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Pubbl. Sab, 29 Giu 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

La Corte EDU nuovamente in tema di ne bis in idem: il caso Nodet c. Francia.

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Stefano Solidoro


Nelle pronuncia in esame, pur nel solco della giurisprudenza di A. e B. c. Norvegia, la Corte EDU prova a dialogare con la Corte di Giustizia: tentativo apprezzabile, che si scontra con la scarsa attenzione dedicata al fondamentale requisito della proporzionalità della pena, punto cruciale per la costruzione di una nozione comune di ne bis in idem


Sommario: 1.Premessa. 2. La vicenda. 3. Le statuizioni della Corte. 4. Brevi considerazioni critiche.

1. Premessa

Ancora una pronuncia[1] della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di bis in idem.

Questa volta, il Giudice di Strasburgo viene chiamato in causa dal signor Antoine Nodet, analista finanziario resosi colpevole di condotte manipolative del mercato azionario - l’equivalente del nostro art. 185 TUF - e per questo sanzionato in via amministrativa dall’Autorité des Marchés Financiers (AMF) nonché condannato dalla giustizia francese alla pena di tre mesi di reclusione, ai sensi dell’art. 465 del Code Monétaire et Financier (CMF).

In un arresto ricco di richiami alla giurisprudenza lato sensu europea, la Quinta Sezione concorda con il ricorrente nel ritenere violato il divieto posto all’art. 4 Prot. 7 CEDU[2], sulla base del collaudato criterio della close connection in substance and time, elaborato nella nota sentenza A e. B. contro Norvegia[3] e finora sempre confermato.

2. La vicenda

In breve, questi i fatti.

Nei primi mesi del 2006, per il tramite di quattro diversi conti bancari a lui direttamente o indirettamente riconducibili, il sig. Antoine Nodet compiva numerose operazioni di acquisto e vendita di azioni della Fromageries Paul Renard, società quotata, realizzando sostanziose plusvalenze.

Nel giugno 2006, tuttavia, l’AMF apriva un’inchiesta su tali manovre speculative, ritenute integranti un’ipotesi di manipolazione del mercato, punibile tanto ai sensi dell’art. 631, commi 1 e 2 del Regolamento Generale AMF, quanto ex art. 465 comma secondo del CMF.

Dalla dettagliata istruttoria emergeva in particolare come il serrato susseguirsi di ordini di vendita, sistematicamente annullati nei dieci minuti precedenti e seguenti al c.d. fixing del titolo, aveva determinato un anomalo innalzamento del valore delle azioni, a tutto vantaggio dello speculatore.

All’esito di una procedura in contraddittorio durata sino al dicembre del 2007, ai sensi del quindicesimo comma dell’art. 621 CMF l’Autorité irrogava al sig. Nodet una sanzione pecuniaria di € 250.000, con annessa pubblicazione della decisione, confermata poi tanto dalla Corte d’Appello che, nel novembre 2009, dalla Cour de cassation.

Nel frattempo, allertata dalla stessa AMF, anche la procura francese apriva un’inchiesta, culminata nell’aprile del 2009 con il rinvio a giudizio per il delitto di entrave au fonctionnement régulier d’un marché financier, come previsto all’art. 465, commi primo e secondo, del CMF. Nello specifico, al sig. Nodet venivano contestate le medesime operazioni speculative già a suo tempo attenzionate dall’AMF, messe in atto tra il gennaio ed il marzo 2006 in relazione ai titoli della Fromageries Paul Renard.

Il ricorrente faceva pertanto rilevare come nel caso di specie si profilasse una chiara lesione del principio del ne bis in idem, tutelato dall’art. 4 del Protocollo 7 C.E.D.U.: nondimeno, nel 2010 il Tribunale di primo grado condannava l’imputato a otto mesi di reclusione, evitando però di comminare un’ammenda tenuto conto della sanzione già irrogata dalla AMF.

Anche la Cour d’Appel di Parigi, nel 2012, confermava il giudizio di colpevolezza, pur riducendo la pena a soli tre mesi di reclusione. Con riferimento alla invocata violazione dell’art. 4 Prot. 7 C.E.D.U., il Giudice transalpino sottolineava che stante la c.d. clause de réserve formulata dalla Francia in merito alla disposizione convenzionale[4], per l’effetto quest’ultima doveva intendersi limitata ai soli procedimenti di competenza del Tribunale penale, con esclusione delle parallele procedure sanzionatorie di carattere amministrativo.

Dello stesso avviso, infine, la Corte di cassazione francese che, nel gennaio del 2014, rigettava il ricorso del sig. Nodet sulla scorta delle medesime argomentazioni, corroborate dall’analisi anche di altre fonti sovranazionali, quali l’art. 14 del Patto Internazionale relativo ai Diritti Civili e Politici[5] e, soprattutto, l’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea[6]: proprio in relazione agli obblighi europei in punto di tutela del mercato finanziario, anzi, si basava la stima di ragionevolezza del cumulo sanzionatorio, integrante un trattamento sanzionatorio effettivo, proporzionato e dissuasivo, preteso dall’Unione in siffatto ambito.

È a questo punto che il condannato si vedeva costretto ad adire la Corte EDU.

3. Le statuizioni della Corte

Come detto, la Quinta Sezione non si limita a utilizzare la propria giurisprudenza in tema di ne bis in idem, preferendo indagare la questione anche con riferimento ad alcuni importanti arresti della CGUE: l’approccio va senza dubbio condiviso, vertendosi in una materia che nell’acquis comunitario trova il suo terreno d’elezione.

La disamina della Corte si apre dunque citando le note pronunce Menci[7], Garlsson Real Estate[8] e Di Puma[9],  nelle quali il giudice lussemburghese, nella sua massima composizione, ritiene il doppio binario sanzionatorio astrattamente compatibile con l’art. 50 CDUE, a condizione che:

1) vi sia una ragione di interesse generale alla base del cumulo delle sanzioni;

2) sia assicurato un coordinamento tra procedure tale da limitare “au strict nécessaire” ogni aggravio di pena risultante;

3) la severità della sanzione complessiva venga comunque rapportata a quanto strettamente necessario, in rapporto alla gravità dell’infrazione commessa[10].

In particolare nelle ultime due sentenze citate, ambedue riguardanti la repressione dei reati finanziari nell’ottica della Direttiva 2003/6/CE, il giudice europeo sottolinea il carattere eccessivo e, quindi, l’illiceità di una sanzione amministrativa (di natura afflittiva) che colpisca un soggetto in merito ad un fatto, per il quale sia già stata pronunciata condanna definitiva ad una pena effettiva, proporzionata e dissuasiva, come tale sufficiente a stigmatizzare la condotta violativa degli interessi finanziari europei.

Tali autorevoli premesse sono dalla Corte EDU integrate con quanto sviluppato nei suoi precedenti arresti, nel tentativo di comporre uno statuto unitario del ne bis in idem europeo. 

Ed allora, in sintonia con il noto caso A e B. c. Norvegia viene ribadita la non contrarietà all’art. 4 Prot. 7 CEDU delle c.d. “procedure miste”, caratterizzate dalla circostanza di punire due volte un individuo per il medesimo fatto “in fasi parallele, gestite da autorità differenti e per finalità differenti”: ciò a patto che l’ordinamento preveda un “legame materiale e temporale sufficientemente stretto” tra le due procedure, tale per cui queste possano dirsi “integrate in un tutto coerente[11] .

Elementi sintomatici della close connection in substance and time in una procedura mista sono quindi:

1) le finalità complementari dei procedimenti che riguardano, tanto in astratto quanto in concreto, differenti profili di rimproverabilità della condotta;

2) la concreta prevedibilità, quale conseguenza del comportamento vietato, di una doppia procedura sanzionatoria;

3) lo stretto coordinamento tra le autorità competenti, così da evitare dispersioni o inutili rinnovazioni delle prove raccolte, in tal modo assicurando la medesima ricostruzione dei fatti per entrambi i procedimenti;

4) la necessità che nell’irrogare la seconda sanzione in ordine di tempo, l’autorità procedente tenga conto – meglio se in base ad un meccanismo compensatorio previsto a monte dalla legge - di quanto già comminato all’esito della prima procedura, scongiurando il rischio di una pena non proporzionata al fatto[12].

Tirate le somme, al Giudice di Strasburgo non resta che procedere ad applicare le su esposte coordinate ermeneutiche alla vicenda di causa, tentando di ricondurle ad unità, onde determinarsi sulla violazione o meno dell’art. 4 Prot. 7 CEDU.

In primo luogo, osserva la Corte, non vi è dubbio circa la “colorazione penale” della sanzione amministrativa inflitta dalla AMF al ricorrente[13], circostanza non contestata neanche dal Governo francese e suffragata da un’ampia casistica vertente su situazioni del tutto analoghe[14]: è un fatto, del resto, che il concetto di matière penale enucleato in ambito CEDU sia stato sposato dalla medesima Corte di Giustizia in plurimi arresti, così da contribuire a fornire una base quanto più certa possibile all’opera di armonizzazione europea del diritto lato sensu penale, specie in riferimento al settore economico-finanziario[15].

Parimenti incontrovertibile l’idem factum, ovvero la duplice contestazione del medesimo fatto storico, resa palese dai frequenti richiami che il giudice penale francese fa alla ricostruzione operata dalla AMF, ripresa in identici termini fin nel dettaglio.

In disparte, poi, la necessità o meno di una previa “decisione definitiva”, requisito del tutto secondario per la Corte[16] e che significativamente non viene più richiamato in A. e B. c. Norvegia, resta da indagare il cuore della censura di illegittimità avanzata dal sig. Nodet, vale a dire la sussistenza o meno di uno stringente legame sostanziale e di un coordinamento temporale tra le procedure.

La valutazione finale è negativa per entrambe le condizioni.

Rileva infatti la Corte EDU[17]come, sebbene entrambi i procedimenti di natura sanzionatoria potevano dirsi conseguenza, se non certa, quantomeno prevedibile della condotta illecita perpetrata, non è però dato riscontrare una “complementarità” degli stessi, i quali al contrario appaiono connotati da identiche finalità repressive. In altri termini, tanto l’AMF quanto la giurisdizione penale puniscono le medesime condotte manipolative, sulla base dell’art. 465 del CMF, apprezzandone il disvalore sotto un unico e costante profilo, in fatto ed in diritto: pertanto, concludono i giudici, non potendosi riscontrare “un legame sufficientemente stretto dal punto di vista sostanziale”, che solo la natura complementare delle finalità di tutela può conferire, va esclusa la compatibilità con la disciplina convenzionale della procedura mista.

Ma vi è di più, in quanto anche il coordinamento temporale difetta nel caso di specie.

Difatti, la Corte rileva[18] che dall’iniziale inchiesta della AMF, datata giugno 2006, alla pronuncia finale della Cassazione, intervenuta nel gennaio del 2014, siano passai ben sette anni e mezzo, periodo nel quale il ricorrente è rimasto troppo a lungo esposto all’alea del giudizio, subendone innegabile pregiudizio. A ciò deve aggiungersi l’inutile ripetizione di una parte dell’istruttoria, causata dal mancato coordinamento tra le autorità inquirenti nel corso di una procedura eccessivamente diluita nel tempo.

Per tutte queste ragioni, conclude la Quinta Sezione, il sig. Nodet ha subito “un pregiudizio non proporzionato” in conseguenza della doppia condanna ricevuta, che nel caso di specie non può dirsi esito di un procedimento integrato, dal punto di vista sostanziale e temporale, secondo quanto previsto ed imposto dall’art. 4 Prot. 7 CEDU.

4. Brevi considerazioni critiche

La pronuncia in esame appare apprezzabile per la continuità offerta all’interpretazione di un principio tra i più controversi dell’attuale panorama penalistico europeo. Opera quanto più pregevole ove si tenga conto del tentativo di elaborare una nozione di ne bis in idem di concerto alla Corte di Giustizia, nella consapevolezza della impraticabilità di un sistema “a compartimenti stagni” in relazione a fenomeni di evidente rilievo comune.

Ciò premesso, va semmai osservato che dopo aver citato la giurisprudenza CGUE sull’art. 50 della Carta di Nizza, che molta enfasi pone sul requisito della proporzionalità della pena complessivamente irrogata, proprio l’indagine sul rispetto di questa condizione risulta in realtà soltanto accennata dalla Corte. 

Invero, il Giudice EDU si limita soltanto a notare en passant nel par. 50 come il Tribunale di primo grado abbia preso in considerazione la sanzione amministrativa previamente irrogata, astenendosi dal comminare un’ammenda in aggiunta alla pena reclusiva; decisione poi confermata dalla Cour d’Appel, che ha inoltre ulteriormente ridotto la condanna.

Certo, il sorvolare della Corte sul punto può essere comprensibile a fronte di evidenti violazioni dei parametri stabiliti nella sua recente giurisprudenza in tema di ne bis in idem, relativi alla più volte citata close connection: tuttavia, anche dinanzi ad una “ragione più liquida” non può non sottolinearsi come il requisito della proporzionalità sia anch’esso condizione di legittimità delle procedure miste, tanto per il Giudice di Strasburgo quanto, soprattutto, per la Corte di Giustizia.

Se dunque, come traspare dalle premesse della sentenza Nodet, la volontà è quella di dialogare sempre più con l’ordinamento comunitario, sarebbe stato auspicabile un focus sul carattere proporzionato o meno della sanzione finale, vero e proprio trait d’union tra le diverse declinazioni del divieto di bis in idem europeo.

Tanto più che, nella vicenda in esame, i giudici francesi sembrano appunto aver operato tenendo in considerazione l’esigenza di coordinare la risposta punitiva, pur nell’assenza, in quel momento[19], di un meccanismo legale di compensazione delle sanzioni.

Sul punto, ci si permette di segnalare una recente pronuncia del Tribunale di Milano di indubbio interesse[20], nella quale il giudice meneghino affronta una situazione di cumulo sanzionatorio non troppo dissimile da quella fin qui analizzata, risolvendola proprio alla luce del principio di proporzionalità, in mancanza di indicazioni normative certe.

Ad opinione di chi scrive, è proprio sul piano della razionalità, necessità e coerenza dell’intervento punitivo che, nel prossimo futuro, dovranno concentrarsi gli sforzi degli interpreti, impegnati nella difficile opera di conciliazione tra sistemi sanzionatori a doppio binario e rispetto del ne bis in idem: criteri facenti capo a caratteristiche più o meno delineabili di struttura e celerità delle procedure, infatti, sono destinati inevitabilmente a scontrarsi con le profonde differenze insite nei vari ordinamenti, finendo per essere condizionati da fattori pratici (es. carenze di personale e di mezzi, eccessivo carico di procedimenti) piuttosto che a considerazioni di giustizia sostanziale.

Al contrario, la proporzionalità della pena complessiva, riflesso (tra gli altri) dei principi di necessità e colpevolezza, rappresenta una sicura stella polare verso cui orientare ogni riflessione in merito.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte EDU (Quinta Sezione), sent. 06 giugno 2019, Nodet c. France.

[2] Art. 4 - Ne bis in idem

1. Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni di cui al paragrafo precedente non impediranno la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se dei fatti nuovi o degli elementi nuovi o un vizio fondamentale nella procedura antecedente avrebbero potuto condizionare l’esito del caso.

3. Nessuna deroga a questo articolo può essere autorizzata ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione.

[3] Corte EDU (Grande Camera), sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia.

[4] Nel costituirsi in giudizio, peraltro, il Governo francese ha rinunciato espressamente ad avvalersi della suddetta clausola.

[5] Articolo 14 […]

7. Nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena, per un reato per il quale sia stato già assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun paese.

[6] Articolo 50 - Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato.

Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.

[7] CGUE (Grande Sezione), sent. 20 marzo 2018, Menci, (C‑524/15).

[8] CGUE (Grande Camera), sent. 20 marzo 2018, Garlsonn Real Estate, (C-537/16).

[9] CGUE (Grande Camera), sent. 20 marzo 2018, Di Puma, (C‑596/16).

[10] Menci, cit., par. 63.

[11] Parr. 41-42 della sentenza in commento (nostra traduzione dal francese), che richiamano a loro volta i parr. 129 e 130 di A. e B. c. Norvegia.

[12] A. e B. c. Norvegia, par. 132.

[13] Nodet c. Francia, par. 43.

[14] Tra le quali non può non spiccare la nota Corte EDU (Seconda Sezione), Grande Stevens e altri c. Italia, sentenza 4 marzo 2014.

[15] Oltre alle importanti pronunce precedentemente citate, si segnala anche CGUE (Grande Sezione), sent. 26 febbraio 2013, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson, (C-617/10).

[16] Sebbene sia riscontrabile un fugace riferimento nella recente Corte EDU (Seconda Sezione) sent. 16 aprile 2019, Bjarni Armannsson c. Islanda, sulla quale si veda il commento di A. GALLUCCIO, Non solo proporzione della pena: la Corte EDU ancora sul bis in idem, in www.penalecontemporaneo.it .

[17] Nodet c. Francia, parr. 47-50.

[18] Ibidem, parr. 51-54.

[19] Nel giugno del 2016, all’esito di una declaratoria di illegittimità da parte del Conseil constitutionnel, il Parlamento francese ha infatti modificato l’art. 465 CMF, istituendo un’apposita procedura di raccordo tra autorità operanti nel settore della tutela dei mercati, con l’obiettivo di contemperare sanzioni di diversa natura.

[20] Trib. Milano, sent. 15 novembre 2018 (dep. 1° febbraio 2019), Pres. Zucchetti, Est. Secchi, commentata da F. MUCCIARELLI, "Doppio binario" sanzionatorio degli abusi di mercato e ne bis in idem: prime ricadute pratiche dopo le sentenze della cgue e la (parziale) riforma domestica, in www.penalecontemporaneo.it . Nella sentenza il Tribunale del capoluogo lombardo ritiene di dover punire ex art. 185 TUF, con il minimo della pena, un fatto già oggetto di sanzione amministrativa CONSOB, il cui valore supera però di molto il minimo edittale previsto dall’art. 185 TUF. L’obiettivo di una sanzione proporzionata viene perseguita dai giudici attraverso un’applicazione innovativa dell’art. 187 terdecies, recentemente modificato la fine di coordinare le sole sanzioni pecuniarie in situazioni analoghe: il Tribunale, previo ragguaglio dell’eccedenza di multa in pena detentiva, procede quindi a defalcare otto mesi di reclusione dalla pena astrattamente irrogabile.