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Pubbl. Gio, 9 Gen 2020

Il codice rosso e il minore vittima di maltrattamenti assistiti

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Lorenzo Cristoforo Masucci


Il Codice Rosso ha inserito nell’art. 572 c.p. un ultimo comma nel quale si prevede che il minore degli anni 18 che assiste alla violenza debba essere considerato persona offesa del reato. Tale modifica sembra evocare l’assetto sistematico delineato dalla giurisprudenza che ha distinto l’ambito operativo della “violenza assistita”.


Sommario:  1. Il “Codice Rosso” e il nuovo art. 572, comma 4, c.p.; 2. Persona offesa, danneggiato e parte civile: nozioni; 3. La giurisprudenza precedente alla novella; 4. Le conseguenze processuali: conclusioni.

1. Il "Codice Rosso" e il nuovo art. 572, comma 4, c.p.

Con la legge 19 luglio 2019, n. 69, in tema di “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” (c.d. “Codice Rosso”)[1] il legislatore ha inteso approntare una migliore tutela penale delle vittime di violenza domestica e di genere attraverso innovazioni che hanno toccato principalmente, ma non esclusivamente, il codice penale e il codice di procedura penale. Si è così intervenuti sul testo – tra gli altri – dell’art. 572 c.p.: innanzitutto è stato disposto l’innalzamento del minimo e del massimo della forbice edittale, che sono rispettivamente passati da anni 2 ad anni 3 e da anni 6 ad anni 7 di reclusione. È stata poi introdotta, al secondo comma, una circostanza aggravante ad effetto speciale (con aumento di pena fino alla metà) per il caso in cui “il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi” e si è corrispondentemente espunto dall’art. 61, n. 11 quinquies, il riferimento al reato di maltrattamenti. Infine, il legislatore ha ritenuto di introdurre un nuovo ultimo comma nell'articolo citato, il quale testualmente dispone: “Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

Si tratta certamente di intervenuto quantomeno “inusuale”, tenuto a mente che normalmente il legislatore non si preoccupa di indicare, rispetto ad una fattispecie incriminatrice, chi possa o non possa considerarsi persona offesa di quel reato, compito, questo, che spetta di regola all’interprete e che può anzi presentarsi di soluzione non semplice[2]. Tale originale scelta ha portato alcuni dei primi commentatori ad interrogarsi circa gli effetti della disposizione, quesito cui taluno ha ritenuto di rispondere nel senso che si sia voluto permettere al soggetto minore di età che abbia assistito ad atti di maltrattamento la possibilità di costituirsi come parte civile nel relativo procedimento penale[3].

2. Persona offesa, danneggiato e parte civile: nozioni

Per comprendere correttamente la portata della novella e valutare la correttezza dell’affermazione appena riportata occorre tuttavia ripercorrere sommariamente alcune distinzioni fondamentali in tema di soggetti e parti del procedimento.

Deve infatti rammentarsi come l’espressione “persona offesa” (utilizzata nell’ultimo comma dell’art. 572 in questione) venga intesa dalla dottrina - e da almeno una parte della giurisprudenza - come riferimento al “titolare dell’interesse giuridico protetto” dalla norma incriminatrice[4]. Diversamente, invece, il danneggiato è colui “al quale il reato ha recato danno” ed è costui che, avanzando la connessa pretesa al risarcimento o alle restituzioni dovutegli in base alle norme civilistiche, ha diritto di costituirsi come parte civile (ai sensi dell'art. 74 c.p.p.)[5].

Si tratta quindi di posizioni tra loro distinte. Si potrebbe dire che la persona offesa sia colui che abbia subito un danno penalistico (e in quanto tale gode della qualifica di mero soggetto del procedimento[6]), mentre il danneggiato è colui che ha subito un danno civilistico. La parte civile è, poi, la qualifica che assume lo stesso danneggiato qualora abbia esercitato l’azione civile all’interno del procedimento penale (e comporta l’acquisizione della posizione di vera e propria parte processuale[7]).

Per completezza deve tuttavia segnalarsi la presenza di alcune sentenze di legittimità che fanno un impiego meno rigoroso di tali coordinate nominalistiche: si veda, a titolo meramente esemplificativo, quell’orientamento secondo il quale “in tema di risarcimento del danno, è legittimato all'esercizio dell'azione civile nel processo penale non solo il soggetto passivo del reato, ma anche chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo[8]. Più corretto sarebbe infatti statuire che legittimato all’esercizio dell’azione civile nel procedimento penale è solo e unicamente il soggetto danneggiato, qualifica che solitamente nella pratica si cumula con quella di persona offesa, ma non si confonde con essa[9].

A tale diversità di posizione consegue naturalmente una diversità di poteri esercitabili all’interno del procedimento: per esemplificare, solo la parte civile (in quanto tale) è legittimata a proporre ricorso per Cassazione[10], mentre solo la persona offesa (in quanto tale) è legittimata a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 410 c.p.p.[11]

3. La giurisprudenza precedente alla novella

In punto di individuazione dell’interesse giuridico protetto dalla fattispecie di cui all’art. 572 la giurisprudenza aveva già chiarito come questo non dovesse essere considerato limitato all'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma[12], considerabili dunque persone offese. Rispetto alla specifica posizione del minore poi, la giurisprudenza aveva distinto il caso in cui egli potesse essere considerato vittima del reato nonostante non fosse diretto oggetto delle condotte maltrattanti, in quanto avesse a queste assistito in modo abituale e subendone conseguenze psico-fisiche[13], dal caso in cui egli avesse sì assistito ad atti siffatti, ma fossero tuttavia insussistenti le condizioni appena esplicitate, con la conseguenza che in tale ipotesi si sarebbe semplicemente potuto ritenere integrata l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11 quinquies (disposizione privata dalla novella del riferimento alla fattispecie in oggetto)[14]. Ne discendeva che il minore potesse essere considerato persona offesa dal reato solamente nel primo dei due casi[15].

Non può non rilevarsi come la lettera nel nuovo comma quarto in commento (“Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”) sembri avere una portata di tutela ben più ampia rispetto agli approdi pretori: non vi si rinviene, infatti, alcun accenno alla necessaria presenza delle condizioni previste dalla giurisprudenza (abitualità e danno psico-fisico), con la conseguenza che dovrebbe ritenersi che il minore che abbia assistito anche ad un solo episodio di maltrattamento rivolto ad altro soggetto debbe necessariamente essere considerato in ogni caso persona offesa del reato.

4. Le conseguenze processuali: conclusioni

Tralasciando la domanda circa le possibili conseguenze sostanziali della norma (il fatto che il minore che assista “si consideri” persona offesa, senza condizioni, implica che sia configurabile un secondo reato nei suoi confronti che concorra con quello commeso a danno della vittima diretta o si tratta di mera fictio iuris disposta ad altri fini?), certamente può affermarsi che essa porti con sé conseguenze - di non poco conto - almeno sul piano processuale.

Sgombrato preliminarmente il campo dal già citato equivoco secondo cui la novella avrebbe facoltizzato la costituzione del minore come parte civile, atto che dovrebbe essere considerato possibile, invece, a prescindere dalla qualifica di persona offesa, può tuttavia affermarsi che un ampliamento delle facoltà spettanti al soggetto all'interno del procedimento vi sia effettivamente stato. Egli, infatti, da ora potrà in ogni caso, a prescindere dalla valutazione circa la presenza di alcuna condizione diversa dall’aver assistito ai maltrattamenti: proporre querela (120 c.p.), richiedere la trasmissione degli atti ad un diverso pubblico ministero (54 quater c.p.p.), presentare memorie ed indicare elementi di prova (art. 90 c.p.p.), ricevere le informazioni previste dagli artt. 90 bis e 90 ter c.p.p. e tutte le altre comunicazioni riservate alla persona offesa (ad esempio: 282 ter), chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga alle soglie di reddito (artt. 98 c.p.p. e  76, comma 4 ter d.P.R. 115/2002), ricevere notifica, a pena di inammissibilità, della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare applicata (art. 299, comma 3)[16] e opporsi alla richiesta di archiviazione (410 c.p.p.), solo per limitarsi ad un elenco esemplificativo.

[1] Disegno di legge S. 1200, XVIII Legislatura.

[2] Cfr., per esempio, Cass., Sez. VI, 23/05/2018, n. 42924, in Ced. Cass. 274232.

[3] Si veda L. Algeri, Il c.d. Codice Rosso: tempi rapidi per la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Dir. pen. proc., 2019,  p. 1368.

[4] Così G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VII ed., Zanichelli, 2014, p. 185;  P. Tonini, Manuale di procedura penale, XVII ed., Giuffrè, 2016, p. 157. Analogamente, ex multis, Cass., Sez. VI, 10/05/2017, n. 28266, in Ced. Cass. 270321.

[5] In tal senso P. Tonini, Manuale di procedura penale, cit., pp. 157-158.

[6] Cfr. Cass., Sez. II, 12/03/2019, n. 20764, in Ced. Cass. 276055, la quale afferma che la persona offesa non è “parte” in senso tecnico.

[7] Cfr. P. Tonini, Manuale, cit., pp. 157-158.

[8] Cfr. Cass., Sez. II, 31/05/2018, n. 31295, in Ced. Cass. 273698. Analogamente Cass., Sez. II, 13/01/2015, n. 4380, in Ced. Cass. 262371.

[9] Si tenga presente, per esemplificare, che nel reato di omicidio soggetto passivo-persona offesa è il deceduto, mentre i danneggiati sono i familiari:  G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale, cit., p. 185.

[10] Così Cass., Sez. V, 14/03/2017, n. 17802, in Ced. Cass. 269714.

[11] In tal senso Cass., Sez. VI, 10/05/2017, n. 28266, in Ced. Cass. 270321.

[12] Cfr. Cass., Sez. VI, 27/05/2003, n. 37019, in Ced. Cass. 226794.

[13] In tal senso Cass., Sez. VI, 23/02/2018, n. 18833, in Ced. Cass. 272985.

[14] Si veda Cass.,  Sez. VI , 25/10/2018, n. 2003, in Ced. Cass. 274924.

[15] Anche per l’analisi degli orientamenti citati cfr. la Relazione 62/19 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Suprema Corte di Cassazione, 27 ottobre 2019, p. 16.

[16] A patto che via sia stata “violenza alla persona” e che si interpreti la disposizione nel senso che la notifica deve essere fatta anche se tale violenza è stata esercitata su diversa persona offesa.