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Pubbl. Mar, 29 Ott 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Il diritto all´oblio: prospettiva nazionale ed internazionale alla luce delle pronunce delle Sezioni Unite e della CGUE

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Aurora Mariotti


Le Sez. Un. 22 luglio 2019 risolvono il problema dei rapporti tra diritto del singolo a che siano dimenticati i fatti pregiudizievoli che lo riguardano e il diritto della collettività a essere informata, anche a distanza di tempo, sulle vicende di interesse pubblico, operando una radicale distinzione tra diritto di cronaca e rievocazione storica


Abstract (ITA): Il diritto all’oblio è un diritto che la giurisprudenza italiana ha elaborato già da molti anni, recentemente tornato alla ribalta nel dibattito nazionale a seguito della pronuncia delle SS.UU della Corte di Cassazione n. 19681, 22 luglio 2019.

L’articolo ha lo scopo di esaminare i vari significati assunti negli anni dal “diritto all’oblio”, erroneamente ritenuto da alcuni un diritto “di nuova generazione” ma che nella sua accezione tradizionale ha origini antiche. Con l’espressione “diritto all’oblio” si intende genericamente il diritto del singolo a che fatti personali risalenti nel tempo e lesivi della dignità siano dimenticati dalla collettività (che scenda su essi l’oblio). Tuttavia, anche in virtù del progresso tecnologico, tale diritto ha assunto molteplici accezioni, per cui oggi si parla correttamente di un diritto dalla natura “composita” risultante dalla combinazione di più diritti della personalità: dal diritto alla riservatezza al diritto alla dignità e identità personale a quello alla protezione dei dati personali.

Con il presente lavoro si intende innanzitutto analizzare il diritto all’oblio nella sua accezione originaria, quella legata al diritto alla riservatezza, che lo vede contrapposto al diritto di cronaca. L’articolo si sofferma sulla recente pronuncia delle Sezioni Unite del 2019 con cui la Suprema Corte opera una precisazione fondamentale in materia: la distinzione tra il diritto di cronaca -che ha ad oggetto fatti attuali- e il diritto alla rievocazione storica -che ha ad oggetto fatti risalenti nel tempo-.

Infine, con tale contributo si esamina la dimensione transfrontaliera del diritto all’oblio, il quale trova oggi pieno riconoscimento anche in ambito internazionale: dapprima in ambito giurisprudenziale grazie alle pronunce della Corte di Giustizia dell’UE (caso Google Spain del 2014) e della CEDU (sentenza del 19 ottobre 2017, Fuchsmann c. Germania), che ancorano tale diritto rispettivamente agli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, ed oggi anche al livello normativo in virtù della sua espressa menzione all’art. 17 del nuovo Regolamento Ue in materia di privacy (2016/679).

In ambito sovranazionale il diritto all’oblio viene in rilievo essenzialmente nella sua accezione di “diritto alla protezione dei dati personali” finalizzato alla rimozione dagli archivi online dei dati personali pregiudizievoli in caso di ingiustificata permanenza degli stessi negli elenchi dei motori di ricerca telematici. Sul punto si segnala la recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE del 24 settembre 2019 con cui viene stabilito che il celebre motore di ricerca Google non è tenuto a rimuovere al livello globale dai suoi risultati di ricerca (c.d. deindicizzazione) i link coperti dal diritto all’oblio in ambito europeo: la conseguenza è la negazione del carattere universale del diritto all’oblio che rimane “ingabbiato” negli stretti confini europei.

Abstract (ENG): The right to be forgotten is a right that the Italian jurisprudence has elaborated for many years, recently returned to the fore in the national debate following the pronouncement of the SSUU of the Court of Cassation n. 19681 of 2019.

The article aims to examine the various meanings assumed over the years from the "right to oblivion", erroneously considered by some to be a "new generation" right but which in its traditional sense has ancient origins. With the expression "right to oblivion" we mean generically the right of the individual to personal events dating back in time and detrimental to dignity be forgotten by the community (which oblivion descends on them). However, even by virtue of technological progress, this right has taken on multiple meanings, so today we are rightly talking about a right of a "composite" nature resulting from the combination of multiple rights of personality: from the right to privacy to the right to dignity and personal identity to the protection of personal data.

With this work we intend first of all to analyze the right to oblivion in its original meaning, that linked to the right to privacy, which sees it as opposed to the right to report. The article focuses on the recent pronunciation of the United Sections of 2019 with which the Supreme Court makes a fundamental clarification on the subject: the distinction between the right of news - which has as its object current facts - and the right to historical re-enactment - which has to object facts dating back time -.

Finally, this contribution examines the cross-border dimension of the right to be forgotten, which is now fully recognized also internationally: firstly in the jurisprudential sphere thanks to the rulings of the EU Court of Justice (Google Spain case 2014) and of the ECHR (judgment of 19 October 2017, Fuchsmann v. Germany), which anchor this right respectively in Articles 7 and 8 of the Nice Charter and to art. 8 of the European Convention on Human Rights, and today also at the regulatory level by virtue of its express mention in art. 17 of the new EU Regulation on privacy (2016/679).

In the supranational sphere, the right to oblivion comes into focus essentially in the sense of "the right to the protection of personal data" aimed at removing the prejudicial personal data from the online archives in case of unjustified permanence of the same in the lists of telematic search engines. On this point we note the very recent ruling of the EU Court of Justice of 24 September 2019 which establishes that the famous Google search engine is not required to remove the links covered by the search results (so-called de-indexation) at the global level. European right to be forgotten: the consequence is the denial of the universal character of the right to be forgotten, which remains "caged" in the narrow European borders.

Sommario: 1. Introduzione; 2. I limiti individuati dalla giurisprudenza al diritto di cronaca; 3. Rapporto tra diritto all’oblio e diritto di cronaca nella giurisprudenza nazionale; 4. Diritto all’oblio alla luce della pronuncia delle SSUU n. 19681 del 2019; 5. Il diritto all’oblio nella giurisprudenza sovranazionale; 6. Osservazioni conclusive

1. Introduzione

Il diritto all’oblio è un diritto di risalente creazione giurisprudenziale recentemente tornato all’attenzione di dottrina e giurisprudenza sia in ambito nazionale che sovranazionale.

In ambito nazionale il diritto all’oblio è stato oggetto di un’importante pronuncia delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la Sentenza  n. 19681 del  22 luglio 2019 resa a seguito dell’ordinanza n. 28084 del 2018, con cui si chiedeva alla Suprema Corte di stabilire una volta per tutte ed in modo puntuale i presupposti di tale diritto,  nonchè di chiarirne i rapporti con il contrapposto diritto di cronaca.

Diritto all’oblio e diritto di cronaca trovano entrambi fondamento in Costituzione, tanto che il conflitto tra essi integra una tensione tra valori costituzionali[1].

Sebbene ambedue qualificabili come diritti fondamentali, giova precisare che il diritto all’oblio si iscrive nell’alveo dei diritti della personalità e, in particolare, del diritto di riservatezza, che affonda le sue radici nell’art. 2 della Costituzione; il diritto di cronaca, invece, per giurisprudenza pacifica, è considerato un diritto pubblico soggettivo[2] ed affonda le sue radici nell’art. 21 della Costituzione (principio di libertà di manifestazione del pensiero e di libertà di stampa) in quanto volto a soddisfare l’interesse pubblico all’informazione.

Tali diritti trovano inoltre riconoscimento in ambito internazionale.

Il diritto di cronaca è infatti tutelato dall’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948, dall’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) e dall’art. 11 della Carta di Nizza.

Quanto al diritto all’oblio, esso trova oggi espressa menzione all’art. 17 del Regolamento europeo n. 2016/679 in materia di privacy.

2. I limiti individuati dalla giurisprudenza al diritto di cronaca

Il diritto di cronaca, sebbene assistito da specifiche garanzie costituzionali, incontra tradizionalmente dei limiti: tali limiti sono stati fissati già nel lontano 1984 in una storica sentenza della Corte di Cassazione contenente il “decalogo del giornalista[3].

Si possono brevemente illustrare gli approdi giurisprudenziali in materia.

La giurisprudenza ha evidenziato che il diritto di cronaca può dirsi legittimamente esercitato solo laddove rispetti determinate condizioni sintetizzabili nella formula “verità, continenza e pertinenza” dell’informazione resa.

Con riferimento al primo presupposto, la verità dell’informazione, essa va intesa - secondo l’insegnamento della Suprema Corte - come verità oggettiva o putativa: è sufficiente infatti che il fatto appaia “vero” all’esito di una ricerca diligente da parte del giornalista, anche tenendo conto dell’attualità e della tempestività richiesti alla cronaca rispetto alla narrazione storiografica. Nella diffusione storica, infatti, stante l’assenza di attualità, è necessaria una maggiore accuratezza e precisione dell’informazione per cui, mentre la notizia storica deve sempre essere completa, con riferimento alla notizia di cronaca -almeno in una prima fase della diffusione - non vige questo rigore (fatta salva l'esigenza di obbligatorio aggiornamento).

Il secondo presupposto, la pertinenza, impone che la notizia sia di interesse pubblico, ovvero vi sia l’utilità sociale e l’attualità dell’informazione resa. Con riferimento all’attualità della notizia è da rilevare che il termine “cronaca” trae la sua etimologia dalla parola greca “kronos” (tempo) per cui per “cronaca” si intende il racconto di un fatto legato al tempo in cui si verifica.

Infine, con riferimento al terzo ed ultimo presupposto, la continenza, occorre che la notizia sia riportata evitando “accostamenti suggestionanti[4] o forme lesive della dignità personale: in sostanza si pretende la c.d. forma civile dell’esposizione[5].

Qualora dalla cronaca si passi alla critica tali limiti si fanno meno stringenti.

La critica infatti implica l’espressione di un giudizio, di un’opinione e, pertanto, presenta un aspetto valutativo che impone un minore rigore nell’accertamento del requisito della continenza, essendo necessario lasciare spazio all'interpretazione soggettiva dei fatti raccontati e consentire che siano svolte delle censure. In tale ambito non si pone pertanto il problema della veridicità delle proposizioni assertive rilasciate ed è sufficiente che sussistano la rilevanza sociale dell'argomento trattato e la correttezza nell’esposizione, ossia che la critica rimanga misurata evitando un’indebita aggressione alla sfera morale altrui[6].

In conclusione, nell’ambito del diritto di cronaca è centrale la verità dei fatti esposti, mentre nell’ambito del diritto di critica è preminente la rilevanza sociale dell'argomento narrato e la correttezza delle espressioni usate.

3. Rapporto tra diritto all’oblio e diritto di cronaca nella giurisprudenza nazionale

Diritto di cronaca e diritto all’oblio sono diritti “confinanti” nel senso che dove finisce l’uno inizia l’altro: il diritto all'oblio è intimamente collegato al diritto di cronaca posto che quest’ultimo sussiste quando manchi o venga meno uno dei requisiti legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca (verità, pertinenza, continenza)[7].

Occorre evidenziare che il rapporto tra diritto di cronaca e diritto all’oblio si riflette sul modo di intendere la democrazia nella nostra società civile. Essa si fonda sul pluralismo delle informazioni e sulla loro conoscenza critica: ciò tuttavia non può andare a detrimento del singolo individuo nelle diverse espressioni della sua personalità, per cui si impone un bilanciamento tra conoscenza critica ed oblio[8].

In estrema sintesi, dall’analisi della giurisprudenza nazionale emerge che di diritto all’oblio può parlarsi quando sia venuta meno l’attualità della notizia, quando la notizia sia divenuta "falsa" perché non aggiornata, quando l'esposizione dei fatti non sia commisurata all'esigenza informativa o risulti lesiva della dignità dell'interessato o quando la notizia - pur inizialmente diffusa nel rispetto delle condizioni poste al diritto di cronaca - sia stata ripubblicata a distanza di tempo con modalità lesive senza che la stessa sia tornata di interesse pubblico.

Certo è che il diritto di cronaca si attenua con il trascorrere del tempo in quanto viene meno l’utilità sociale ad informare il pubblico e l’attualità dell’informazione.

Occorre a questo punto domandarsi se il diritto di cronaca si affievolisca allo stesso modo per tutti gli individui o se la notorietà del soggetto interessato (rilevanza pubblica soggettiva) o la natura pubblica dell’incarico rivestito (rilevanza pubblica oggettiva) possano incidere su tale diritto e sul conseguente riconoscimento del diritto all’oblio.

Si possono dunque ripercorrere le principali tappe della giurisprudenza nazionale in tema di diritto all’oblio, anche in relazione al rapporto con il confliggente diritto di cronaca.

In ambito nazionale la questione relativa al diritto all’oblio è stata affrontata per la prima volta nella nota sentenza della Corte di Cassazione del 1958 relativa al caso del Questore di Roma coinvolto nella strage delle fosse Ardeatine[9]: in tale circostanza tuttavia il termine “oblio” non era stato ancora elaborato e si fece riferimento, suggestivamente, al “diritto al segreto del disonore”[10]. La pronuncia riconobbe in modo chiaro il diritto di ciascun individuo alla reputazione e, in generale, alla dignità personale[11], diritti che non vengono meno nemmeno in presenza di azioni infamanti, le quali pertanto non devono essere ingiustificatamente ricordate e diffuse né alterate nella loro verità storica[12].

La comparsa ufficiale del diritto all’oblio avviene nel 1998 in una sentenza della Suprema Corte[13] in cui esso viene qualificato come “nuovo profilo del diritto alla riservatezza”[14]. È questa infatti l’originaria accezione del diritto all’oblio: una sfumatura del diritto alla riservatezza. In tale occasione la Corte di Cassazione, oltre a parlare ufficialmente di diritto all’oblio, mette già in evidenza che tale diritto, pur fatto rientrare nel più vasto ambito del diritto alla riservatezza, si differenzia da quest’ultimo in quanto ha ad oggetto la pretesa specifica a che certe notizie non vengano ulteriormente diffuse a distanza di tempo.

Negli anni la giurisprudenza di legittimità è tornata ripetutamente sul rapporto tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza, non sempre tuttavia sotto il profilo del diritto all’oblio: si veda per esempio la sentenza della Corte di Cassazione n. 5658 del 1998 che si soffermava sul riconoscimento del fondamento costituzionale del diritto alla riservatezza nell’art. 2 della Costituzione, rimarcando ancora una volta che esso è recessivo rispetto al diritto di cronaca solo se ricorrano le tre condizioni della utilità sociale, verità dei fatti divulgati e forma civile dell'espressione. In una più recente sentenza del 2008 la Cassazione è tornata sul diritto di riservatezza chiarendo che la sua violazione integra un illecito civile ai sensi dell'art. 2 della Costituzione e che la libertà di stampa prevale su esso solo se la pubblicazione della notizia risulti “giustificata dalla funzione dell'informazione e sia conforme ai canoni della correttezza professionale[15].

Di importante rilievo sistematico è la sentenza n. 5525 del 2012 in cui la Corte di Cassazione si occupa per la prima volta del problema dei rapporti tra notizie già legittimamente pubblicate e la loro permanenza nella rete internet, nello specifico negli archivi storici online (nel caso in esame si trattava dell'archivio informatico di un quotidiano nazionale): il problema viene analizzato alla luce del d.lgs. n. 196 del 2003 (c.d. Codice della privacy). La sentenza ribadisce che «l'interesse pubblico sotteso al diritto all'informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (2 Cost.)” ma che al soggetto interessato è attribuito il diritto all'oblio, ossia il diritto “a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”. In questa pronuncia la Corte ammette che un fatto di cronaca possa assumere rilevanza come fatto storico, giustificando il permanere dell'interesse pubblico alla fruizione della notizia e quindi la permanenza dell’informazione in archivi diversi da quelli in cui era originariamente collocata (archivio storico). Tuttavia, il trascorrere del tempo impone che la notizia sia aggiornata in quanto la sua diffusione nei termini originari potrebbe fare sì che essa risulti «sostanzialmente non vera»[16]. La Corte, occupandosi della memorizzazione dei dati personali nella rete internet, riconosce al soggetto cui appartengono tali dati il diritto all'oblio inteso come “controllo a tutela della propria immagine sociale” e specifica che tale diritto, anche a fronte di una notizia vera oggetto di cronaca, “si può tradurre nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei dati”[17].

In una nota sentenza del 2013 relativa ad un ex terrorista degli “anni di Piombo” la Cassazione ha posto l’accento sulla funzione rieducativa della pena e su come il soggetto interessato dalla ripubblicazione della notizia fosse stato condannato ed avesse espiato la sua pena con difficile reinserimento nel contesto sociale, tale che questi desiderava solo di essere dimenticato e che la sua passata storia personale non gli precludesse la ripresa di una vita normale[18]. In questa sentenza la Corte, pur riconoscendo che le vicende relative ai c.d. anni di piombo “appartengono certamente alla memoria storica del nostro Paese», ha spiegato che «la diffusione di notizie personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto non legittima, di per sé, che le medesime vengano utilizzate molti anni dopo in una situazione del tutto diversa e priva di ogni collegamento col passato”[19]. La Corte in questa pronuncia ha affermato che il diritto all’oblio trova un limite nel diritto di cronaca solo se gli accadimenti successivi riportati in cronaca hanno un collegamento diretto con le vicende passate tale da rinnovarne l’attualità, dovendosi altrimenti qualificare come un pubblico ed improprio collegamento tra due informazioni non direttamente collegate tra loro e quindi risolvendosi in un'illecita lesione del diritto alla riservatezza.

È inoltre significativa l'ordinanza del 20 marzo 2018 n. 6919 relativa al contenzioso tra un noto cantautore italiano e un’altrettanto famosa trasmissione televisiva, in cui la Corte di Cassazione ha dovuto tenere conto, oltre che della giurisprudenza sovranazionale sul tema[20], anche del Regolamento UE in materia di privacy (n. 679/2016) al cui art. 17 si menziona espressamente il diritto all’oblio[21]. Non può infatti trascurarsi il riconoscimento del diritto all’oblio tanto nella giurisprudenza sovranazionale di CEDU e CGUE quanto ora, a seguito del citato Regolamento, anche al livello normativo. In questa pronuncia si osserva che il trascorrere del tempo comporta un mutamento nel rapporto tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio, finendo con il far prevalere il secondo sul primo. Ne consegue che, fatta eccezione per le persone che ricoprono un ruolo pubblico o per notizie che rimangono di interesse pubblico, «la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare la violazione del fondamentale diritto all'oblio»[22].

Nondimeno, occorre segnalare anche il contributo offerto dalla giurisprudenza penale in tema di diritto all’oblio: significativa è la recente sentenza della Suprema Corte relativa ad un processo per diffamazione instaurato a carico di un giornalista e direttore di giornale in seguito alla pubblicazione di un articolo riguardante Vittorio Emanuele di Savoia, in cui la Cassazione ha ritenuto recessivo il diritto all’oblio in virtù della notorietà del soggetto coinvolto. In tale pronuncia la Corte ha infatti decretato la sussistenza della rilevanza pubblica della notizia rievocata – ossia l’uccisione di un uomo avvenuta molti anni fa da parte di Vittorio Emanuele di Savoia - in quanto la rievocazione era avvenuta in occasione di una cerimonia pubblica alla quale aveva partecipato anche quest’ultimo. La Corte ha inoltre sottolineato che sussiste certamente un interesse pubblico alla conoscenza di vicende che riguardano un soggetto che «è figlio dell'ultimo re d'Italia e, secondo il suo dire, erede al trono d'Italia». In questo caso si è pertanto riconosciuta la cedevolezza del diritto all’oblio a fronte del contrapposto diritto della collettività «ad essere informata e aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti»[23].

4. Diritto all’oblio alla luce della pronuncia delle SSUU n. 19681 del 2019

Le SSUU sono state chiamate a precisare i confini tra diritto di cronaca e diritto all’oblio a seguito dell’ordinanza di rimessione n. 28084 del 2018.

La Suprema Corte, dopo aver individuato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, delimita il campo di indagine della sua pronuncia sgomberandolo da equivoci e malintesi.

Per prima cosa la Corte sottolinea che nel tempo il diritto all’oblio ha assunto diverse accezioni, ciascuna connessa ad un diverso diritto della personalità.

Una prima accezione del diritto all’oblio, quella per così dire “classica”, è la situazione di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie già legittimamente diffuse quando sia trascorso un considerevole lasso di tempo e non vi sia un nuovo ed attuale interesse alla ripubblicazione: è il problema della ripubblicazione di notizie originariamente diffuse nel rispetto del diritto di cronaca. Sotto questo primo aspetto, il diritto all’oblio affonda le radici nel diritto alla riservatezza.

Una seconda accezione del diritto all’oblio è quella connessa all'uso di internet e al diritto dell’interessato a vedere contestualizzata e aggiornata la notizia che lo riguarda la cui pubblicazione sia avvenuta, legittimamente, molti anni prima (è il caso della citata sentenza n. 5525 del 2012). In questo secondo caso il diritto all’oblio affonda le radici nel diritto all’identità personale.

Infine, una terza accezione del diritto all’oblio e quella legata al diritto dell’interessato a vedere cancellati dagli archivi online determinati dati idonei ad arrecargli un pregiudizio (c.d. de-indicizzazione) laddove la permanenza degli stessi non sia giustificata dall’attualità dell’interesse pubblico all’informazione. In quest’ultimo caso il diritto all’oblio viene in rilievo come diritto alla protezione dei dati personali.

Le Sezioni Unite individuano la vicenda sottoposta al loro esame come un classico caso legato al diritto all’oblio nella sua prima accezione, relativa al diritto alla riservatezza, rimanendo escluso ogni collegamento con i problemi posti dall'uso di internet e dalla moderna tecnologia.

Si rileva inoltre che non viene in gioco la legittimità originaria della pubblicazione - e quindi il legittimo esercizio del diritto di cronaca - bensì la legittimità della ri-pubblicazione a distanza di tempo di notizie già diffuse. Pertanto, nonostante l’ordinanza di rimessione avesse posto il problema dei rapporti tra diritto di cronaca e diritto all'oblio, a parere della Suprema Corte risulta necessario spostare il campo di indagine dal diritto di cronaca al diritto alla rievocazione storica (o “storiografia”): le Sezioni Unite precisano infatti che quando un giornalista pubblica a distanza di tempo una notizia già legittimamente pubblicata in passato egli non sta esercitando il diritto di cronaca ma il diverso diritto alla rievocazione storica di quei fatti. Di diritto di cronaca può parlarsi solo laddove intervengano elementi nuovi tali da rendere la notizia ancora di attualità; diversamente, in assenza di questi elementi di novità, la ripubblicazione di una notizia del passato costituisce esplicazione della diversa attività storiografica, la quale non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca.

Con riferimento alla rievocazione storica la Corte specifica che, a meno che non si tratti di personaggi che hanno rivestito o rivestono un ruolo pubblico o fatti che implichino il richiamo necessario ai nomi dei protagonisti, essa deve svolgersi in forma anonima - senza la menzione del nome e cognome dei protagonisti - in quanto non vi è alcuna necessità di fornire una precisa identificazione dei soggetti coinvolti.

In pratica, nell’ambito della rievocazione storica, di regola, il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente rispetto all’interesse della collettività. Infatti, come chiarito dalle SSUU, “il diritto ad informare - che sussiste anche rispetto a fatti molto lontani- non equivale in automatico al diritto alla nuova e ripetuta diffusione dei dati personali”. Ne consegue che la precisa identificazione del protagonista di un fatto riveste un sicuro interesse pubblico nel momento in cui il fatto avviene ma può divenire irrilevante una volta che i fatti siano “sbiaditi nella memoria collettiva”.

Infine, le SSUU precisano che la scelta di una testata giornalistica di procedere alla rievocazione storica di determinati fatti non può essere messa in discussione dall’autorità giudiziaria in quanto rappresenta una delle forme in cui si manifesta la libertà di stampa tutelata dalla Costituzione. Se tuttavia tale scelta è insindacabile (in quanto corrispondente ad una libera linea editoriale), all’autorità giudiziaria spetta invece di stabilire se sussista o meno un interesse a che la notizia venga ri-pubblicata con i riferimenti precisi alla persona che fu protagonista di quella vicenda.

Secondo le SSUU questo è il filo rosso che tiene unita tutta la giurisprudenza nazionale e internazionale in materia di diritto all’oblio: l’affermazione - frequente in giurisprudenza - secondo cui il trascorrere del tempo modifica l'esito del bilanciamento tra i contrapposti diritti di cronaca e di oblio sta a significare che il protagonista di un fatto di cronaca, che nessun diritto alla riservatezza potrebbe opporre nel momento in cui il fatto si verifica, può con il tempo riappropriarsi della propria storia personale e opporsi alla diffusione dei suoi dati personali. Sovente accade che la notizia sulla quale il soggetto desidera mantenere il riserbo riguardi vicende giudiziarie passate che lo vedevano coinvolto.

Nello specifico, il caso esaminato dalle SSUU aveva ad oggetto la rievocazione da parte di un quotidiano di un omicidio avvenuto molti anni prima (ventisette) all’interno di una rubrica intitolata “La storia della domenica” dedicata ad alcuni fatti di cronaca nera: la ripubblicazione dell’articolo originario identificava il soggetto coinvolto e lo rendeva pienamente riconoscibile.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è che in tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione di diritto all'oblio) e il diritto alla rievocazione storica, il giudice di merito ha il compito di valutare l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che furono protagoniste dei fatti e delle vicende riportate. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento della ri-pubblicazione l'interesse della collettività (per motivi di notorietà o per il ruolo pubblico rivestito); in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.

5. Il diritto all’oblio nella giurisprudenza sovranazionale

Il diritto all’oblio è stato riconosciuto ed affermato negli ultimi anni anche dalla giurisprudenza sovranazionale.

La prima certificazione ufficiale del diritto all’oblio in ambito comunitario è avvenuta con la decisione della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014 nel caso Google Spain, in cui il diritto all’oblio viene in rilievo con riferimento alla circolazione e conservazione del dato personale negli archivi online[24] (quella che sarebbe la terza accezione del diritto all’oblio secondo la nomenclatura delle SSUU).

La CGUE in questa pronuncia riconosce il diritto dell’interessato ad ottenere la rimozione da parte del gestore del motore di ricerca (Google) di determinati dati personali dall’elenco dei risultati reperibili su internet (c.d. de-indicizzazione) qualora questi possano arrecare pregiudizio al soggetto coinvolto e sia trascorso un lasso di tempo dalla originaria pubblicazione tale da non giustificarne più la permanenza negli archivi online (ciò anche se la pagina Internet contenente l'informazione non sia rimossa dal sito "sorgente", per cui il contenuto continuerà ad essere consultabile in rete ma non sarà presente nell’elenco del motore di ricerca in quanto “de-indicizzato”).

Con questa decisione del 2014 la Corte di Giustizia riconosce il diritto all'oblio (right to be forgotten) alla luce dell’allora direttiva 95/46/CE in materia di trattamento dei dati personali, ora abrogata e sostituita dal nuovo Regolamento UE 679/2016. La Corte sottolineò che il trattamento dei dati personali risultava incompatibile con la citata direttiva non solo in caso di dati inesatti ma anche in caso di dati inadeguati, non pertinenti, eccessivi rispetto alle finalità del trattamento, non aggiornati o conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario (salvo che la loro conservazione fosse imposta da motivi storici, statistici o scientifici). A tal fine, dice la Corte, vengono in rilievo i diritti fondamentali riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza i quali prevalgono, in linea di principio, sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca e su quello della collettività ad accedere all’informazione con la precisazione, tuttavia, che l’ingerenza nei diritti fondamentali può in alcuni casi – ad es. per il ruolo ricoperto dalla persona nella vita pubblica - essere giustificata dal preponderante interesse pubblico ad avere accesso all’informazione.

Risolvendo il caso specifico - nel quale l'attore aveva chiesto la cancellazione dall’elenco dei risultati online dei link che collegavano la sua persona ad un pignoramento effettuato molti anni prima per la riscossione coattiva di crediti previdenziali - la Corte affermò la sussistenza del diritto alla soppressione dei dati personali in parola anche in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso (sedici anni dalla pubblicazione originaria del dato).

Alla luce di questa decisione possono trarsi delle conclusioni di portata generale.

Il gestore del servizio di motore di ricerca (Google) è ritenuto titolare del trattamento dei dati e ha l'obbligo di evitare che certe pagine web compaiano negli indici delle ricerche se i contenuti sono ritenuti non più giustificati da finalità attuali di cronaca e possono essere pregiudizievoli per l’interessato. Tuttavia, questo intervento rimane subordinato a una preventiva disposizione di una autorità giudiziaria o amministrativa di controllo (in Italia il Garante per la protezione dei dati personali). Ne consegue che la richiesta dell’interessato in sé non fa sorgere in capo al provider un obbligo di attivazione in quanto occorre il vaglio di una autorità – amministrativa o giudiziaria – che effettui un equo bilanciamento tra l'interesse pubblico e quello privato.
La sentenza è innovativa per alcuni aspetti -come il riconoscimento formale del diritto all’oblio e l’individuazione del gestore del motore di ricerca quale titolare del trattamento dei dati personali- mentre non modifica gli obblighi in capo al provider, il quale dovrà semplicemente dare esecuzione all'ordine di rimozione disposto dall’autorità competente. Il regime di esenzione da responsabilità del provider previsto dalla direttiva sul commercio elettronico e dal relativo decreto di recepimento (D. Lgs. 70/2003) non muta e ciò risulta in linea con la giurisprudenza nazionale, la quale ha sempre evidenziato che l’onere di attivarsi del provider deve fare seguito alla richiesta dell’autorità competente (Cassazione penale 2014 nel caso "Google – Vividown"[25]).

I principi elaborati dalla Corte di Giustizia nella nota decisione “Google Spain” sono stati fatti propri anche dai nostri Tribunali nazionali: si veda la sentenza del Tribunale di Roma n. 23771 del 2015 che ne rappresenta la prima applicazione[26].

La decisione Google Spain ha inoltre anticipato l’espresso riconoscimento del diritto all’oblio in un testo normativo, l’art. 17 del nuovo Regolamento UE in materia di privacy (679/2016) che nella sua rubrica menziona appunto il diritto alla cancellazione del dato personale ossia il diritto all’oblio.

Con la recentissima pronuncia del 24 settembre 2019 la Corte di Giustizia dell’UE ha invece fatto un passo indietro, stabilendo che Google non deve garantire il diritto all’oblio su scala mondiale ma solo all’interno dell’Unione europea[27].

La Corte di Giustizia era chiamata a risolvere il conflitto incorso tra il Garante della privacy francese e il colosso americano Google. Nel 2016 la Commission nationale de l'informatique et des liberté, l’equivalente del nostro Garante alla privacy, aveva infatti comminato a Google una sanzione pecuniaria per aver rifiutato di rimuovere dai risultati di ricerca internet a livello globale alcune informazioni sensibili, limitando la loro cancellazione alla sola versione europea. Secondo l’Authority francese questo comportamento integrava una lesione del diritto all’oblio (right to be forgotten) -ora espressamente sancito all’art. 17 del Regolamento UE in materia di privacy- e aveva pertanto trascinato Google in tribunale chiedendo la deindicizzazione globale dei contenuti soggetti al diritto all’oblio. La giustizia francese ha deciso di rimettere la questione alla Corte di Giustizia, la quale ha confermato la linea assunta già in molti Stati membri – quali Spagna, Danimarca e Grecia – i quali in diverse pronunce avevano già rigettato l’idea del c.d. "global removal" alla luce del principio per cui una norma può valere solo nel territorio in cui viene adottata, negando l'extraterritorialità del diritto in tema di informazione.

In virtù di questa decisione, il motore di ricerca non sarà tenuto, fuori dall’UE, a rimuovere i link a contenuti che gli utenti vorrebbero fossero “dimenticati”: i contenuti considerati «dimenticabili» in Europa in forza del diritto all’oblio potranno quindi essere visibili nei risultati di ricerca Google fuori dall’Unione Europea.

In sintesi, con questa sentenza la Corte di Giustizia disconosce l’universalità del diritto all’oblio per cui si può dire che i dati sensibili pregiudizievoli siano “dimenticabili ma solo in Europa”.

Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto recentemente occasione di pronunciarsi in tema di diritto all’oblio nella nota sentenza del 19 ottobre 2017 relativa ad un uomo d'affari ucraino residente in Germania e alla pubblicazione su un quotidiano di larga diffusione, il New York Times, di un articolo riguardante il suo coinvolgimento in vicende di corruzione finalizzate ad ottenere licenze televisive in Ucraina[28].

L'interessato aveva chiesto ai giudici tedeschi che il contenuto dell'articolo online fosse rimosso e questi avevano respinto la richiesta motivando la decisione in virtù dell'influenza del soggetto all'interno della società tedesca (si trattava di un amministratore di società televisive) e dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto: pur riconoscendo la lesione del diritto alla riservatezza e personalità del ricorrente, il tribunale sottolineava come nell’ordinamento tedesco anche la libertà di stampa godesse di copertura costituzionale per cui, nel bilanciamento tra i due interessi, si dava prevalenza al diritto della collettività ad essere informata.

La Corte di Strasburgo viene adita dall'interessato per la presunta violazione dell'art. 8 della CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare: il ricorrente, a sostengo del proprio ricorso, cita anche la sentenza resa dalla CGUE nel caso Google Spain del 2014 e la consacrazione del diritto all’oblio in essa contenuta. La CEDU tuttavia rigetta il ricorso sostenendo che i giudici tedeschi abbiano correttamente bilanciato gli interessi delle parti in conformità ai parametri enunciati dalla stessa Corte in tema di diritto alla riservatezza (art. 8 della Convenzione) e libertà di espressione (art. 10 della Convenzione). Essa dichiara di concordare con il ragionamento svolto dalle autorità tedesche in quanto l'articolo contestato aveva contribuito ad un dibattito di interesse generale, per cui sussisteva un interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione con tanto di menzione del nome e cognome del soggetto coinvolto: per tali ragioni viene considerato prevalente il diritto della generalità dei consociati alla conoscenza dei fatti rispetto a quello del privato all'oblio sui medesimi.

Con questa pronuncia la CEDU ha ristretto l’ambito del diritto all’oblio, negandolo con riferimento a un sospetto di corruzione mai scaturito in una condanna né in un vero e proprio processo, con il rischio di ledere il principio di presunzione d’innocenza. Tuttavia, l’approccio casistico che caratterizza le decisioni della Corte Edu e le peculiarità del caso concreto impongono di contestualizzare il principio enunciato e non trarne conseguenze troppo generali. 

Volendo operare una sintesi dei criteri indicati dalle Corti europee, occorre rilevare che il bilanciamento tra l'interesse del singolo ad essere dimenticato e quello della collettività a mantenere viva la memoria relativamente a notizie legittimamente divulgate richiede un giudizio molto complesso ai fini del quale rivestono un ruolo decisivo la notorietà del soggetto interessato, il suo coinvolgimento nella vita pubblica, il contributo ad un dibattito di interesse generale, l'oggetto della notizia, la forma della pubblicazione ed il tempo trascorso dal momento in cui i fatti si sono verificati.

6. Osservazioni conclusive

Alla luce di quanto esposto sembra emergere la natura composita, secondo alcuni multiforme, del diritto all’oblio che, nelle sue diverse accezioni, non si esaurisce nel solo diritto alla riservatezza ma mette in gioco anche altri diritti della personalità, primo fra tutti quello alla dignità e identità personale e quello alla protezione dei dati personali.

Il diritto all’oblio nella sua accezione più classica è stato oggetto della citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2019 che, come detto, hanno confermato un indirizzo già assunto in passato, sebbene operando le puntualizzazioni pocanzi esaminate.

Quanto al diritto all’oblio inteso come diritto alla identità e dignità personale emerge, dalle SSUU, che la lesione della dignità personale può avvenire anche ad opera della rievocazione e divulgazione a distanza di tempo di dati veri e non riservati, originariamente diffusi in modo legittimo (esposizione alla c.d. “gogna mediatica”). Quando si tratta, come spesso accade, di notizie relative a vicende giudiziarie la giurisprudenza appare attenta a tenere in considerazione anche l’eventuale percorso di reinserimento del condannato, che gioca un ruolo fondamentale nel bilanciamento tra l’interesse pubblico all’informazione e quello privato a che i fatti vengano dimenticati. Il diritto all’oblio può notevolmente attenuarsi con riferimento a fatti penalmente rilevanti riguardanti soggetti noti: la diffusione nel tempo di notizie relative a condanne penali può infatti rafforzare la funzione general-preventiva della pena, la quale tuttavia deve sempre essere conciliata con la primaria funzione rieducativa della pena per cui il soggetto, espiata la sua condanna, non può continuare a subirne gli effetti punitivi attraverso la ripubblicazione della notizia. Ne consegue che il giudicato penale di condanna attenua il diritto all’oblio ma non lo fa venire radicalmente meno.

Si segnala inoltre che il tempo incide in vario modo sul diritto di cronaca: non solo fa venire meno l’attualità della notizia e il suo conseguente interesse pubblico ma impone anche l’aggiornamento della stessa e una sua più accurata ricostruzione (si veda il caso di un procedimento penale che si concluda con l’assoluzione dell’imputato), dovendosi ritenere “falsa” anche una notizia non aggiornata[29].

Si dice pertanto che il diritto all’oblio abbia due diverse componenti: una componente negativa - che si traduce nell’obbligo di cancellazione della notizia e nel diritto dell’interessato ad “essere dimenticato” - e una componente attiva - che si traduce nell’obbligo di aggiornamento e contestualizzazione della notizia.

Il diritto all’oblio inteso come “diritto alla protezione dei dati personali” è il tema di più stretta attualità e risulta in piena evoluzione, come confermato dalla recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE del 24 settembre 2019. Con questa pronuncia, infatti, viene disconosciuta la natura universale del diritto all’oblio, che pertanto appare confinato a una dimensione europea. Gli esiti applicativi di questa pronuncia sono tanto più gravi se si riflette sulla circostanza che la rete internet, come messo in luce dalla giurisprudenza nazionale, è dotata “di una memoria illimitata e senza tempo, emblematico essendo al riguardo il comune riferimento al "mare di internet", all'"oceano di memoria" in cui gli internauti navigano”, per cui “la memoria della rete internet non è un archivio, ma un deposito di archivi”[30].

Occorre tuttavia distinguere la rimozione della notizia dall’archivio di un giornale – che rischia di ledere il principio della libertà di stampa - dal caso in cui si pretenda che la notizia sia de-indicizzata e non più rintracciabile negli elenchi online dei motori di ricerca (informazione telematica), diritto che sembra ormai pacificamente riconosciuto, almeno al livello europeo, dalla giurisprudenza comunitaria.

Quanto al recente Regolamento europeo n. 2016/679 in materia di privacy (General Data Protection Regulation o GDPR) esso sostituisce la precedente direttiva 95/46 ed ha il merito di rendere uniforme la disciplina in materia di protezione dei dati personali all'interno dell'Unione europea: l’art. 1 par. 2 del Regolamento esplicitamente proclama il diritto alla protezione dei dati personali come diritto fondamentale delle persone fisiche.

Di significativa importanza, come già segnalato, è l’art. 17 del Regolamento la cui rubrica si intitola “diritto alla cancellazione” (da sottintendere “dei dati personali”) ovvero diritto all’oblio. Ai sensi del suddetto articolo, da leggere insieme con i Considerando nn. 65 e 66, l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati che lo riguardano senza ingiustificato ritardo laddove essi non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o trattati ovvero quando l’interessato abbia ritirato il proprio consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali o quando il trattamento dei suoi dati personali non sia conforme al Regolamento.

Tale diritto all’oblio non è tuttavia garantito in termini assoluti e deve essere bilanciato con i contrapposti interessi, primo fra tutti il diritto della collettività ad essere informata (diritto di cronaca): la norma prevede infatti che il diritto alla cancellazione dei dati personali non trovi applicazione se ciò contrasti con l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione o quando la conservazione dei dati sia necessaria ad adempiere obblighi legali previsti dal diritto comunitario e nazionale, o se sussistano motivi di interesse pubblico nel settore della sanità, della ricerca scientifica e storica o a fini statistici; infine, quando i dati siano necessari per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un dritto in sede giudiziaria.

Ne consegue che, anche quando si tratta di diritto all’oblio nella sua più moderna accezione - quella relativa alla protezione e circolazione dei dati personali - sussiste l’esigenza bilanciare i contrapposti interessi che vengono in gioco, come infatti avviene nell’art. 17 del Regolamento europeo 679/2019.

Per completezza espositiva si segnala che il citato Regolamento si fa carico di tutelare il titolare dei dati personali anche sotto il profilo della veridicità dei dati trattati, prevedendo all’art. 16 il diritto di rettifica in virtù del quale l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano e anche l'integrazione dei dati personali incompleti.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Roberto Bin e Giovanni Pitruzzella, "Diritto costituzionale", Giappichelli 2019.

[2] Da ultimo, SSUU n. 19681 del 2019.

[3] Corte di Cassazione, sentenza n. 5259 del 1984. In questa pronuncia la Suprema Corte elabora le tre celebri condizioni in presenza delle quali si ritengono penalmente scriminate le informazioni potenzialmente diffamatorie. Tali condizioni negli anni si sono imposte come limiti all’esercizio del diritto di cronaca: si tratta dell’utilità sociale dell’informazione (rilevanza sociale), verità dei fatti e forma civile dell’esposizione.

[4] Corte di Cassazione, sentenza n. 5259 del 1984 come ripresa dall’Ordinanza di remissione alle SSUU n. 28084 del 2018.

[5] Corte di Cassazione, sentenza n. 5259 del 1984.

[6] Si vedano, tra le tante, le sentenze della Corte di Cassazione n. 8963 del 1990, n. 23366 del 2004 e n. 2271 del 2005.

[7] Le coordinate del delicato bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto all'oblio sono state recentemente riprese dall’Ordinanza n. 6919 del 20/03/2018.

[8] Sul punto si veda l’Ordinanza n. 28084 del 2018.

[9] La vicenda riguarda il questore di Roma Pietro Caruso a cui un cinegiornale imputò di aver compilato la lista completa delle persone che furono fucilate alle Fosse Ardeatine, mentre questi ne aveva invece indicate solo cinquanta su oltre trecento. L’allora questione di Roma era stato inoltre incolpato di aver comandato il plotone di esecuzione che fucilò Galeazzo Ciano ed alcuni ex gerarchi nazisti mentre egli in quella circostanza era stato incaricato di mantenere l’ordine pubblico.

[10] Corte di Cassazione, sentenza n. 1563 del 1958 in cui la Corte si riferisce al “diritto al segreto del disonore” quale “diritto a preservare la propria dignità, anche se fittizia, contro gli attacchi della verità”.

[11] Sul punto “Il diritto alla reputazione nel quadro dei diritti della personalità” di Annarita Ricci, Giappichelli, 2014

[12] Si legge nella sentenza della Cassazione n. 1563 del 1958 […] in una società ordinata non può certamente ammettersi un completo annientamento del diritto della personalità, e deve invece riconoscersi che, anche l’uomo più immorale […] abbia il diritto a pretendere che altri non alteri l’entità dei reati da lui commessi e non accresca il grave fardello delle sue colpe con l’aggiunta dei fatti non veri”.

[13] Corte di Cassazione, sentenza n. 3679 del 1998.

[14] Si legge nella sentenza della Cassazione n. 3679/1998: “viene in considerazione un nuovo profilo del diritto di riservatezza – recentemente definito anche come diritto all’oblio – inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.

[15] Corte di Cassazione, sentenza n. 10690 del 2008

[16] Si legge nella sentenza della Cassazione n. 5525 del 2012: “…emerge allora la necessità, a salvaguardia dell'attuale identità sociale del soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e l'aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l'evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria, che costituisce anzi emblematico e paradigmatico esempio al riguardo”.

[17] Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5525 del 2012 si legge “Il sistema introdotto con il D.lgs. n. 196 del 2003 […] è caratterizzato dalla necessaria rispondenza del trattamento dei dati personali a criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza allo scopo che trova riscontro nella compartecipazione dell'interessato nell'utilizzazione dei propri dati personali, a quest'ultimo spettando il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché' di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché' pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l'aggiornamento, l'integrazione (D.lgs. n. 196 del 2003, art. 7), a tutela della proiezione dinamica dei propri dati personali e del rispetto della propria attuale identità personale”.

[18] Corte di Cassazione, sentenza n. 16111 del 2013. Il caso affrontato dalla Suprema Corte prendeva le mosse dall’avvenuto ritrovamento di un arsenale di armi appartenenti alle Brigate rosse nella zona di residenza di un ex terrorista. Il diritto all’oblio era stato invocato da quest’ultimo in relazione alla sua antica militanza in bande terroristiche: tali fatti erano stati rievocati dalla stampa a fronte del ritrovamento, a distanza di anni, dell’anzidetto arsenale. La Corte, per stabilire quale diritto dovesse prevalere (se quello collettivo all’informazione o quello del singolo ad essere dimenticato), guardò alla sussistenza di un diretto collegamento tra quanto accaduto e le passate vicende, finendo per riscontrare l’assenza di ogni legame oggettivo tra le due notizie. Infatti, la circostanza che l’arsenale fosse stato ritrovato nella zona di residenza dell’ex-terrorista non venne considerato sufficiente a legare oggettivamente i due casi giudiziari, tanto da far ritenere prevalente il diritto alla riservatezza dell’ex terrorista sul diritto di cronaca.

[19] Corte di Cassazione, sentenza n. 16111 del 2013.

[20] Nella pronuncia della Corte assume infatti primaria rilevanza il richiamo alla giurisprudenza sovranazionale e l’interpretazione degli articoli 8 Cedu e 7 e 8 della Carta di Nizza per tracciare le “linee direttrici” nel complesso esercizio di bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza.

[21] La pronuncia è stata resa a fronte del fatto che un noto cantautore italiano aveva convenuto in giudizio la R.A.I. – Radiotelevisione Italiana s.p.a. – poiché in un programma dell’aprile del 2005 l’azienda radiotelevisiva aveva trasmesso un tentativo di intervista del cantautore, già mandato in onda nel dicembre del 2000, nel quale il protagonista non nascondeva il proprio disappunto e rifiutava in modo secco e perentorio quanto richiestogli.

[22] Ordinanza della Corte di Cassazione del 20 marzo 2018 n. 6919.

[23] Corte di Cassazione, sentenza n. 38747 del 2017.

[24] Corte di Giustizia UE, Causa C-131/12, Google Spain (2/2014). La vicenda riguardava un cittadino spagnolo che nel 1998 era stato interessato da una procedura di riscossione coattiva di crediti previdenziali ed il cui nome era stato pubblicato dal quotidiano spagnolo «La Vanguardia» tra gli avvisi relativi ad un’asta immobiliare. A distanza di molto tempo (16 anni), digitando il nome del ricorrente su Google, il sig. Costeja González, si veniva rimandati alle pagine web del quotidiano in cui comparivano ancora i vecchi annunci. L’interessato decideva quindi di rivolgersi all’Agencia Espano͂la de Proteccion de Datos, l’equivalente spagnolo del nostro Garante della Privacy, per ottenere la cancellazione e la deindicizzazione delle pagine web che lo riguardavano; si rivolgeva quindi anche a Google Spain e Google Inc. per ottenere l’eliminazione dei suoi dati personali. Il Garante spagnolo respingeva la richiesta relativamente al quotidiano ma accoglieva l’istanza nei confronti di Google sostenendo che, salvi casi particolari, gli interessati possono scegliere che alcune loro informazioni personali, se pregiudizievoli, siano sottratte a una simile conoscenza da parte dei terzi. A seguito dell’impugnazione proposta da Google Inc. e Google Spain avverso tale decisione, l’Audiencia Nacional sospendeva il procedimento e rimetteva la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che si esprimeva con la menzionata pronuncia “Google Spain” del 2014.

[25] Corte di Cassazione, sentenza n. 5107 del 17 dicembre 2013 (dep. 3 febbraio 2014). Il caso, molto noto, traeva origine dalla pubblicazione di un filmato su Google Video raffigurante un ragazzo disabile umiliato da alcuni compagni all'interno di un edificio scolastico; nel video emergevano inoltre frasi ingiuriose nei confronti dell'associazione Vivi Down. I tre manager di Google venivano imputati per non aver impedito il delitto di diffamazione nei confronti del minore e dell'associazione (artt. 40 cpv. e 595 c.p.) nonché per aver trattato illecitamente dati personali attinenti alla salute del ragazzo ripreso (art. 167 D.lgs. 196/2003, c.d. codice della privacy). I tre manager venivano totalmente assolti in sede appello. La Cassazione con questa pronuncia sottolinea l'assenza di una posizione di garanzia in capo agli internet provider e, operando un coordinamento tra la disciplina sul commercio elettronico del d.lgs. 70/2003 e quella sulla privacy del d.lgs.196/2003, ha specificato i confini della responsabilità dell'host provider. L'insegnamento della Suprema Corte è che non si può attribuire all'host provider un obbligo di impedire i reati commessi dagli utenti, mancando una norma che fondi tale obbligo giuridico; inoltre, solo dal momento della conoscenza “qualificata” dell'illiceità dei contenuti pubblicati dagli utenti può ipotizzarsi una responsabilità del provider per illecito trattamento dei dati realizzata dagli utenti. Se ne deduce che la responsabilità del provider sussiste solo in caso di mancata tempestiva rimozione dei dati a fronte dell’ordine dell’autorità. Con questa pronuncia si scongiura il rischio di attribuire al provider il ruolo di censore della rete in quanto il suo intervento è successivo al vaglio dell'autorità amministrativa o giudiziaria.

[26] Il caso esaminato dal Tribunale di Roma, in cui viene fatta una prima corretta applicazione dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia nel caso Google Spain, riguardava un avvocato che chiedeva a Google di “deindicizzare” da una ricerca concernente il proprio nominativo alcuni risultati che facevano riferimento a vicende giudiziarie in cui era stato coinvolto. Il Tribunale di Roma respingeva la domanda in quanto i dati risultavano recenti e anche di interesse pubblico: facendo applicazione delle coordinate elaborate in ambito sovranazionale, si fa prevalere il diritto di informazione su quello all'oblio in quanto quest’ultimo non può essere utilizzato per “smacchiare” il profilo di un soggetto che svolge ruoli di rilevanza pubblica.

[27] Corte di Giustizia EU, Grande Sezione, sentenza 24 settembre 2019, causa C-507/17.

[28] CEDU, Sez. V, sentenza del 19 ottobre 2017, Fuchsmann c. Germania, ric. n. 71233/2013

[29] Sul punto si veda la più volte citata sentenza della Cassazione n. 5525 del 2012.

[30] Corte di Cassazione, sentenza n. 5525 del 2012.