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Pubbl. Lun, 22 Lug 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

L´intervento del creditore nel procedimento esecutivo

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Simona Rossi


Analisi e commento dell´evoluzione normativa dell´istituto e delle principali problematiche legate ai requisiti necessari per l’intervento del creditore nelle procedure esecutive, con particolare riferimento al pignoramento immobiliare.


Sommario: 1. La ratio dell’intervento nella procedura esecutiva e la sua evoluzione. – 2. Le tipologie di creditori legittimati ad intervenire. – 3. L’intervento nella procedura esecutiva immobiliare. – 4. Conclusioni.

1. La ratio dell’intervento nella procedura esecutiva e la sua evoluzione

Il nostro Codice Civile prevede che il debitore risponda delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni “presenti e futuri” e riconosce, in capo al creditore, il potere di porre in essere l’espropriazione forzata. Ad esso consente, altresì, di tutelare i propri diritti di credito, privando il debitore della proprietà dei suoi beni che devono essere venduti a terzi in modo da consentire la loro trasformazione in denaro e la ripartizione del ricavato tra i creditori. 

L’art. 2910 c.c., difatti, sancisce il potere in capo al creditore di espropriare i beni del debitore che, sulla base di uno specifico titolo e consente al creditore, attraverso l’aggressione immediata del patrimonio del debitore inadempiente, di conseguire la soddisfazione del credito. Tale potere “espropriativo” fa sì che il creditore possa quindi “aggredire”, attraverso il pignoramento, uno qualsiasi dei beni che costituiscono il patrimonio del debitore.

Del resto, l’espropriazione forzata rappresenta la procedura esecutiva “per eccellenza”, con cui si vincola un preciso bene alla soddisfazione del credito per cui si procede; tuttavia, alla precisa individuazione dei beni oggetto di pignoramento, non corrisponde un altrettanto puntuale enunciazione del credito e dei creditori.

Sul punto la dottrina ha osservato come l’ordinamento potesse optare per due alternative: prevedere l’applicazione del principio del prior in tempore potior in iure così che la procedura esecutiva fosse ad esclusivo appannaggio del creditore procedente ovvero, in ossequio al principio della par condicio creditorium, che il vincolo pignoratizio fosse destinato alla soddisfazione di tutti i creditori (e non solo di colui il quale avesse dato avvio alla procedura esecutiva)[1].

Dal combinato disposto degli artt. 2740 c.c. (che enuncia il principio di responsabilità patrimoniale per cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni) ed il 2741 c.c. (che prevede la par condicio creditorium in ossequio alla quale “i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione”), emerge come il legislatore abbia optato per non prevedere alcun limite all’introduzione del concorso nella fase distributiva.

Pertanto, la distribuzione non può essere alterata da un principio di temporalità del credito bensì deve pur sempre rispettare l’uguaglianza tra i creditori e, dunque, la concorsualità rappresenta l’inevitabile conseguenza della circostanza per cui la garanzia patrimoniale si estende a tutte le obbligazioni esistenti tra un singolo debitore ed i suoi creditori, che hanno diritto ad essere garantiti dal patrimonio del debitore.

In considerazione di ciò, nel processo di espropriazione è emersa la necessità di prevedere una disciplina che consentisse la partecipazione di tutti i debitori e non solo di quelli procedenti e, a tal proposito, sono state previste varie forme di attuazione del concorso tra creditori nel processo esecutivo come il pignoramento cumulativo, contemporaneo o successivo nonché l’intervento dei creditori[2].

Nel Codice di procedura civile del 1865, ispirato alla disciplina del Code de procédure civile del 1807 applicato nel nostro Paese a seguito della conquista francese, emerge come gli atti relativi alla procedura esecutiva potessero essere attuati soltanto dal creditore procedente. Pur essendo un sistema evidentemente preordinato alla partecipazione di una pluralità di creditori[3], ad i creditori non procedenti era consentito intervenire soltanto nella fase distributiva, promuovendo l’opposizione sul prezzo, nel caso dell’espropriazione mobiliare, ovvero la domanda di collazione, nell’ipotesi di espropriazione immobiliare[4]. Pertanto, si può osservare come una simil previsione consentisse sì un intervento degli altri creditori ma soltanto nella fase finale della procedura e, dunque, con evidente limitazione del potere di questi di promuovere atti nella procedura esecutiva incardinata.

Col successivo codice del 1940, il legislatore delinea un nuovo tipo di procedura esecutiva in cui l’intervento del creditore può aversi senza dover necessariamente attendere la fase finale della ripartizione: i creditori, inoltre, possono promuovere domanda di partecipazione alla distribuzione della somma nonché provocare i singoli atti (es. istanza di vendita). Indubbiamente, rispetto alla precedente disciplina, è previsto per i creditori intervenuti un ruolo più attivo, eppure, vi sono comunque delle evidenze di come il principio della parità tra i creditori non trovasse ancora un’applicazione concreta.

In primis, l’intervento è consentito purché il creditore sia munito di titolo e sia intervenuto tempestivamente nella procedura; in secondo luogo, come osservato dalla dottrina, il legislatore continuava a riservare “una posizione di favore” al creditore procedente (basti pensare all’art. 527 c.p.c. in materia di estensione del pignoramento ai creditori intervenuti, articolo ormai abrogato a seguito delle importanti modifiche avutosi nel 2005[5])[6].

Alla luce di ciò, appare evidente come il legislatore avesse disatteso il principio di cui all’art. 2741 con un sistema che riconosceva comunque un privilegio al creditore procedente e differenziando i creditori intervenuti a seconda che fossero o meno muniti di titolo esecutivo nonché in base alla circostanza per cui fossero intervenuti tempestivamente nella procedura.

La normativa in materia, infine, deve la sua attuale formulazione alla novella del 2005 con cui il legislatore ha apportato delle modifiche di non poco rilievo all’istituto dell’intervento nella procedura esecutiva nel tentativo di un’applicazione reale del principio di par condicio creditorium rispetto al precedente quadro normativo.

Invero, è opportuno precisare come la riforma intervenuta nel 2005 non sia abbia rappresentato un intervento “organico”, bensì sia stato caratterizzato dal succedersi di tortuose previsioni normative (legge n. 80/2005, 263/2005 ed infine 52/2006) che hanno avuto un forte impatto sul processo esecutivo ed, in particolar modo, sulla disciplina dell’intervento del creditore.

Appare d’uopo rilevare come la normativa prima vigente consentisse l’intervento del creditore indipendentemente dalla circostanza che il credito derivasse da un titolo esecutivo; sul punto dapprima la giurisprudenza aveva iniziato a discostarsi ritenendo necessario produrre congiuntamente all’atto d’intervento anche la prova scritta del credito che si era fatto valere ma, successivamente, con un reveriment si era affermato che ai fini della valutazione dell’ammissibilità fosse sufficiente la mera indicazione del credito[7].

Orbene, con la l. n. 80/2015, modificando la norma di cui all’art. 499 c.p.c., il legislatore aveva optato per riservare la facoltà di intervento nell’esecuzione ai soli creditori muniti di titolo esecutivo ovvero, in via eccezionale, a coloro sprovvisti di titolo esecutivo che tuttavia fossero titolari di una causa di prelazione o sequestranti e che, dunque, avrebbero subito un pregiudizio dalla vendita del bene oggetto di pignoramento. Era stato, inoltre, stabilito che per i creditori intervenuti senza titolo le somme loro spettanti fossero accantonate nel progetto di divisione in quanto la soddisfazione di tale credito rimaneva subordinata al conseguimento del titolo esecutivo.

Con un successiva modifica apportata dalla l. n. 263/2005, ancor prima che la nuova formulazione entrasse in vigore, è stato previsto, sempre in via eccezionale, l’intervento senza titolo esecutivo anche per coloro il cui credito emerga dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.

Tutto ciò considerato, si delinea il quadro per cui i creditori intervenuti concorrono, insieme col creditore procedente, alla distribuzione della somma ricavata, proporzionalmente al credito vantato e fatti salvi i diritti di prelazione; difatti, a tutela dei creditori privilegiati che risultino dai pubblici registri è previsto, ai sensi dell’art. 498 c.p.c., che il creditore pignorante gliene dia avviso entro il termine, non perentorio, di cinque giorni dal pignoramento[8].

La nuova previsione legislativa, inoltre, nel solco di quando già enunciato dalla legge n. 80/2015, confermava che ai creditori intervenuti senza titolo esecutivo non potesse essere riconosciuto il diritto alla distribuzione delle somme di cui al piano di riparto, queste devono esser accantonate e la soddisfazione del credito resta, pertanto, subordinata all’ottenimento del titolo esecutivo. Tuttavia, veniva anche previsto, in alternativa al conseguimento del titolo esecutivo, il diritto all’immediato soddisfo nel caso in cui il credito sia riconosciuto dal debitore.

La ratio di una simile scelta è, presumibilmente, orientata a criteri deflattivi nonché di economicità processuale, consentendo una più rapida definizione della procedura ma, come osservato dalla dottrina, nella prassi ha causato una certa lentezza e la nuova formulazione della norma ha fatto sorgere non pochi dubbi interpretatiti in merito, ad esempio, per quel che riguarda la possibilità di impugnare il provvedimento distributivo in relazione ai crediti riconosciuti[9].

2. Le tipologie di creditori legittimati ad intervenire

Si è avuto modo di illustrare l’evoluzione normativa che ha condotto al delinearsi della vigente disciplina in materia di intervento del creditore nella procedura esecutiva, analizzando in maniera analitica emerge che dal “nuovo” art. 499 c.p.c. i creditori legittimati ad intervenire nel processo sono sia quelli muniti di titolo esecutivo, sia coloro che al momento del pignoramento avessero un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri o dalle scritture contabili e finanche i creditori privi di titolo esecutivo (per i quali è previsto, in alternativa all’ottenimento del titolo esecutivo, una peculiare procedura: notifica del ricorso per intervento e fissazione di udienza in cui il debitore deve riconoscere ovvero disconoscere il debito).

Alcuna problematica sorge in merito al creditore munito di titolo esecutivo[10], ma occorre operare taluna osservazione in merito alle altre categorie individuate dalla norma del Codice di procedura civile.

2.1. Sui creditori intervenuti titolari di causa di prelazione risultante dai pubblici registri

Tutti coloro che vantino un diritto di prelazione iscritto possono intervenire nella procedura esecutiva anche senza titolo esecutivo ed, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dalla norma di cui all’art. 498 c.p.c., il creditore procedente è tenuto a dargli avviso della procedura esecutiva.

Dalla lettera della norma emerge, altresì, come per questo tipo di creditori, al fine di consentirne l’intervento senza titolo esecutivo, è necessario che la causa di prelazione risulti da pubblici registri; conseguentemente, risulterebbero esclusi le cause di prelazione per cui non è prevista la pubblicità.

Una simile limitazione ha fatto sorgere non poche critiche tra gli studiosi. Alcuni hanno critica tale scelta ritenendo che, pur stante la discrezionalità di cui gode il legislatore nel disciplinare la par condicio creditorium, tale libertà vada esercitata comunque nel rispetto dei principi costituzionali, ritenendo che l’attuale formulazione, invece, violerebbe i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 della nostra carta fondamentale[11].

2.2. Sui creditori il cui credito risulta dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.

Una particolare ipotesi di legittimazione ad intervenire nella procedura esecutiva, e che merita un approfondimento, è rappresentata dalla previsione di cui all’art. 499 co. 1 c.p.c. nella parte in cui consente l’intervento ai creditori che al momento del pignoramento erano titolari di un credito di somma di denaro “risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.”.

Questa peculiare legittimazione ad intervenire, tuttavia, ha comportato non pochi dubbi interpretativi in considerazione della sua generica formulazione. Difatti, la norma in esame si limita a richiamare genericamente le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. e, dalla lettera della previsione normativa, appare evidente come si riferisca esclusivamente agli imprenditori commerciali o, comunque, a coloro che sono titolari di imprese soggette a registrazione.

Del resto le scritture contabili previste dall’art. 2214 c.c.[12] sono il libro giornale, il libro degli inventari ed il fascicolo della corrispondenza. Orbene, i titolari dei crediti che si evincono dalle predette scritture sarebbero legittimati ad intervenire nella procedura esecutiva, anche se sprovvisti di titolo esecutivo.

Tuttavia in considerazione dell’esplicito richiamo alla norma del Codice, l’interpretazione maggioritaria avutasi in dottrina è nel senso di escludere che le scritture contabili tributarie ovvero quelle di cui all’art. 50 del Testo Unico Bancario consentano al creditore di intervenire anche sprovvisto di titolo che, dunque, può essere spiegato dagli imprenditori commerciali e solo in riferimento alle scritture contabili esplicitamente richiamate dall’art. 2114 c.c.[13][14]

A parere di molti, invero, la ratio di tale norma sarebbe di evitare che l’imprenditore/creditore ricorra ad un procedimento monitorio (quale alternativa all’intervento in una procedura esecutiva già in essere). Alla luce di ciò, ancor più irragionevole apparirebbe la scelta di limitare la possibilità di intervento ai soli crediti risultanti dalle scritture contabili predette con la mancata estensione, invece, ad altri tipi di scritture contabili[15] che pur sempre consentono di procedere al ricorso per emissione di decreto ingiuntivo[16].

A tal proposito, inoltre, si evidenzia come, indipendentemente dall’irragionevolezza di tale limitazione rispetto a quello che par essere l’intento del legislatore, parte della dottrina ha anche ritenuto che una simile determinazione comporti un privilegio per alcuni creditori a discapito di altri, ossia tra imprenditori e non imprenditori, e che, conseguentemente, debba ritenersi che la previsione in esame violi il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

In merito a quest’ultima quaestio si rammenta come tale dubbio di costituzionalità sia stato sollevato dal Tribunale di Napoli: la Corte Costituzionale[17], tuttavia, ha considerato tale disposizione “chiaramente derogatoria rispetto al principio della par condicio creditorium[18] e, pertanto, ha ritenuto la questione manifestamente infondata, chiarendo come in considerazione del carattere derogatorio e speciale della norma in questione non fosse possibile una pronuncia additiva[19].                       

2.3. Sui creditori intervenuti senza titolo esecutivo in generale

Bisogna osservare come nel caso di intervento “non titolato”, creditore non possa provocare i singoli atti esecutivi (es. non può proporre istanza di vendita), ma ciò non toglie che anche a tali creditori spetti un ruolo nello svolgimento della procedura esecutiva.

Difatti, tenuto conto dell’evoluzione normativa avutosi in materia di intervento nell’esecuzione, l’intervento garantisce anche ai creditori sprovvisti di titolo esecutivo di partecipare alla distribuzione della somma ricavata. Tuttavia tale partecipazione è pur sempre subordinata al “riconoscimento” del credito da parte del debitore.

A tal proposito, si rammenta come, ai sensi dell’art. 499 co. 6 c.p.c, sia previsto per tale peculiare categoria di creditori intervenuti un procedimento incidentale detto “procedimento di riconoscimento”.

Affinché vi sia l’instaurazione di tale sub-procedimento, è necessario che il creditore sfornito di titolo esecutivo notifichi il relativo atto di intervento al debitore entro 10 giorni dall’avvenuto deposito (così come previsto ai sensi dell’art. 499 co. 3 c.p.c.). Il G.E. fisserà nel termine di 60 giorni l’udienza per il riconoscimento: può osservarsi come tale termine non risulti perentorio; tuttavia è essenziale che la predetta udienza si celebri in data anteriore a quella della vendita al fine di consentire a questi di partecipare a pieno titolo alla distribuzione[20].

In ogni caso, l’eventuale riconoscimento del credito ha valenza esclusivamente ai fini dell’esecuzione, come chiarito dall’art. 499 co. 6 c.p.c. (“i creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla distribuzione della somma ricavata per l'intero ovvero limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale”). Il riconoscimento, totale ovvero parziale, non è equiparabile all’ottenimento di un titolo esecutivo; tuttavia consente al creditore intervenuto senza titolo di poter essere soddisfatto relativamente alle somme riconosciute, senza dover provvedere a munirsi di titolo[21].

Nell’ipotesi in cui, invece, vi sia il disconoscimento del debito, la predetta norma stabilisce che “i creditori intervenuti i cui crediti siano stati viceversa disconosciuti dal debitore hanno diritto, ai sensi dell'articolo 510, terzo comma, all'accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi all'udienza di cui al presente comma, l'azione necessaria affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo”.

Quindi il creditore, il cui credito non sia stato riconosciuto, può comunque agire formulando un’apposita istanza per far sì che il predetto sia accantonato; ma egli è onerato di dimostrare di aver intrapreso, entro il termine di 30 giorni dall’udienza di riconoscimento, le azioni necessarie per munirsi di titolo esecutivo[22].

Risulta opportuno precisare come la dottrina abbia evidenziato che la legittimazione all’intervento senza titolo esecutivo sarebbe valida per “qualsiasi credito”[23]; tale orientamento, però, non è stato condiviso da tutti gli esponenti dottrinali sull’assunto per cui non è consentito l’intervento al creditore che abbia eseguito il sequestro dopo il pignoramento[24], né tantomeno a colui il cui credito risulti da scrittura contabile ex art. 2114 c.c. in virtù di annotazione successiva al pignoramento[25].

2.4. Sulle altre categorie di creditori

Oltre le categorie di creditori enunciate dall’articolo in esame, deve ritenersi ammissibile anche l’intervento per quei soggetti legittimati in virtù di specifiche disposizioni: ad esempio, nel caso di creditori che abbiano ottenuto, prima del pignoramento, con provvedimento di urgenza una condanna al pagamento di somme di denaro[26].

2.5. I creditori intervenuti tardivamente

Pur non rappresentando una specifica categoria di creditori, è bene soffermarsi ad analizzare anche quella che risulta essere la posizione dei creditori intervenuti tardivamente.

Come si è avuto modo di illustrare, la normativa codicistica prevede che il ricorso per intervento debba essere depositato prima che sia disposta l’istanza di vendita ovvero l’assegnazione. Orbene, nonostante tale previsione, non sembra che l’intento del legislatore fosse quello di escludere un intervento tardivo.

Difatti, pur osservando quanto previsto dall’art. 499 c.p.c. e confrondolo con l’intero impianto normativo previsto in materia, si possono trarre due distinte conclusioni: che l’intervento sia ammissibile solo se presentato prima dell’istanza di vendita/assegnazione ovvero, e quest’ultimo orientamento risulta quello maggiormente condiviso, che in ogni caso siano consentiti interventi tardivi.

In ogni caso, è d’uopo osservare il termine ultimo di ammissibilità dell’intervento relativamente alla specifica esecuzione:

  1. Nell’esecuzione mobiliare: ai sensi dell’art. 525 c.p.c., il deposito dell’atto di intervento deve avvenire prima dell’udienza per l’autorizzazione alla vendita/assegnazione ovvero, nel caso di esecuzione avente valore inferiore ad € 20.000,00, ex art 529 c.p.c., prima dell’udienza in cui viene formulata l’istanza di vendita. Tuttavia, l’art. 528 c.p.c. stabilisce che oltre tale termine l’intervento si considera tardiva ma è comunque ammissibile sino a che non vi sia il provvedimento che dichiara la distribuzione.
  2. Nell’espropriazione presso terzi: la disciplina è la medesima prevista per l’esecuzione mobiliare con la sola peculiarità che l’intervento, ai sensi dell’art. 526 c.p.c., è considerato tempestivo se depositato entro la prima udienza fissata per la comparizione delle parti. Può, pertanto, ritenersi ammissibile l’intervento sino all’assunzione del provvedimento di assegnazione delle somme.
  3. Nell’esecuzione immobiliare: si considera tempestivo l’intervento depositato non oltre l’udienza con cui viene autorizzata la vendita però può ritenere che l’intervento sia possibile fino all’udienza di cui all’art. 596 c.p.c.[27] ovvero fino alla discussione ed approvazione del piano di riparto[28].

 

3. L’intervento nella procedura esecutiva immobiliare

L’atto introduttivo della procedura esecutiva immobiliare è costituito dal pignoramento immobiliare che, ai sensi dell’art. 555 c.p.c., si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione dell’atto di pignoramento in cui sia specificatamente individuato l’immobile ipotecato che si intende sottoporre ad esecuzione.

Si tratta di una fattispecie avente carattere unitario benché, secondo parte della dottrina, sia a formazione progressiva: si attua infatti in due fasi, la prima rappresentata dalla notifica del pignoramento e la seconda dalla trascrizione dell’atto. Secondo tale orientamento, la notifica dell’ingiunzione al debitore segna l’inizio del processo esecutivo mentre la trascrizione completa il pignoramento in quanto consente la produzione dei suoi effetti sostanziali nonché di pubblicità nei confronti dei terzi (non ha una funzione meramente pubblicitaria in quanto rappresenta il presupposto indefettibile tanto è che per l’orientamento maggioritario è un elemento costitutivo).

Ai sensi dell'art. 564 c.p.c. i creditori intervenuti prima dell’udienza di autorizzazione della vendita partecipano all’espropriazione dell’immobile prenotato e, se muniti di titoli esecutivi, possono provocarne i singoli atti. L’art. 566 c.p.c. prevede che la tardività dell’intervento incida soltanto per i creditori chirografari ai quali è riconosciuto il diritto a concorrere nella fase distributiva sul solo sopravanzo mentre non produce conseguenze per i creditori privilegiati.

Ai sensi dell'art. 499 c.p.c., come si è avuto modo di illustrare, possono intervenire nell'esecuzione i creditori muniti di titolo esecutivo (così detti creditori titolati), nonché i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri ovvero erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all'articolo 2214 c.c. (così detti creditori non titolati).

Nell’atto di intervento, per cui l’art. 499 co. 2 c.p.c. prevede la forma del ricorso, va redatto in forma scritta con l’assistenza di un legale[29]. In tale atto deve essere indicato il credito ed il titolo da cui deriva nonché la dichiarazione di voler partecipare alla somma ricavata. Deve osservarsi che nel caso di creditore intervenuto nell’esecuzione mobiliare o presso terzi, l’oggetto dell’atto di intervento deve essere necessariamente un credito certo, liquido ed esigibile; diversamente nella procedura immobiliare sono ammessi ad intervenire anche i creditori il cui credito non sia ancora esigibile (es. perché sottoposto a condizione ovvero ad un termine), la ratio è di evitare che il creditore, per la sola mancanza del requisito di esigibilità, non possa vedere soddisfatto il suo credito in quanto la vendita farebbe venir meno la garanzia del debitore.

L'art. 500 c.p.c. prosegue affermando che i creditori intervenuti hanno il diritto di:

1. concorrere nella distribuzione della somma ricavata dalla vendita;

2. partecipare all'espropriazione;

3. provocarne i singoli atti.

Per l’esecuzione immobiliare, ai sensi dell’art. 564 c.p.c. i creditori muniti di titolo esecutivo intervenuti possono provocare i singoli atti della procedura esecutiva.

Il creditore titolato, pertanto, viene considerato dal legislatore come legittimato a promuovere e coltivare la procedura, il che vuol dire che in presenza di un intervento titolato la procedura prosegue anche nell'inerzia del creditore procedente.

A questa logica si ispira l'art. 629 c.p.c. il quale a proposito dell'estinzione della procedura esecutiva per rinuncia sancisce che prima dell'aggiudicazione la procedura si estingue se rinunciano ad essa "il creditore pignorante e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo", del resto i creditori in possesso di un titolo esecutivo sono titolari di una pretesa nei confronti del debitore, e quindi legittimati a coltivare la procedura. Pertanto, l'atto di intervento da parte del creditore munito di titolo esecutivo rende irrilevante la eventuale rinuncia del creditore procedente, poiché la procedura esecutiva è in grado di seguire comunque il suo corso.

Anche sul versante sostanziale si registra la medesima impostazione: negli artt. 2913, 2914 e 2915, 2917 e 2918 c.c. che gli atti di disposizione successivi al pignoramento non hanno effetto in pregiudizio non solo del creditore pignorante ma anche di quelli che intervengono nell'esecuzione.

Da questo quadro normativo si evince che il creditore intervenuto non ha la necessità di trascrivere un nuovo atto di pignoramento, poiché gli effetti prenotativi di quello compiuto dal creditore procedente spiegano i loro effetti con riferimento alla procedura esecutiva globalmente ed unitariamente considerata, e quindi, per espressa previsione normativa, anche nei confronti dei creditori intervenuti.

Tale assunto è stato confermato dalla pronuncia delle SS.UU. che hanno precisato come "nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell'interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Ne consegue che, qualora, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante" (Cass. S.U. 7 gennaio 2014, n. 61).

Le SS.UU. hanno pertanto sancito il generale principio per cui “nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipano più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva”.

Invero, rilevanti problemi si pongono quante volte l'atto di intervento viene depositato prima ovvero dopo la dichiarazione di rinuncia da parte del creditore procedente, ma prima del provvedimento di estinzione della procedura adottato dal giudice dell'esecuzione: difatti, le SS.UU. nella già citata pronuncia hanno osservato che “a) se l’azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l’intervento, poiché nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento al quale gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile; b) se il difetto del titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario o sopravvenuto, posto che solo il primo impedisce che l’azione esecutiva prosegua anche da parte degli intervenuti titolati, mentre il secondo consente l’estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finché il titolo del creditore procedente ha conservato validità”.

Invero, a fronte di primo un orientamento secondo il quale l'estinzione del processo esecutivo a seguito di rinuncia si verifica, al pari di quella prevista dall'art. 306 c.p.c., richiamato dall'art. 629 c.p.c., solo con l'ordinanza del giudice, per cui, fino a quando non è emesso tale provvedimento, i creditori possono intervenire (Cass. civ., 14 marzo 2008, n. 6885), si deve registrare un più recente indirizzo in forza del quale "l'estinzione del processo esecutivo si verifica per effetto della sola rinuncia dell'unico creditore, avendo il provvedimento di estinzione del giudice dell'esecuzione natura meramente dichiarativa: ne deriva che, dopo il deposito dell'atto di rinuncia, non è più ammesso l'intervento di altri creditori” (Cass. civ., 21 novembre 2017, n. 27545).

4. Conclusioni

Alla luce del quadro appena delineato, e considerata l’evoluzione normativa sviluppatasi, appare evidente come lo scopo cui si ispira l’intervento sia di garantire la soddisfazione dei creditori, ma anche di snellire il procedimento esecutivo. Del resto, si è avuto modo di osservare come l’intervento nella procedura esecutiva eviti il proliferare di più pignoramenti che mirino ad aggredire i medesimi bene.

Particolarmente interessante risulta essere la disciplina dettata in riferimento al creditore privo di titolo esecutivo che con la procedura di riconoscimento può addirittura far a meno di munirsi di tale titolo.

Eppure, ciò che appare evidente è come la disciplina sia segnata da una certa disorganicità, sintomo di una riforma avutasi a tappe col susseguirsi di interventi normativi. Tant’è che talune norme possano apparire contraddittorie (si pensi alla problematica relativa alla tempestività e tardività dell’intervento) ovvero lacunose (palese è il riferimento al creditore che vanti un credito che risulti dalle scritture contabili in cui il legislatore ha fatto riferimento esclusivo all’art. 1214 c.c., non estendendo tale possibilità ad altre scritture contabili pur sempre obbligatorie come quelle previste in materia tributaria).

E’ opinione dello scrivente, in definitiva, che taluni dubbi interpretativi non possano essere sciolti ricorrendo agli orientamenti dottrinali ovvero alla giurisprudenza, bensì sarebbe auspicabile un intervento legislativo che miri a riformare in maniera organica la disciplina

Note e riferimenti bibliografici

[1] C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto processuale civile. Libro III – L’esecuzione forzata, i procedimenti speciali, l’arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, Editio minor, Dodicesima ed., Giappichelli editore, 2015, pp.58 e ss.

[2] C. Mandrioli, A Carratta, Corso di diritto processuale civile, Vol. III – L’esecuzione forzata. I procedimenti speciali. L’arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, Editio minor, XXII ed., 2015, G. Giappichelli editore – Torino, pp.61 e ss.

[3] La dottrina risultava divisa sulla possibile partecipazione dei creditori il cui credito non fosse immediatamente esigibile (in quanto sottoposto a termine e condizioni) e si segnala come sul punto come la prevalenza degli studiosi si fosse orientata nel ritenere che tali creditori non potessero intervenire nella procedura esecutiva.

[4] A. Nascosi, Contributo allo studio sulla distribuzione della somma ricavata nella procedura di espropriazione forzata, Juvene editore, 2013, pp. 3 e ss.

[5] L’art. 527 c.p.c., abrogato ad opera della legge n. 80/2005, prevedeva che l’istituto dell’estensione del pignoramento fosse limitata alla sola espropriazione mobiliare; con la sua abrogazione e le modifiche apportate all’art. 499 c.p.c. che costituisce la norma che regola l’intervento del creditore nella procedura esecutiva, il legislatore ha intesto prevedere all’estensione del pignoramento un carattere generale così da consentirne l’applicazione indipendentemente dal tipo di pignoramento.

A.M. Soldi, Formulario dell’esecuzione forzata, CEDAM, 2009, pp. 354 e ss.

[6] B. Capponi, Studi sul processo di espropriazione forzata, Giappichelli, 1999, pp. 190 e ss.

[7]Osserva preliminarmente questa Corte che nella procedura esecutiva immobiliare, l'art. 563 c.p.c. non richiede, per l'intervento dei creditori, a differenza dell'art. 525 c.p.c., concernente l'esecuzione mobiliare, gli estremi della liquidità ed esigibilità del credito, ma solo il requisito della certezza. Costituendo tale requisito una condizione dell'intervento il giudice dell'esecuzione deve di volta in volta, anche d'ufficio accertarne la sussistenza, al fine di ammettere o meno l'intervento (Cass. 2.4.1981, n. 1870). Sennonché detto principio va coordinato con l'altro, egualmente affermato da questa Corte, secondo cui l'art. 563 c.p.c., nel disciplinare l'intervento nelle esecuzioni immobiliari, si richiama al precedente art. 499 c.p.c., dal quale si evince che il ricorso per intervento deve contenere la sola indicazione del credito e del titolo di esso, senza che sia necessario corredare la domanda con il titolo stesso, la cui esibizione è necessaria solo per provocare atti di esecuzione e per partecipare al riparto (Cass. 5.11.1976; Cass. 11.4.1972, n. 1126). Da ciò consegue da una parte che il requisito della certezza non si identifica con la produzione del titolo giustificativo del credito e dall'altra che, in ogni caso, l'inammissibilità dell'intervento per mancanza del requisito formale, costituito della certezza del credito può essere fatta valere solo con opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 3860 del 1976; Cass. n. 640 del 1975)” così la S.C. con la sent. n. 9194 del 1999.

[8] L’art. 498 c.p.c. recita “Debbono essere avvertiti dell'espropriazione i creditori che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. A tal fine è notificato a ciascuno di essi, a cura del creditore pignorante ed entro cinque giorni dal pignoramento, un avviso contenente l'indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate  In mancanza della prova di tale notificazione, il giudice non può provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita.”  La dottrina ha specificato come il termine previsto per la notifica sia perentorio mentre risulta dibattuta quale sia la conseguenza in caso di omessa notifica. Taluni sostengono che la mancata notificazione produca soltanto l’improcedibilità della vendita o dell'assegnazione e pertanto l’istanza rimarrebbe sospesa; altri, invece, ritengono che si possa procedere ugualmente alla vendita od assegnazione ma il creditore procedente sarà tenuto risarcire, ai sensi dell’art. 2043 c.c., i creditori i cui privilegi risultino dai pubblici registri per i danni da questi patiti.

[9] La dottrina ha osservato come, sebbene l’intento del legislatore fosse creare una sorta di “scorciatoia” per i creditori sforniti di titolo esecutivo, la procedura del riconoscimento del credito da parte del debitore si sia rilevata, nella realtà, un meccanismo farraginoso (A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, op. cit.) e come, piuttosto che accelerare, il procedimento vada invero a renderlo ancor più pensante e meno fluido (Barreca, Intervento dei creditori e il piano di riparto nelle procedure esecutive immobiliari riformate, in Riv. Esec. Forz. 2007, pp. 23 e ss.).

[11] S. Ziino, Intervento, in AA. VV., Riforma del processo civile, commentario di F. Cipriani e G. Monteleone, cit., pp. 1053 e ss.

[12] L’art. 2214 c.c. prevede, al comma 1 e 2, quanto segue: “L'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite.”

[13] Come chiarito anche dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 202 del 2001 “l'art. 499 cod. proc. civ. non riconosce la possibilità di intervenire - senza titolo esecutivo o sequestro o pegno - a soggetti diversi dagli imprenditori, atteso che la disposizione processuale rinvia alle scritture contabili di cui all'art. 2214 cod. civ., e che, in particolare, lo stesso art. 499 cod. proc. civ. consente l'intervento dell'imprenditore richiedendo la documentazione sufficiente a fondare l'emissione del decreto ingiuntivo”.

[14] Si segnala, inoltre, come vi siano molti dubbi sull’ammissibilità di un intervento fondato su fattura: difatti, qualora tale fattura risulti regolarmente registrata in contabilità in data antecedente al pignoramento e autenticata da notaio, potrebbe ritenersi che vi siano le circostanze per l’ammissibilità dell’intervento. Tuttavia, sul punto al momento non si rinvengono pronunce a suffragio di tale possibilità.

[15] Appare d’uopo rammentare come, ai sensi dell’art. 634 c.p.c., in riferimento alla prova scritta necessaria ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, reciti “sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli art. 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l’osservanza delle norme stabilite per tali scritture.”

[16] S. Saija, L'intervento dei creditori dopo la riforma e la par condicio creditorum, su Rivista online In executivis.it, pubb. il 15.03.2018, Link.

[17] Ordinanza n. 202 resa in data 4 luglio 2011.

[18]Una disposizione avente chiaramente carattere derogatorio rispetto al principio della par condicio creditorum ad ipotesi diverse da quella per la quale essa è stata dettata, e che è quella del creditore di somma di danaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 cod. civ., in contrasto con il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale – quale quella impugnata – senza che sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto (ex plurimis: sentenze n. 96 del 2008; n. 439 del 2007; n. 149 del 2005; ordinanza n. 144 del 2007).” così C. Cost., ordinanza n. 202/2011.

[19] “Non sembrano prospettabili opzioni ermeneutiche costituzionalmente orientate della norma censurata, atteso che la previsione è certamente chiara nel riferirsi solo ed esclusivamente ai creditori muniti delle scritture ex art. 2214 cod. civ., sicché estenderne l’applicazione anche ad altri creditori muniti di documentazione ritenuta idonea si risolverebbe in una vera e propria sentenza manipolativa additiva non consentita al giudice rimettente” così C. Cost., ordinanza n. 202/2011.

[20] Come osservato da A.M. Soldi, op. cit., pp. 394-396, deve ritenersi che la previsione dell’art. 499 c.p.c. 2 c.p.c. che indica quale termine per il deposito dell’intervento una data antecedente all’udienza in cui sia disposta la vendita o l’assegnazione. Tuttavia tale disposizione si ritiene dover essere riferita esclusivamente ai creditori intervenienti senza titolo, in quanto la tempistica prevista è la medesima stabilita perché possano beneficiare del “riconoscimento”.

[21] Parte della dottrina ritiene di poter definire il procedimento di riconoscimento come una sorta di “scorciatoia” (cit. A.M. Soldi) che fa sì che il creditore intervenuto senza titolo non debba ottenere il titolo esecutivo; diversamente qualora il riconoscimento abbia esito negativo, al creditore intervenuto privo di titolo non resterebbe che munirsi di titolo esecutivo, potendosi limitare a chiedere che le somme a lui spettanti siano accantonate.

[22] Non deve trattarsi necessariamente di un procedimento di cognizione ordinario, essendo sufficiente anche un ricorso per decreto ingiuntivo, un ricorso cautelare ovvero l’istanza per l’ottenimento di un’ordinanza anticipatoria di condanna.

[23] G. Canale, Le recenti riforme del processo civile. Commento all’art. 499 c.p.c., Zanichelli, Bologna, 2006, pp. 700 e ss.

[24] In merito alla previsione per cui non sarebbe consentito l’intervento al sequestrante privo di titolo esecutivo che abbia effettuato il sequestro successivamente al pignoramento, taluni hanno criticato la scelta del legislatore ritenendo che vada a pregiudicare i diritti di credito del sequestrante mentre altri hanno, invece, sostenuto la ragionevolezza di tale previsione. Difatti, l’intervento del creditore munito di titolo esecutivo è ammesso nel corso del processo e dunque il sequestrante che abbia effettuato il sequestro solo dopo il pignoramento avrebbe quale unico pregiudizio quello della tempestività dell’intervento, potendo comunque ottenere un titolo esecutivo ed intervenire nella procedura.

[25] A.M. Soldi, Formulario dell’esecuzione forzata, CEDAM, 2009, pp. 378-379.

[26] A.M. Soldi, op. cit., p. 386.

[27]In tema di espropriazione immobiliare, il limite temporale ultimo dell’intervento del creditore munito di diritti di prelazione va individuato nel momento processuale in cui la udienza di cui all’art. 596 c.p.c. abbia avuto inizio (nella data e nell’ora fissate) e si sia ivi svolta un’attività di trattazione effettiva del progetto di distribuzione delle somme.” Così la S.C. con l’ordinanza n. 7810 del 2016.

[28] M. Pisanu, L’intervento dei creditori, in AA.VV., La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, Bologna, 2009, pp. 204 e ss.

[29] Non è possibile la costituzione del creditore personalmente bensì l’assistenza legale è un requisito indefettibile.