Pubbl. Mar, 2 Lug 2019
Il caso sea-watch 3
Modifica paginaFuori dal ´decreto sicurezza bis´ e prospettive di disciplina tra costituzione, diritto internazionale e legislazione interna
Sommario: 1. Premessa; 2. I fatti di Lampedusa; 3 Legislazione interna (penale e amministrativa); 4. L’articolo 10 della Carta costituzionale e il Diritto internazionale; 5. Conclusioni.
1. Premessa
Il clamore mediatico suscitato dagli ultimi fatti di Lampedusa, conclusisi con lo sbarco asseritamente illegittimo della nave-ONG Sea-Watch 3 nel porto dell’isola italiana e con l’arresto della comandante Carola Rackete, richiama l’interesse e impone qualche riflessione in ordine alla normativa nel cui raggio di applicazione dovrebbe farsi rientrare la fattispecie concreta che qui di seguito si cercherà di individuare.
2. I fatti di Lampedusa.
I fatti traggono origine dal salvataggio in mare, ad opera dell’equipaggio della Sea-Watch 3 - nave tedesca, con comandante di nazionalità tedesca, battente bandiera olandese e che fa capo ad un’organizzazione non governativa umanitaria tedesca - di qualche decina di migranti africani al largo delle coste libiche. La nave, col suo carico umanitario, si dirigeva verso il porto di Lampedusa e, a seguito della mancata autorizzazione da parte delle Autorità italiane a solcare le acque territoriali e, a fortiori, allo sbarco in un porto italiano, rimaneva in acque internazioni per due settimane, prima di forzare il blocco, entrare nelle acque nazionali e dirigersi verso il porto dell’isola italiana, non rispondendo peraltro all’alt intimato in mare dalle Autorità italiane.
Intanto, in data 20 giugno la comandante esperiva ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché le si consentisse lo sbarco dei profughi, ricorso che, qualche giorno dopo, veniva rigettato dalla CEDU[i].
Entrata in porto, nel corso delle operazioni di approdo, la Sea-Watch avrebbe speronato un’imbarcazione-vedetta della Guardia di Finanza impegnata in operazioni di disturbo alle manovre di attracco della nave alla banchina.
A conclusione della vicenda, l’equipaggio è stato prelevato dalla nave e la comandate di essa tratta in arresto, mentre i passeggeri verranno trasferiti nell’hot-spot di Lampedusa, in attesa del rimpatrio o della redistribuzione e presa in carico di essi da parte dei Paesi europei dichiaratisi disponibili alla loro accoglienza. La nave sarà sottoposta a sequestro dall’Autorità giudiziaria.
3. Legislazione interna (penale e amministrativa).
Dal punto di vista giuridico, il caso di specie si potrebbe far rientrare in due fattispecie astratte del diritto interno: la prima è quella prevista dall’articolo 650 del Codice penale, in virtù del quale “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi” e con un’ammenda.
In tal caso, dopo aver preliminarmente osservato come la norma in parola preveda una semplice contravvenzione sanzionata con pene piuttosto lievi (arresto fino a tre mesi e ammenda fino a duecentosei euro), non può non vedersi che l’art. 650 c.p. individua nella mancata osservanza di un ordine “legalmente dato” la condizione necessaria perché si dia luogo alle sanzioni in esso previste; qualora l’ordine sia, al contrario, illegittimo - in quanto dato, per esempio, in violazione di norme o trattati internazionali - la trasgressione ad esso non comporterebbe alcuna responsabilità.
Il c.d. “Decreto Sicurezza bis” prevede, in aggiunta alle sanzioni penali di cui all’art. 650 c. p., anche la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 10.000 a 50.000 euro “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, notificato al comandante e, ove possibile, al proprietario e all’armatore della nave”[ii].
L’altra fattispecie astratta che viene in considerazione è quella contenuta nell’articolo 12 del Decreto Legislativo n. 286 del 1998 (meglio noto come Testo Unico sull’immigrazione)[iii], così come modificato dalla Legge n. 189 del 2002, che sottopone a pesanti sanzioni penali “chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato” (si arriva a comminare la pena della reclusione fino a dodici ani se il trasporto riguarda almeno cinque persone) e prevede la confisca del mezzo utilizzato e l’arresto in flagranza degli autori delle condotte vietate.
Assume rilievo fondamentale il secondo comma dell’articolo 12 del succitato Testo unico, in forza del quale “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno”.
Osservato preliminarmente che l’impianto normativo in parola è stato concepito per fronteggiare il fenomeno legato ad associazioni criminali e al traffico di essere umani nel Mediterraneo, non si può non rilevare che le condotte poste in essere dall’equipaggio della Sea-Watch, pur volendo considerarle penalmente illecite e illegittime dal punto di vista amministrativo, risulterebbero ampiamente scriminate in base all’articolo 54 del Codice penale[iv] e in virtù dallo stesso articolo 12, secondo comma, del Testo unico sull’immigrazione, quindi, in concreto, circoscritte all’ambito del penalmente lecito.
Non si vede come non si possa far rientrare nelle “condizioni di bisogno” di cui sopra, infatti, la situazione di donne e uomini in mare, al largo, in ambiente ristretto ed esposti a temperature elevate, con possibilità di azioni di autolesionismo ed esposti al rischio concreto di incorrere in condizioni di salute fatalmente precarie.
4. Larticolo 10 della Carta costituzionale e il Diritto internazionale
La nostra Costituzione, all’articolo 10, nella parte in cui sancisce che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”, prevede e riconosce il “diritto d’asilo” come principio fondamentale dell’Ordinamento.
Appare evidente che la condizione minima perché si dia avvio all’iter e possano essere attivate le procedure all’esito delle quali verrà riconosciuto il diritto d’asilo da parte dell’Autorità competente o - non sussistendone le condizioni - si disporrà, al contrario, il rimpatrio, è che gli stranieri scendano sulla terra ferma e vengano presi in carico dall’Autorità all’uopo preposta.
La questione non è di poco conto, dal momento che riuscirebbe difficile attuare tale norma della Costituzione impedendo gli sbarchi o l’entrata degli stranieri nel territorio dello Stato, come pure presidiando i confini della Repubblica per impedire flussi migratori.
La Convenzione SAR (search and rescue) di Amburgo nel 1979[v] prevede l’obbligo per gli Stati-parte di assicurare soccorso e assistenza ad ogni persona in pericolo in mare. Prevede, altresì, che i capitani delle navi che hanno prestato soccorso in mare siano agevolati a raggiungere la terra ferma per effettuare lo sbarco delle persone in un porto sicuro e vicino (Punto 3.1.9 della Convenzione: “Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione affinchè i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista [ … ]. La norma impone, altresì, agli Stati-parte di attivarsi e vigilare “affinchè i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in un luogo sicuro […]. In questi casi le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinchè lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile”).
5. Conclusioni.
Alla luce delle brevi considerazioni fin qui svolte, e venendo al caso concreto, le condotte dell’equipaggio e della comandante della nave Sea-Watch 3, a parer di chi scrive, sono da considerarsi – rimanendo ancorati all’ambito prettamente giuridico e indipendentemente da qualsivoglia considerazione di carattere umanitario – lecite (o, tutt’al più, illecite ab origine ma ampiamente scriminate in virtù all’articolo 54 c.p. e dell’articolo 12, cpv., del Testo unico sull’immigrazione) legittime, costituzionalmente orientate e conformi ai principi del Diritto internazionale.
Per contro, “salvare le vite in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare” e “le scelte politiche insite nell’imposizione di Codici di condotta non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro”[vi].
Note e riferimenti bibliografici
[i] Per una disamina del caso “Rackete and Others v. Italy” si rimanda a La Redazione, LA CORTE EDU RIGETTA IL RICORSO DELLA SEA-WATCH 3, in Riv. Cammino Dirit., 6, 2019.
[ii] Articolo 2, Decreto Legge n. 53 del 14 giugno 2019 - “Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, in G. U. n. 138 del 14 giugno 2019.
[iii] Si tratta del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 - “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, in G.U. n. 191 del 18 agosto 1998.
[iv] L’articolo 54 del Codice penale prevede la scriminante dello stato di necessità: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
[v] Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979 e recepita dall’Italia con D.P.R. n. 662 del 1994
[vi] FULVIO VASSALLO PALEOLOGO, Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e nel diritto interno, in QUESTIONE GIUSTIZIA, Rivista trimestrale, Fascicolo2, 2018 (questionegiustizia.it/rivista/ 2018/2/gli-obblighi-disoccorso-inmare-neldiritto-sovranazionale-enell-ordianamento-interno … )