiva delle due codificazioni, quella che - dopo il Concilio Vaticano I (1869-1870) - ha portato al Codex Iuris Canonic, detto Pio-Benedettino del 1917 e quelle più recenti, del 1983 per la Chiesa latina e del 1990 per le Chiese Orientali. Il metodo utilizzato è quello diacronico, seguendo le tappe salienti della storia della Chiesa e cercando di fornire una bibliografia di riferimento, che possa permettere ulteriori approfondimenti.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Lo ius novissimum: il diritto tridentino fino alla prima codificazione; 3. Lo ius codificatum; 3.1. Il Codice Pio-Benedettino (1917); 3.2. Il Codice di diritto canonico del 1983 e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990); 4. Conclusioni.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Lo ius novissimum: il diritto tridentino fino alla prima codificazione; 3. Lo ius codificatum; 3.1. Il Codice Pio-Benedettino (1917); 3.2. Il Codice di diritto canonico del 1983 e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990); 4. Conclusioni.

1. Introduzione

La periodizzazione classica della storia delle fonti del diritto canonico, dalle origini della Chiesa ad oggi, prevede quattro fasi della stessa:

  1. Ius antiquum: epoca d’oro, dalle origini della Chiesa fino al "Decretum Gratiani" (1140);
  2. Ius novum: dall’epoca di Graziano al Concilio di Trento (1545-1563);
  3. Ius novissimum: dal Concilio di Trento alla Rivoluzione francese (1789), con l'elaborazione di norme in risposta a Lutero sulla scia del Concilio di Trento e prodotte dai Pontefici e dagli organismi della Curia Romana;
  4. Ius codificatum: dal Codice di diritto canonico pio-benedettino del 1917, al nuovo Codice di diritto canonico promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983, fino al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato nel 1990.

Le prime due fasi, dalle origini fino alla promulgazione del Corpus Iuris Canonici, sono state oggetto dell’analisi di un precedente articolo[1]. Nel presente, invece, ci si sofferma sulle due ulteriori fasi, quella del cosidetto ius novissimum, in cui nonostante la centralità dello ius decretalium, inizia a fiorire la normativa della Curia Romana e dei Tribunali e poi quella dello ius codificatum, quando anche il diritto canonico, sulla scia degli ordinamenti civili, ha visto realizzarsi le codificazioni, prima nel 1917, poi nel 1983 per la Chiesa latina e nel 1990 per le Chiese orientali.

2. Lo ius novissimum: il diritto tridentino fino alla prima codificazione

Un evento di fondamentale importanza per la vita della Chiesa nel XVI secolo, a seguito della Riforma protestante, fu il Concilio di Trento (1545-1563). Con il movimento di riforma sorto in ambito cattolico a seguito di tale assise conciliare, andò via via affermandosi un nuovo modo di “fare” il diritto canonico. La formazione e la promulgazione del Corpus Iuris Canonici avvenuta ad opera di Gregorio XIII nel 1580, permise a tutta la Chiesa di avere accesso ad una fonte giuridica certa e determinata per la risoluzione di problemi sempre nuovi. La produzione giuridica, come è ovvio, non si fermò li, ma ebbe un nuovo slancio proprio a partire dal rafforzamento del potere papale successivo al Concilio tridentino.

In questa fase le fonti principali del diritto canonico, che andarono a collocarsi accanto al diritto delle decretali, furono proprio i documenti papali e le determinazioni emanate dai nuovi organismi della Curia Romana, come Congregazioni e Tribunali apostolici. Oltre a questo elemento interno di trasformazione della vita ecclesiale, non si può non fare riferimento ad un altro aspetto estrinseco, che comunque ebbe un ruolo fondamentale nel modo di elaborare il diritto canonico: l’invenzione della stampa. Mentre nel Medioevo ogni documento normativo, specialmente i canoni dei Concili e dei Sinodi doveva essere fedelmente riprodotto in esemplari manoscritti, con l’invenzione di questo nuovo potentissimo mezzo di riproduzione meccanica dei testi, il materiale normativo trovò una maggiore e più rapida diffusione, grazie all’immediata produzione di numerosi esemplari.

Tra i documenti papali sorti per lo più in quell’epoca, ossia a partire dal XVI secolo, dobbiamo richiamare necessariamente le Bullae papali e i Brevi papali, che nel corso dei secoli furono raccolte in cataloghi e rassegne, che ebbero grande successo, come il Magnum Bullarium Romanum[2].

Con il termine Bulla si indicano diversi tipi di documento, sia per forma che per contenuto, tenendo conto dell’elemento comune dato dal sigillo di piombo, rispetto ad altri muniti di sigillo di cera (brevi) o completamente sprovvisti di esso (suppliche, chirografi, motu proprio). Tutte le Bullae iniziano con il nome del Papa seguito dal titolo Episcopus, servus servorum Dei e si compongono essenzialmente di tre parti:

  1. il protocollum, con l’intitulatio, ossia il nome e la dignità dell’autore del documento (ad esempio il Papa);
  2. il contextus, aperto dall’arenga, o exordium, ossia l’enunciazione di un principio giuridico e teologico, che in età moderna avrà maggiore attinenza con il contenuto principale del documento, da cui si prendono le parole che danno il nome all’intera bulla. A queste parole introduttive segue la narratio, che riporta fatti, circostanze e particolari che hanno mosso l’autorità ad emanare la decisione e la dispositio, che indica i provvedimenti specifici adottati mediante il documento, che possono anche essere sanzioni;
  3. l’eschatocollum, dove si trovano le clausole protocollari, ossia la data con la dicitura di annus incarnationis. Fino alla fine del X secolo sono scritte su papiro, poi sempre su pergamena[3]

Dal punto di vista giuridico, esse possono assumere diverso valore a seconda del contenuto: le più importanti sono quelle che contengono privilegi, con concessioni o riconoscimenti di carattere perpetuo, indizioni di Giubilei, provvisioni canoniche, o anche condanne dottrinali[4].

Questi documenti papali non devono essere considerati come fonti esclusive del diritto canonico, ma piuttosto come aggiunte al Corpus Iuris Canonici. Essi, dunque, rispondendo a situazioni storiche contingenti molto differenti tra loro[5].

Successivamente al Concilio di Trento, si ebbe un rafforzamento degli uffici della Curia Romana, che cooperavano con il Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale, diventando essi stessi fonti del diritto. Per avere il quadro completo delle fonti del diritto canonico nell’epoca post tridentina, è dunque importante anche far riferimento alle collezioni di  norme emanate da Congregazioni, Tribunali ed Uffìci della Curia Romana. Anch’esse rivestono diversa forma giuridica a seconda dei contenuti, dei destinatari e della vincolatività. Per le diverse Congregazioni, si possono trovare Decreta, Decisiones et Responsa. Per quanto riguarda i Tribunali, vanno principalmente considerate le collezioni della Sacra Romana Rota e della Signatura Apostolica, con la pubblicazione delle loro Decisiones, nella forma di Sentenze e Decreti, con vincolatività per le singole parti, ma anche di grnade utilità per lo studio della storia e degli istituti giuridico-canonici[6]

3. Ius Codificatum

3.1 Il Codice Pio-Benedettino (1917)

Tra le varie tematiche affrontate nel Concilio Vaticano I (1869-1870) emerse anche la necessità di una nuova sistemazione del diritto canonico[7]. Da più parti si sottolineò il problema di una grande incertezza del diritto e una difficoltà nel suo utilizzo pratico, a causa della molteplice stratificazione delle fonti. La base era ancora il Corpus Iuris Canonici, al quale però, nel corso dei secoli, si era aggiunto altro materiale, quali i documenti giuridici promulgati dai Pontefici, dagli organismi della Curia Romana e dai Tribunali apostolici. Prima ancora dell’assise conciliare, inoltre, già Pio IX, nel 1853, costituendo la “Sezione orientale della Sacra Congregazione de Propaganda fide”, aveva stabilito di raccogliere e riordinare il diritto delle Chiese orientali, per averne una maggiore uniformità e controllo pontificio.

Spesso gli operatori del diritto, specialmente nelle Curie diocesane, avevano grandi difficoltà nell’applicazione concreta delle norme, per la ferraginosità nell’utilizzo delle fonti. Alcuni proponevano, a tal riguardo, una revisione del Corpus Iuris Canonici, altri, invece, sulla scia delle grandi codificazioni europee del XIX secolo[8], proponevano la redazione di un Codice, completo, chiaro e sistematico. Nel settembre 1870, con la sospensione del Concilio Vaticano I, la spinosa problematica della debellatio dello Stato Pontificio, con la conseguente apertura della “questione romana”, sotto i pontificati di Pio IX e Leone XIII, portò ad un rinvio delle riflessioni sull’eventuale codificazione. Nonostante ciò, gli studiosi sembrarono accogliere con entusiasmo queste proposte, specialmente quella relativa alla codificazione, realizzando anche dei tentativi privati[9], finalizzati a dimostrare la fattibilità di una codificazione sullo stile di quella degli Stati europei.

Accanto alla tendenza di “imitazione” del sistema codificatorio europeo, non si può sottovalutare l’influsso ideologico esercitato dai principi del cosiddetto “diritto pubblico ecclesiastico”[10], accanto all’orientamento ultramontano[11], tipico dell’epoca del Concilio Vaticano I. All’interno del Codex del 1917, è possibile individuare veri e propri principi di diritto pubblico ecclesiastico, con una solida struttura dogmatica. Come afferma Nacci:

«Si tratta di vedere, allora, quei canoni all’interno dei quali è possibile scorgere una struttura che richiama il principio cardine sul quale la scienza giuspubblicistica ha costruito le sue elaborazioni dottrinali: la Chiesa è una società giuridica perfetta e di conseguenza ha un ordinamento giuridico proprio, autonomo e indipendente da qualunque altra potestà»[12].

Accanto alla tendenza di redigere un nuovo Codice, provata dai tentativi privati a cui si è fatto cenno, non mancò quella di coloro che resistevano ad essa, non ritenendola utile, né opportuna[13]. La linea prevalente, tuttavia, sposata anche dalla Curia Romana, fu quella codificatoria, sostenuta specialmente dal Cardinale Casimiro Gènnari[14], propenso ad un progetto assimilabile alle codificazioni europee e non ad una semplice rivisitazione del Corpus Iuris Canonici, come volevano i sostenitori di tale linea, specialmente ad opera del Card. Rampolla.

Pio X affidando al porporato di origini marateote, Cardinale Génnari, la redazione del motu proprio Arduum Sane Munus[15], promulgato il 19 marzo 1904, propendeva per la prima linea, dando impulso all’opera di codificazione[16].

Il compito di lavorare al riordino delle fonti canoniche viene affidato ai cardinali, ai consultori e all’episcopato. Il Cardinale Gasparri[17], nominato segretario dell’apposita commissione di redazione del Codex, fu l’altro protagonista indiscusso della codificazione, invitò l’episcopato latino ad inviare i propri vota e interpellò le Università cattoliche per prendere parte al lavoro. I vari consultori coinvolti redassero i canoni delle parti assegnate, discutendo più volte gli schemi relativi ai canoni, in un lavoro che durò ben otto anni, sempre sotto la regia del Cardinale Gasparri, che intanto, divenne membro ordinario e poi ponente della Commissione cardinalizia. Da non sottovalutare, inoltre, il grande processo di riforma della Curia che Pio X realizzò negli anni della codificazione[18]. Nel 1912, furono consultati nuovamente i Vescovi di rito latino, insieme agli abati nullius e ai superiori generali degli ordini religiosi. Le osservazioni fatte pervenire a Roma furono riviste dal Gasparri, che sottopose i nuovi schemi ad una seconda approvazione della Commissione cardinalizia. I lavori erano finiti già nel 1914 e la promulgazione venne programmata per il 1° gennaio 1915. Per vari motivi, tra i quali la Prima Guerra Mondiale, la promulgazione avvenne solo il 27 maggio 1917, sotto il pontificato di Benedetto XV[19], con la costituzione apostolica Provvidentissima Mater Ecclesia, entrando in vigore il 19 maggio 1918, giorno di Pentecoste.

Il Codex Iuris Canonici[20] del 1917 si compone di 5 libri (Normae generales, De personis, De rebus, De processibus, De delictis et poenis), diviso in parti, sezioni e titoli, per un totale di 2414 canoni. Nella Costituzione apostolica di promulgazione, Benedetto XV dichiara le caratteristiche del Codice, come autentico, ossia promulgato per autorità pontificia, universale, ossia applicabile per tutti i soggetti della Chiesa latina, esclusivo, mediante il quale si abrogavano tutte le disposizioni contrarie, fatta eccezione per la disciplina orientale (can. 1), le norme liturgiche (can. 2), le convenzioni internazionali tra Sede Apostolica e Nazioni (can. 3), nonché il diritto precedente alla codificazione (can. 6). Su questo ultimo punto, in particolare, sembra opportuno richiamare quanto affermato da Nacci:

«A differenza degli altri modelli civili, porterà in sé forti “aperture” nei confronti del passato, di tutto ciò che rappresenta il periodo precedente al codice. Ed è proprio sulla base di questo dato di fatto che non può non affermarsi che il Codice rappresenta un valido esempio, “unico” nel suo genere, di cultura giuridica. In che modo? Riconoscendo nel can. 6, ad esempio, l’importanza della tradizione giuridica precedente, il cosiddetto ius vetus, dimostrando il legislatore canonico una maggiore sensibilità rispetto a quello statuale che invece ha rinnegato il patrimonio giuridico precodiciale»[21].

Infine, è necessario fare un accenno alla pubblicazione della collezione di fonti, prevista nel corso del dibattito preliminare, che vide la luce fra il 1923 e il 1939, nelle cosiddette Codicis Iuris Canonici Fontes[22], ad opera del Gasparri e del canonista ungherese György Serédi[23], con richiamo a gran parte dei documenti citati in nota nel Codice.

3.2. Il Codice di diritto canonico del 1983 e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990)

La storia della più recente codificazione del diritto canonico[24] è indissolubilmente legata alla figura di Giovanni XXIII[25], che in un celebre discorso del 25 gennaio 1959[26], annunciò la sua intenzione di riformare il vecchio Codice pio-benedettino e di indire il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Sebbene già dal 1963 si fosse insediata una commissione per la revisione del CIC-17, i lavori veri e propri poterono iniziare soltanto dopo la conclusione del Concilio, per poter armonizzare la riforma con i principi emersi dai documenti conciliari. Fu proprio il papa Paolo VI[27], il 2 novembre 1965, ad inaugurare i lavori, dando alcune linee programmatiche, sottolineando anzitutto l’intenzione di avere una nuova codificazione, non solo pensata come riorganizzazione del materiale precedente, come era stato per il CIC-17, ma come una vera e propria elaborazione di nuove leggi. Queste, fondate come sempre sul diritto divino, dovevano tenere presenti in modo particolare i documenti del Concilio Vaticano II[28]. Un’altra tappa importante per l’elaborazione della nuova legislazione canonica, fu il Sinodo dei Vescovi del 1967, che approvò un documento nel quale si presentarono dieci principi di revisione del codice di diritto canonico[29].

Il processo di codificazione fu profondamente collegiale e fu affidato in primis alla Commissio Codici Iuris Canonici Recognoscendo, composta da Cardinali nominati dal Papa, ai quali nell’ultima fase furono affiancati Vescovi di tutto il mondo. Dal 1967 al 1982 la commissione fu presieduta dal Cardinale Pericle Felici[30], poi, alla sua morte, dal Cardinale Rosalio Castillo Lara[31]. Accanto ai membri della Commissione, operarono moltissimi consultores, che contribuirono alla preparazione degli schemi. Ogni singolo schema, poi, fu sottoposto alla consultazione dell’Episcopato mondiale, alle Università e Facoltà Pontificie, ai Dicasteri della Curia Romana e alle Unioni di Moderatori supremi di Congregazioni religiose. Ogni singola fase dei lavori venne documentata sulla rivista Communicationes, che risulta un importante fonte di rilettura dei lavori preparatori.

Secondo il progetto iniziale, dovevano elaborarsi due differenti Codici, l’uno per la Chiesa latina e un altro per le Chiese orientali, con una base comune, la cosiddetta Lex Ecclesiae Fundamentalis, contenente le norme di natura “costituzionale”, universali e comuni a tutte le Chiese. Tuttavia, a causa delle grosse obiezioni e del poco consenso che il progetto di questa legge di base ottenne, nonostante il lungo lavorio che vi tenne la commissione preparatoria impegnata dal 1965 al 1980, essa fu accantonata per volontà diretta di Giovanni Paolo II[32]. Gran parte del materiale che la costituiva, però, è comunque confluito nei Codici[33].

Il testo definitivo del Codice, approvato all’unanimità dalla Commissione, venne rivisto personalmente da Giovanni Paolo II con l’ausilio di alcuni esperti, per essere promulgato ufficialmente il 25 gennaio 1983, con la Costituzione apostolica Sacrae Disciplinae Leges[34], entrando in vigore il 27 novembre successivo.

Il CIC-83 consta di sette libri (De normis generalibus, De populo Dei, De Ecclesiae munere docendi, De Ecclesiae munere sanctificandi, De bonis Ecclesiae temporalibus, De sanctionibus, De processibus) per un totale di 1752 canoni, con una struttura diversa rispetto al precedente Codex, non più basata sulla tripartizione romanistica classica, ma conforme invece all’immagine della Chiesa come popolo di Dio, offerta dal Concilio Vaticano II, con l’articolazione della vita ecclesiale in funzione delle dimensioni sacerdotale, profetica e regale di Cristo.

Per quanto concerne la codificazione del diritto orientale[35], invece, una tappa significativa fu senz’altro la creazione di una commissione di studio da parte del papa Pio XI[36], che nel 1925 divenne una vera e propria Commissione per la redazione del Codice di diritto canonico orientale. I lavori della Commissione, durati per decenni, portarono a risultati parziali con la promulgazione di singole parti, con diversi motu proprio[37]. Fu soltanto il Concilio Vaticano II, con il decreto Orientalium Ecclesiarum del 21 novembre 1964, ad offrire le linee guida per una riforma unitaria anche del diritto orientale, capace di superare la diversità dei singoli riti e garantendo anche quell’unità di base, necessaria per una codificazione. Nel 1972, Paolo VI costituì una nuova Commissione per la revisione del Codice di diritto orientale, che come per la codificazione latina, si appoggiò a precisi principi di riforma stabiliti nel 1974[38]. Dopo alcuni decenni di lavoro, Giovanni Paolo II, il 18 ottobre 1990, con la Costituzione apostolica Sacri Canones[39], promulgò il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium), composto da 30 titoli, anziché di libri, come le antiche collezioni bizantine, con un totale di 1546 canoni, entrato in vigore il 1 ottobre 1991.

Anche per il CIC-83, come per il CIC-17, negli anni successivi alla promulgazione, fu pubblicata dalla Pontificia Commissio “Codicis iuris canonici” Authentice Interpretando, una rassegna di fonti per ogni singolo canone[40].

I codici del 1983 e del 1990, pur confermando la scelta della codificazione, come afferma Fantappié,

«dispongono però di presupposti giuridici e di una fisionomia concreta tali da prenderne anche le distanze. Se il codice del 1917 doveva rappresentare, per Pio X, la sola fonte di legislazione universale al momento della sua promulgazione, ad imitazione dei codici degli Stati, il codice del 1983, per Giovanni Paolo II, non è che il “documento legislativo primario della Chiesa”, essendo esclusa in partenza la pretesa della sua completezza»[41]

L’idea di Giovanni Paolo II, in sintesi, fu quella di creare un nuovo Corpus Iuris Canonici per la Chiesa universale, con un modello di codice non esclusivo, ma aperto all’integrazione di altri fonti normative. Il Codice latino del 1983, la Costituzione Apostolica Pastor Bonus del 28 giugno 1988, insieme al Codice dei Canoni delle Chiese orientali, formano un sistema aperto, che dà ragione della dinamicità propria della legislazione canonica, aperta ad accogliere le sfide della pastorale, della missione e della prospettiva ecumenica[42]

4. Conclusioni

Il diritto canonico, dunque, anche dopo la promulgazione dei Codici, non rappresenta un sistema chiuso in sè stesso. Dal momento che la Chiesa è un Corpo vivo che cammina nella storia, Essa si trova a dover affrontare sempre nuove sfide in ogni epoca, sia dal punto di vista disciplinare e pastorale, ma anche dal punto di vista della presenza della Santa Sede nell’ambito delle relazioni internazionali. Dal 1983 in poi, oltre allo sviluppo costante delle leggi particolari ad opera dei Vescovi diocesani[43], anche il Romano Pontefice e gli organismi della Curia Romana, come è evidente, hanno proseguito e proseguono tuttora, senza sosta, la produzione di nuove leggi universali[44]. In base a quanto è statuito all’art. 1 della Legge N. LXXII dello Stato della Città del Vaticano sulle Fonti del diritto, promulgata da Benedetto XVI il 1 ottobre 2008, l’Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano, pur essendo autonomo rispetto a quello canonico, riconosce in esso “la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo” (art. 1), mostrando ancora una volta con evidenza la versatilità e utilità dello stesso, sia ad intra rispetto alla vita della Chiesa cattolica, sia ad extra nei riguardi dello Stato della Città del Vaticano e ancor più come “domestic jurisdiction” di un soggetto internazionale qual è la Santa Sede.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per una introduzione alla giuridicità del diritto canonico e l’analisi delle prime due fasi della storia delle fonti, cfr. L. LABANCA, Nota di storia delle fonti del diritto canonico: Epoca antica e medievale, in Rivista Cammino Diritto, 12, 2019, 1-4).

[2] Si tratta della più celebre raccolta di atti pontifici catalogati secondo un criterio cronologico. Inizialmente sorto come continuazione di una precedente raccolta, il Bullarium sive collectio diversarum constitutionum a Gregorio VII ad Sixtum V, ed. L. Cherubini, 6 voll., pubblicato a Roma con più supplementi in un arco di tempo compreso fra il 1586 e il 1673. In seguito il Magnum Bullarium Romanum ha visto varie aggiunte (I volume a Roma nel 1733; in seguito altri 7 volumi a Roma tra il 1734 e il 1744), con le quali la raccolta giunse al pontificato di papa Benedetto XIV. Cfr. P. CIPROTTI, “Bollario” in AA. VV., Enciclopedia del diritto, vol. V, Milano, 1959, 495.

[3] Cfr. P. ERDÖ, Storia delle fonti del diritto canonico, Marcianum Press, Venezia, 2008, 139.

[4] Cfr. G. BATTELLI, “Bolla”, in AA. VV., Enciclopedia Cattolica, vol. II, Città del Vaticano, 1949, coll. 1778-1781.

[5] Data la vastità della materia, a mo’ di esempio, si può vedere la rassegna di bolle e brevi papali che toccano il tema del diritto bellico fatta dall’autore dell’articolo nella sua tesi di dottorato, cfr. L. LABANCA, Lo ius belli: dal Decretum di Graziano al diritto internazionale vigente. Ricognizione e analisi delle fonti canoniche e internazionali, Educatt, Milano 2019, 121-186.

[6] Cfr. P. ERDÖ, Storia delle fonti del diritto canonico, 145-149.

[7] Cfr. A. M. STICKLER, Historia Iuris Canonici Latini: Institutiones Academicae, Historia Fontium, vol. I, 371-395; P. GROSSI, L’Europa del diritto, Laterza, Bari, 2007, 213-216; P. GHERRI, Canonistica, codificazione e metodo, LUP, Città del Vaticano, 64-97; P. ERDÖ, Storia della scienza del diritto canonico, Roma, 1999, 157-185; P. ERDÖ, Storia delle fonti del diritto canonico, 151-152; C. FANTAPPIÈ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, Il Mulino, Bologna, 2011, 250-270; C. MINELLI, Pio X e l’avvio del processo di codificazione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), ottobre 2013, 1-38; M. NACCI, L’evoluzione storica del diritto canonico e delle sue fonti giuridiche, in M. J. ARROBA CONDE (CUR.), Manuale di diritto canonico, LUP, Città del Vaticano, 2014, 38-40.

[8] Tra i più importanti codici europei promulgati nel XIX secolo, ricordiamo il Code civil des Français del 1804, detto anche Code Napoleón e l’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch austriaco del 1811.

[9] Furono tentativi sviluppatisi in Italia e Francia tra il 1873 e il 1895, secondo criteri comuni, come l’aggiornamento del Corpus Iuris Canonici, i decreti tridentini, la giurisprudenza curiale, a cui si aggiungevano il Sillabo e le Costituzioni del Concilio Vaticano I. La materia veniva disposta in maniera razionale, per lo più utilizzando il metodo delle Institutiones e l’eventuale combinazione con quello della macro distinzione tra diritto pubblico e diritto privato. Gli autori italiani (tra i quali possiamo ricordare Gasparre De Luise, Emanuele Colomiatti, Enrico Maria Pezzani) preferirono conservare il testo primitivo del Corpus, mentre i francesi (Albert Pillet, Florent Deshayes) tentarono una riformulazione del testo legislativo sulla falsa riga del Code francese. Cfr. C. FANTAPPIÈ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, 260.

[10] Nascendo come tendenza di risposta a due istanze differenti, quali la riforma protestante e il giusnaturalismo moderno, lo ius publicum ecclesiasticum si basa sulla dimostrazione della perfezione giuridica della Chiesa, al fine di difenderne e tutelare i diritti, prendendo conseguentemente una posizione chiara nei confronti dello Stato. Esso si costituisce su due pilastri: lo ius publicum ecclesiasticum internum, dove si sottolineano i diritti della Chiesa nei confronti dei propri membri; lo ius publicum ecclesiasticum externum, dove si analizzano i diritti della Chiesa come societas perfecta nei confronti dello Stato. Si tratta, in estrema sintesi, di una scienza di confine tra il diritto canonico e la teologia apologetica. Cfr. M. NACCI, Chiesa e Stato dalla potestà contesa alla saa cooperatio. Un profilo storico-giuridico, LUP, Città del Vaticano, 2015, 29; cfr. anche F. DIANO, Cultura giuridica dello Ius pubblicum ecclesiasticum e la codificazione piano-benedettina, in Riv. Cammino Dirit.,11, 2019.

[11] Per ultramontanismo si intende l’orientamento di chi nelle lotte tra il papato e l’impero, fuori d’Italia, specialmente nei paesi tedeschi già dalla fine del Medioevo, si faceva sostenitore della politica pontificia anche se in conflitto con gli interessi nazionali. Questo concetto si affermò soprattutto con la nascita degli Stati nazionali e in occasione dei loro conflitti col papato. In Francia, fu utilizzato per designare gli avversari del gallicanesimo e i fedeli del Papa, in Germania per gli avversari del giuseppinismo e in genere di teorie giurisdizionalistiche. Al Concilio Vaticano I come ultramontanisti erano indicati tutti i sostenitori dell’infallibilità pontificia. Cfr. A. FAVALE, “Ultramontanismo”, in L’enciclopedia, XX, 226.

[12] M. NACCI, Chiesa e Stato dalla potestà contesa alla saa cooperatio, 131.

[13] Per le contestazioni alla codificazione, ad opera di vari giuristi italiani ed europei, cfr. C. FANTAPPIÉ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, 261-262.

[14] Casimiro Génnari nacque a Maratea il 27 dicembre 1839 da famiglia di censo, profondamente cristiana. Studiò a Salerno e a Napoli, dove non poté concludere gli studi a causa della soppressione dell’istituzione accademica. Nonostante ciò egli proseguì i suoi studi, fino a ricevere l’ordinazione sacerdotale nel 1863. Iniziò così l’esperienza della cura pastorale a livello parrocchiale a Maratea, con incarichi che dal 1876 si estesero anche nella diocesi di Cassano Jonio. Nel 1876 fondò Il Monitore Ecclesiastico, la cui pubblicazione è giunta sino a noi con la testata che, nel 1949, fu latinamente resa in Monitor ecclesiasticus, con l’idea di aiutare i parroci nell’aggiornamento e nel ministero pastorale. Nel 1881 è eletto vescovo di Conversano, dando una grande impronta pastorale e amministrativa, coltivando la formazione del clero. Nel 1895 fu nominato, da Leone XIII, Assessore della Congregazione del S. Uffizio. Nel febbraio del 1897, lasciata la diocesi, è promosso arcivescovo titolare di Lepanto. Come assessore del S. Uffizio fu autore di numerosi ed autorevoli pareri; contribuì pure largamente alle encicliche di Leone XIII e anche alla stesura della lettera Apostolicae curae et caritatis del 13 settembre 1896, relativa alla vicenda delle ordinazioni anglicane. Il 18 aprile 1901 viene creato Cardinale divenendo nel tempo membro di diverse Congregazioni, fino a divenire nel 1908 Prefetto della Congregazione del Concilio, carica che mantenne fino alla morte. Appartenente all’ala più moderata del S. Collegio, fu uno dei primi a promuovere la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche. Partecipò al Conclave che elesse Pio X, con il quale da subito ebbe una particolare sintonia, a cominciare dall’opera codificatoria, ma anche per la riforma della Curia e le innovazioni introdotte dal Papa a livello liturgico e disciplinare. Tra le opere del Génnari ricordiamo le Consultazioni morali – canoniche – liturgiche, del 1893, che ebbe diverse edizioni e persino una edizione in francese. Da ricordare anche le Quistioni teologico-morali di materie riguardanti specialmente i tempi nostri (Roma 1907); Quistioni canoniche di materie riguardanti specialmente i tempi nostri (Roma 1908); Quistioni liturgiche di materie riguardanti specialmente i tempi nostri (Roma 1908); Breve commento della nuova legge sugli sponsali e sul matrimonio (Roma 1908), riguardante le nuove disposizioni sulla forma di celebrazione emanate col decreto Ne temere del 2 agosto 1907, alla cui preparazione Gènnari aveva collaborato; Sulla rimozione amministrativa dall’officio e dal beneficio curato (Roma 1911). Il Cardinale morì a Roma il 31 gennaio 1914, tumulato nella cappella di famiglia nel cimitero di Maratea. Cfr. G. G. FAGIOLI VERCELLONE, “Gennari, Casimiro”, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 53, Roma 1999, 114-116; G. DI RUOCCO, Il Cardinale Casimiro Gènnari giurista (1839-1914), Napoli, 1995, 15-22.

[15] PIUS PP. X, Motu proprio de Ecclesia legibus in unum redigendis: Arduum sane munus, in ASS XXXVI (1903-1904), 549-551.

[16] Cfr. G. DI RUOCCO, Il Cardinale Casimiro Gènnari giurista (1839-1914), 117-123; G. DALLA TORRE, Il Cardinal Gènnari e la codificazione del Diritto Canonico, in AA. VV., Celebrazioni in onore di Sua Eminenza il Cardinal Casimiro Gènnari. Nel centenario della morte e nel Centosettantacinquesimo Anniversario della nascita, Atti, Ed. Zaccara, Lagonegro, 2014, 93-95.

[17] Pietro Gasparri nacque ad Ussita nel 1852, fu ordinato sacerdote nel 1877, insegnò diritto canonico all'Institut catholique di Parigi dal 1880 al 1897. Fu autore di alcuni trattati, rimasti classici per molti anni. Nel 1898, consacrato Arcivescovo fu delegato apostolico in Bolivia, Perù ed Ecuador e nel 1901 Segretario della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari. Fu protagonista del progetto di codificazione canonica, dedicandovisi per quasi un quindicennio, come segretario prima e dal 1907, come Cardinale. Dal 1914 fu Segretario di stato di Benedetto XV e di Pio XI. In questa veste preparò, avviò e concluse le trattative che portarono ai Patti lateranensi, sottoscritti da lui come plenipotenziario. Nel 1930 lasciò l’incarico di Segretario di Stato per divergenze con Pio XI. Nel 1933 fu nominato membro dell'Accademia d'Italia per le discipline giuridiche. Morì a Roma nel 1934. Cfr. N. DEL RE, “Gasparri, Pietro”, in L’enciclopedia, IX, 51.

[18] Tra il 1914 e il 1919, ci furono rilevanti riforme legislative sul conclave (Cost. Ap., Vacante Sede Apostolica), il decreto sul matrimonio (Ne temere) e sui dicasteri vaticani, con la risistemazione delle competenze e le variazioni intercorse dopo il 1870, applicando il principio della separazione dei poteri e rivedendo anche le competenze dei tribunali, la Rota, la Segnatura Apostolica e la Penitenzieria. Cfr. C. FANTAPPIÉ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, 267-268.

[19] Per un profilo esaustivo della figura di Benedetto XVI, cfr. G. DE ROSA, “Benedetto XV” in ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia dei Papi, vol. III, 608-617.

[20] Codex Iuris Canonici, Pii X Pontificis Maximi, iussu digestus BENEDICTI PP. XV, auctoritate promulgatus, in AAS, IX (1917 - II), 11-456.

[21] M. NACCI, San Pio X e il diritto canonico: la “culura giuridica” della codificazione del diritto nella Chiesa, in Ephemerides Iuris Canonici, LIV (2014) 1, 99.

[22] Cfr. P. GASPARRI – G. J. SERÉDI, Codicis iuris canonicis fontes, voll. I-IX, Città del Vaticano, 1923-1939.

[23] György Jusztinián Serédi, ungherese, nacque a Deáki nel 1884. Monaco benedettino, fu docente di diritto canonico a Roma e in quella veste, fu anche consultore della Pontificia commissione per la codificazione del diritto canonico. Insieme al Card. Gasparri curò con grande dottrina l'edizione delle Fonti del Codex iuris canonici, i cui ultimi tre volumi sono completamente opera sua. Fu nominato Arcivescovo di Esztergom e cardinale col titolo dei SS. Andrea e Gregorio al Monte Celio nel 1927. Nel corso della II guerra mondiale, condannò fermamente le leggi razziali. Morì ad Esztergom nel 1945.

[24] Cfr. P. ERDÖ, Storia della scienza del diritto canonico, 179-202; IDEM, Storia delle fonti del diritto canonico, 153-158; C. FANTAPPIÈ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, 277-309; M. NACCI, L’evoluzione storica del diritto canonico e delle sue fonti giuridiche, in M. J. ARROBA CONDE (CUR.), Manuale di diritto canonico, Città del Vaticano, 2014, 40-41; IDEM, Chiesa e Stato dalla potestà contesa alla sana cooperatio, 152-155.

[25] Per la biografia di Papa Giovanni XXIII, cfr. F. TRANIELLO, “Giovanni XXIII” in ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia dei Papi, vol. III, 646-655.

[26] Cfr. IOHANNIS PP. XXIII, Solemnis allocutio: Questa festiva ricorrenza, 25 ianuarii 1959, in AAS LI (1959), 65-69.

[27] Per una biografia completa di Papa Paolo VI, cfr. G. M. VIAN, “Paolo VI” in ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia dei Papi, vol. III, 657-674.

[28] Cfr. PAULUS PP. VI, Allocutio, 20 novembris 1965, in AAS LVI (1965), 985-989.

[29] In estrema sintesi, i principi di revisione del Codice latino sono: 1. il mantenimento di un’indole giuridica con una chiara finalità pastorale, con la riduzione conseguente del numero delle leggi; 2. maggiore coordinamento tra la dimensione del foro esterno e quella del foro interno; 3. applicazione del principio di sussidiarietà; 4. un maggiore rinvio al diritto particolare elaborato dalla potestà esecutiva; 5. mantenimento del principio di territorialità, con l’apertura ad eventuali altri criteri, per fini pastorali, per la determinazione delle comunità di fedeli; 6. riduzione del numero delle pene canoniche e mantenimento delle pene latae sententiae soltanto in pochi casi; 7. inserimento delle facoltà speciali nella legislazione ordinaria; 8. stabilimento di uno statuto giuridico comune per tutti i fedeli; 9. previsione di procedure di tutela per i diritti dei fedeli negli atti amministrativi e nell’amministrazione della giustizia; 10. un nuovo ordine sistematico, che tenga conto dell’ordine seguito dalla Lumen Gentium del Concilio Vaticano II e non più la ripartazione gaiana della materia, come nel vecchio codice. Cfr. Communicationes, I (1969), 77-100.

[30] Per informazioni più dettagliate su Pericle Felici, cfr. B. BERTI, “Felici, Pericle”, in L’Enciclopedia, VII, 830.

[31] Per informazioni più dettagliate su Rosalio Josè Castillo Lara, cfr. sito ufficiale Santa Sede, URL: .

[32] Per una biofrafia dettagliata di Giovanni Paolo II, cfr. M. BRAY, “Giovanni Paolo II” in ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia dei Papi, vol. III, 681-695.

[33] Si tratta in modo particolare di alcuni principi costituzionali presenti nei Codici, quali lo statuto giuridico dei fedeli, il principio di legalità, il controllo di congruità delle leggi, il controllo di legittimità degli atti amministrativi singolari. Cfr. C. FANTAPPIÈ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, 302.

[34] Cfr. IOHANNES PAULUS PP. II, Constitutio apostolica qua codex iuris canonici recognitus promulgatur: Sacrae Disciplinae Leges, die 25 Iannuarii 1983, in AAS LXXV (1983-II) VII-XIV.

[35] Cfr. M. NACCI, L’evoluzione storica del diritto canonico e delle sue fonti giuridiche, in M. J. ARROBA CONDE (CUR.), Manuale di diritto canonico, 41-42; P. ERDÖ, Storia delle fonti del diritto canonico, 159-161.

[36] Per una biogradia completa e dettagliata di Pio XI, cfr. F. MARGIOTTA BROGLIO, “Pio XI” in ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia dei Papi, vol. III, 617-630.

[37] Il 22 febbraio 1949, Pio XII promulgava il motu proprio Crebrae Allatae Sunt, con i canoni riguardanti il matrimonio; il 6 gennaio 1950, lo stesso pontefice promulgava il motu proprio Sollicitudinem Nostram, con i canoni relativi al diritto processuale; il 9 febbraio 1952, con il motu proprio Postquam Apostolici Litteris, venivano promulgati i canoni sui religiosi, i beni ecclesiastici e il significato delle parole; il 2 gugno 1957, con il motu proprio Cleri sanctitati, venivano promulgati i canoni sui riti orientali e le persone.

[38] Per i dettagli sui principi di riforma del codice orientale, cfr. Nuntia, III (1976), 3-10.

[39] Cfr. IOHANNES PAULUS PP. II, Constitutio apostolica: Sacri Canones, die 18 octobris 1990, in AAS LXXXII (1990), 1033-1044.

[40] Cfr. PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI AUTHENTICE INTERPRETANDO, Codex iuris canonici auctoritate Ioannis Pauli PP. II promulgatus, fontium annotatione et indice analytico-alphabetico auctus, Città del Vaticano, 1989.

[41] C. FANTAPPIÈ, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, 307.

[42] Basti far cenno, a questo proposito, solo a mo’ di esemplificazione, alle importanti integrazioni realizzate nel corso dei decenni successivi alla promulgazione dei Codici, sia sotto il pontificato di Giovanni Paolo II (Litterae Apostolicae motu proprio datae: Sacramentorum Sanctitatis Tutela del 2001, in AAS XCIII (2001), 738-739), come anche di Benedetto XVI (Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis seu Normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis, in AAS CII (2010), 419-434) e di Papa Francesco, con le varie riforme sul processo matrimoniale (Litterae Apostolicae motu proprio datae, Mitis et Misericos Iesus, in AAS CVII (2015), 946-957; Litterae apostolicae motu proprio datae, Mitis Iudex Dominus Iesus, in AAS CVII (2015), 958-970) e la riforma della Curia Romana attualmente in corso.

[43] Oltre al legislatore universale individuabile in chi detiene la suprema autorità nella Chiesa, ossia il Romano Pontefice e il Collegio Episcopale, specialmente se riunito in Concilio Ecumenico o mediante atti veramente collegiali (cfr. cann. 135, 330-333), esiste anche il legislatore particolare, nella persona del Vescovo Diocesano che può legiferare per la sua Diocesi, personalmente o nel Sinodo Diocesano, in cui comunque rimane l’unico legislatore (cfr. cann. 135; 381; 466).

[44] Soltanto a mo’ di esempio, per mostrare la vitalità dell’ordinamento canonico, mi piace ricordare gli interventi legislativi del Romano Pontefice Francesco, promulgati dal 1 gennaio 2019 ad oggi. Il 17.01.2019, con il  motu proprio “Fin dalla sua antica”, ha modificato la fisionomia della Cappella musicale pontificia; lo stesso giorno con il motu proprio “Da oltre”, ha soppresso la Commissione “Ecclesia Dei”, rendendola un ufficio della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il 21.01.2019 papa Francesco ha promulgato il nuovo statuto riguardante l’ufficio del Revisore Generale. Il 19.3.2010, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha promulgato le Norme complementari alla Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus, riguardanti gli ordinariati personali degli anglicani accolti nella Chiesa cattolica. Lo stesso giorno il Pontefice con motu proprioCommunis Vita”, con il quale sono stati modificati alcuni canoni del CIC relativi alla dimissione ipso iure dei religiosi o membri di un istituto secolare (can. 694 e 729), aggiungendo la fattispecie dell’assenza ingiustificata e prolungata dalla casa religiosa per più di 12 mesi, con l’aggravante dell’irreperibilità. Il 26.3.2019, con il motu proprio “La tutela dei minori e le persone vulnerabili”, ha promulgato nuove norme sulla Curia Romana e le Nunziature Apostoliche, in riferimento a questa problmeatica. Il 7.5.2019, con il motu proprioVos estis lux mundi”, il Pontefice ha modificato ed esteso maggiormente la normativa relativa agli abusi sui minori. Il 22.5.2019, con Decreto Generale, la Segreteria di Stato ha modificato le competenze per la Caritas Internationalis ponendola sotto la competenza del Dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale. L’8.8.2019, con Chirografo e nuovo Statuto, il Santo Padre ha modificato e regolamentato l’Istituto per le Opere di Religione. Il 2.10.2019, Papa Francesco con motu proprio      “L’esperienza storica”, ha cambiato la denominazione da Archivio Segreto Vaticano ad Archivio Apostolico Vaticano. Il 03.12.2019, con Rescriptum ex Audientia SS.mi sono state modificate le “Normae de gravioribus delictis”. Il 06.12.2019, ancora con Rescriptum ex Audientia SS.mi e Istruzione connessa, il Romano Pontefice ha modificato la normativa relativa alla riservatezza delle cause relative ai delicta reservata e alle procedure connesse con il m.p. Vos estis lux mundi. Il 21.12.2019, con motu proprio      “Nel corso dei secoli”, il Romano Pontefice ha stabilito nuove norme riguardo all’Ufficio di Decano del Collegio dei Cardinali. Il 01.02.2020, infine, con Rescriptum ex Audientia SS.mi, papa Francesco ha approvato le modifiche agli statuti e al regolamento interno della Caritas Internationalis.