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Pubbl. Mar, 13 Ago 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Strategie di risoluzione della crisi d´impresa: il piano di risanamento tra legge fallimentare e nuovo CCI

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Alessandra Formicola


L’odierna prospettiva legislativa sulle strategie di risoluzione della crisi d’impresa con analisi delle caratteristiche e dei profili del piano attestato di risanamento, tra disposizioni contenute nella Legge Fallimentare e nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCI).


Sommario: Abstract [ENG]; 1. Introduzione e iter legislativo- 2. Strategie di risoluzione della crisi d’impresa - 3. Caratteristiche del piano di risanamento tra Legge Fallimentare e nuovo CCI.

Abstract: The recession triggered in 2008 damaged worldwide economies, also testing italian companies capacity to stay in a more complex and competitive environment. At the time, in the lack of specific regulation, the overriding way out for a company in crisis state was the bankruptcy. In order to invert this negative trend, started into the European Institutions a regulation process in matter of company economic default. In this context, the italian lawgiver had to level out national dispositions accomplishing  new organic guidelines with the purpose  to safeguard business complex, company goodwill and stakeholders interests.  Embrassing  the “going concern” theory, the necessity was to limit the use of  paid –off solutions for prospecting  the concrete  possibility  to access to handling tailor made solutions. This work analyzes the legal path that has gradually reshaped the main principles established in the subject matter, in which the most important  contribute has been given by the Rordorf Commission  with the emanation in 2019 of  the “company crisis codex” (CCI). This codex, for the first time in italian legislation, provides for different compromise and settlement crisis resolution instruments. This study work debates specifically about the so called “turnaround plan” as in the article 56 of the CCI. This “plan” is a set of private deals with different stakeholders in order to put the company back to a financial stability negotiating the debt asset. The predisposition of a “turnaround plan” implicates to arrange a business plan and to schedule an action plan: the suitability  of the business plan must be approved by a qualified auditor, and the action plan needs to be defined in the best delays. This work deals with the main characteristic of this type of legal agreement, thought as a company crisis resolution tool,  highlighting turnaround plan positive and negative aspects.

1. Introduzione e iter legislativo

La crisi economica innescatasi nel 2008 oltreoceano ha colpito le economie mondiali e messo a dura prova la capacità delle imprese italiane di sopravvivere al contesto competitivo. Sino al recente passato la crisi d’impresa, individuata con lo stato d’insolvenza, aveva come sbocco prevalente il fallimento ovvero “lo strumento giuridico con cui venivano accompagnate al di fuori del ciclo produttivo le aziende inefficienti e non competitive”.[1]

La manifestazione formale di insolvenza segnava l’apertura delle procedure civili, penali e di liquidazione dell’impresa, impedendo di fatto soluzioni alternative al fallimento che potessero riportare la stessa ad una situazione di nuovo equilibrio economico, patrimoniale e finanziario.  Tutti i soggetti coinvolti quali imprenditori, finanziatori, fornitori, dipendenti, clienti, professionisti, autorità, Fisco e stakeholder in generale venivano, dunque, fagocitati in una serie di procedimenti innescati a catena che si concludevano inevitabilmente con il blocco delle produzioni e la perdita sia di posti di lavoro, che delle parti ancora sane e recuperabili dell’impresa.

Inoltre, le curatele tramite revocatorie, godendo di un regime probatorio agevolato, incidevano su atti spesso remoti nel tempo grazie ad una presunzione formalistica relativa al “periodo sospetto”. Tale sistema non agevolava le imprese a manifestare tempestivamente le proprie difficoltà, che venivano dunque palesate tardivamente, ormai in situazioni divenute non recuperabili. Preso atto della situazione de facto creatasi nell’economia reale il legislatore, in una visione più aperta, prospettica e olistica della crisi d’impresa, è passato, sin dalla riforma del 2005, da “una concezione prevalentemente liquidatoria e punitiva a un ordinamento il cui obiettivo è la salvaguardia della parte sana dell’azienda, mirando alla continuazione dell’attività produttiva ed al mantenimento dei livelli occupazionali”.[2]

L’obiettivo primario diviene la salvaguardia del complesso aziendale, dell’avviamento commerciale e produttivo e delle posizioni di lavoratori e stakeholder. Per il raggiungimento di tale obiettivo appare chiaro che, in riferimento alle imprese in stato di crisi (e non di insolvenza), le operazioni debbano svolgersi su due livelli: il primo economico-finanziario, ove il fulcro rimane la condivisione collettiva di un business plan realizzabile nel medio-lungo termine dall’impresa; il secondo organizzativo-aziendale che utilizza “la crisi” come “momento essenziale per rivisitare la gestione di impresa e lenire il peso dei costi aziendali”.[3]

Al fine del raggiungimento di tale obiettivo il legislatore ha avuto la necessità di mettere in campo nuovi strumenti e sinergie per la risoluzione della crisi d’impresa, che fossero da un lato adeguati alle mutate condizioni economiche e aziendali del mercato; dall’altro che rispondessero ad esigenze di flessibilità e gestibilità da parte degli stessi player.

Rispetto all’inquadramento legislativo, si rende necessaria una breve disamina dei più importanti interventi modificativi della disciplina concorsuale che si sono susseguiti a partire dal 2005.

In primis, si segnala il D.L. 35/2005, convertito nella L. n.80/2005, che rinnova la disciplina del concordato preventivo e, soprattutto, introduce due nuove tipologie di ristrutturazione della crisi d’impresa alternative al fallimento quali:

  1. Il piano stragiudiziale di risanamento;
  2. gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

La materia viene ritoccata nel 2007 con il D. Lgs n.169 con il quale si introducono requisiti più specifici ed uniformi in riferimento al professionista autorizzato a redigere le relazioni di attestazione previste nelle tipologie di soluzioni concordate  e/o stragiudiziali della crisi (quali il piano di risanamento) .

Altra importante tappa nel percorso di cambiamento e ammodernamento legislativo appare essere quella del D.L. N.78/2010 art.48 (misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) conv. in L. n.122/2010 il cui quarto comma ha introdotto, dopo l’art 217 L.F., l’art. 217 bis L.F. (esenzione reati di bancarotta) stabilendo che: ”le disposizioni di cui all’art. 216, terzo comma (bancarotta fraudolenta cd. preferenziale ) e 217 (bancarotta semplice ) non si applicano ai pagamenti e alle operazioni esecuzione di un concordato preventivo di cui all’art 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art 182 bis ovvero del piano di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d).

L’intenzione legislativa è oramai finalizzata al contenimento del ricorso a soluzioni liquidatorie in favore, principale e preferenziale di soluzioni gestorie concordate in vista di una “sempre maggiore privatizzazione dell’insolvenza e in aderenza alla teoria del c.d. going concern secondo cui un’impresa operativa genera, a beneficio dei suoi creditori, ricchezza maggiore rispetto a quella ricavabile in un contesto concorsuale liquidatorio”.[4]

Tra le “misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali” contenute nel c.d Decreto Sviluppo, D.L. n.83/2012 conv. in L. n.134/2012, si prevede un intervento multilivello prevedendo:

  1. La designazione dell’attestatore (dotato di stringenti requisiti professionali) da parte direttamente del debitore in crisi;
  2. L’introduzione del concordato preventivo in continuità aziendale;
  3. Adeguamento della disciplina dell’accordo di ristrutturazione alla disciplina del concordato preventivo;
  4. La configurazione di un nuovo art. 236-bis L. Fall. statuente una fattispecie di reato proprio riservata al professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità di un piano.

Attraverso queste disposizioni si valorizza la partecipazione delle imprese alla gestione della crisi tramite: da un lato il potere lasciato loro di individuare la soluzione ritenuta più adatta tra il novero dei nuovi strumenti legislativi, dall’altro limitando la funzione del giudice. A quest’ultimo è riservato il compito di intervenire qualora i tentativi privati di gestione dell’insolvenza si rivelino inadatti al raggiungimento del risultato sperato a tutela degli interessi delle parti in causa. La lunga fase di rinnovamento della disciplina fallimentare, continua con le previsioni, specificatamente riferite della materia concorsuale, contenute del c.d. Decreto del fare (D.L.  n.69/2013); il D.L. n.91/2014 e la L.n.132/2015 (conversione modificativa del D.L. n.83/2015).[5] I suindicati interventi legislativi permettono l’adozione di una serie di misure che si “muovono” su quattro direttrici:

  1. Un crescente rigore nel ricorso allo strumento del concordato preventivo;[6]
  2. Una maggiore competitività delle soluzioni delle crisi d’impresa;
  3. Una maggiore privatizzazione del procedimento di risanamento;
  4. Una maggiore propensione per tailor made solutions.[7]

Il legislatore dunque, nella sua visione politica della crisi dell’impresa, ha inteso, condivisibilmente, tutelare più l’impresa che l’imprenditore, ovvero più l’attività produttiva che il suo artefice, ancorché le figure di impresa e di imprenditore sono così intimamente connesse che, salvo casi eclatanti di mala gestio, la tutela dell’una porta alla tutela dell’altro. Così, nell’ambito delle operazioni di salvataggio, il legislatore ha perseguito anche altri scopi, quali la tutela dell’occupazione, il riassetto delle maestranze, l’entrata di nuovi soci, la salvaguardia di patrimoni e, non ultimo, favorendo la concorrenza nelle vendite concorsuali e incentivandola a parteciparvi, la rianimazione di un mercato spento o peggio aperto ad impropri guadagni.[8]

Nell'avvio di un discorso riformatore ruolo fondamentale è stato giocato anche dalle istituzioni europee. Queste hanno dato voce all’esigenza concreta della fattiva salvaguardia dell'attività d'impresa attraverso la creazione di più efficaci strumenti giuridici idonei a "garantire ad imprese sane in difficoltà finanziaria l'accesso ad un quadro nazionale in materia d'insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare la stessa".

Proprio nel 2015 iniziano i lavori della c.d. Commissione Rordorf, istituita dal Ministro della Giustizia ed insediatasi il 18 febbraio 2015 al fine di operare una riforma organica proprio delle discipline della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

Tali lavori sono confluiti nell’CCI contenuto nel D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) con il quale si è approdati al riordino organico del settore. Tra le maggiori novità introdotte si evidenziano: la maggiore specializzazione dei giudici e tribunali delle imprese, la previsione di procedure extragiudiziali di allerta e composizione assistita della crisi  (artt. 12 - 25) di procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza (artt- 26 - 55) nonché di un intero titolo ad hoc relativamente agli “Strumenti di regolazione della crisi” (Titolo IV artt. 56 - 120) con maggiore spazio all’istituto dei piani attestati di risanamento e a quello degli accordi di ristrutturazione.

Altre novità apportate sono rappresentate dalla previsione della limitazione dell’accesso alla procedura di concordato, la maggiore attenzione alla fase della liquidazione giudiziale (con l’ideazione di  nuovi sistemi di vendita attraverso un mercato telematico unificato a livello nazionale), la previsione della procedura di esdebitazione e, finalmente, l’introduzione del concetto di “crisi dei gruppi d’impresa”.

2. Strategie di risoluzione della crisi d’impresa

La crisi manifesta i propri effetti sui flussi finanziari dell’impresa, determinando l’incapacità di far fronte ai propri impegni, in tutto o in parte.

Per avviare il risanamento, è necessaria una valutazione tempestiva e dettagliata delle cause della crisi che permetta la scelta del più efficace ed efficiente strumento legale per la composizione della stessa. Il binomio «crisi-risanamento» viene, nella letteratura economico-giuridica, in genere affrontato secondo tre principali prospettive:

  1. macro-economica: in cui si presta attenzione alla dinamica di variabili strutturali, quali le materie prime, il costo e la disponibilità dei fattori produttivi, l’evoluzione tecnologica e i fattori ambientali (includendo i regimi politici, la funzionalità dei mercati finanziari), le dotazioni infrastrutturali, nonché la propensione al risparmio o al consumo della popolazione [9] ;
  2. di settore: in cui l’attenzione è rivolta prioritariamente a declinare in ambiti settoriali i fattori precedentemente elencati, in quanto suscettibili di condizionare il grado di attrattività e la dinamica competitiva. Le analisi più evolute abbandonano concezioni «monistiche», per visioni ibride in cui la struttura di un settore mostra vari gradi di frammentazione ed accoglie dinamiche competitive complesse e non omogenee, differenti secondo i principali raggruppamenti competitivi;
  3. aziendale: in cui si fa riferimento a un’accezione eterogenea che include i sistemi di misurazione dei segnali di crisi, l’analisi delle possibili cause, l’impostazione e la realizzazione di una strategia di risanamento, coinvolgendo i responsabili aziendali ed i dipendenti dell’impresa, nonché gli altri stakeholders. Tale approccio ha anche fatto riferimento agli strumenti legislativi e alle prassi utilizzate in situazioni di crisi[10].

Nel nostro ordinamento, a seguito degli interventi legislativi susseguitisi nella materia fallimentare a partire dal 2005, così come descritti nel paragrafo 1 della presente trattazione, i tre principali modelli a cui le imprese possono accedere per avviare un processo di riassetto economico sono (in ordine di minore invasività dello strumento e gravità della crisi d’impresa) :

  1. Il piano di risanamento ex art.67 c.3 lett. d L.fall. confluito nell’art. 56 del  CCI;
  2. L’accordo di ristrutturazione ex art.182-bis L.fall. confluito nell’art. 57 del CCI;
  3. Il concordato preventivo/ in continuità ex art.160 ss L.fall. ad oggi all’art. 84 del CCI.

Ognuno di tali strumenti presenta caratteristiche proprie e la scelta dello stesso è funzionale alle diverse situazioni ed obiettivi che l’azienda vorrà perseguire.

Tanto più complessa e grave è la crisi, tanto più profondo e complesso sarà lo strumento da utilizzare per superarla. Innanzitutto, occorrerebbe definire più tecnicamente la nozione di “crisi aziendale”, seguendo una impostazione in base alla quale l’analisi delle cause di crisi, i modelli di misurazione e previsione, la scelta delle strategie di risanamento a breve e a medio-lungo, non possono essere formalizzati in modo prescrittivo e generalizzato, richiedendo una conoscenza dell’azienda e della sua gestione, della concorrenza e delle fonti (attuali e potenziali) del vantaggio competitivo.[11]

Tale visione accoglie e integra, in accordo con la teoria sistemica, la definizione di crisi proposta in Italia da Guatri in termini di “teoria del valore”[12], fondata da un lato sulla consapevolezza che l’impresa, inevitabilmente, nel corso del suo ciclo di vita dovrà affrontare momenti di crisi (da qui la necessità di sviluppare una dottrina del «risanamento permanente» [13]; dall’altro sulla comprensione che la crisi può essere correlata ad eventi aziendali, ma anche al mutamento dell’ambiente esterno.

Posta l’equazione fondamentale del valore [14] : W ¼ R=i

La crisi  è correlata ad una variazione negativa in termini di valore, evidenziando come declino e crisi possano dipendere non solo da una diminuzione dei flussi (eventi interni), ma anche da un mutare delle condizioni di rischio (eventi esterni).

Solo a seguito di un’attenta analisi di tali fattori/eventi interni ed esterni si potrà comprendere lo stato della crisi e la connessa reale esigenza dell’impresa, che può essere:

1- Ottenere protezione in questo caso si agirà per “proteggere il patrimonio” e l’azienda prendendo tempo per studiare una strategia;

2- Risanare ovvero restare nel mercato e/o salvare azienda/asset/produzione

3- Liquidare uscire dal mercato, dissolvere l’azienda, mettere in liquidità beni/patrimonio.

Affinché, si possa procedere a un risanamento occorre che vi siano determinate condizioni, sia interne che esterne, che permettano la permanenza sul mercato.

I requisiti interni di permanenza sul mercato sono riferibili a:

Capitale gli incrementi realizzabili in condizione di funzionamento (capitale di funzionamento CF) devono essere > rispetto a quelli realizzabili in prospettiva liquidatoria (capitale di liquidazione CL);

Valore realizzabile l’impresa deve essere ancora in grado di produrre “valore” (PRODOTTO)  e collocarlo (MERCATO);

Finanza l’impresa deve essere in grado di reperire “risorse” per realizzare il risanamento (NUOVA FINANZA).

La finalità interna del risanamento è il “ripristino dell’equilibrio d’impresa” vale a dire la presenza concomitante di equilibrio finanziario, economico e patrimoniale definibili come:

Equilibrio economico attiene alla capacità dell’impresa di generare sistematicamente un risultato economico positivo in una prospettiva temporale di medio periodo: un risultato non derivante da circostanze favorevoli o condizionate dalle regole contabili adottate. Si tratta di una condizione che va ricercata mediante idonee scelte strategiche e di posizionamento, con un continuo adattamento ai mutevoli scenari di ambiente e di mercato;[15]

Equilibrio finanziario capacità di mantenere con sufficiente stabilità e continuità l’equilibrio tra entrate ed uscite;[16]

Equilibrio patrimoniale capacità di mantenere con continuità una adeguata eccedenza del valore delle attività rispetto a quello delle passività.

I requisiti esterni di permanenza sul mercato riguardano invece la fiducia e la credibilità di creditori, clienti e stakeholder nel valore del business d’impresa e nella sua gestione futura. Concretamente, il creditore Banca intende massimizzare la probabilità di ritorno in bonis del debitore minimizzando la perdita economica, mentre il cliente dell’imprenditore è interessato alla continuazione delle forniture e al mantenimento della qualità dei prodotti e delle condizioni di vendita.

Infatti, nel caso di procedura indirizzata a continuare l’esercizio dell’impresa il cliente dovrà acquisire il convincimento che la procedura scelta non comporta, almeno nel breve come nel medio periodo, una cessazione delle vendite; mentre il fornitore-creditore, invece, è interessato sia al recupero del credito, sia alla conservazione del flusso di ordini da parte di un cliente solvibile.[17]

Alla luce degli importanti requisiti suindicati, e laddove l’impresa si trovi de facto ad attraversare uno stato momentaneo di crisi, l’imprenditore potrà scegliere una modalità di gestione dello stesso maggiormente autonomo e che non comporti interventi da parte del Tribunale ma, invece, una negoziazione diretta con i propri creditori ovvero un piano di risanamento ai sensi dell’ex art. 67 c.3 lett d) L. fall oggi art. 56 del nuovo CCI.

3. Caratteristiche del piano di risanamento tra Legge Fallimentare e nuovo CCI

Il piano attestato di risanamento è un istituto stragiudiziale volto ad evitare l’apertura di una procedura concorsuale.  Già introdotto nel testo della L.F. con l’emanazione della Legge delega 19 ottobre 2017 n. 155 (pubb. nella Gazz. Uff. 30 ottobre 2017, n. 254), e definito nei suoi principi generali nell’art. 5, lett. e), della Legge n. 155/2017  (in cui si prevedeva che il piano attestato di risanamento dovesse avere forma scritta, data certa, ed un contenuto analitico) tale strumento di composizione stragiudiziale della crisi trova ora la propria regolamentazione specifica all'interno dell'art. 56 del  D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - CCI) (pubb. nella Gazz. Uff. 14 febbraio 2019, n. 38, S.O.) che entrerà compiutamente in vigore decorsi 18 mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, ergo il 15 agosto 2020).

Il testo del suindicato articolo prevede che l'imprenditore in stato di crisi o di insolvenza possa “predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria.”

Secondo quanto previsto dal testo della L.F. (ancora di fatto in vigore), il piano di risanamento può essere predisposto da qualsiasi imprenditore «non piccolo» ai sensi dell’ex art. 1, l. fall., ovvero qualunque operatore economico assoggettabile a fallimento, come tale potenzialmente rientrante nell’applicazione della azione revocatoria fallimentare. Tali soggetti sono tutti gli imprenditori che superino anche uno solo dei tre seguenti parametri oggettivi:

  1. avere un attivo di bilancio superiore a 300.000 euro negli ultimi tre anni;
  2. avere avuto ricavi lordi negli ultimi tre anni superiori a 200.000 euro medi;
  3. avere debiti complessivi non scaduti superiori a 300.000 euro.[18]

 Due sono le caratteristiche fondamentali per l’imprenditore che decide di risanare l’impresa con un piano attestato:

  1. L’impresa deve trovarsi in una situazione di difficoltà non irreversibile (ma piuttosto una situazione di squilibrio aziendale recuperabile, contingente e temporanea, risolvibile mediante l’accordo con i creditori);
  2. Il piano deve avere come scopo il risanamento dell’impresa e non deve essere utilizzato con finalità meramente liquidatorie, ergo l’obiettivo del piano è “il risanamento dell’esposizione debitoria e il riequilibrio della situazione finanziaria” che consenta la conservazione della continuità aziendale.[19]

In questo senso, il nuovo disposto codicistico all’art. 56 CCI prevede specificatamente al comma 2. che il piano deve avere data certa e deve indicare:

a) la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell'impresa;

b) le principali cause della crisi;

c) le strategie d'intervento e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;

d) i creditori e l'ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative;

d) gli apporti di finanza nuova;

e) i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto.

Importante previsione correlata all’utilizzo dello strumento di composizione stragiudiziale della crisi d’impresa del piano di risanamento, in linea di continuità rispetto a quanto disposto dall'art. 67 L.F., è contenuta nel nuovo art. 166 CCI, il quale dispone che non sono soggetti all'azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento.

L’esenzione all'azione revocatoria non trova però applicazione in caso di dolo o colpa grave del professionista attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. L'art. 166 del D.lgs. n. 14/2019 precisa infine che l'esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria.

Si tratta di benefici finalizzati a incentivare il ricorso agli strumenti stragiudiziali di regolazione della crisi che garantiscono, peraltro la stabilità degli atti compiuti in presenza di una situazione di insolvenza o di rischio di insolvenza, laddove l'esito della procedura può presumibilmente concludersi in modo positivo.

Da quanto emerge dal testo della L.Fall., nonché dal nuovo CCI, prassi, giurisprudenza e rimandi ad altre fonti legislative, si concorda nel ritenere che i caratteri generali del piano attestato di risanamento siano:

  1. La natura privata dell’accordo: il piano di risanamento è di fatto basato su accordi con i creditori al fine di operare una ristrutturazione del debito. Non è previsto alcun intervento o vaglio del Tribunale. Ciò consente la riservatezza degli accordi sottoscritti, evitando una pubblicità negativa nei confronti di stakeholder e clienti con cui l’azienda continuerà ad avere rapporti regolari. La pubblicazione dell’accordo nel Registro delle imprese non è obbligatoria, ma facoltativa e finalizzata all’ottenimento di benefici fiscali;
  2. La necessaria attestazione della veridicità dei dati e la fattibilità del piano da parte di un attestatore esperto indipendente nominato dal debitore (espressamente riportata anche nel testo del nuovo CCI all’art. 56 c.3 e c.4);
  3. L’esenzione, in caso di successivo fallimento, da revocatoria degli atti compiuti in sua esecuzione, sia dai reati di bancarotta sia semplice che preferenziale, a condizione che: i) il piano sia stato valutato idoneo a consentire il risanamento dall’esposizione debitoria /il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa, ii) la veridicità dei dati e la fattibilità del piano siano state attestate da un professionista avente i requisiti richiesti dalla norma;
  4. Nessuna previsione di “automatic stay”[20].

Appare, dunque, necessario soffermarsi su alcuni aspetti tra loro fortemente correlati: la scelta dei professionisti, l’attestazione del piano, e l’esenzione da revocatoria. Innanzitutto, distinguiamo tra la figura del consulente e quella dell’attestatore.

Il consulente è colui il quale predispone il piano, non è una figura richiesta da legge, ma risulta rilevante nell’ottica sia della predisposizione di un piano complesso in grado di sostenere la valutazione dell’attestatore e, soprattutto, l’eventuale giudizio a posteriori del Tribunale, sia del proprio contributo in grado di mitigare la soggettività delle valutazioni dell’imprenditore e del suo management circa le capacità di uscita dalla crisi.

L’attestatore, invece, è una figura obbligatoria, prevista da legge e necessaria ai fini della validazione dello strumento “piano di risanamento”. Trattasi di “un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali e in possesso dei requisiti previsti che deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”. E’ ritenuto unanime che la scelta del professionista spetti all’imprenditore.

Egli deve essere terzo e indipendente non solo dall’imprenditore, ma anche da altri soggetti coinvolti al fine di garantire formalmente:

- la terzietà del professionista rispetto all’imprenditore: si ritiene che esso non debba trovarsi nelle situazioni di incompatibilità previste per i soggetti che svolgono attività di revisione contabile per le società quotate (rif.: art. 160 TUF, Regolamento Consob adottato con delibera n. 11971)

- la terzietà rispetto agli altri soggetti coinvolti: si ritiene che il professionista debba essere  terzo rispetto ai creditori, a coloro che in ultima analisi potrebbero beneficiare dell’attestazione del piano, al consulente che redige il piano.

L’attestatore analizzerà il piano applicando le migliori “practice” ovvero provvederà (seguendo un percorso logico-temporale a partire dall’anamnesi dell’impresa fino alla valutazione prospettica dell’idoneità del business plan e della manovra finanziaria ipotizzata) a :

– verificare che i dati previsionali siano stati redatti sulla base di principi contabili omogenei rispetto ai principi utilizzati per la preparazione dei bilanci storici;

– valutare la coerenza delle ipotesi del piano con quelle normalmente utilizzate nel settore a cui l’azienda appartiene;

– accertare  la coerenza dei dati previsionali, con le ipotesi esplicitate;

– testare gli effetti di eventuali modifiche alle assunzioni di base per coglierne gli impatti sui principali indicatori di performance (sensitivity analysis)[21]

In caso di valutazione positiva la dichiarazione di attestazione garantirà,  da un lato che i dati di partenza su cui poggia il piano siano veritieri ed affidabili e, dall’altro che le assunzioni di piano abbiano una logica economica/finanziaria in grado di prevedere il ragionevole raggiungimento del risanamento dell’impresa. Si ritiene che la dichiarazione di attestazione debba indicare le metodologie utilizzate, le attività svolte dal professionista nonché contenere un’adeguata motivazione della conclusione raggiunta.

Appare chiara l’importanza dell’attestazione e la relativa necessità di controlli rispetto ai requisiti dell’attestatore, nonché alla relazione di attestazione stessa.[22] La rilevanza di quest’ultima si riverbera anche su altri aspetti già accennati, quali l’esonero dai reati fallimentari.

Difatti, come già previsto agli artt. 216 c.3 L. Fall. (bancarotta preferenziale) e 217 L. Fall. (bancarotta semplice) è disposta all’art. 324 del nuovo CCI l’esenzione dalla responsabilità penale per i reati di bancarotta escludendo l’applicabilità degli artt. 322, comma 3, (bancarotta preferenziale) e art. 323 (bancarotta semplice), in relazione ai pagamenti e alle operazioni compiute in esecuzione degli accordi in esecuzione del piano attestato di risanamento.

Inoltre, come già previsto all’art. 67, co. 3, lett. d), L. fall, si riconferma nel testo del codice della crisi e dell’insolvenza l’esclusione dall’azione revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie concesse sui beni del debitore[23], qualora siano stati posti in essere in esecuzione di un piano che sia:

  1. idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria della stessa[24];
  2. caratterizzato dalla veridicità dei dati aziendali e fattibile, così come attestato da un professionista – designato dal debitore – indipendente da qualsiasi soggetto interessato al risanamento, iscritto nel registro dei revisori legali dei conti ed in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare (art. 28, co. 1, lett. a) e b), L. fall.).[25]

Quanto al contenuto del piano di risanamento, si ritiene debba essere redatto nella prospettiva della continuità aziendale.  Può essere ritenuto un vero e proprio “piano di turnaround”,[26] attestato da un professionista e finalizzato al risanamento dell’impresa o meglio dell’esposizione finanziaria e debitoria. Questo equivale ad una riduzione dell’entità dei debiti, ovvero a una rinegoziazione delle relative scadenze, idonee a riportare l’impresa all’equilibrio finanziario.

Invero, al di là del dato normativo, la vera essenza del risanamento dell’impresa è rappresentata, a esclusione delle crisi di natura esclusivamente finanziaria, dall’eliminazione di quelle patologie che producono una erosione del valore economico del capitale dell’impresa [27], anche nell’ipotesi in cui l’impresa si trovi in uno stato di liquidazione volontaria.

Infatti, l’esclusiva eliminazione dello squilibrio finanziario e dell’esposizione debitoria dell’impresa (e quindi, il semplice ripristino temporaneo della solvibilità del debitore senza alcun intervento volto a una riqualificazione dei processi produttivi critici ovvero ad apportare cambiamenti sotto l’aspetto economico e nell’assetto organizzativo e produttivo della società), non può che condurre a risultati positivi esclusivamente di breve periodo.

Il piano attestato di risanamento formalizza invece un percorso di turnaround,[28]e come tale deve assumere le «sembianze» di un business plan della crisi, [29]accogliendo dunque al suo interno un piano industriale, un piano economico ed un piano finanziario (con prospetto dei flussi totali di cassa).

Quanto al contenuto, l’attuazione del risanamento - sotto il profilo degli interventi economico-patrimoniali - può essere perseguita attraverso due tipologie di interventi:

  1. intervento esterno:

– ricapitalizzazione della società da parte dei soci;

– conversione di debiti in capitale di rischio, mediante sottoscrizione di un aumento di capitale riservato; 

– remissione totale o parziale dei debiti, mediante accordi di definizione e stralcio;

– rinegoziazione delle condizioni dei finanziamenti in essere, in particolare ridefinizione dei tassi di interesse applicati;

 – erogazione di nuova finanza;

– riposizionamento dei debiti a breve in debiti a medio lungo termine mediante consolidamento del debito;

  1. intervento interno:

– cessione di beni strumentali non strategici;

– scelte imprenditoriali volte all’aumento dell’efficienza della struttura produttiva (riduzione di costi, aumento dei margini di redditività);

– autofinanziamento dell’impresa mediante i flussi derivanti dalla gestione corrente. [30]

Il percorso di risanamento richiede, ovviamente, un’attenta pianificazione, che trova espressione (e sintesi) nel c.d. action plan, che ha la funzione di individuare le attività e le iniziative da intraprendere per la realizzazione del progetto di risanamento, oltre alle tempistiche ed ai relativi responsabili. In tal modo, si evidenziano due rilevanti fattori di successo del piano:

a) arco temporale entro il quale l’impresa deve raggiungere una condizione di equilibrio economico finanziario, il quale non dovrebbe superare i 3/5 anni (pari, cioè, al lasso temporale ritenuto dalla prassi aziendale sufficiente per verificare gli effetti economico- finanziari di interventi strutturali);

 b) identificazione della struttura e principi di governance.

La formalizzazione del business plan del risanamento, si articola in sei fasi:

 1) raccolta dei dati di partenza relativi all’impresa, finalizzata alla rappresentazione di una situazione patrimoniale ed economica iniziale redatta a valori correnti (al c.d. fair value). Si tratta, ovviamente, di un bilancio straordinario che deve  dare contezza del valore patrimoniale di partenza e delle performance reddituali di periodo;

2) individuazione delle cause della crisi e la riclassificazione dei bilanci pregressi;

3) predisposizione del piano industriale (o gestionale), in cui vengono descritti tutti gli interventi che riprogrammano l’aspetto industriale/ gestionale dell’impresa, con lo scopo di riposizionare strategicamente l’impresa sul mercato, per ottenere la razionalizzazione dell’impresa, creare liquidità e soprattutto aumentare la percezione di valore dell’impresa presso i terzi, riprendendo o mantenendo la fiducia degli stakeholders e in particolare dei finanziatori, ovvero le banche;

4) predisposizione del piano economico (previsionale), per determinare quali saranno i flussi di cassa della gestione tipica e della gestione straordinaria. Il piano dimostra, cioè, quali sono gli effetti del risanamento nella generazione della cassa che potrà servire a rimborsare il debito esistente all’inizio del processo e il debito corrente (cioè quello generato dalla gestione del risanamento);

5) predisposizione del piano finanziario, ovvero il documento che traccia la nuova struttura finanziaria dell’impresa dopo gli interventi ipotizzati, cercando di razionalizzare le fonti di finanziamento, ridurre il costo dell’indebitamento e diminuire la dipendenza dell’impresa dalle fonti esterne, o quanto meno, riequilibrare tale dipendenza ad un livello sostenibile;

6) predisposizione del prospetto dei flussi di cassa, documento di sintesi e più importante dell’intero piano di risanamento, che permette di verificare l’adeguatezza del piano a rimborsare i debiti.[31]

L’andamento del piano deve essere costantemente monitorato dall’imprenditore per verificare il raggiungimento delle “milestones” e l’andamento dei KPI[32].

Nel caso in cui si rilevino degli scostamenti significativi rispetto al piano ed esso non possa più essere eseguito secondo gli indirizzi e i tempi prefissati, gli atti successivi al verificarsi dello scostamento non godono della esclusione dalla revocatoria.

Inoltre, ove gli scostamenti determinassero la revisione del piano, esso dovrebbe essere sottoposto ad una nuova attestazione da parte del professionista abilitato.

Altro aspetto fondamentale è quello relativo alla pubblicità del piano ed ai “benefici” connessi. A tale proposito occorre evidenziare come già con i provvedimenti del 2012 il legislatore si sia occupato di tale argomento, prevedendo che il piano “può essere pubblicato”, su richiesta del debitore (previsione all’art. 56 c.5 del CCI), presso il Registro delle imprese[33]: tale facoltà consente di attribuire una data certa al piano di risanamento, all’attestazione del professionista, nonché alle operazioni compiute in esecuzione del progetto di riduzione dell’esposizione debitoria, ovvero di riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa.[34]

La pubblicazione del piano nel Registro delle imprese conduce a benefici fiscali attraverso un coordinamento tra le disposizioni del D.P.R. 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi - c.d. TUIR) e quelle della legge fallimentare. Infatti, il TUIR, all’art. 88, comma 4 modificato dal c.d. Decreto “sviluppo”, prevede oggi che, nel caso di piano attestato di risanamento, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la quota del provento che eccede le perdite pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84 TUIR, a condizione che il piano di risanamento sia iscritto nel Registro delle imprese.[35]

Inoltre, come già accennato nel corso della trattazione l’istituto del piano attestato viene previsto dal legislatore tra le eccezioni alla regola generale di revocabilità degli atti, pagamenti e garanzie[36]; ne consegue pacificamente che il piano, anche nella massima buona fede degli attori interessati, potrebbe non andare a buon fine nel risultato e conseguentemente potrebbe non produrre gli effetti per cui era predisposto (in altre parole il piano attestato potrebbe essere seguito da un fallimento e potrebbero non verificarsi i presupposti per l’eccezione, cioè non implicare l’esenzione da revocatoria)[37].

Peculiare aspetto da verificare potrebbe essere il legame esecutivo di strumentalità tra l’atto potenzialmente revocabile e il piano di risanamento. Infatti, in caso di esito infausto del piano, ove il curatore, ricorrendone tutti i presupposti, proponga azione revocatoria fallimentare avverso un atto di disposizione compiuto dal fallito nel periodo sospetto, il convenuto in revocatoria che voglia provocare il rigetto di tale domanda in base all’esenzione in commento, dovrebbe provare che quell’atto si pone in (fedele) attuazione-esecuzione di un piano di risanamento attestato ai sensi di legge.

Infatti, l’ampiezza della formula utilizzata è tale da ricomprendervi, sostanzialmente, ogni atto dell’imprenditore (tra cui le garanzie “sui beni del debitore”) purché “attuativo-esecutivo” del piano attestato.

Ovviamente, se non soggetto a pubblicità, il piano e l’attestazione del professionista, dovrebbero essere muniti di data certa (anteriore alla dichiarazione di fallimento) al fine dell’opponibilità alla procedura concorsuale delle operazioni compiute (sia in esecuzione del progetto di riduzione dell’esposizione debitoria, che di riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa). In assenza di data certa, l’eccezione del convenuto non può che essere respinta e ricorrendo i fatti costitutivi della stessa, la domanda di revoca del curatore dovrebbe trovare (assai probabile) accoglimento.

In ogni caso, dopo il fallimento del debitore, il giudizio sulla revocatoria è la sede naturale per la rivisitazione del piano da parte del giudice, anche sotto il profilo del merito della sua idoneità a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Infatti, a essere messa in discussione sarà l’idoneità del piano, nonché la correttezza delle attestazioni del professionista[38].

Riassumendo, per la stabilità degli atti è necessario che, quali condizioni minime, si integrino tutti gli elementi della fattispecie esonerativa da revocatoria [39], ovvero che:

a) l’atto sia esecutivo / strumentale del piano di risanamento, che deve avere data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento;

b) il piano appaia idoneo (con valutazione ex ante, stante la dimensione prognostica che caratterizza la fattispecie) a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria;

c) l’attestazione sia resa da un professionista avente le caratteristiche soggettive di legge ed indipendente;

d) l’asseverazione resa abbia ad oggetto la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano[40].

 

[1] Cfr. M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, 15.

[2] Cfr. M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, 16.

[3] Cfr. C. CACCIAMANI , pref. M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, 13.

[4] Cfr. M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, 19

[5] Secondo i dati de IL SOLE 24 ORE, 21/01/2016, pag.19 “Il 2015 si è contraddistinto per una contrazione dei fallimenti delle imprese italiane:1189 casi, -7,6% rispetto al 2014. Il fenomeno è in calo per la prima volta dal 2009, anno in cui le imprese fallite sono state 9383. Secondo i dati di Cribis D&B, i settori che hanno visto una riduzione dei fallimenti nel 2015 sono: l’industria con un -12,3% e un numero di fallimenti pari a 2857, il commercio con -1,6% e 4569 attività fallite, l’edilizia con -7,6% e 3071 imprese fallite. In crescita invece il settore dei servizi con un +1,6% rispetto al 2014.”

[6] Si pensi alla soglia di soddisfazione minima per i creditori chirografari in misura pari al 20% in caso di concordato che non sia in continuità aziendale ai sensi dell’articolo 186-bis L.F. e all’abrogazione della regola del silenzio assenso.

[7] M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, 16 ss

[8] STUDIO VERNA SOCIETA’ PROFESSIONALE, Gestione delle procedure concorsuali nella crisi d’impresa, Wolters Kluwer, Milano, 2016, 4

[9] In questa linea si inseriscono diversi contributi in materia di crisi di sistema per cui tali elementi sono indicati quali «fattori di crisi» (per tutti L. GUATRI, «Un’interpretazione del concetto di crisi aziendale», in Finanza, Marketing e Produzione, XIII, 1, 1995. ; S. MEZZADRA (a cura di), Crisis in the Global Economy: Financial Markets, Social Struggles, and New Political Scenarios, Los Angeles, Semiotect(e), 2010; R. SKIDELSKY (a cura di) The Economic Crisis and the State of Economics, New York, Mac Millan, 2010.

[10] A. DANOVI – A. QUAGLI, Gestire la crisi d’impresa. Processi e strumenti di risanamento, 4° ed, Ipsoa- Walters Kluwer, Milano, 2015, 5-6

[11] A. DANOVI – A. QUAGLI, Gestire la crisi d’impresa. Processi e strumenti di risanamento, 4° ed, Ipsoa- Walters Kluwer, Milano, 2015, 6

[12] Secondo la teoria del Valore «l’impresa, in economia di mercato, perdura e si sviluppa solo generando nuovo valore: perciò la creazione di valore è la ragione essenziale della sua sopravvivenza a lungo termine». Cfr. «Manifesto dell’impresa valore: appello ad un comune impegno per la definizione dell’impresa moderna», in Finanza, Marketing e Produzione, X, 3, 1992, pag. 10; L. GUATRI, La teoria di creazione del valore. Una via europea, Egea Milano, 1991 E L. GUATRI, La diffusione del valore, Egea Milano, 1992. Nel contesto italiano si vedano anche: G. BERTOLI, Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, Milano, Egea, 2000; A. MECHELLI, Creazione di valore e stima del risultato di periodo. Principi, modelli e metodologie, Milano, Giuffre´, 2005; M. PELLICELLI, Creazione di valore e value based management, Torino, Giappichelli, 2007

[13]  Cfr.  A. DANOVI – A. QUAGLI, Gestire la crisi d’impresa. Processi e strumenti di risanamento, 4° ed, Ipsoa- Walters Kluwer, Milano, 2015, 6 ;  A. DANOVI, Crisi d’impresa e risanamento finanziario nel sistema italiano, Giuffre`, Milano 2003, pag. 12. Piu` recentemente: L. FACCINCANI, Banche, imprese in crisi e accordi stragiudiziali di risanamento. Le novità introdotte dalla riforma del diritto fallimentare, Milano, Giuffre´, 2007; M. RUTIGLIANO (a cura di), Superare la crisi con i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, Giuffre´, 2010.

 

[14] Presentata nella semplificazione «continua» dove W e` il valore dell’impresa, R sono i flussi reddituali (o finanziari) e i il coefficiente di attualizzazione che tiene conto del rischio . v. A. DANOVI – A. QUAGLI, Gestire la crisi d’impresa. Processi e strumenti di risanamento, 4° ed, Ipsoa- Walters Kluwer, Milano, 2015, 6 nota 5

[15] M. RUTIGLIANO in  coll.  con STUDIO BONAMINI&PARTNERS, Superare la crisi con i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti un primo bilancio, Giuffré Editore, Milano, 2010, 2 ss

[16]“Alcuni aspetti dell’equilibrio finanziario sono identificabili attraverso grandezze di bilancio quali margini di struttura e il margine di tesoreria. […] Più in generale sono parte di questo approccio alla valutazione dell’equilibrio finanziario tutti gli indicatori di bilancio (correnti e prospettici) che definiscono: a)la struttura su base comparativa delle fonti e degli impieghi; b) la composizione del passivo e del netto; c) il grado di sostenibilità degli oneri finanziari.” Cfr. M. RUTIGLIANO in  coll. con STUDIO BONAMINI&PARTNERS, Superare la crisi con i piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti un primo bilancio, Giuffré Editore, Milano, 2010, 4 ss.

 

[17] STUDIO VERNA SOCIETA’ PROFESSIONALE, Gestione delle procedure concorsuali nella crisi d’impresa, Wolters Kluwer, Milano, 2016, 7.

[18] M.POLLIO, Una via d’uscita per la crisi d’impresa? Il piano attestato di risanamento,in riv. Amministrazione & Finanza, 12/2009 , 72-73.

[19] M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, 47.

[20] Meccanismo attraverso il quale il debitore che chiede l’ammissione ad una procedura concorsuale può godere della protezione sul proprio patrimonio garantitagli dalla legge fallimentare usufruendo di un periodo di inibitoria dalle azioni esecutive e cautelari dei creditori.

[21] “L’analisi di sensibilità è una tecnica finanziaria utilizzata per quantificare eventuali effetti discorsivi rivenienti da modificazioni nei parametri ipotizzati in sede di analisi di un progetto” Cfr. M.P. PASTORE L. JEANTET L. BASSO A. VAROLI,  La ristrutturazione linee guida e strumenti di composizione della crisi d’impresa, 2° ed., Milano, 2016, nota n.3 pag 127.

[22]  A tale proposito :“L’organo sindacale deve svolgere una verifica di legalità sul piano di risanamento, prendendone conoscenza, pur non essendo tenuto ad esprimersi sul merito dello stesso: in primo luogo, deve accertare che il professionista attestatore, nominato dalla società, sia in possesso dei requisiti previsti dall’art. 67, co. 3, lett. d), R.D. 16 marzo 1942, n. 267. Le altre attività di controllo riguardano principalmente il contenuto formale della relazione di attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, nonché l’effettiva esecuzione del piano e, conseguentemente, l’individuazione di eventuali scostamenti significativi, a fronte di quali è opportuno richiedere chiarimenti all’organo amministrativo e – qualora questi non vengano forniti, o risultino insufficienti – convocare l’assemblea dei soci, al fine di comunicare tali fatti, e sollecitare l’adozione di opportuni provvedimenti.” Cfr. Piano attestato di risanamento e controlli dei sindaci, in riv. Guida alla contabilità & bilancio, Il Sole 24 ore, 2 marzo 2017, n.3 pag 46-49.

[23] In argomento  “Il piano attestato di risanamento è uno strumento riservato all'imprenditore per risanare l'impresa e riportarla in equilibrio economico e finanziario, attraverso la realizzazione di una serie di operazioni strategiche, garantendo la continuità aziendale, senza che vi sia alcun controllo da parte del Tribunale, come invece avviene nelle altre procedure concorsuali. Esso prevede esplicitamente l'esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione del piano. La ratio dell'istituto è quella di salvaguardare gli atti esecutivi posti in essere all'interno di un attendibile piano di risanamento aziendale, nel caso in cui il programma non raggiunga il successo sperato e si apra il successivo fallimento dell'imprenditore. La protezione che viene data per questi atti consiste nell'esonerare i terzi, che hanno confidato nella bontà del piano e nella sua buona riuscita, dalle conseguenze che essi potrebbero avere nel caso in cui fosse attivata l'azione revocatoria fallimentare. Da tali effetti non si può, tuttavia, far discendere l'esenzione dalla punibilità per l'omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali sull'erroneo rilievo del congelamento dei debiti o della dilazione dell'adempimento di obblighi di versamento rispetto alla scadenza derivante dalla predisposizione di un piano attestato. A fortiori alcuna esclusione della punibilità potrebbe ritenersi rispetto a omissioni contributive relative a periodi successivi alla predisposizione del piano.” Cass. pen. Sez. III, 30/05/2018, n. 39396.

[24] “L'attitudine meramente liquidatoria espressa dal piano attestato prodotto è radicalmente inconciliabile con le finalità e i presupposti indicati dall'art. 67, L. fall., che subordina l'esenzione dalla revocatoria all'idoneità del piano a conseguire gli obiettivi di risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e di riequilibrio della sua situazione finanziaria.” Tribunale Ancona Sez. I, 27/06/2017, e ancora in argomento tale sentenza riporta che “L'esenzione di cui all'art. 67, 3° comma, lett. d), L. fall.opera subordinatamente ad una duplice verifica da parte del giudice del merito sul piano attestato in ordine sia alla fattibilità giuridica, intesa come rispetto di norme inderogabili, che alla fattibilità economica, intesa come ragionevole possibilità di realizzare, secondo una valutazione operata ex ante, l'obiettivo di risanamento dell'impresa.”

[25] In argomento sent. Cass. Civ. sez. VI, 05/07/2016,  n. 13719 statuisce che “Per ritenere esenti dalla domanda di revocatoria fallimentare proposta dalla curatela gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento a norma dell'art. 67, comma 3, lett. d), L.Fall. (nel testo previgente al D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012), il giudice deve verificare, con giudizio "ex ante", la manifesta idoneità del piano medesimo, del quale gli atti impugnati costituiscono strumento attuativo, a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria della stessa.”

[26] Il turnaround è letteralmente “l’inversione di rotta”, con tale termine s’intende la ristrutturazione di un’azienda in crisi con modifiche significative alla propria struttura, strategie ed obiettivi.

[27] In tale senso MANDRIOLI, Il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed il riequilibrio della situazione finanziaria, in Bonfatti (a cura di), L’azione revocatoria, Milano, 2005, 150, secondo cui l’utilizzo del piano di risanamento sarebbe compatibile anche con uno stato di liquidazione tout court, che conduca, quale contenuto finale del piano di risanamento, alla cessazione del soggetto che svolge l’attività dell’impresa.

[28] «E` turnaround il processo di rinnovamento ove si disturba l’equilibrio organizzativo per risvegliare le aree in letargo dell’impresa; é turnaround il processo di allungamento (stretch) dell’impresa, ben al di là di un suo adattamento equilibrato (fit) all’ambiente. E` turnaround il tentativo di ricomporre il divario fra processi di cambiamento nel settore e nell’impresa attraverso una trasformazione organizzativa. Realizza un turnaround l’impresa che reinventa se stessa, creando punti di rottura e di discontinuità nel settore fino a modificare le regole del gioco. Sono turnaround i processi di trasformazione radicale dell’organizzazione, di rinnovamento, di rivitalizzazione organizzativa, di ringiovanimento, di riorientamento strategico. E` turnaround la risposta dell’impresa a processi di graduale, impercettibile allontanamento dall’ambiente (strategic drift); la creazione di uno stato di non-equilibrio per generare le tensioni indispensabili a processi di innovazione; la capacità di rinnovare in modo continuo il proprio vantaggio competitivo (hyper-competition), la capacità di trasformare i modelli di comportamento dell’organizzazione e di trasferire i valori del cambiamento in principi della cultura d’impresa» Cfr. L. SICCA, F. IZZO, La gestione dei processi di turnaround, ESI, Napoli, 1995, . 73-74.

[29] Sul contenuto documentale del piano attestato ex art. 67 L.fall., si rinvia a M. POLLIO, Gli accordi per gestire la crisi d’impresa e la predisposizione del piano stragiudiziale di risanamento, Verona, 2009, 40 ss..

[30] Cfr. M.POLLIO, Una via d’uscita per la crisi d’impresa? Il piano attestato di risanamento, in riv. Amministrazione & Finanza, 12/2009 , 73-74.

[31] Cfr. M.POLLIO, Una via d’uscita per la crisi d’impresa? Il piano attestato di risanamento, in riv. Amministrazione & Finanza, 12/2009 , 74.

[32] Key Performance Indicator o KPI  “indicatore chiave di prestazione”,  è un indice che monitora l'andamento di un processo aziendale.

[33]  Si ritiene che la pubblicazione del piano, della relazione attestativa e degli allegati dovrebbe essere integrale e non avvenire per estratto.  

[34] S. MANCINELLI,  la rivisitazione del piano attestato di risanamento , in riv. www.ilcaso.it, 13-09-2016, 8-9

[35]  Il coordinamento tra la legge fallimentare e l'articolo 101, comma 5, del TUIR non è invece avvenuto per i piani di risanamento attestati, ma solo per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, purché omologati (tramite il D.L. 83/2012 si ammette per i creditori la deducibilità ex lege delle perdite su crediti solo per gli accordi omologati); pertanto, in caso di piano di risanamento, la deducibilità delle perdite su crediti continua a non essere ammessa per il creditore in modo “automatico”.  

[36] Riguardo all’esenzione dell’art. 67, co. 3, lett. d) si veda l’analisi di S. MANCINELLI,  la rivisitazione del piano attestato di risanamento , in riv. www.ilcaso.it, 13-09-2016 , 12-13 secondo cui questa: “ va a ledere il presupposto oggettivo della revocatoria fallimentare (preordinata alla salvaguardia del patrimonio del debitore, destinato alla soddisfazione dei creditori secondo disposizioni di legge), introducendo una deroga alla par condicio creditorum, potenzialmente idonea a favorire i creditori più ostinati e contrattualmente più forti.”

[37] Cfr. S. MANCINELLI,  la rivisitazione del piano attestato di risanamento , in riv. www.ilcaso.it, 13-09-2016, 9-10.

[38] Secondo Tribunale Verona sent. 22 febbraio 2016 - Est. Platania, in www.ilcaso.it , la valutazione della inattendibilità del piano attestato deve essere accertata in modo rigoroso, sulla base di elementi noti in data anteriore e non successiva alla sua esecuzione (quindi il piano non va valutato sotto l'influenza di conoscenze acquisibili solo ex post). La sanzione dell’inapplicabilità dell’esenzione dalla revocatoria può, infatti, essere irrogata solo a seguito dell'accertamento di una completa ed evidente inattendibilità del piano, dovuta a contraddizioni interne ovvero a presupposti che, per ciò che normalmente può accadere, non possono trovare oggettiva concretizzazione. 

[39] In argomento  Cass. Civ. Ordinanza 19 dicembre 2016, n. 26226 con cui si statuisce che “ In sede di opposizione allo stato passivo, il tribunale non può concludere per la revocabilità del credito insinuato al passivo e, quindi, negare l’ammissione, in via privilegiata, del finanziamento garantito da pegno ed erogato da una banca a seguito della stipula di un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. (nel testo previgente al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif., dalla l. n. 134 del 2012), rilevando l’inesistenza della convenzione stragiudiziale intervenuta tra l’imprenditore in crisi e la banca finanziatrice in ragione della mancanza di un documento integrativo non prodotto dal ricorrente. Invero, laddove risultino agli atti il piano attestato e la relazione asseverata del professionista ed il tribunale ritenga comunque necessario, a differenza della parte, l’esame del menzionato documento, il giudice, nel rispetto dei principi del giusto processo e del divieto di decisioni a sorpresa, ha il dovere di disporne, se del caso, l’acquisizione, anche d’ufficio, ovvero di chiedere alle parti i chiarimenti necessari, indicando le questioni rilevabili d’ufficio”

[40] Cfr. S. MANCINELLI,  la rivisitazione del piano attestato di risanamento , in riv. www.ilcaso.it, 13-09-2016, 10-11