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Pubbl. Lun, 2 Dic 2019

Donazione indiretta di immobile soggetta a collazione, anche se corrisposta solo una parte del prezzo di acquisto

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Matteo Bottino
AvvocatoUniversità degli Studi di Genova


La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 10759 del 17 aprile 2019, rileva come debba qualificarsi quale donazione indiretta di immobile soggetta a collazione, la corresponsione - da parte del de cuius al tempo in cui era in vita - di una somma di denaro utile al pagamento parziale del prezzo di acquisto di un´abitazione.


Sommario: 1. La vicenda; 2. L’inquadramento normativo; 2.1 La collazione; 2.2 Le modalità della collazione; 3. La donazione; 3.1 La forma della donazione, le conseguenze del mancato rispetto e le deroghe; 3.2 La donazione indiretta; 3.3 La corresponsione di una somma di denaro a copertura parziale dell’acquisto di un immobile; 4. Conclusioni.

1. La vicenda

La vicenda di cui alla sentenza in commento nasce da una controversia concernente la divisione di beni caduti nella successione legittima del padre della ricorrente. In particolare quest’ultima rifiutava di provvedere alla collazione della donazione indiretta, ricevuta sotto forma di una somma di denaro, utile al pagamento della quota del 50% dell’immobile dalla stessa acquistato.

Il rifiuto si fondava sul presupposto secondo il quale le somme sarebbero state in parte restituite, ed in parte elargite per altri scopi. Evidenziava altresì come in ogni caso, la corresponsione di una somma di denaro non sufficiente a coprire l’intero prezzo di acquisto, non potesse essere annoverata fra le donazioni e – quindi – doveva ritenersi esente da collazione.

2. L’inquadramento normativo

Prima di esaminare il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, pare opportuno analizzare brevemente le norme sottese alla questione affrontata nel caso di specie.

In particolare, si ci riferisce all’istituto della collazione di cui all’art. 737 c.c. e della donazione di cui all’art 769 c.c.

2.1 La collazione

La collazione è l’istituto giuridico attraverso il quale i figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati[1].

Lo scopo della norma è evidentemente quello di conferire nell’asse ereditario, gli atti di liberalità effettuati in vita dal de cuius, a favore dei soggetti tenuti a collazione. La ratio è da ricercare nella presunzione effettuata dal legislatore, secondo la quale le donazioni effettuate in favore degli eredi necessari, siano da intendersi come un’anticipazione dell’eredità[2].

Come anticipato, però, l’art. 737 co. I c.c. prevede che tale presunzione, in quanto tale, possa essere superata nel caso in cui il defunto dispensi espressamente i beneficiari della liberalità, dall’obbligo di collazione. Resta intesto, naturalmente, che in ogni caso non è possibile – attraverso il meccanismo della donazione dispensata – erodere la quota indisponibile, in quanto la dispensa produce effetto solo nei limiti della disponibile.

In merito ai presupposti affinché la collazione possa operare, si evidenzia come sia necessario che esista un relictum da dividere tra i diversi coeredi e – dunque – l’esistenza di una comunione ereditaria. Nell’ipotesi in manchi un asse ereditario da dividere, poiché esaurito a causa di donazioni o legati, non vi sarà alcuna comunione e dunque mancherà il presupposto della necessità di procedere a divisione.

La necessità dell’esistenza di una comunione ereditaria è stata altresì avallata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha rilevato come "La collazione presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l'asse é stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un "relictum" da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l'esito dell'eventuale azione di riduzione”[3], nonché nella giurisprudenza di merito, in cui si è affermato che“In materia di successione testamentaria, l'applicabilità dell'istituto della collazione presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere. Invece, se l'asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con gli uni e con gli altri insieme, sì che manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l'esito dell'eventuale azione di riduzione. La circostanza che, anche quando il defunto abbia donato in vita o legato tutte le sue sostanze, ciò nonostante, alla sua morte, rimane spesso un relictum (di sia pur modico valore) non è sufficiente a far considerare l'esistenza di tale relictum come fatto di comune esperienza, tale da rendere sempre esperibile l'azione di collazione"[4].

La collazione viene anche esclusa se il testatore abbia spartito i propri beni tramite divisione ai sensi dell’art. 734 c.c.[5], in quanto anche in tale caso viene evitata la formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale si giustificherebbe il conferimento nella massa dei beni donati[6].

Nell’ipotesi in cui non vi sia un asse ereditario da dividere, il legittimario pretermesso o leso nella quota di legittima, potrà in ogni caso avviare il procedimento di riduzione.

2.2 Le modalità della collazione

Meritano senz’altro un breve cenno anche le differenze relative alle modalità con cui è possibile eseguire la collazione da parte dei soggetti obbligati, e cioè tramite conferimento del bene in natura o per imputazione[7].

Nel caso di conferimento del bene per imputazione, il coerede beneficiario di donazione subisce una riduzione della porzione che gli sarebbe spettata, nella misura pari al valore del bene ricevuto, al momento di apertura della successione[8]. Nel caso in cui la liberalità sia di valore superiore alla quota spettante, il donatario dovrà corrispondere un conguaglio.

Se il soggetto tenuto alla collazione decide di effettuarla in natura, il bene ricevuto in donazione diverrà parte della comunione ereditaria e vi sarà un effettivo incremento dei beni da dividere.

Di particolare importanza è altresì la circostanza per la quale il valore del bene viene determinato al momento di apertura della successione e non nel momento della divisione della comunione ereditaria. Tale fattispecie ha come conseguenza che – per quanto concerne i beni immobili – difficilmente il coerede deciderà di effettuare il conferimento in natura, stante il normale incremento del valore di detti beni.

3. La donazione

La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione. È questa la definizione fornita dall’art. 769 c.c..

Attraverso tale contratto, dunque, si realizza l’arricchimento del donatario ed il coevo depauperamento del patrimonio del donante. Per tale ragione è annoverato tra gli atti di liberalità realizzato tipicamente con la disposizione di un diritto o l’assunzione di un’obbligazione. È evidente, infine, la differenza con gli atti a titolo gratuito, i quali – seppur volti ad arricchire il patrimonio del accipiens – non ha la conseguenza di ridurre definitivamente il patrimonio dell’altra parte (si pensi al mutuo senza interessi)[9].

3.1 La forma della donazione, le conseguenze del mancato rispetto e le deroghe

L’art. 782 c.c. prevede che la donazione debba essere fatta per atto pubblico, a pena di nullità. La previsione di un tale rigido formalismo è dovuto principalmente alla natura stessa della donazione e al particolare effetto economico-patrimoniale della stessa sul donante. Il legislatore ha quindi stabilito questa forma solenne e non derogabile dalla volontà delle parti, in modo tale da imporre al donante un’attenta riflessione sulle conseguenza economiche dell’atto giuridico che è in procinto di compiere.

Pare opportuno rilevare però, che la nullità dovuta alla sua esecuzione senza un atto pubblico, sia comminata ai soli atti di donazione tipica e non anche a tutti i negozi giuridici con fine di liberalità realizzati mediante strumenti diversi dal contratto di donazione[10].

Una ulteriore eccezione è fornita espressamente dal codice civile, in quanto l’art. 783 prevede come la donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili è valida anche se manca l’atto pubblico, a condizione che vi sia stata la traditio, e cioè la consegna del bene donato.

Per quanto concerne invece la modicità del valore, la giurisprudenza ha ritenuto che detto accertamento debba essere effettuato prendendo in considerazione sia il valore proprio del bene, sia le condizioni e le capacità economiche del donante[11], stante la diversa incisività della donazione

3.2 La donazione indiretta

La donazione indiretta si ha quando attraverso l’utilizzo di negozi giuridici diversi dal contratto di donazione, il donante raggiunge ugualmente il proprio scopo di arricchire un altro soggetto con il conseguente impoverimento del proprio patrimonio. Ne è un esempio tipico la compravendita di un immobile con pagamento da parte di un soggetto diverso da chi ne acquista la proprietà.

La particolarità di questo negozio giuridico sta nel fatto che – seppur il donante consegue il medesimo risultato – il codice civile non prevede l’obbligatorietà dell’atto pubblico. Tale formalismo è infatti previsto solo ed esclusivamente per il contratto di donazione tipico.

Una questione ormai risolta, relativa alla necessità o meno dell’atto pubblico, era sorta in merito al trasferimento di denaro attraverso un ordine di bancogiro o comunque attraverso l’utilizzo di intermediari, ai quali veniva dato ordine di trasferire somme di denaro ad un terzo. La Corte di Cassazione ha rilevato come in realtà detta operazione configuri una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell'atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un'operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un'intermediazione gestoria dell'ente creditizio[12].

3.3 La corresponsione di una somma di denaro a copertura parziale dell’acquisto di un immobile

Conclusa la dovuta breve premessa normativa, è possibile analizzare il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, in tema di corresponsione di una somma di denaro ad un soggetto, con la quale quest’ultimo paghi una parte del prezzo di acquisto di un immobile.

La questione sollevata – e di cui si duoleva la ricorrente – concerneva l’impossibilità di configurare quale donazione indiretta una simile operazione, così da poter escludere tale elargizione dalla collazione. In particolare sollevava "la contestazione circa la possibilità di ravvisare una donazione indiretta anche nel caso in cui la somma elargita dal preteso donante non abbia coperto interamente il prezzo per l'acquisto del bene da parte dell'intestatario, ma solo una parte di esso, assumendosi che nella fattispecie, il denaro girato dal padre alla figlia avrebbe permesso il pagamento solo del 50% del valore dell'appartamento".

La Corte rilevava in primo luogo come in effetti vi fosse una precedente pronuncia della giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla ricorrente, nella quale si sosteneva la configurabilità della donazione indiretta di un immobile, solo nel caso in cui il donante ne avesse coperto l’intero costo[13].

Gli Ermellini sottolineavano preliminarmente come nel caso di specie, il precedente  giurisprudenziale richiamato fosse inconferente, in quanto era pacifico che l’immobile era stato acquistato dalla ricorrente e dal di lei coniuge, che aveva pagato la restante metà del prezzo di acquisto. Per tale ragione era evidente come la somma di denaro elargita dal padre, fosse sufficiente alla totale copertura del prezzo relativo alla quota dalla stessa acquistata.

La Suprema Corte analizza in ogni caso la questione di diritto posta dal ricorso principale, sancendo come non sia condivisibile l’assunto secondo il quale non è configurabile la donazione indiretta dell’immobile, ogni qual volta la somma di denaro corrisposta non è sufficiente alla copertura dell’intero prezzo di acquisto.

A sostegno di quanto sopra, richiama altro precedente della giurisprudenza di legittimità, dal quale è possibile evincere come sia possibile realizzare una donazione indiretta, anche quando  la somma di denaro versata non sia sufficiente a coprire integralmente il prezzo di acquisto dell’immobile, a condizione che vi sia la consapevolezza e la volontà da parte del disponente di arricchire la controparte[14].

4. Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte di Cassazione, con la Ordinanza n. 10759 del 17 aprile 2019, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale "la liberalità realizzata con la corresponsione delle somme necessarie a pagare il prezzo da parte del donante, non necessariamente debba tradursi nella corresponsione dell'intero prezzo, ma anche di una parte di esso, laddove sempre sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, e che laddove queste ultime non siano in grado di coprire per l'intero l'obbligazione gravante sul compratore, l'oggetto della liberalità debba essere identificato, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato corrispondente alla quota parte di prezzo soddisfatta con la provvista fornita dal donante."

Il principio sopra riportato pare del tutto condivisibile, stante anche l’incompatibilità logico-giuridica di una  conclusione differente. Invero, negare l’esistenza di una liberalità, per il solo fatto che la stessa non copre l’intero prezzo di acquisto, avrebbe quale conseguenza l’inammissibilità di una donazione indiretta con lo schema del negotium mixtum cum donatione, che si fonda proprio nell'individuazione della liberalità nello scarto consapevolmente accettato dal venditore tra prezzo dovuto e prezzo effettivamente versato. 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Art. 737 co. I c.c.

[2] CARNEVALI U., Collazione, in Digesto civ., II, Torino, 1988, 472

[3] Cass. civ. Sez. II Sent., 14/06/2013, n. 15026 (rv. 626987), in CED Cassazione, 2013

[4] Corte d'Appello Roma Sez. III, 12/10/2011, Massima redazionale, 2011 Wolters Kluwer Italia Srl; Tribunale Lecce Sez. I, 22/04/2016, Massima redazionale, 2016 - Wolters Kluwer Italia Srl

[5] Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile. Se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge, se non risulta una diversa volontà del testatore.

[6] In tal senso: Cass. civ. Sez. II Sent., 23/05/2013, n. 12830 (rv. 626475) "L'istituto della collazione, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle donazioni non contenenti espressa dispensa, è incompatibile con la divisione con la quale il testatore abbia ritenuto effettuato, ai sensi dell'art. 734 cod. civ., la spartizione dei suoi beni (o di parte di essi), distribuendoli mediante l'assegnazione di singole e concrete quote ("divisio inter liberos"), evitando così la formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724 e 737 cod. civ." , in CED Cassazione, 2013

[7] Sulle differenze vedasi Cass. civ. Sez. II, 30/07/2004, n. 14553  "la collazione ereditaria costituisce, in entrambe le forme previste dalla legge (conferimento del bene in natura ovvero per imputazione) uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere, al fine di assicurare, nei reciproci rapporti tra i coeredi condividenti, equilibrio e parità di trattamento in guisa da non alterare il rapporto di valore tra le rispettive quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del "relictum" e del "donatum" al momento dell'apertura della successione, sì da garantire a ciascun condividente la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla rispettiva quota. La differenza tra i due tipi di collazione sta nel fatto che mentre quella in natura si realizza in un'unica operazione per la quale si determina un effettivo incremento dei beni in comunione e da dividere, quella per imputazione viene attuata in due fasi, "id est" dapprima con l'addebito del valore del bene donato a carico della quota spettante all'erede donatario e poi, con il prelevamento di una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari, in guisa che solo nella collazione per imputazione i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del coerede donatario, il quale li può trattenere versando alla massa solo l'equivalente pecuniaria. Deriva, da quanto precede, pertanto, che i beni che i coeredi, diversi dal donatario, possono prelevare dalla massa ereditaria per effetto della collazione per imputazione da parte del donatario, devono essere stimati in ragione del valore che essi avevano al tempo dell'apertura della successione e non a quello della divisione", in Guida al Diritto, 2004, 41, 47.

[8] Esempio di calcolo: Tizio, vedovo con due figli, muore lasciando beni per un valore di 300 e donazioni effettuate in vita al figlio Caio per 100 e nessuna al figlio Sempronio. Caio dovrà restituire alla massa ereditaria ciò che ha ricevuto in vita dal padre e di conseguenza il patrimonio da dividere tra Caio e Sempronio sarà costituito da 300 + 100 = 400. Il patrimonio sarà poi diviso in parti uguali tra i due figli e dunque per un valore di 200 ciascuno. In assenza della collazione il figlio Caio avrebbe ricevuto 150 (pari alla metà del patrimonio 300), oltre ai 100 già ricevuti tramite donazione, con un totale di 250, mentre al fratello Sempronio sarebbero spettati solo solo 150 (pari alla restante metà del patrimonio 300).

[9] BONILINI G., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 9a ed., Torino, 2018, 390

[10] In tal senso vedasi Cass. civ. Sez. II, 25/02/2015, n. 3819 in CED Cassazione, 2015:  "La rinuncia abdicativa della quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comunisti, mediante eliminazione dello stato di compressione in cui il diritto di questi ultimi si trovava a causa dell'appartenenza in comunione anche ad un altro soggetto, costituisce donazione indiretta, senza che sia all'uopo necessaria la forma dell'atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione".

[11] In tal senso vedasi Corte d'Appello Cagliari Sez. I Sent., 20/02/2019 in Massima redazionale, 2019  Wolters Kluwer Italia Srl (conf. Cass. civ. Sez. II, 12/06/2001, n. 7913)  "L'art. 783 c.c. non detta un criterio rigido per stabilire la modalità di valutazione del valore della donazione, ma lascia ai giudici del merito un margine discrezionale in relazione alle circostanze particolari, la cui valutazione involge un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.”"

[12] Vedi Cass. civ. Sez. Unite Sent., 27/07/2017, n. 18725 (rv. 645125-01) in Giur. It., 2018, 2, 304 nota di CICERO, Contratti, 2018, 3, 275 nota di BILARDO "In tema di atti di liberalità, il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell'atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un'operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un'intermediazione gestoria dell'ente creditizio. Infatti, l'operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all'altro, e tale circostanza esclude la configurabilità di un contratto in favore di terzo, considerato che il patrimonio della banca rappresenta una "zona di transito" tra l'ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e che il beneficiario non acquista alcun diritto verso l'istituto di credito in seguito al contratto intercorso fra quest'ultimo e l'ordinante."

[13] Vedi Cass. civ. Sez. II Sent., 31/01/2014, n. 2149 (rv. 629388), in CED Cassazione, 2014 "La donazione indiretta dell'immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalità per attuare l'identico risultato giuridico-economico dell'attribuzione liberale dell'immobile esclusivamente nell'ipotesi in cui ne sostenga l'intero costo."

[14] Vedi in tal senso Cass. civ. Sez. II Sent., 23/05/2016, n. 10614 (rv. 640051), in CED Cassazione, 2016 "La compravendita di un bene ad un prezzo inferiore a quello effettivo non realizza, di per sé, un "negotium mixtum cum donatione", occorrendo non solo una sproporzione tra le prestazioni di entità significativa, ma anche la consapevolezza, da parte dell'alienante, dell'insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, sì da porre in essere un trasferimento volutamente funzionale all'arricchimento della controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e la minore entità del corrispettivo ricevuto."