L´evoluzione del decreto-legge nel sistema delle fonti
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Camilla Della Giustina
Dalla disciplina contenuta nello Statuto Albertino alla disciplina attuale.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Genesi del decreto legge: la disciplina dello Statuto Albertino; 3. Il decreto legge nella Costituzione italiana, 3.1. Fonti del decreto legge, 3.2. Presupposti del decreto legge, 3.3. Procedimento di formazione, 3.4. Le vicende in sede di conversione del decreto legge; 4. L’emanazione del decreto legge: natura giuridica; 5. Fondamento, natura ed estensione del potere del Presidente della Repubblica in sede di emanazione; 6. Decreto legge e sistema delle fonti; 7. Il decreto legge interpretato come stato di eccezione.
Abstract ita
Lo scopo del contributo è quello di evidenziare l’evoluzione del decreto-legge all’interno del sistema delle fonti del diritto italiano. Il metodo utilizzato è stato quello di analizzare brevemente l’introduzione del decreto-legge durante il periodo di vigenza dello Statuto per poi approdare a un’analisi contemporanea del fenomeno. Da tutto questo è emerso come si possa ritenere costante l’atteggiamento della dottrina nei confronti dello strumento giuridico di cui si tratta. Fin dalla sua nascita, infatti, è sempre stato ritenuto uno atto normativo pericoloso. Si tratta di una riflessione che ha successivamente influenzato i Costituenti. Nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente emerge, infatti, come non si volesse introdurre lo strumento del decreto-legge. Successivamente, il contesto dialettico in seno all’Assemblea stessa ha fatto sì che si introducesse l’istituto del decreto-legge corredato da limiti stringenti idonei a limitarne l’esercizio. Nonostante la stringente disposizione costituzionale, la prassi si è orientata nella direzione opposta. Si nota come nel corso degli anni vi sia stato un abuso da parte del Governo dell’uso del decreto-legge tanto da farlo divenire lo strumento legislativo principale. Nell’articolo si propone un’analisi sistematica che ricomprende le dinamiche istituzionali derivanti da questo uso abnorme del decreto-legge. Di conseguenza, si procede nello studio delle interazioni tra i quattro organi costituzionali che interagiscono: Parlamento, Governo, Corte costituzionale e Presidente della Repubblica. Infine, l’ultima parte è dedicata ad una riflessione strettamente filosofica. Il riferimento è a Carl Schmitt è alla sua teoria dello stato di eccezione. In questo contesto si effettua un accostamento tra l’istituto del decreto-legge e lo stato di eccezione come teorizzato dal filosofo allo scopo di mostrarne le affinità e le differenze.
Abstract eng
The purpose of the contribution is to highlight the evolution of the decree law within the system of sources of Italian law. The method used was to briefly analyse the introduction of the decree law during the period of application of the Statute and then to arrive at a contemporary analysis of the phenomenon. It has emerged from all this that the attitude of doctrine towards the legal instrument in question can be considered constant. Since its inception, in fact, it has always been considered a dangerous regulatory act. This is a reflection which has subsequently influenced the constituents. In the preparatory works of the constituent assembly it emerges in fact that it was not wanted to introduce the instrument of the decree law. Subsequently, the dialectical context within the Assembly itself led to the introduction of the institute of the Decree-Law accompanied by strict limits suitable to limit the exercise of it. Despite the strict constitutional provision, the practice has moved in the opposite direction. It is noted that over the years there has been an abuse by the Government of the use of the decree law so much that it became the main legislative instrument. In this article, we propose a systematic analysis that includes the institutional dynamics deriving from this abnormal use of the decree law. Consequently, the interaction between the four interacting constitutional bodies is being studied: Parliament, Government, Constitutional Court and President of the Republic. Finally, the last part is devoted to a strictly philosophical reflection. The reference is to Carl Schmitt is to his theory of the state of exception. In this context there is a combination between the institute of the decree law and the state of exception as theorized by the philosopher in order to show its affinities and differences.
1. Introduzione
La riflessione dalla quale prende corpo il presente contributo riguarda la costante posizione assunta dalla dottrina nei confronti di uno strumento giuridico quale è il decreto-legge.
Sin dalla sua risalente formulazione l’autoattribuzione di un dispensing power rispetto alla legge in capo all’esecutivo[1] rappresenta un tema tormentoso che affligge la dottrina e la giurisprudenza dai tempi dello Statuto Albertino.
Posta questa premessa, si è proceduto ad analizzare il decreto-legge nei suoi elementi essenziali e problematici partendo dalle fonti normative per arrivare ad analizzare il ruolo che lo strumento in questione assume nel sistema delle fonti legislative il tutto confrontando il dettato costituzionale con l’esperienza concreta in materia.
L’ultima parte del contributo accosta l’istituto costituzionale del decreto-legge alla riflessione di Schmitt avente ad oggetto lo stato di eccezione: l’accostamento è dato dalla considerazione secondo cui lo stesso strumento della decretazione d’urgenza sia un’eccezione alla regola stessa posta dalla Costituzione.
2. Genesi del decreto-legge: la disciplina dello Statuto Albertino
L’istituto del decreto-legge, come disciplinato oggi dall’art. 77 Cost., è di risalente formulazione. La prima traccia si rinviene nello Statuto Albertino del 1848. Precisamente, in esso non si trova alcuna espressa menzione a quelli che vennero qualificati solamente nel 1915 come decreti-legge.
Lo Statuto prevedeva che il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e dalle due Camere: il Senato e la Camera dei deputati (art. 3) e che il Re fa i decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi senza sospenderne l’osservanza o dispensarne (art. 6).
Nonostante questo fosse il dettato costituzionale si deve evidenziare come l’istituto che verrà denominato decreto-legge venisse utilizzato, poiché da un lato il Governo usurpava il potere che gli era attribuito e dall’altro il Parlamento appoggiava tale prassi.
La dottrina dell’epoca aveva individuato tre ambiti generali prevalenti di intervento della decretazione d’urgenza. Un primo ambito concerneva la “legislazione generale” nella quale rientravano la decorrenza dei termini o la disposizione della proroga, la riforma di istituti o leggi al fine di evitare l’instaurazione una discussione parlamentare presentando al Parlamento una riforma già confezionata e infine l’adozione di decreti connotati dalla vera urgenza.
Un secondo ambito faceva riferimento alla materia tributaria, doganale. Si trattava di ambiti in cui ricorreva il fenomeno definito dei decreti catinaccio. Questi ultimi vennero denominati in tal modo dall’allora Ministro delle finanze (Magliani) come se quasi dovessero, metaforicamente serrare le porte della speculazione, infatti qualora si fosse dovuto innalzare un dazio il ricorso alla legge avrebbe provocato una speculazione a vantaggio di pochi e tutto a danno dei contribuenti[2].
Terzo e ultimo ambito aveva ad oggetto lo stato di assedio e la proclamabilità dello stesso. Esso può essere definito come uno strumento di intervento straordinario del governo a tutela dell’ordine pubblico in situazioni di estrema emergenza[3]. Con la dichiarazione dello stato di assedio si realizza una fictio iuris: nonostante si sia in tempo di pace alcune porzioni del territorio statale sono assoggettate a un regime militare simile a quello che si instaura durante un evento bellico.
Tutto questo portava con se tre conseguenze: accentramento di tutti i poteri legali nell’autorità militare designata a questo dal decreto di proclamazione, istituzione dei tribunali di guerra competenti a giudicare le persone civili (nel senso di non militari) che si dovessero rendere colpevoli di reati tassativamente indicati nel codice penale militare e infine l’autorizzazione riconosciuta all’autorità militare di emettere bandi e ordini aventi forza di legge nella periferia del proprio comando[4].
Se questi erano gli ambiti di applicazione del decreto-legge si deve evidenziare come la dottrina costituzionale dell’epoca fosse unanime nel ritenere che la decretazione d’urgenza governativa e l’utilizzo improprio dell’espressione decreti-legge fosse del tutto contrario allo Statuto Albertino. I decreti-legge, infatti, venivano qualificati come decreti che diventano leggi e non sono né decreto né legge, ma appunto il passaggio dalla forma del decreto a quella della legge[5].
A questi nuovi atti normativi la dottrina dell’epoca riferiva varie espressioni quali: mostri del sistema costituzionale, atti dotati di un’anfibia qualifica, brutta parola ed illegale venuta di moda, parola composta da due termini contraddicenti e che è ignota là dove la forma parlamentare si intende e si applica nel suo significato genuino, caso di patologia chirurgica dello stato[6].
Posto questo atteggiamento negativo della dottrina, gli stessi autori distinguevano a seconda che sussistesse o meno un sindacato giurisdizionale in materia.
Una parte sosteneva che il controllo giurisdizionale discendeva automaticamente in quanto i decreti sarebbero stati incostituzionali e di conseguenza nulli. Questo controllo avrebbe dovuto comprendere gli effettivi motivi di urgenza posti alla base di questi atti normativi. Corollario di questa posizione dottrinaria concerneva la considerazione secondo la quale il sindacato del giudice veniva descritto come l’argine più solido contro lo straripamento del potere esecutivo[7]. L’espressione più evidente di questo atteggiamento del Governo sarebbe stata proprio la decretazione d’urgenza.
Dottrina contrapposta a questa escludeva il sindacato giurisdizionale in quanto l’intera questione ricadeva all’interno della responsabilità politica. Si trattava quindi di una quaestio attinente alla opportunità o necessità politica quindi non di stretto diritto[8].
Da questa accesa critica dottrinale il legislatore dell’epoca, precisamente il Ministro della Giustizia Rocco, riformò la disciplina dell’istituto de quo. Con l’art. 3 L. 100/1926 vennero indicati dei limiti sostanziali e procedurali da rispettare nell’adottare nell’emanazione dei decreti-legge.
Il primo presupposto di legittimità era dettato da una clausola molto simile a quella prevista oggi dall’art. 77 Cost. ossia casi straordinari, nei quali ragioni di urgente ed assoluta necessità lo richiedano. Venne altresì introdotto l’obbligo di presentazione al Parlamento non oltre la terza seduta dopo la pubblicazione e infine fu prevista la sanzione di decadenza immediata per il rifiuto di conversione, nonché la cessazione del vigore da due anni dalla pubblicazione nell’ipotesi in cui non si procedesse alla conversione del decreto stesso. Nell’ipotesi in cui non fosse stato convertito entro il periodo di due anni decorrenti dalla data di pubblicazione il decreto-legge decadeva con efficacia ex nunc.
La previsione di questi limiti non venne ritenuta efficace in quanto il decreto-legge veniva di fatto a costituire una legge temporanea che rimaneva in vigore per la durata di due anni e che era destinata a scomparire per effetto dell’adozione della L. 129/1939 con la quale venne istituita la Camera dei fasci e delle corporazioni. Con questa disposizione legislativa il potere di produzione normativa veniva di fatto consegnato all’Esecutivo[9].
3. Il decreto-legge nella Costituzione italiana
L’esperienza del decreto-legge durante la vigenza dello Statuto Albertino e l’epoca fascista influenzò l’Assemblea costituente. Quest’ultima in prima battuta non volle introdurre quale strumento quello del decreto-legge: emerge infatti come l’unico riferimento fosse quello alla delega legislativa.
Dal compromesso nato in sede Costituente emerse la formulazione dell’attuale art. 77 Cost. in quanto ritenuto uno strumento giuridico insopprimibile dell’ordinamento, atto necessario in alcune ipotesi e strumento normativo che se debitamente regolamentato non potesse essere fonte di abusi[10].
Secondo l’intenzione dei Costituenti l’art. 77 Cost. avrebbe dovuto trovare applicazione in modo estremamente limitato e sporadico[11].
3.1. Fonti del decreto-legge
Il decreto-legge può essere definito come un atto con forza di legge che il Governo può adottare in casi straordinari di necessità ed urgenza. Entra in vigore appena dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma gli effetti che produce sono provvisori: i decreti, infatti, perdono efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione.
La disciplina del decreto-legge si rinviene nell’art. 77 Cost. e nell’art. 15 L. 400/88.
Partendo dalla disposizione costituzionale questa, al primo comma, precisa come il Governo non possa senza delega da parte delle Camere emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Questa è la regola, l’eccezione ad essa è contenuta nel secondo comma nel quale viene appunto dettata la disciplina del decreto-legge. Esso viene quindi concepito come deroga alla regola secondo la quale la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 71 Cost.).
L’art. 15 L.400/88 contiene: le disposizioni procedurali per l’adozione dei decreti-legge e l’indicazione dei limiti oggettivi attinenti all’emanazione di decreti da parte del Governo al fine di limitarne l’abuso. Questa disposizione è stata ritenuta dalla Corte costituzionale idonea ad integrare l’art. 77 Cost. come previsione indubbiamente giustificata ma sprovvista della forza costituzionale[12].
Il Governo non può attraverso lo strumento del decreto-legge: conferire deleghe legislative ex art. 76 Cost., provvedere nelle materie indicate dall’art. 72 co. 4 Cost., rinnovare le disposizioni dei decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due camere, regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti, ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionali per vizi non attinenti al procedimento (art. 15 co.2 L. 400/88).
Il legislatore ha dettato un requisito in positivo circa il contenuto del decreto-legge e precisamente l’omogeneità, la specificità del suo contenuto e la necessità che lo stesso contenga misure di immediata applicazione (art. 15 co. 3 L.400/88).
Il requisito della specificità prevede che la materia che il decreto-legge vada a disciplinare sia ben determinata e individuata nei suoi elementi particolari, precisi e concreti. Il principio alla base di ciò è quello di esattezza il quale si declina e concretizza in una disciplina scrupolosa atta a disciplinare una situazione che risulta essere immediatamente percepibile.
È richiesto che vengano previste misure di immediata applicazione questo al fine di evitare l’adozione di un decreto-legge che rinvii la produzione degli effetti all’adozione di regolamenti governativi o ministeriali. In questo modo sarebbero le fonti secondarie le vere regolatrici del contenuto del decreto-legge[13].
Per omogeneità si intende l’affinità, uniformità e logicità delle disposizioni contenute nel decreto. La ratio di tale requisito è di vietare il ricorso al decreto pluri-comprensivo volto a disciplinare oggetti disparati e rappresentando uno strumento non corretto per introdurre disposizioni normative disciplinanti materie corrispondenti a settori distinti tra di loro, in un unico momento[14].
3.2. Presupposti del decreto-legge
Il Governo ha la possibilità di adottare decreti aventi valore di legge ordinaria solo ed esclusivamente in casi straordinari di necessità ed urgenza (art. 77 co.2 Cost.). Questa formula pone non pochi problemi interpretativi.
Il punto certo dal quale si deve partire è che lo scopo più intimo dello strumento rappresentato dal decreto-legge è quello di assicurare la sopravvivenza dello stato e dell’ordinamento facendo fronte a situazioni imprevedibili che lo mettano in pericolo[15]. Non risulta possibile di conseguenza stabilire in modo preciso, oggettivo e puntuale una casistica idonea a giustificare l’adozione di detto strumento normativo.
Questa clausola generale è stata formulata in maniera così generale dal Costituente al fine di individuare l’intervento governativo attraverso un rinvio a parametri variabili nel tempo e nello spazio desumibili da regole morali, sociali e del costume, rinviando in conclusione alle massime di esperienza[16].
Volendo fornire una definizione si può ritenere che l’espressione casi straordinari faccia riferimento a situazioni legate ad eventi eccezionali ed imprevedibili. La necessità richiesta, ai fini dell’attivazione del decreto-legge, concerne l’impossibilità di provvedere con strumenti legislativi ordinari nonché l’indispensabilità di adottare una misura in relazione alla realizzazione dei fini propri dell’indirizzo politico governativo[17]. Infine, per urgenza si allude ad una situazione che rende indispensabile la produzione immediata degli effetti normativi nonché circostanza nella quale le misure progettate dal governo non possano per motivi tecnici, compiersi efficacemente ed immediatamente dalle Camere parlamentari[18].
Dal quadro prospettato emerge come il giudizio circa il requisito dell’emergenza, idoneo a legittimare l’adozione del decreto-legge, risulti assai complesso e discrezionale. Oltre a questo, il giudizio verte su un duplice oggetto: la straordinarietà dell’intervento e il fatto emergenziale.
Per quanto concerne la valutazione del fatto emergenziale esso rappresenta la consapevolezza circa la mancanza di un bene che viene ritenuto come rilevante. Si tratta di un bene rappresentate i presupposti per il diritto oggettivo e per la tutela dei valori normalmente riconosciuti. Di conseguenza, quando il Governo deve decidere se applicare l’art.77 Cost. deve verificare se l’istituto in questione sia idoneo ad impedire il sacrificio di altre posizioni aventi tutela giuridica, il tutto in nome dell’emergenza. È evidente come quest’ultima indichi l’incapacità dell’ordinamento giuridico di predisporre misure idonee ai singoli eventi qualificabili come emergenziali.
L’emergenza, in base a questa ricostruzione, possiede un carattere assoluto, viene ravvisata solamente in situazioni in cui vi sia l’imminente lesione di beni giuridici riconosciuti dal diritto ordinario.
L’intervento straordinario, invece, attiene strettamente alla sfera giuridica in quanto consiste nella risposta che l’ordinamento adotta rispetto alla domanda di fatto eccezionale connotato dall’emergenza. La funzione svolta è quella di adattare l’ordinamento alla situazione emergenziale evitando la propagazione di effetti antigiuridici del fatto emergenziale. È evidente come l’incapacità del diritto oggettivo di rispondere in modo adeguato alle situazioni emergenziali possa generare situazioni di fatto idonee a far emergere fenomeni illegali.
L’intervento straordinario diviene un potere finalizzato ad affrontare e superare l’emergenza e, successivamente, di rendere sé stesso non più indispensabile. Esso possiede una natura intrinsecamente provvisoria in quanto rappresenta una risposta cronologicamente limitata al carattere temporaneo dei fenomeni emergenziali.
In conclusione, l’art. 77 Cost. di fronte a situazioni di emergenziali, nel senso di casi straordinari di necessità ed urgenza, consente l’attuazione di strumenti straordinari al fine di apprestare tutela a valori e interessi ordinari[19]. Di conseguenza è ammissibile sostenere la sussidiarietà del diritto straordinario rispetto a quello normalmente vigente[20].
3.3 Procedimento di formazione
La disciplina in materia è contenuta nell’art. 15 L. 400/88. È richiesto che il decreto-legge sia deliberato dal Consiglio dei Ministri. Si richiede altresì che rispettino le seguenti prescrizioni.
In primo luogo, è necessario che quando viene presentato un decreto-legge al Presidente della Repubblica affinché questi provveda per l’emanazione, l’atto contenga la specifica denominazione “decreto-legge”.
In secondo luogo, si richiede che venga data indicazione nel preambolo delle circostanze straordinarie di necessità ed urgenza tali da rendere necessaria l’adozione del provvedimento in questione.
In terzo luogo, è previsto che il decreto-legge debba contenere la clausola di presentazione al Parlamento per la conversione in legge. A tal proposito, infatti, l’art. 77 co. 2 Cost. prescrive che le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni per provvedere alla conversione del decreto-legge[21].
Riassumendo si ha quindi la seguente situazione: il Consiglio dei ministri deve deliberare l’adozione del decreto-legge e questo deve contenere le prescrizioni appena indicate. Una volta adottato viene presentato al Presidente della Repubblica affinché questi provveda alla sua emanazione. Qualora il Presidente della Repubblica dovesse emanare il decreto-legge questo viene immediatamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale e contestualmente deve essere presentato al Parlamento affinché quest’ultimo provveda a convertirlo in legge.
L’aspetto maggiormente interessante è che è lo stesso decreto-legge a stabilire il momento a partire dal quale entrerà in vigore. Nella maggior parte delle ipotesi il decreto-legge entra in vigore il giorno stesso o successivo alla sua pubblicazione però potrebbe prevedere un diverso termine[22].
3.4. Le vicende in sede di conversione del decreto-legge
È previsto quindi che il Parlamento provveda alla conversione del decreto-legge in legge ordinaria. L’art. 77 co.3 Cost. menziona due aspetti importanti che disciplinano gli eventuali possibili scenari che si possono verificare in sede di conversione.
La prima ipotesi riguarda la possibile non conversione da parte del Parlamento del decreto-legge entro il termine sessanta giorni; in questo caso il decreto-legge perde efficacia sin dall’inizio (art. 77 co. 3 Cost.). La figura che si rinviene è quella dell’abrogazione la quale travolge tutti gli effetti che il decreto-legge aveva prodotto durante il suo periodo di vigenza.
Si tratta di un fenomeno estremamente contraddittorio ed illogico. Durante la vigenza del decreto-legge questo era pienamente valido e veniva applicato, però al momento della decadenza tutti gli atti che erano stato compiuti in modo valido durante il periodo della sua vigenza diventano degli illeciti in quanto non previsti da un atto legislativo[23].
Posto la situazione paradossale che si verrebbe a creare l’art. 77 Cost. predispone due strumenti.
Il primo riguarda l’adozione di una legge di sanatoria da parte delle Camere attraverso la quale possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Si tratta di una riserva di legge formale con la quale viene prevista la possibilità e non un obbligo per il Parlamento di approvare la legge di sanatoria. Si deve evidenziare come non sempre sia possibile sanare gli effetti che il decreto-legge ha prodotto durante il suo periodo di vigenza ma può solo regolare i rapporti giuridici sorti rispettando i principi costituzionali.
Nell’adozione della legge di sanatoria è concessa la possibilità di dettare una regolamentazione retroattiva dei rapporti rispettando ovviamente i limiti dettati dall’art. 25 Cost. La natura retroattiva della legge di sanatoria, rispettosa ovviamente dei limiti contenuti nell’art. 25 Cost., corrisponderebbe alla ratio della disciplina dell’art. 77 Cost. Di conseguenza, si può sostenere come la retroattività sia intimamente legata alla disciplina dei rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti[24].
L’altro strumento presente al fine di individuare una possibile soluzione circa gli eventuali problemi derivanti dalla mancata conversione del decreto-legge concerne la disposizione presente nell’art.77 co.2 Cost. secondo la quale il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori. La responsabilità cui si riferisce il dettato costituzionale è strettamente giuridica e quindi si declina in responsabilità civile[25], amministrativa[26] e penale[27].
Fenomeno opposto alla mancata conversione del decreto-legge è la conversione dello stesso che può avvenire attraverso due modalità differenti.
La prima possibilità concerne il fatto che la legge di conversione converta il decreto-legge in legge ordinaria senza apportare alcuna modifica. Nell’ipotesi appena descritta, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si avrebbe un’ipotesi di novazione della fonte: le norme del decreto-legge vengono sostituite in sede di conversione da quelle della legge di conversione i cui effetti retroagiscono al momento di adozione del decreto in questione.
La seconda prevede la possibilità per il Parlamento di adottare degli emendamenti in sede di conversione del decreto-legge. A tal proposito l’art. 15 co. 5 prevede che le modifiche eventualmente apportate in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione salvo che quest’ultima non disponga diversamente. È evidente come detta disposizione ripeta il principio generale di irretroattività contenuto nell’art. 11 delle Preleggi.
Si deve sottolineare come non siano ammessi emendamenti estranei al contenuto del decreto-legge.
Nonostante questo, si possono individuare varie tipologie di emendamenti. Si hanno emendamenti soppressivi, sostitutivi, aggiuntivi ed infine modificativi.
I primi corrispondono ad una mancata parziale conversione del decreto-legge, di conseguenza la disposizione oggetto di non conversione decade ex tunc. Con quelli sostitutivi una disposizione contenuta nel decreto-legge viene completamente sostituita da un’altra contenuta nella legge di conversione, mentre quelli aggiuntivi prevedono l’inserimento di una nuova disposizione non contenuta nel decreto-legge originario e che opererà, ovviamente, solo per il futuro. Con quelli modificati una disposizione viene parzialmente modificata: i problemi in relazione a quest’ultima tipologia di emendamenti riguarda il fatto che sarà compito dell’interprete individuare i limiti temporali di efficacia ovviamente avendo sempre come monito il principio di irretroattività[28].
Tema assai dibattuto in ambito dottrinario concerne la qualificazione giuridica della legge di conversione. Una parte della dottrina sostiene che si tratti di una fonte tipizzata dato che per la legge di conversione viene dettato un iter parlamentare semplificato rispetto a quello ordinario. Lo scopo che viene perseguito mediante questa semplificazione è quello di stabilizzare un provvedimento dotato di forza di legge che è stato emanato provvisoriamente e che rimane valido un lasso di tempo determinato[29].
Dottrina contrapposta ritiene che non sia propriamente corretto qualificare la legge di conversione come legge tipizzata ma si dovrebbe qualificare la legge di conversione come “fonte di continuità di disciplina”[30].
Un’altra corrente dottrinaria ha sostenuto che la legge di conversione dovrebbe essere ricostruita come condizione costituzionale di validità del decreto-legge non convertito. Secondo questa ricostruzione la legge posteriore si atteggerebbe quale condizione di validità di quella anteriore. Così facendo verrebbe invertita la disciplina dettata dalla stessa Costituzione in materia di connessione tra fonti[31].
Infine, si deve segnalare come altra parte della dottrina ritenga che la funzione svolta dalla legge di conversione sia quella di mero controllo politico operato dal Parlamento nei confronti del Governo[32]. Detta impostazione è stata fortemente criticata[33] in quanto è stata esclusa l’esistenza di una correlazione tra la funzione di controllo e l’inemendabilità.
4. L’emanazione del decreto-legge: natura giuridica
Si tratta di un istituto non disciplinato durante la vigenza dello Statuto Albertino. Quest’ultimo disciplinava solamente le leggi sanzionate e promulgate dal Re e i decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi[34].
I decreti-legge e legislativi sono stati previsti dall’art. 3 4. R.d. n. 1256 24/9/1931. Successivamente nel periodo decorrente dalla caduta del fascismo all’entrata in vigore della Costituzione continuarono ad esistere atti dell’esecutivo aventi valore di legge prima come regi decreti poi come decreti luogotenenziali. Relativamente ad essi ci si riferiva con l’espressione “promulgazione” anche se, emergeva la tendenza ad accostare l’espressione emanazione in riferimento ad atti non legislativi.
Fu durante i lavori dell’Assemblea costituente che relativamente ai decreti legislativi, decreti-legge e ai regolamenti dell’esecutivo si utilizzò l’espressione “emanazione” e non “promulgazione”[35].
Dopo questo breve excursus, si possono tracciare brevemente le principali differenze intercorrenti tra l’istituto della promulgazione da quello dell’emanazione.
Partendo dalla promulgazione, la quale riguarda le leggi, si deve evidenziare come questa consta in un’attività solamente di documentazione dato che l’attività deliberativa viene svolta dalle Camere. Oltre a questo, la Costituzione detta una disciplina procedurale assai dettagliata in relazione a questo istituto infatti essa trova la sua fonte negli art. 87 co. 5, 73 e 74.
L’emanazione, invece, si riferisce ai decreti legislativi, legge e regolamenti. Con riferimento al decreto-legge viene riconosciuta al Presidente della Repubblica la facoltà di verificare se si tratti di casi straordinari di necessità ed urgenza: questo potrebbe far nascere un conflitto circa la necessità o meno di adottare alcuni decreti tra Governo e Capo dello Stato[36].
La disciplina dettata dalla Costituzione si rinviene nell’art. 87 Cost. il quale indica due profili trattando dell’emanazione. Il primo profilo, quello oggettivo, si esaurisce nell’individuare l’organo competente ad emanare, ossia il Presidente della Repubblica. Il secondo profilo, quello soggettivo, contiene l’indicazione degli atti che possono essere oggetto di emanazione ossia i decreti aventi valore di legge. Dato che si tratta di fonti primarie devono essere qualificate come tali da fonti aventi rango costituzionale. La Costituzione indica come atti governativi aventi forza di legge i decreti legislativi, decreti-legge[37].
Per quanto concerne l’aspetto formale l’art. 89 co. 1 Cost. prevede che gli atti aventi valore di legge emanati dal Capo dello Stato siano sottoposti all’obbligo di controfirma ministeriale e sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio in quanto atti aventi valore legislativo.
Data la scarsa disciplina circa l’istituto dell’emanazione si potrebbe sostenere che essa possieda, prima facie, una regolamentazione simile a quella della promulgazione delle leggi in quanto entrambe sono previste tra i poteri del Presidente della Repubblica (art. 87 co. 5 Cost.). Analizzando in maniera più approfondita i due istituti emergono differenze ontologiche sotto vari profili.
L’emanazione, in primo luogo, conferisce esistenza giuridica agli atti legislativi del Governo che entrano nella circolazione giuridica. Fino al momento dell’emanazione, l’atto governativo con valore di legge non esiste: si ha solo la deliberazione del Consiglio dei ministri relativa all’adozione di un determinato atto. Di conseguenza emerge chiaramente come l’emanazione concretizzi la fase formalmente perfettiva del procedimento di formazione degli atti del Governo aventi valore di legge.[38] La legge, invece, esiste già al momento della promulgazione, quindi, quest’ultima appartiene alla fase integrativa dell’efficacia del procedimento di formazione delle leggi.
Oltre a questo, è stato evidenziato come la differenza intercorrente tra i due istituti sia rinvenibile anche solo dalle rispettive formule. Nella promulgazione risulta che La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato, il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge, nell’emanazione, invece, la formula è diversa, ossia Il Presidente della Repubblica vista la deliberazione del Consiglio dei ministri emana il seguente decreto[39].
In terzo luogo, mentre la promulgazione individua con certezza l’atto promulgato come legge in quanto si riferisce solamente alle leggi, l’emanazione si riferisce ad una categoria ampia di atti ossia decreti con valore di legge e ai regolamenti. Di conseguenza il grado dell’atto emanato non viene connotato dall’istituto dell’emanazione ma si deve ricavare da altri fattori, ad esempio, per i decreti-legge il riferimento ai casi straordinari di necessità ed urgenza.
Infine, la promulgazione si riferisce ad un atto perfetto e immodificabile dall’organo costituzionale che lo ha adottato dato che non appartiene più al potere legislativo, l’emanazione si rapporta con un atto che può essere modificato ancora dal Governo dato che risulta ancora essere nella disponibilità del potere esecutivo stesso. A conferma di ciò la dottrina ha sostenuto come su invito del Presidente della Repubblica il Governo può modificare il testo del decreto con valore di legge da emanare[40].
Se queste sono le differenze intercorrenti tra la promulgazione e l’emanazione si deve sottolineare come le stesse possiedano molte somiglianze.
Il primo aspetto concerne l’uguaglianza nella parte finale della formula di promulgazione ed emanazione: entrambe contengono la clausola intimatoria[41].
La seconda considerazione concerne il fatto che sia la promulgazione che l’emanazione sono adempimenti idonei ad attribuire alle leggi e agli atti con forza di legge la data, il numero annuale progressivo e adempiono ad una funzione a-scrittiva dato che indicano il momento di passaggio dell’imputazione dell’atto, dell’organo che lo ha approvato allo Stato attraverso il necessario intervento del rappresentante dell’unita nazionale[42].
In terzo luogo, si deve sottolineare come sia in sede di promulgazione che di emanazione il Presidente della Repubblica svolga un controllo sull’atto da promulgare/emanare. Questo è previsto in maniera implicita dall’art. 74 Cost. il quale prevede il potere del Presidente di rinviare le leggi alle Camere. Relativamente all’emanazione non si rinviene nessuna disposizione costituzionale simile a quella appena indicata, tuttavia si ritiene che il controllo sia insito nella natura stessa dell’emanazione poiché essa accerta e attesta la legittimità costituzionale del procedimento e del contenuto dell’atto[43].
Questa differenza tra i due controlli esercitati dal Presidente della Repubblica si spiega analizzando la diversa natura della promulgazione rispetto all’emanazione. Come detto in precedenza la prima concerne un atto perfetto la seconda un atto che acquisirà esistenza giuridica.
In conclusione, si può si rinviene un paradosso relativo alla natura dell’emanazione: essa conferisce esistenza giuridica a atti governativi con forza di legge ma è di competenza di un organo costituzionale (Presidente della Repubblica) che non appartiene al potere esecutivo[44].
5. Fondamento, natura ed estensione del potere del Presidente della Repubblica in sede di emanazione
Se nel paragrafo precedente si è analizzata la natura giuridica dell’istituto dell’emanazione in questo paragrafo il focus è sul ruolo che viene svolto dal Presidente della Repubblica in sede di emanazione.
La fonte del potere in esame si rinviene nell’art. 87 co.5 Cost. il quale indica il potere del Presidente di promulgare le leggi ed emanare i decreti del Governo aventi valore di legge nonché i regolamenti. Relativamente quindi alla fonte del potere non vi sono dubbi, ma le perplessità emergono circa all’interpretazione del potere in questione ossia se si tratti di un potere che incide sulla forma e sui contenuti dell’atto oggetto di emanazione[45]. Di qui la divisione della dottrina in due correnti: una prima utilizza un’interpretazione definibile a contrario, una seconda sfrutta un’argomentazione analogica.
La prima parte dalla considerazione secondo la quale non si rinvengono specifici riferimenti costituzionali in tema di potere di rinvio di decreti-legge da parte del Presidente della Repubblica in sede di emanazione. Da questa assenza si dovrebbe desumere l’impossibilità per l’organo costituzionale de quo di adottare l’istituto del rinvio, come previsto per la procedura legislativa ordinaria, nei confronti del Governo. Il potere di controllo riconoscibile in questa sede al Presidente della Repubblica sarebbe estremamente più esteso rispetto a quello attribuitogli in sede di promulgazione, poiché la sua verifica in sede di emanazione potrebbe estrinsecarsi in un rifiuto di emanazione[46].
Adottando detta ricostruzione verrebbe superato il caso estremo, non rappresentato dalla Costituzione ma dalla dottrina, circa la mancata promulgazione da parte del Presidente della Repubblica in relazione ad una legge rinviata alle Camere e votata dalle stesse nel medesimo testo o sostanza. Questo atteggiamento tenuto dal Capo dello Stato potrebbe integrare le fattispecie di reato previste dall’art. 90 Cost.
La seconda impostazione dottrinaria sarebbe maggiormente aderente con il sistema costituzionale. Sarebbe maggiormente corretto sostenere che al potere che compete al Presidente in sede di emanazione siano da applicare in via analogica le disposizioni dettate in materia di promulgazione. La problematica derivante da questa interpretazione concernerebbe la possibile estensione o meno del controllo esercitato in sede di promulgazione. Posto che l’interpretazione analogica impone che il secondo sia analogo al primo ci si chiede, in detta sede, se il secondo si possa considerare analogo al primo. L’interpretazione a contrario, infatti, prevede un rifiuto assoluto negando la possibilità di rinvio ma non è detto che l’interpretazione in via analogica osti alla rappresentazione di un rifiuto presidenziale assoluto[47].
Questa riflessione si collega intimamente all’analisi relativa alla natura del potere presidenziale cioè alla qualificazione del medesimo come rifiuto assoluto o come possibilità di rinviare al Governo[48].
Una parte della dottrina ritiene che il potere riconosciuto al Presidente in sede di emanazione debba essere qualificato come ristretto in quanto diretto a verificare solo a livello formale la sussistenza dei requisiti dell’atto o che dal medesimo non derivi una responsabilità presidenziale per alto tradimento o attentato alla Costituzione[49]. Si tratta di un’impostazione facilmente contestabile: vi sarebbe l’obbligo del Capo dello Stato di controllare in modo “leggero” il contenuto dell’atto sempre che da questo non derivi una sua responsabilità.
Altra parte della dottrina sostenendo che il controllo svolto in sede di emanazione dovrebbe assumere i connotati di un controllo di merito e di legittimità costituzionale non va esente da critiche[50]. È evidente che si tratti di una ricostruzione distante dalla realtà perché richiederebbe che il Presidente della Repubblica sia imparziale in modo assoluto e che risulti essere assolutamente estraneo relativamente alla formazione e svolgimento dell’indirizzo politico. Oltre a questa enpasse qualora si volesse ricostruire in questo senso il potere presidenziale si conferirebbe al Presidente della Repubblica il potere di controllare anche il merito politico e di conseguenza egli avrebbe un potere di compartecipazione circa la determinazione dell’atto[51].
Questa considerazione è intimamente collegata alla tematica attinente all’estensione del potere in sede di emanazione e quest’ultimo deve essere studiato unitamente alla prassi in quanto ognuno dei Presidenti nella storia repubblicana ha interpretato in maniera differente il proprio potere sostenendo che non siano riconducibili in modo uniforme al potere di veto sospensivo o alla richiesta di riesame[52].
Dall’esperienza concreta della prassi la dottrina stessa è arrivata ad affermare che il controllo esercitato in sede di emanazione debba ritenersi maggiormente inteso rispetto a quello previsto in sede di promulgazione in quanto dall’introduzione del decreto-legge potrebbero discendere sia evidenti alterazioni dell’equilibrio dei poteri sia effetti irreversibili incidenti su diritti costituzionali[53].
Il potere presidenziale, quindi, possiede estensioni diverse aventi a due capi principali l’emanazione del decreto-legge tout court e il rifiuto assoluto di emanazione dello stesso. Questa seconda ipotesi si verificherebbe qualora il decreto-legge fosse totalmente carente dei presupposti dettati dall’art. 77 co. 2 Cost dato che non vi sarebbe alcun senso nel ricostruire successivamente i presupposti assenti al momento dell’elaborazione del decreto. Oltre a questo, il Presidente della Repubblica ha l’obbligo di rifiutare l’emanazione anche qualora il contenuto del decreto-legge non rispetti i diritti fondamentali disciplinati nella parte prima della Costituzione[54].
6. Decreto-legge e sistema delle fonti
Se si dovesse studiare lo strumento del decreto-legge solamente dal testo costituzionale esso apparirebbe come uno strumento delineato come eccezionale dai Costituenti in quanto suscettibile di essere utilizzato solamente nell’ipotesi in cui ricorrano casi straordinari di necessità ed urgenza.
La prassi e la realtà sembrano contraddire nettamente il disposto costituzionale. Negli ultimi anni mediante lo strumento del decreto-legge si sono riformati interi settori dell’ordinamento come la riforma della giustizia[55] e delle Province[56].
La realtà appare essere quindi in netto contrasto con l’unanimità della dottrina e della giurisprudenza secondo cui dalla separazione delle funzioni e delle competenze si dovrebbe plasmare il rapporto tra fonti di produzione e garanzia dei diritti sanciti nella carta costituzionale. La Consulta stessa ha precisato come l’assetto delle fonti normative sia uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo nel sistema costituzionale. Esso è correlato alla tutela dei valori e dei diritti fondamentali. Negli Stati che si ispirano al principio della separazione dei poteri e della soggezione della giurisdizione e dell’amministrazione alla legge, l’adozione di norme primarie spetta agli organi e all’organo il cui potere deriva direttamente dal popolo. A questi principi si conforma la nostra Costituzione laddove stabilisce che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”[57].
Se questo è la posizione condivisa unanimemente da dottrina e giurisprudenza nella prassi il Governo svolge un ruolo dominante nella produzione normativa utilizzando in maniera del tutto improprio lo strumento della decretazione d’urgenza[58]. La produzione legislativa da parte del Governo a causa di questa prassi è connotata dall’essere frammentaria. Sotto la formula “misure urgenti” si celano ambiti normativi estremamente eterogenei carenti dei requisiti della straordinarietà e dell’urgenza che costituiscono il grimaldello per inserire in sede di conversione contenuti sconnessi da quelli contenuti nel decreto-legge[59].
Se questo è lo stato dell’arte si devono analizzare anche gli effetti che questo produce indirettamente relativamente alla forma di governo parlamentare. È evidente che i soggetti istituzionali coinvolti nell’iter di adozione di decreto-legge sono quattro: Governo, Parlamento, Presidente della Repubblica e Corte costituzionale. Tutti questi intervengono o possono intervenire, anche se in momenti diversi e in alcuni casi solo eventualmente, nel procedimento di emanazione e successiva conversione del decreto-legge. È chiaro che l’abuso della decretazione d’urgenza investa rapporti complessi tra le istituzioni.
Tra questi organi costituzionali sicuramente il Governo possiede una posizione di supremazia che si è evoluta nel tempo prima attraverso l’abuso della reiterazione del decreto-legge, poi mediante l’abuso dell’emendamento per approdare infine alla questione di fiducia. In questo modo il decreto-legge può essere definito come una corsia preferenziale per approvare le più disparata disposizioni, aggrappate flebilmente ad un treno che viaggia per sessanta giorni[60]. Appare evidente che nella situazione appena descritta il Governo risulti essere al centro e il Parlamento assume un ruolo totalmente sussidiario dovendo eseguire la volontà proveniente dall’esecutivo.
Ruolo estremamente complesso e problematico è quello rivestito dal Presidente della Repubblica in sede di emanazione[61]. L’approccio del controllo presidenziale rispetto alla verifica dei requisiti della straordinarietà ed urgenza è stato sempre oggetto di interpretazione da parte dei vari Presidenti. Si deve ricordare come il Presidente Napolitano abbia scritto in numerose lettere le proprie osservazioni e sensazioni in relazione all’utilizzazione distorta del decreto-legge. Prima di lui si deve ricordare che Ciampi, durante il periodo della sua presidenza, rinviò alle Camere la legge di conversione relativa al D.l. 4/2002 sostenendo la violazione delle disposizioni costituzionali dettate in materia[62].
In questa complessa situazione istituzionale la Corte costituzionale si è fatta garante della forma di governo da interpretarsi come concreto equilibrio tra i poteri fondamentali, della forma di stato ed infine della tutela dei diritti fondamentali[63].
La Consulta ritiene che l’effettiva tutela dei diritti sanciti dalla Carta costituzionale non risulterebbe essere effettiva se il giudice a quo dovesse sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione ad ogni nuova reiterazione del decreto-legge non convertito[64]. Da questo derivano essenzialmente due tipologie di problemi. Un primo concerne, come più volte sottolineato, l’assetto concreto della forma di governo e la funzione legislativa ordinaria del Parlamento. L’altro riguarda la necessità di garantire il più possibile la certezza del diritto.
Nella ricostruzione della Corte emerge chiaramente come la legge di conversione debba necessariamente possedere il ruolo di unica fonte idonea a stabilizzare gli effetti del decreto-legge nel tempo[65].
7. Il decreto-legge interpretato come stato di eccezione
Il Leitmotiv di questo saggio è stato quello di evidenziare come il decreto-legge sia da considerarsi come istituto eccezionale rispetto alla regola generale posta dalla Carta costituzionale anche se la prassi non avvalla questa ricostruzione.
Di questo si trova conferma nell’art.77 co.1. Detta disposizione vieta l’emanazione da parte del Governo di decreti aventi valore di legge ordinaria, ma al successivo comma è contenuta l’eccezione alla regola. L’eccezione può considerarsi integrata solamente quando ricorrano casi straordinari di necessità ed urgenza e ciò consente al Governo di emanare decreti-legge[66].
Da questa ricostruzione appare evidente che il decreto-legge possa essere accostato al concetto di stato di eccezione.
Lo stato di eccezione è un concetto essenziale della teoria del diritto e si utilizza per far riferimento a quella che è l’origine decisionista del diritto quindi il riferimento è a un concetto che si trova fuori e prima del diritto ma che appartiene, al tempo stesso, al diritto stesso. Altra sfumatura è quella di considerare lo stato di eccezione come un fenomeno avente una propria disciplina caratterizzante un potere eccezionale e per questo delimitato.
Da qui si rinviene un’assonanza con la ricostruzione filosofica di Carl Schmitt. Egli ritiene, in primis, che il diritto debba essere considerato come decisione e non come norma. In secundis nella riflessione di Schmitt l’eccezione viene ricostruita come un evento straordinario che si esplica come atto di volontà pura, ossia l’atto senza fondamento, di chi non deve a nessuno il proprio potere e che quindi dal nulla crea il tutto, crea l’ordine in una condizione estrema di disordine, dimostrando che l’autorità non ha bisogno del diritto per creare diritto[67].
Se si volesse interpretare l’art. 77 Cost. alla luce della riflessione schimittiana si arriverebbe a dire che la competenza straordinaria non comprende il potere di innovare le norme o produrre norme giuridiche. A contrario al potere qualificato come eccezionale dovrebbe essere riconosciuta solamente la possibilità di stabilire delle regole giuridiche le quali devono essere applicate a un numero circoscritto di fatti imprevisti e in un tempo determinato. Si tratta di due condizioni che giustificano l’esercizio del potere eccezionale stesso. Ulteriore limite al potere eccezionale è la sua fonte normativa: da qui deriva il fatto che il primo deve essere esercitato in senso conforme alla seconda la quale diviene parametro di validità del diritto straordinario.
Una parte della dottrina aderisce alla ricostruzione filosofico-giuridica prospettata in questo paragrafo. Precisamente ritiene che il decreto-legge debba essere considerato come un provvedimento provvisorio non idoneo a modificare la legislazione, ma competente solamente a derogarla. Di conseguenza, la corrente dottrinaria in questione giunge a qualificare il decreto-legge come un provvedimento in quanto predisposto per far fronte a situazioni straordinarie.
Sarebbe proprio la decisione relativa alla condizione straordinaria ad integrare la tipica competenza di emergenza e rappresenta altresì il potere di eccezione che viene riconosciuto al Governo dalla Carta costituzionale.
Alla luce di tutto questo risulta che l’unico strumento riconosciuto al Governo per esercitare il potere di eccezione e sospendere le leggi sia proprio il decreto-legge. L’osservanza della disciplina descritta dall’art. 77 Cost., e, precisamente nella parte in cui detta l’obbligatoria conversione in legge del provvedimento de quo, fa sì che lo stesso possa essere qualificato come “derogatorio alla legislazione”. Nell’ipotesi contraria si tratterebbe di un atto amministrativo non avente il potere di sospendere la legge[68].
Note e riferimenti bibliografici
[1] Benvenuti M., Alle origini dei decreti-legge. Saggio sulla decretazione governativa d’urgenza e sulla sua genealogia nell’ordinamento giuridico dell’Italia prefascista, in Nomos, le attualità del diritto, Rivista quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale, n. 2/2012, pag. 4, cit.
[2] Brunialti A., Il diritto costituzionale e la politica nella scienza e nelle istituzioni, Unione tipografica editrice, vol. II, 1990, pag.144.
[3] Martucci R., Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto Albertino alla Repubblica, Carocci, 2002, pag. 50
[4] Racioppi F., Brunelli I., Commento allo statuto del Regno, Unione tipografico. editrice, vol. II 1909, pag. 273
[5] Di Salvio V., Legge, in Digesto italiano, Utet 1902-1905
[6] Arangio Ruiz G., Storia costituzionale del Regno d’Italia, 1985, pag. 488, cit.
[7] Pierantoni A., Trattato di diritto costituzionale, Tipografia elzeviriana, 1873, pag. 241, cit.
[8] Brusa E., Della Giustizia penale eccezionale nella presente dittatura militare, in Rivista di diritto penale, 1984, XXXIX, pag. 416.
[9] Astraldi R., Questioni processuali e di tecnica legislativa in tema di conversione in leggi di decreti-legge, in Giurisprudenza italiana, 1934, fasc.IV, pag. 38.
[10] Vedasi intervento on. Ruini alla seduta del 17.10.47 in A.C. IV, 3336.
[11] Paladin L., Art. 77 in Commentario alla Costituzione, Zanichelli, 1979.
[12] Sentenza n. 391/95.
[13] Esempio è quello del d.l. 180/2008, decreto Gelmini, mediante il quale si è prevista l’adozione di regolamenti ministeriali necessari per consentire l’applicazione concreta delle previsioni contenute nel decreto.
[14] Bernabei G., Carattere provvedi mentale della decretazione d’urgenza, Cedam, 2017, pag. 338-340.
[15] Crisafulli V., Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, VI edizione, Cedam, 1993, pag. 104, cit.
[16] Luzzati L. La vaghezza delle norme. Un’analisi del linguaggio giuridico, Giuffrè, 1990, pag. 303, cit.
[17] Paladin L., In tema di decreti legge, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1958, pag. 554-557.
[18] Paladin L., In tema di decreti legge, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1958, pag. 554-557, e Bin R., Pitruzzella G., Diritto Costituzionale, Giappichelli, 2018, pag. 392.
[19] Bernabei G., Carattere provvedi mentale della decretazione d’urgenza, Cedam, 2017, pag. 97-102.
[20] Marazzita G., L’emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Giuffrè, 2003, pag. 232, cit.
[21] La conversione del decreto legge appartiene al novero dei poteri riconosciuti alle Camere un regime di prorogatio.
[22] Bin R., Pitruzzella G., Diritto Costituzionale, Giappichelli, 2018, pag. 390-391.
[23] L’art. 2 co.2 c.p. enuncia che nessuno possa essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce un reato questo in applicazione del principio del favor rei. Il medesimo articolo prevede che questa disposizione si applichi anche nell’ipotesi in cui la norma più favorevole sia stata introdotta mediante decreto legge e che questo non sia stato convertito successivamente. Il problema nasce dalla seguente riflessione: è possibile che un soggetto possa avvantaggiarsi della disciplina più favorevole introdotta da un decreto legge successivamente decaduto perchè non convertito? Con sentenza n. 51/85 la Corte costituzionale annulla la previsione contenuta nell’art. 2 co.5 c.p. in quanto incompatibile con l’art. 77 Cost. La ratio della decisione della Corte si fonda sulla considerazione che si debbano impedire manovre governative indirette, discriminatrici o mitigratici del trattamento di fatti costituenti reato, manovre che altrimenti sarebbero destinate al successo malgrado l’esito negativo del controllo parlamentare.
[24] Corte Cost. n. 84/66 e 89/66.
[25] Art. 2043 c.c. qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, quindi i ministri rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti.
[26] I ministri che hanno votato in modo favorevole il decreto legge non convertito rispondono solidalmente degli eventuali danni prodotti allo Stato. L’azione di responsabilità verrà promossa dalla procura della Corte dei Conti.
[27] La responsabilità in questione viene azionata davanti alla giurisdizione ordinaria e si richiede che il reato sia connotato dall’elemento psicologico ossia dolo (volontà dell’evento) o per determinati reati la colpa (ossia un rapporto causale tra l’evento e la negligenza, l’imprudenza o imperizia dell’agente).
[28] Bin R., Pitruzzella G., Diritto Costituzionale, Giappichelli, 2018, pag. 393-401.
[29] Bin R., Pitruzzella G., Diritto Costituzionale, Giappichelli, 2018, pag. 401.
[30] Ruggeri A.,,Fonte e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, vol.I L’ordinazione in sistema, Giappichelli, 1993, pag. 351 e ss. Serges G., La “tipizzazione” della legge di conversione del decreto legge ed i limiti agli emendamenti parlamentari, in Giurisprudenza italiana, 2012.
[31] Esposito C., Decreto –legge, in Enciclopedia del diritto, IX, 1968, pag. 836.
[32] Ruggeri A., Ancora una stretta (seppur non decisiva) ai decreti-legge, suscettibile di ulteriori, ad oggi per vero imprevedibili, implicazioni a più largo raggio (a margine di Corte cost. n. 171/2007), in Quaderni costituzionali, pag. 2664 e ss.
[33] Filippetta G., L’emendabilità del decreto-legge e la farmacia del costituzionalista, in Rivista AIC, n. 4/2012, pag. 10 e ss.
[34] Il riferimento è agli art.6 e 7 dello Statuto Albertino. L’espressione fare sembra essere attributiva del potere al Re di decidere circa il contenuto dei decreti stessi.
[35] Clementi F., Cuocolo L., Rosa F., Vigevani G.E., La Costituzione italiana, vol. IV, Il Mulino, 2018, pag. 3332- 3337.
[36] L’on. Lucifero in sede costituente si riferì in questi termini relativamente alla situazione appena descritta l’aver infilato il Capo dello Stato significa una grande contraddizione con tutto il sistema in quanto responsabile diventa il Capo dello Stato perchè è arbitro di giudicare se il caso sia straordinario senza contare il fatto che possano sorgere conflitti tra il Capo dello Stato e il Governo. Clementi F., Cuocolo L., Rosa F., Vigevani G.E., La Costituzione italiana, vol. IV, Il Mulino, 2018, pag. 3340, cit.
[37] Si deve ricordare come gli statuti regionali speciali, che possiedono il rango di leggi costituzionali, prevedono i decreti legislativi attuativi degli statuti medesimi e nell’ipotesi in cui dovessero essere introdotti altri atti aventi forza di legge dovrebbero essere emanati dal Presidente della Repubblica.
Rescigno G.U., Commento all’art. 87, commi IVII e X-Xii, in Commento alla Costituzione Branca G., (a cura di), Zanichelli, Il foro italiano, 1979,pag. 209.
[38] Ciconetti S.M., Promulgazione e pubblicazione delle leggi, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXVII, 1988, pag. 121, cit.
[39] Esposito C., Decreto-legge, in Enciclopedia del diritto, vol. XI, 1962, pag. 854.
[40] Rescigno G.U., Commento all’art. 87, commi IVII e X-Xii, in Commento alla Costituzione Branca G., (a cura di), Zanichelli, Il foro italiano, 1979,pag.206
[41] Si tratta dell’ordine di far osservare l’atto legislativo del Governo e la legge.
[42] Carnevale P., Emanare, promulgare e rifiutare. In margine a talune considerazioni svolte da Massimo Luciani, cit.
[43] Treves G., La emanazione delle norme governative e regionali, in Giurisprudenza Costituzionale, 1956, pag. 663.
[44] Vipiana P., L’emanazione presidenziale degli atti governativi con forza di legge, Cedam, 2012, pag. 13-23.
[45] Stradella E., Il controllo del Presidente della Repubblica sulla decretazione d’urgenza: fondamenti e prassi alla prova della crisi, intervento presentato al convegno di studi dal titolo Governo Vs Parlamento? Evoluzione del potere di normazione al tempo della crisi economica, Pisa, 11/12.1.16, pag. 4.
[46] Elia L., I principi supremi presi sul serio, in Studi in onere di Vittorio Sgroi, Giacobbe G., (a cura di), Giuffrè, 2008, pag. 836
[47] Stradella E., Il controllo del Presidente della Repubblica sulla decretazione d’urgenza: fondamenti e prassi alla prova della crisi, intervento presentato al convegno di studi dal titolo Governo Vs Parlamento? Evoluzione del potere di normazione al tempo della crisi economica, Pisa, 11/12.1.16, pag. 5.
[48] Allegretti U., Un rifiuto presidenziale ben fondato,in Astrid, rassegna n. 87, 2009.
[49] Guarino G, Il Presidente della Repubblica in Italia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4/51.
[50] Paladin L., La funzione presidenziale di controllo, in Quaderni costituzionali, 1982, Sica S., La Controfirma, Jovene, 1953.
[51] Esposito C., Capo dello Stato e Controfirma ministeriale, in Enciclopedia di Diritto, Giuffrè, 1960.
[52] Bucalo M. E., La prassi presidenziale in tema di controllo sulle leggi e sugli atti con forza di legge: riflessioni sul sistema delle fonti e sui rapporti fra Presidente della Repubblica, Parlamento e Governo, in Osservatorio sulle fonti 2008. La legge parlamentare oggi, Caretti P., (a cura di), Giappichelli, 2010, pag. 139, cit.
[53] Serges G., Il rifiuto assoluto di emanazione del decreto legge in Giurisprudenza costituzionale, n.1/99, pag. 469, cit.
[54] Onida V., Il controllo del Presidente della Repubblica sulla costituzionalità dei decreti-legge, in Astrid, febbraio 2009.
[55] D.l. 132/2014.
[56] Il D.l. 201/2011 aveva lo scopo di conferire alle Province la funzione di indirizzo politico e di coordinare le attività comunali prevedendo la soppressione della Giunta. A seguito del ricorso intentato da varie regioni (Piemonte, Lombardia, Lazio, Veneto, Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Campania) la Corte costituzionale con sentenza n. 220/2013 ha sostenuto che negare che il Governo possa abolire le Province con decreto legge vuol dire evitare lo stravolgimento dei principi costituzionali precludendo possibili forme di onnipotenza legislativa dell’esecutivo e garantendo le competenze in materia al Parlamento e ai cittadini.
[57] Corte Cost. n. 171/2007.
[58] Analogo discorso si deve riferire altresì allo strumento del decreto legislativo (art. 76 Cost.) ma relativamente a quest’ultimo si pongono altre problematiche quali ad esempio le leggi di delega cd. in bianco.
[59] Serges G., Crisi della rappresentanza parlamentare e moltiplicazione delle fonti, in Osservatorio sulle fonti, n.3/2017, pag. 3-10.
[60] Celotto A., Decreto legge, postilla di aggiornamento in Enciclopedia giuridica, Treccani, 2011, pag. 4, cit.
[61] Di questo si è già trattato nei precedenti paragrafi.
[62]Celotto A., Un rinvio rigoroso ma…laconico. Linee guida per una riflessione in Rassegna di diritto parlamentare,2002, pag. 822.
[63] Ruggeri A., La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, in Rivista di diritto costituzionale, 1996, pag. 251 e ss.
[64] Sentenza n. 160/96.
[65] Concaro A., Recenti sviluppi in tema di sindacato di costituzionalità sul decreto-legge, in AA. VV. Scritti dei dottorandi in onere di Alessandro Pizzorusso, Giappichelli, 2005, pag. 379-400.
[66] Come sostenuto nei precedenti paragrafi si è indicata tutta la procedura successiva all’emanaizone ossia il fatto che il Governo debba presentare il provvedimento provvisorio alle Camere affinchè venga convertito il giorno stesso in cui i medesimi vengono pubblicati in Gazzetta Ufficiale.
[67] Schmitt C., Politische Theologie, München-Leipzig, 1922, traduzione italiana Le categorie del politico, Il Mulino, 1972, cit.
[68] Melica L., Mezzetti L., Piergigli V., Studi in onere di Giuseppe De Vergottini, Tomo III, Cedam, 2015, pag. 2401-2406.