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Pubbl. Dom, 21 Lug 2019

L´esercizio del diritto di critica su Facebook secondo il più recente orientamento della Suprema Corte

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Marco De Stephanis


La Suprema Corte, con la sentenza n.3148/2019, ritorna ad evidenziare quali siano i requisiti per l´esercizio del diritto di critica con efficacia scriminante: una interessante pronuncia alla luce dell´uso sempre più frequente dei social network come strumento per manifestare il proprio disappunto nei rapporti con gli esercenti.


Le scriminanti, o cause di giustificazione, sono le situazioni, descritte dal legislatore agli artt. 50, 51, 52, 53, 54 c.p., nelle quali la condotta, sebbene integri dal punto di vista oggettivo e soggettivo una fattispecie astratta di reato, difetta del carattere dell'antigiuridicità: il fatto, cioè, sussiste, ma non può considerarsi in contrasto con l'ordinamento giuridico considerato nel suo complesso. Ai fini che ci occupano particolare rilievo assume l'art. 51 rubricato esercizio di un diritto o adempimento di un dovere.

Secondo la migliore dottrina il diritto scriminante affonda le sue radici nella distinzione tra diritto e facoltà: il diritto è una situazione giuridica soggettiva che non attribuisce al titolare  un potere assoluto ma, piuttosto, una serie di poteri funzionali al perseguimento dell'interesse tutelato dall'ordinamento. Viene, così, in rilievo la distinzione tra limiti interni ed esterni del diritto: i primi sono connaturati alla situazione giuridica soggettiva e sono espressione della ratio o della natura della situazione giuridica in rilievo: chi li travalica abusa del diritto e non può invocare a propria difesa la scriminante in analisi. I limiti esterni, invece, discendono dalla relazione del diritto con le altre norme dell'ordinamento poste a tutela di beni giuridici di eguale rango e dei quali il giudice deve valutare, nel caso concreto, la prevalenza o la soccombenza.

Ciò posto, la giurisprudenza ha costantemente ritenuto il diritto di critica un diritto fondamentale dell'individuo, propagazione della libertà di manifestazione del pensiero tutelata, sia a livello nazionale che comunitario, dagli artt. 21 Cost.,10 CEDU e 11 della Carta di Nizza. Il suo esercizio, dunque, può essere legittimamente invocato quale scriminante del reato di diffamazione.

L'attenzione degli interpreti si è dunque soffermata sull'individuazione del punto di equilibrio tra il diritto di critica ed il diritto del destinatario a non vedere lesa la propria reputazione. Tale bene giuridico (tutelato penalmente ora dal solo art. 595 c.p. dopo la depenalizzazione del reato di ingiuria ad opera dalla lett.c) d.lgs. 15 gennaio 2016 n.7) è di rango primario, al pari del diritto alla libera manifestazione del pensiero, e ben può giustificare una compressione di quest'ultimo. Ciò discende dall'interpretazione evolutiva che la giurisprudenza ha fornito dell'art. 3 Cost.: esso,infatti, nello stabilire che tutti gli individui hanno pari dignità sociale, si oppone a tutte quelle manifestazioni del pensiero che si riducono a mere aggressioni morali capaci di inficiare la libera estrinsecazione della personalità.  

Circa l'individuazione e la perimetrazione dei limiti del diritto di critica che, se rispettati, consentono allo stesso di avere efficacia scriminante, la giurisprudenza non ha avuto un orientamento univoco.

Secondo un orientamento risalente, il diritto di critica si riteneva una mera declinazione del diritto di cronaca, mutuandone i ben noti limiti applicativi individuati nella verità, nella pertinenza e nella continenza.

Recentemente, invece, il giudice della nomofilachia ne ha sostenuto la sostanziale differenza rispetto al diritto di cronaca: si è evidenziato, infatti, che il requisito della verità non rileva poiché il diritto di critica si estrinseca nella manifestazione di giudizi che , per loro natura, sono opinabili e soggettivi (ex plurimis Cass.Sez.V, 23 aprile 2002, n.15176; Cass. Sez.V 23 agosto 2006, n.29383; Cass. Sez. V 20 marzo 2007, n.11662; Cass. Sez.V, 13 aprile 2011 n.15060).

Affinchè, dunque, il diritto di critica possa dirsi legittimaente esercitato è necessario che i fatti oggetto di critica - effettivamente accaduti - non siano stati dolosamente travisati o manipolati. L'oggetto della critica, di poi, deve essere di interesse per l'opinione pubblica (pertinenza) ed essere espresso senza l'utilizzo di espressioni gratuitamente ingiuriose e lesive dell'altrui reputazione (continenza).

Nella sentenza n. 3148/2019, la Corte di Cassazione aderisce a quest'ultimo filone interpretativo applicando al fatto in esame le coordinate ermeneutiche innanzi esposte.

Il ricorrente si doleva, in estrema sintesi, della condanna patita in primo ed in secondo grado per il reato di diffamazione perché, secondo il Tribunale e la Corte di Appello, aveva offeso la reputazione del titolare di una gastronomia apostrofandolo come "truffatore" in un commento pubblicato su una pagina Facebook, valorizzando la supposta differenza di peso tra quanto pagato e quanto consegnato.

La Suprema Corte, invece, ritiene la condotta diffamatoria scriminata ai sensi dell'art. 51 c.p. e perviene ad un esito assolutorio non ritenendo valicati i limiti di liceità del diritto di critica.

La verità dei fatti riportati, si legge in parte motiva, "assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione , pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica".

Mentre nel diritto di cronaca, dunque, l'interesse della pubblica opinione è soddisfatto se l'informazione  è perfettamente rispondente a quanto realmente accaduto, il diritto di critica assume come pretesto il fatto storico a cui segue un discorso di contenuto prettamente valutativo espressione del foro interno, dell'intimo sentire dell'esponente. 

La pertinenza, inoltre, viene ritenuta in re ipsa, trattandosi di esrcizio commerciale aperto al pubblico (" sussiste un interesse pubblico derivante dal fatto che si parla di un esercizio commerciale aperto al pubblico").

La parte della pronuncia che, a parere dello scrivente, riveste carattere di particolare interesse , è rappresentata dalla critica che gli Ermellini muovono alla Corte di Appello per aver enfatizzato il termine "truffatore"che , non giustificato alla luce del principio di continenza, gli avrebbe conferito valenza immediatamente diffamatoria .

Secondo la Suprema Corte, invece, ha errato la Corte nella valutazione del termine essendo lo stesso inserito in una critica avente ad oggetto non la moralità o l'etica del privato, ma la sua attività commerciale.

L'ultimo periodo della parte motiva, infatti, statuisce che "Il linguaggio , figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall'agente sono funzionali alla critica perseguita , senza trasmodare nella immotivata aggrssione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (sez.5 n. 42570 del 20/06/2018)". 

Sembra, quindi, che la Corte abbia ritenuto scriminata la condotta  valorizzando la qualità del dichiarante , comune cittadino cui non può richiedersi un controllo dei vocaboli utilizzati analogo a quello richiesto al professionista, e al contesto - ironico e ludico - del gruppo Facebook nel quale tali commenti sono stati pubblicati.

Invero, la stessa Corte, recentemente, ha mostrato un orientamento più rigorista.

Il riferimento è a Corte di Cassazione, Sez. V penale, 8 marzo 2017 n. 11087.

Di particolare interesse, ai nostri fini, è l'analisi che la Corte conduce riguardo al requisito della continenza e che , per comodità di lettura, si riporta: "Sulla base dei principi enunciati, correttamente la Corte territoriale ha evidenziato come la definizione di S. e D.L. come 'Scrocconi e faccendieri” e di W. come: 'Magistrato di assalto', capace di 'soffiare sul fuoco dell’arbitrio e dell’illegalità' e di arrogarsi 'un potere che non gli spetta' abbia costituito l’espressione non di un mero giudizio critico negativo sul loro operato in rapporto alla vicenda “(omissis) ”, ma di una stigmatizzazione di loro qualità personali socialmente riprovate, che ha determinato la lesione della loro reputazione. Pur considerando, quindi, il contesto acceso ed acrimonioso nel quale si sono inserite le espressioni censurate, esse superano senz’altro il limite della continenza del diritto di critica, presentandosi come gratuitamente vulneranti la dignità delle persone che ne sono state destinatarie."

Questa impostazione, dunque, individua il punto di equilibrio tra diritto di critica e diritto all'onorabilità nella non gratuità delle espressioni utilizzate che esorbitano il limite di liceità se, prendendo a pretesto un fatto storico, si risolvono in mero attacco ad hominem, alle sue qualità personali e sociali.

Con maggior sforzo esplicativo, si può affermare che il limite della continenza risulta travalicato, e quindi la critica non può ricadere nell'alveo applicativo dell'art.51 c.p., allorquando il giudizio negativo e aspro sia formulato con l'utilizzo di vocaboli che si risolvono in una offesa - ingiustificata e sostanzialmente inutile - all'onorabilità ed alla reputazione del destinatario tutelata dall'art.595 c.p.

Sembra, in conclusione, che la Suprema Corte, nella sentenza in commento, si sia discostata da tale orientamento.

Non può sfuggire, infatti, che il termine "truffatore", seppure adoperato in un contesto ironico, abbia una carica di disvalore reputazionale immediatamente percepibile. La critica, inoltre, non avrebbe perso di efficacia ed il suo esercizio non sarebbe stato ingiustamente compresso se l'autore si fosse limitato a  manifestare il proprio disappunto circa la prestazione ricevuta senza l'utilizzo della parola "truffatore" che sembra, piuttosto, risolversi in un gratuito attacco alla persona più che del servizio goduto.

In un'epoca storica in cui, a più latitudini, l'apprezzamento dei consociati è ricercato spasmodicamente, perchè fonte di maggiori consensi e  guadagni, del pari la critica , se articolata con toni gratuitamente offensivi e dispregiativi, rischia di essere uno strumento esiziale dell'attività economica e professionale del destinatario.

Per tale ragione, una valutazione più stringente e rigorosa del requisito della continenza, come operata da parte della giurisprudenza di merito,  può condurre ad esiti applicativi più equi , restituendo maggiore tutela all'onorabilità ed alla reputazione dell'individuo.