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Pubbl. Lun, 10 Giu 2019

Prostituzione: la Consulta salva la Legge Merlin

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Secondo la Corte Costituzionale, anche nell’attuale momento storico la scelta di “vendere sesso” è quasi sempre determinata da fattori – di ordine non solo economico, ma anche affettivo, familiare e sociale – che limitano e condizionano la libertà di autodeterminazione dell’individuo.


Vari esponenti del Governo e della maggioranza parlamentare discutono circa la regolamentazione della prostituzione. In particolare la proposta è stata recentemente avanzata dal Ministro dell’Interno, che ha auspicato l’introduzione di una disciplina per la legalizzazione della prostituzione, al fine di renderla protetta e controllata.

Qual è oggi lo stato della legge? La prostituzione è compatibile con i principi della nostra Costituzione? Sulla questione della legittimità della prostituzione è intervenuta recentemente la Corte costituzionale (sent. n. 141/2019), che si è pronunciata sulla legittimità della cosiddetta legge Merlin.

La questione è assai spinosa, perché da un lato il giudice rimettente portava un argomento tutto sommato logico. A parte le ipotesi in cui le donne siano forzate o obbligate, be’ si può argomentare che la condotta di donne che hanno liberamente scelto di operare lo scambio contrattualistico tra il piacere procurato a terzi (mediante la libera cessione della loro sessualità) e quello di poter acquisire vantaggi economicamente apprezzabili non sia riprovevole. D’altra parte si dovrebbe riconoscere che queste attività null’altro sarebbero se non un esercizio libero della libertà di autodeterminazione sessuale nell’ambito della tutela accordata dall’articolo 2 della Costituzione. Insomma, la legge Merlin sarebbe ormai superata da una lettura della Costituzione più attenta ai concreti rapporti sociali.

E invece no.

La Corte costituzionale ha salvato la legge Merlin perché ha sostenuto che anche nell’attuale momento storico, e al di là dei casi di “prostituzione forzata”, la scelta di “vendere sesso” è quasi sempre determinata da fattori – di ordine non solo economico, ma anche affettivo, familiare e sociale – che limitano e condizionano la libertà di autodeterminazione dell’individuo.

La Corte, insomma ci dice che, in questa materia, la linea di confine tra decisioni autenticamente libere e decisioni che non lo sono è difficile da marcare.

A questa considerazione, la Corte affianca anche preoccupazioni di tutela delle stesse persone che si prostituiscono per effetto di una scelta (almeno inizialmente) libera e consapevole. Ciò in considerazione dei pericoli cui esse si espongono nell’esercizio della loro attività. Cioè pericoli connessi al loro ingresso in un circuito dal quale sarà poi difficile uscire volontariamente, stante la facilità con la quale possono divenire oggetto di indebite pressioni e ricatti, nonché ai rischi per l’integrità fisica e la salute, cui esse inevitabilmente vanno incontro nel momento in cui si trovano isolate a contatto con il cliente.

Insomma, a seguito di questa pronuncia della Corte restano reato tutte le condotte di favoreggiamento, di sfruttamento, di induzione e di favoreggiamento così come tutte le condotte di prostituzione minorile.

Per effetto della depenalizzazione non sono più reato, ma illecito amministrativo le condotte di atti osceni in luogo pubblico, per cui si rischiano fino a 30mila euro di sanzione.

Insomma, ad oggi, al di là degli annunci di natura sensazionalistica, è necessario, se si vuole riformare la questione, un serio e puntuale intervento del parlamento, che disciplini con legge ordinaria un settore che necessita sempre di più, di una disciplina puntuale.