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Pubbl. Mer, 19 Giu 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

I nuovi orizzonti professionali della criminologia specializzata in Italia. Riforma e spunti di riflessione

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Domenico Piccininno


Le criticità del sistema giuridico nazionale in ordine alla figura del ”criminologo specializzato” e i suoi possibili sbocchi professionali concreti nel mercato italiano.


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Sommario: 1. Premessa; 2. Gli sbocchi professionali del criminologo; 2.1. Il procedimento penale; 2.2. Attività investigativa, di prevenzione e di sicurezza urbana.

1. Premessa 

L’oggetto principale di studio della criminologia è la condotta socio-bio-psicologica deviante dell’uomo e di tutti i suoi derivati (relazione con la vittima ad es.) attraverso molteplici e interconnessi saperi specializzanti nel campo umanistico e scientifico.

Il fulcro della criminologia è quello di studiare soprattutto la condotta criminale su scala individuale e sociologica e, quindi, di comprenderne le cause eziologiche e se queste possono essere ricondotte a multi-fattori di carattere genetico, biologico e socio-ambientale (tesi prevalente) o da un unico fattore.

Al fine di comprendere il fenomeno criminale, in un’ottica di prevenzione e gestione dello stesso, è necessario che la conoscenza del criminologo sia specializzata, partendo dalla base del background personale dell’interessato.

Ad esempio un laureando o laureato in biologia, in chimica, in ingegneria o nel campo giuridico e psicologico, che è appassionato dello studio del crimine dovrà, attraverso la sua formazione di base, conoscere questa affascinante materia, gli strumenti di indagine del criminologo e tanto altro.

Dopo che il discente si sarà formato anche nella disciplina, così vasta e mai statica, della criminologia potrà ritenere la sua formazione costruita su due pilastri, che dovranno sempre essere aggiornati, quella di base (biologia, chimica, giurisprudenza, sociologia, psicologia, medicina ecc) e il sapere criminologico.

La criminologia è, quindi, anche una “scienza” empirica, eziologica e adattiva, sicché, attraverso metodi anche scientifici, cerca di spiegare anche la causa di una condotta criminale che si adatta al mutamento socio-ambientale.[1]

Pertanto, sulla base di questa breve, ma necessaria premessa, si può già comprendere che non esiste il “criminologo”, ma il “criminologo specializzato inbiologia forense, tossicologia, giuridico, medicina legale, psichiatria, psicologia, pedagogia, grafologia giudiziaria, ingegneria forense ecc.

È questo il primo aspetto da considerare.

Il “criminologo specializzato” dovrà, attraverso la sua duplice formazione, aiutare il sistema tout court considerato a migliorarsi a ri-generarsi, mettendo a disposizione dello stesso le sue conoscenze.

Quando si parla di “sistema”, si fa ovviamente riferimento a tutti i cerchi che compongono l’ordinamento sociale, giuridico/giudiziario.

2. Gli sbocchi del criminologo

Ciò posto, è inevitabile scontrarsi, a questo punto, su un aspetto molto importante: gli sbocchi lavorativi che l’Italia offre al “criminologo specializzato” (d’ora innanzi c.s.), soprattutto se si tiene conto dell’assenza di un Albo di riferimento dei criminologi che ne riconosca la figura a 360°.

Ciò però è vero fino ad un certo punto.

Si può dire che l’attività del criminologo è tutelata indirettamente dalla legge n. 4/2013, che disciplina le c.d. “professioni associative” senza albo, e direttamente dall’ANCRIM, iscritta nell’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico che verifica la conformità dei requisiti prescritti dalla legge da parte dell’Associazione in questione che[2] ha rilevato ...con il benestare dei preposti Uffici ministeriali, l’Associazione Nazionale Criminologi e Criminalisti rilascia ai propri iscritti Criminologi (e Criminalisti) l’Attestato di Qualità e Qualificazione Professionale dei Servizi prestati ai sensi degli artt. 4, 7 e 8 della legge 4/2013…(e) chiarisce nuovamente che, l’esercizio della professione di Criminologo, in tutte le sue declinazioni (investigativo, forense e per la sicurezza), non necessita di alcuna certificazione UNI…”.

Delle varie domande - che sono poste da studenti di ogni ordine e grado e conoscenti che sono interessati ad inoltrarsi nello studio di questa affascinante disciplina e dai relativi familiare degli stessi - si percepisce immediatamente il fuoco della conoscenza, ma allo stesso tempo un comune timore in ordine agli sbocchi lavorativi futuri alla frequentazione di un corso di alta formazione, un master o una specializzazione universitaria post triennio.

Ebbene, si può comprendere da quanto sin qui detto che la criminologia non è solo una disciplina teorica, ma principalmente pragmatica che affonda le sue radici sull’osservazione e studio a campione ed individuale dei fenomeni criminali.

Al fine di coadiuvare tutte le forze implicate nella risoluzione e prevenzione di un crimine è necessario quindi uno studio sistematico e continuo delle discipline criminologiche, afferenti all’area di appartenenza, e di attività pratica; come ad esempio può essere l’impiego nel sistema penitenziario dell’adozione di un trattamento penitenziario individualizzato e personalizzante ex art. 13 o.p. e 29 reg. penit. a cura di esperti in criminologia, nonché nel settore della sicurezza urbana, informatica aziendale attraverso l’attuazione di progetti di prevenzione del crimine in collaborazione con un’amministrazione pubblica o privata.

Detto in altri termini, l’attività del “c.s.” può spaziare in tutti i settori che afferiscono al crimine[3] e che hanno come finalità la prevenzione, la repressione dello stesso, la rieducazione e il sostegno psicologico delle vittime del reato, tra cui il reo.

Queste finalità possono essere raggiunte attraverso lo strumento della formazione e della conoscenza in tutti i settori sociali per sostenere lo sviluppo della cultura della prevenzione e della rieducazione della devianza e del crimine.

2.1. Il procedimento penale

Il “c.s.”, soprattutto nelle ultime discipline di specializzazione, può trasmettere le sue conoscenze in alcune “fasi” del procedimento penale.

In primis in quelle previste indirettamente dalla Costituzione e direttamente dalla legge italiana: la fase dell’esecuzione della pena.

Secondo l’articolo 27, co. III della Costituzione “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Principio costituzionale questo trasposto e ripreso in più parti dalla legge istitutiva dell’ordinamento penitenziario e dalle relative fonti di secondo grado relative all’esecuzione della pena, benché si rileva queste ultime non siano completamente dirimenti e sempre specifiche.

Invero, ai fini dell’attuazione del principio cardine in esame, l’ordinamento penitenziario (o.p.) prevede il trattamento penitenziario “personalizzato” per tutta la durata dell’esecuzione della pena e anche post pena, ai sensi dell’art. 13 che recita: “Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l’osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale[4]”.

Se allora l’esecuzione della pena deve essere misurata sulla base della personalità dell’interessato, ovvero delle “carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale”, sicché la personalità è il prodotto dell’indole e del carattere della persona, chi più di un “c.s.” in ambito forense, psicologico, educativo può predisporre un’osservazione scientifica del genere e un programma risocializzante cucito ad personam.

L’art. 80 o.p. infatti prescrive "Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria (DAP) può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate".

Il DAP, quindi, ha la facoltà di avviare una collaborazione professionale con l’esperto che, in sostanza, dovrà valutare la permanenza dei presupposti della pericolosità sociale eterodiretta o autodiretta dell’individuo dall’ingresso nell’istituto penitenziario e, soprattutto, durante l’esecuzione della pena, anche per consentire l’applicazione di misure alternative alla detenzione.[5]

L’organo giudiziario competente a decidere, tra gli altri aspetti, sulle richieste delle misure alternative alla detenzione è infatti il Tribunale della Sorveglianza, composto da 4 giudici: 2 togati ordinari e 2 non togati esperti in psicologia, servizi sociali, pedagogia, psichiatria, criminologia clinica, nonché docenti di scienze criminalistiche, nominati dal CSM.

Il “c.s.” può esercitare la sua attività professionale anche in materia di devianza adolescenziale e, quindi, in tutte quelle situazioni afferenti al disagio psico-fisico prodotto sul minore o dal minore all’esterno, come il giudice onorario esperto presso il Tribunale per i Minorenni su delibera del CSM.

Ecco individuati i primi luoghi di impiego del “c.s.”.

Ciò posto, è necessario chiedersi se l’attività del “c.s.” si esaurisca solo in questa fase del procedimento penale?

La risposta a questo quesito non è semplice, perché dipende anche dall’interpretazione costituzionale delle norme di riferimento e dalle fasi procedimentali cui si riferisce, ma andiamo per gradi.

I principi costituzionali rappresenteranno, come sempre, i fari che ci guideranno nell’analisi in questione.

Indagini preliminari

Prima di tutto v’è da rilevare che l’Autorità giudiziaria, le Forze dell’ordine e i difensori possono avvalersi della collaborazione professionale del “c.s.” a livello procedimentale, per coadiuvare l’attività di indagine in ordine all’accertamento della verità del fatto di reato.

I difensori, come è noto a seguito dell’introduzione della legge n. 397 del 7 dicembre 2000, possono avvalersi della cooperazione professionale del “c.s.”, ex art. 391-bis ss c.p.p., in ordine all’attività investigativa da compiere, in ossequio ai principi del giusto processo, di uguaglianza e di difesa, per accorciare, in sostanza, le distanze di ruoli tra il PM e la difesa[6].

La collaborazione può concretizzarsi materialmente in vari modi: dalla consulenza relativa al criminal profiling, alla lettura del linguaggio del corpo (che rappresenta il 90% della comunicazione personale), alle tecniche di conduzione di un interrogatorio per carpire la verità dall’interrogato, al sostegno psicologico alle varie tipologie di vittime, all’investigazione scientifiche (es. analisi contraffazione, digital forensics, incidenti ecc).

Lo stesso dicasi per la parte dell’accusa, in vista dell’esercizio dell’azione penale, nel procedimento penale e quindi della polizia giudiziaria.

Proprio in ossequio al principio assoluto di democraticità, sub-del contradditorio, tutte le parti hanno il diritto di partecipare al procedimento ad armi pari e in virtù soprattutto della ratio di fondo del sistema processuale penale che è quella di devolvere alle parti la ricerca delle prove e la relativa formazione per la richiesta di ammissione delle stesse (sistema tendenzialmente accusatorio) ex artt. 220 c.p.p., 225 c.p.p., 359 ss. c.p.p.

Il dibattimento[7]?

Ebbene a questo punto, per sapere cosa accade all’attività del “c.s.” nel cuore del procedimento penale, ovvero quando si apre il processo e si avvia la fase dibattimentale, è necessario seguire le direttive dei principi costituzionali.

La disposizione principale di riferimento è l’art. 220 c.p.p. che circoscrive la perizia ad un limite oggettivo, ovvero solo quando  «occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche», ad un limite soggettivo, ovvero le perizie «non sono ammesse per stabilire l’abitualità, la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere , il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche». Cioè sono ammesse solo perizie per verificare la malattia mentale del reo, salvo nel caso in cui ci troviamo in fase di esecuzione della pena o di misura di sicurezza, perché in questo caso la valutazione del criminologo è circoscritta all’individuazione del  trattamento più conforme ai bisogni del condannato e dell'internato sulla base dell'osservazione scientifica della personalità (L. 26 luglio 1975 n. 354, artt. 1, 13,  80 e 28 D.P.R. n. 431 del 29 /04/1976), come si è già detto.

È ammessa solo, quindi, la perizia per accertare l’imputabilità del reo ex art. 85 c.p.

È possibile, a parere di chi scrive, già confutare il pensiero espresso da taluni[8] secondo cui vige nel nostro ordinamento il divieto assoluto della perizia criminologica, sulla base di una interpretazione logica, ragionevole e secondo costituzione del dato letterale.

Sicché ci si chiede - se il giudice nomina un criminologo specializzato in psichiatria forense o neuro-criminologia che, attraverso l’utilizzo delle neuroscienze, effettua lo screening topografico cerebrale per attestare se vi sono possibili anomalie strutturali e/o funzionali dell’interessato - perché questa attività non può essere qualificata come una forma di “perizia criminologica specializzata” che viene effettuata anche in altre fasi del procedimento, come si è detto?

Pertanto, uno specializzando in criminologia che abbia una formazione professionale in psicologia, psichiatria ecc, potrà essere nominato perito “c.s.” direttamente dal giudice in dibattimento. Quella è una perizia criminologica specializzata.

Si rileva, inoltre, che la norma si riferisce solo alla “perizia” e non già alla “ct” di parte. Quindi, inclusio unius exclusio alterius, è ammissibile una ct delle parti avente per oggetto l’esame in questione.

Ora, continuando ad esaminare il dato letterale del 2° comma dell’art. 220 c.p.p., la norma in sostanza impedisce di compiere una perizia “c.s.” che ha per oggetto l’accertamento dell’“abitualità, professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche”.

Tralasciando per un attimo la ratio del divieto che è stata rilevata da molti in dottrina, ci si deve focalizzare su un punto importante per comprendere la contraddizione in cui è incorso il legislatore.

La perizia “c.s.”, come si è detto, è ammessa se ha per oggetto l’imputabilità, ovvero la capacità di intendere e di volere ai sensi dell’art. 85 c.p.

L’imputabilità, in buona sostanza, non è altro che l’insieme delle facoltà e capacità intellettive e volitive che costituiscono la base del “comportamento” dell’individuo.

Secondo la “teoria del campo di Lewin” il comportamento non è altro che il prodotto della personalità e dell’ambiente.

La personalità è, invece, il risultato del temperamento e del carattere, ovvero il primo è l’insieme delle peculiarità bio-psicologiche innate/geneticamente che mutano in una continua relazione dinamica con l’ambiente che, connesso al temperamento, determinano il carattere.

Si può quindi affermare che l’imputabilità è la base del comportamento e quindi della personalità dell’interessato[9].

Sulla base di questa analisi logica, di carattere criminologica, ad avviso di chi scrive, non si riesce a spiegare la contraddizione sottile in cui è incorso il legislatore.

La norma infatti ammette da, un lato, la perizia sull’imputabilità[10] e, dall’altro, non la estende al “carattere e la personalità dell’imputato…” che rappresentano come si è visto la base dell’imputabilità e ai suoi derivati, quali “…abitualità, professionalità nel reato, la tendenza a delinquere”.

In secondo luogo, ma non meno importante, non si riesce a comprendere la ratio della considerazione della dichiarazione di “abitualità, professionalità o per tendenza” in sentenza ex art. 533 c.p.p. che, combinato all’art. 103 c.p., permette al giudice di considerare la “condotta e il genere di vita” del reo.

Cioè detto in altri termini, da una parte, il legislatore non permette la perizia in processo “c.s.” per accertare l’abitualità, la professionalità e la tendenza a delinquere e, dall’altra parte, invece la considera ai fini della dichiarazione di abitualità in sentenza e perfino ai fini dell’irrogazione della pena ex art. 133, co. II c.p.

Di certo, ai fini dell’esercizio del potere discrezionale il giudice dovrà avvalersi di un “c.s.” per accertare la “capacità a delinquere del colpevole desunta…dal carattere del reo….dalla condotta e dalla vita individuale, familiare e sociale del reo…” ex art. 133, co. II c.p., ai fini dell’applicazione della pena.

Le contraddizioni sono irragionevoli. V’è, tra l’altro, un difetto di coordinamento tra il codice penale e il codice di rito, frutto ancora di uno scontro tra le scuole di pensiero criminologiche.

Ciò posto, proprio in virtù dell’irragionevolezza, esaminiamo quanto eccepito da più parti in ordine alle violazioni costituzionali del comma in esame.

Si è detto da più parti che la ratio del divieto in questione, irragionevole già sulla base di quanto ho evidenziato, si fonda sul presunto pericolo di una lesione del principio di autodeterminazione, sub-specie della libertà morale dell’interessato, sicché una perizia siffatta lo indurrebbe ad una confessione non volontaria fino ad arrivare a fondare un giudizio sulla base di pregiudizi soggettivi, sconfinando così i principi di materialità e di presunzione di innocenza sui quali si basa il diritto penale.

Questa ratio rappresenta la direttiva sulla quale si sono fondati i fallimenti dei progetti di modifica al codice di rito proposti dai più in dottrina.

Il divieto in esame entra in palese contrasto con i principi del giusto processo, sicché non consente all’accusato di un reato (sia) di “disporre delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa…(che di disporre) dall’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore” ex art. 111, comma III della Costituzione. Soprattutto se si considera che la “c.s.” è scienza empirica, adattiva, eziologica, perché risponde ai criteri di controllabilità e sistematicità che si adatta alla realtà di riferimento che può aiutare a comprendere l’imputabilità tout court considerata dell’interessato al fine di offrire più garanzie per tutti i soggetti coinvolti nel crimine in tutte le fasi e competenze procedimentali (come in quello minorile ove è ammessa[11]), violando così l’art. 3 Cost. e il principio del favor rei.

Orbene, sulla base di quanto sin qui esposto si rileva che la perizia criminologica specializzata:

  1. nella fase dell’esecuzione della pena è ammessa;
  2. nella fase delle indagini preliminari e pre-indagini preliminari è ammessa;
  3. nella fase del dibattimento è ammessa per tracciare l’imputabilità, ma, a mio sommesso avviso per le ragioni che ho spiegato, anche quindi in ordine ai corollari dell’imputabilità (personalità tout court considerata), o comunque attraverso una ct di parte.

2.2. Attività investigativa e di prevenzione/ sicurezza urbana

L’attività del “c.s.” si espande anche nell’area investigativa per la ricerca, la prevenzione del crimine e la tutela dei diritti fondamentali della persona in qualsiasi procedimento giudiziario, dalle cause civili relative ad incidenti stradali, a quelle in ordine alla separazione e divorzio con addebito[12], al licenziamento fino ad arrivare a quelle penali.

Un laureato in giurisprudenza può ad esempio, al termine del percorso universitario, specializzarsi praticamente in indagini investigative scientifiche per poter spendere in futuro il suo profilo ad aziende che necessitano di un’analisi specialista anche in digital forensic, Pubbliche Amministrazioni (P.A.) e privati.

Proprio in relazione al rapporto di collaborazione professionale che può nascere tra il “c.s.” in investigazioni scientifiche e la P.A. si rileva che una delle varie attività professionali che il primo può compiere è quella di creare, gestire e coordinare progetti per la vivibilità e la sicurezza urbana che sono oggetti di appositi bandi locali.

Il decreto legge n. 14 del 20/02/2017, e la relativa legge di conversione 18 aprile 2017, n. 48, che reca come titolo “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, infatti si inerisce e si fonda sul presupposto di rafforzare l’intervento degli enti territoriali coadiuvati da specialisti della sicurezza per bonificare le aree urbane attraverso programmi di ristrutturazione sulla sicurezza urbana per “migliorare la qualità della vita e del territorio e favorire l’inclusione sociale e la riqualificazione socio-culturale delle aree interessate”.

La tutela della sicurezza urbana, bene giuridico protetto dalla legge in questione, è predisposta attraverso un sistema unitario, coordinato e integrato tra i vari enti territoriali, che è indirizzato verso la prevenzione della criminalità diffusa e predatoria, l’eliminazione delle condizioni di esclusione sociale e la promozione della legalità. Una tutela che può essere direttamente prestata anche dai privati attraverso progetti per la messa in opera di sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzati, con software di analisi video per l’osservazione attiva e invio di allarmi automatici a centrali delle forze di polizia o istituti di vigilanza privata convenzionati. Una tutela quest’ultima che può essere prestata da chi, in sostanza, ha competenze tecniche e pratiche in materia di investigazione scientifiche, come il “c.s.”.

Ebbene, tirando il filo della matassa, gli sbocchi professionali del “c.s.” sono vasti e soprattutto concreti, perché vasta e concreta è questa affascinante disciplina che permette al discente di acquisire competenze non tanto teoriche, ma pragmatiche tali da permettergli di affrontare l’area del crimine tout court considerata a 360°.

Vaste sono quindi le aree di intervento del “c.s.” che, a passo felpato, si sta facendo strada anche nel mercato nazionale attraverso riconoscimenti, diretti e indiretti, anche da parte del Legislatore, al fine di formare la società e per evitare che quest’ultima continui “…(a) prepara il crimine; (e che) il criminale lo commette”[13].

Note e riferimenti bibliografici

[1] Come ad es. il fenomeno mafioso che muta al mutare delle esigenze del sistema economico globale.

[2] Comunicato recente del Consiglio Direttivo Nazionale ANCRIM.

[3]  V’è da rilevare che la criminologia è funzionale anche per il sostegno del benessere culturale e psico-fisico della società e, quindi, dell’individuo. Questa funzione è importante ad es. nel settore della criminologia minorile, dove si avverte molto l’esigenza dello studio delle psicopatologie dell’età evolutive, della devianza adolescenziale e questo può avvenire in modo completo e costruttivo per il pedagogo, lo psicologo, l’assistente sociale attraverso lo studio della neuro-criminologia.

[4] L’attività di impiego del “c.s.” si estende, quindi, anche nei centri di accoglienza, nelle comunità per la riabilitazione alla dipendenza da sostanze psicotrope

[5] Circolare n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013; Circ. Amato n.3233/5683 del 1987

[6] Orbene, anche il difensore di indirizzo penalistico che, a seguito di un percorso di formazione teorico-pratico composto da corsi di Alta formazioni accreditati anche dal CNF, master ecc, oltre a ricevere crediti formativi obbligatori può svolgere parte delle consulenze tecniche del “c.s.”, così come tutte le altre categorie professionali.

[7] Si precisa che il concetto è esteso ovviamente all’incidente probatorio, quale parentesi procedimentale del dibattimento durante la fase delle indagini preliminari.

[8] Ad es. Eramo, “Il divieto di perizie psicologiche nel processo penale: una nuova conferma della Cassazione”; S.C., sent. del 13/ 09/2006, n. 30402

[9] Diversamente da quanto è stato rilevato dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 179 del 6/12/1973 che ha precisato che il carattere e la personalità sono due concetti diversi.

[10] Come si è detto la perizia sull’imputabilità è a tutti gli effetti una perizia “c.s.”

[11] La perizia “c.s.” è consentito nel processo minorile secondo l’art. 11 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404. Anche se v’è da precisare che il giudice delle leggi, con la sent. n. 179, 19/12/1973, ha già rilevato che la differenza è ragionevole, sicché differenti sono gli ambiti.

Anche se, a mio avviso, non si riesce a comprendere quale sarebbe la differenza, dato che trattasi sempre di persone che in ordine al fine della pena dovrebbero essere rieducate e alla rieducazione e risocializzazione non dovrebbero porsi limiti e differenze; per non parlare del principio del contradditorio che verrebbe palesemente e irragionevolmente violato in ordine alla formazione di una prova, quale può essere la scienza criminologica di specializzazione la cui attendibilità può essere accertata attraverso la discovery.

[12] Ad es. in caso di presunta infedeltà coniugale o di violazioni dei principi fondamentali che regolano una relazione di lavoro da parte di un lavoratore

[13] Cit. Henry Thomas Buckle.