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Pubbl. Lun, 24 Giu 2019

Il mandato di arresto europeo e la procedura passiva di consegna

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Salvatore D´angelo


L´istituto del mandato di arresto europeo (MAE) introdotto in Italia con la legge 69 del 2005 in attuazione della decisione quadro 2002/584/GAI: la procedura passiva di consegna nell´ottica dei diritti di difesa del destinatario e i motivi di rifiuto della richiesta.


Sommario: 1. L'introduzione del mandato di arresto europeo; 2. I requisiti per la consegna e la procedura di consegna attiva del mandato di arresto europeo; 3. Il procedimento passivo di consegna in seguito all’arresto eseguito dalla Polizia Giudiziaria; 4. Procedura passiva in seguito all’emissione del MAE da parte di uno stato membro; 5. I motivi di rifiuto della richiesta di consegna.

1. L’introduzione del mandato di arresto europeo.

La legge 22 aprile 2005, n. 69 ha dato attuazione nell’ordinamento interno a quanto previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri dell’Unione europea[1].

L’art. 2 della suddetta legge, in particolare, prevede una specifica definizione del mandato di arresto europeo descritto come una “decisione giudiziaria che uno Stato membro dell’Unione Europea emette in vista dell’arresto e della consegna, da parte di altro stato membro, di un determinato soggetto, affinché possa essere esercitata l’azione penale ovvero possa essere data esecuzione ad una pena o ad un’altra misura idonea a privare della libertà personale”[2].

Inoltre, con la legge in parola, è stata integrata l’antecedente disciplina sull’estradizione con l’introduzione di una nuova disciplina – che opera tra le sole autorità giudiziarie – sulla consegna  dei soggetti nei confronti dei quali è stata emessa una sentenza passata in giudicato o applicata una misura cautelare.

Il mandato d’arresto europeo è, in altre parole, una forma di estradizione semplificata affidata alle autorità giudiziarie dei Paesi membri dell’Unione Europea e che, basandosi sul principio del “mutuo riconoscimento” tra gli Stati dell’Unione, è in grado di superare la necessaria intermediazione del potere politico[3].

Tale semplificazione si riscontra, infatti, in diversi aspetti: innanzitutto, come anticipato, è stato eliminato il filtro del potere politico poiché il ministro della giustizia è, in tale procedura, un mero organo di assistenza amministrativa; in secondo luogo, i motivi di rifiuto all’esecuzione del mandato di arresto europeo possono essere soltanto quelli previsti in modo uniforme per i Paesi membri dell’Unione; ulteriormente, per trentadue specifiche categorie di reati, è stata superata la condizione della doppia incriminazione in modo tale che non si dovrà più procedere a verificare che la condotta costituisca un reato in entrambi i paesi membri; infine, i tempi della procedura di consegna sono stati notevolmente snelliti dovendo essere esercitata entro il limite dei sessanta giorni, prorogabile di altri trenta. 

2.  I requisiti per la consegna e la procedura di consegna attiva del mandato di arresto europeo.

Diversi sono, invece, i requisiti per la consegna imposti dalla legge: in primo luogo, ovviamente, il mandato di arresto europeo deve essere conforme ai principi supremi previsti dalla Carta Costituzionale e, in particolare, ai diritti connessi alla libertà personale e ai principi del giusto processo.

In secondo luogo, il provvedimento su cui si basa il mandato di arresto europeo deve essere irrevocabile e, dunque, nel caso in cui si tratti di sentenza deve avere la forma del giudicato penale.

Infine, si richiede che la decisione giudiziaria estera, sulla base della quale è emesso il mandato da eseguirsi, consista alternativamente o in una sentenza irrevocabile di condanna o in un provvedimento cautelare sottoscritto da un giudice e motivato.

Sulla base di tale decisione giudiziaria, l’autorità dello Stato emittente dovrà formulare una richiesta che sarà valutata dalla corte d’appello competente dello Stato destinatario che, a sua volta, dopo una procedura in contraddittorio, dovrà decidere se respingerla o disporre la consegna del soggetto che, nel caso, sarà eseguita dal ministro della giustizia.

Una delle condizioni essenziali per dare esecuzione al mandato di arresto europeo è rappresentata dalla circostanza che il fatto imputato sia previsto come reato anche dalla legge italiana, oltre che da quella dello Stato richiedente, nel rispetto del principio della doppia punibilità previsto dall’art. 7, comma 1, della legge n. 69 del 2005.

La giurisprudenza italiana, sul punto, ha ritenuto che per soddisfare tale condizione non sia necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell'ordinamento straniero trovi una perfetta corrispondenza in una norma dell'ordinamento italiano, ma è sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l'eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato. 

Come anticipato, però,  una delle  principali innovazioni del mandato d’arresto europeo si riscontra proprio nel fatto che l’art. 8 della legge n. 69 del 2005 ricomprende 32 tipi di reati per cui la consegna è obbligatoria a prescindere dalla “doppia incriminazione” in entrambi gli Stati dell’UE a condizione, però, che per il singolo reato nello Stato richiedente sia prevista una pena di almeno tre anni[4].

In altre parole, tali categorie di reato si ritiene che assumano un’identica rilevanza penale all’interno di tutti gli Stati dell’UE operando, infatti, il mandato di arresto europeo una sorta di unificazione del diritto penale, così come era già stato previsto nel trattato di Amsterdam.

La legge 69/2005 prevede due differenti tipologie di procedure di consegna: una attiva ed una passiva.

In primo luogo, la procedura di esecuzione attiva viene utilizzata quando un magistrato italiano chiede ad uno Stato membro dell’Unione europea la consegna di un soggetto ricercato. L’art. 28 della legge n. 69 del 2005, in particolare, ha previsto che il mandato di arresto debba essere emesso dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari oppure dal pubblico ministero presso il giudice dell’esecuzione che ha emesso, ex artt. 656 ss. c.p.p., l’ordine di esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza.

3. Il procedimento passivo di consegna in seguito all’arresto eseguito dalla Polizia Giudiziaria.

Venendo, invece, a quanto ci interessa più da vicino in questa sede, il procedimento passivo di consegna -regolato dagli artt. 5 e ss. della legge n. 69 del 2005- è rappresentato dal caso in cui l’Italia riceva un ordine di consegna riguardante un determinato soggetto ricercato, e può essere attivato con due differenti modalità.

Innanzitutto, attraverso una richiesta ricevuta dal Presidente della Corte di appello competente – o dal ministro della giustizia, che la trasmette al predetto – oppure, in alternativa, direttamente in seguito ad un arresto operato dalla polizia giudiziaria sulla base di una segnalazione inserita nel Sistema Informativo Schengen (SIS), così come previsto dall’art. 11 della legge di cui si tratta.

In tale seconda ipotesi, dunque, al momento dell’arresto la polizia giudiziaria deve fornire al soggetto ricercato (in una lingua ad egli comprensibile) tutte le informazioni sul contenuto del mandato ed informarlo circa la facoltà di prestare il proprio consenso alla consegna o di farsi assistere da un difensore. 

L’art 13 della legge n. 69 del 2005 stabilisce, poi, che “entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto, il presidente della corte di appello (o un magistrato da lui delegato) dovrà provvedere, se necessario in presenza di un interprete, a sentire la persona arrestata con la presenza di un difensore”, ai fini della convalida dell’arresto.

Sul punto, inoltre, laddove risulti evidente che l’arresto sia stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, dispone con decreto motivato che il fermato sia posto immediatamente in libertà. 

Fuori da questo specifico caso, al contrario, si procederà alla convalida dell’arresto provvedendo con ordinanza.

A prescindere da come si sia dato inizio al procedimento di esecuzione, il destinatario del mandato di arresto europeo deve, poi, essere posto immediatamente, e non oltre le ventiquattro ore, a disposizione del presidente della corte d’appello competente, ai sensi dell’art. 11 della legge 69/2005, poiché la consegna di un imputato o di un condannato all’estero non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello competente.

Al tempo stesso, deve essere contemporaneamente informato anche il Ministro della giustizia che, a sua volta, provvede ad avvisare lo Stato membro richiedente dell’avvenuto arresto

4. Procedura passiva in seguito all’emissione del MAE da parte di uno stato membro.

Oltre al caso dell’arresto eseguito dalla polizia giudiziaria, come anticipato, la legge 69/2005 prevede che la procedura passiva di consegna del MAE sia eseguita, di regola, in seguito al caso in cui uno Stato Membro emetta un MAE e l’autorità giudiziaria italiana lo riceva unitamente alla documentazione allegata.

In particolare deve essere inviata: una relazione sui fatti addebitati alla persona, con l’indicazione delle fonti di prova; il testo delle disposizioni di legge applicabili; i dati segnaletici ed ogni altra possibile informazione atta a determinare l’identità del soggetto di cui si richiede la consegna.

Il giudice competente a dare esecuzione al mandato di arresto europeo è, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 69 del 2005, la corte di appello nel cui distretto l’imputato o il condannato ha rispettivamente la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento arriva all’autorità giudiziaria italiana. Se la competenza non può essere stabilità per territorialità, sarà competente la Corte d’appello di Roma.

Ad ogni modo, il presidente della corte d’appello procede, ai sensi dell’art. 10 della legge 69/2005, all’audizione, a puro scopo informativo, della persona ricercata. 

Durante tale udizione – in cui è comunque necessaria la presenza di un difensore di fiducia o di ufficio, il quale deve essere avvisato almeno ventiquattro ore prima della data fissata per lo svolgimento delle predette attività – il magistrato si limiterà ad informare il soggetto interessato del contenuto del mandato d’arresto europeo e della procedura di esecuzione.

Qualora il ricercato presti il proprio consenso alla consegna, l’ordine di esecuzione viene emanato dal presidente della corte entro dieci giorni con ordinanza.

Laddove, invece, il consenso non venga dato il presidente della corte d’appello deve fissare con decreto l’udienza per la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo. Tale decisione viene pronunciata dalla corte d’appello in camera di consiglio con sentenza entro sessanta giorni, prorogabili di altri trenta, sentito il procuratore generale ed il difensore del ricercato.

5. I motivi di rifiuto della richiesta di consegna.

Ovviamente l’accoglimento della richiesta di esecuzione presuppone, oltre al rispetto di tutte le garanzie costituzionali[5]e dei diritti umani, anche l’assenza delle cause ostative o di rifiuto previste dall’ art. 18 della legge 69/2005.

In generale, i motivi di rifiuto possono essere raggruppati in quattro macro categorie: innanzitutto, tre motivi di rifiuto obbligatori previsti dalle lett. i, m, ed l; in secondo luogo, sono previste una serie di ipotesi ostative all’accoglimento che originariamente erano previste come facoltative nella legge quadro ma che, al contrario, nella legge di attuazione sono diventate obbligatorie; in terzo luogo, si prevedono ulteriori cause ostative in virtù dei considerando 12 e 13 e non direttamente discendenti dall’art. 18; in ultimo, sono state previste nell’art. 18 una serie di clausole ostative di portata prettamente nazionale e non discendenti dalla legge quadro.

In particolare, tra le varie cause ostative alla consegna previste dall’art. 18 della l. 69/2005, vengono riproposte le cause di giustificazione già previste nel nostro codice penale, concernenti il consenso dell’avente diritto, l’esercizio di un diritto , il caso fortuito e la forza maggiore. Ciò, in realtà, non sembra totalmente in accordo con il principio del mutuo riconoscimento che sta alla base del MAE, poiché – così facendo – all’autorità di esecuzione viene, di fatto, riconosciuto una possibilità di fare una valutazione nel merito che potrebbe portare ad un ampliamento, in concreto, dei casi di rifiuto[6].

Tra le cause di rifiuto della richiesta di consegna particolare attenzione merita la mancanza dei “gravi indizi di colpevolezza” prevista dall’art. 17, comma 4 della legge n. 69 ai sensi del quale “in assenza di cause ostative la corte di appello pronuncia la sentenza con cui dispone la consegna della persona ricercata se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se esiste una sentenza irrevocabile di condanna”. 

Sul punto, occorre osservare che l’accertamento della responsabilità penale, sia pure allo stato degli atti, è comunque fondamentale nel nostro ordinamento  per consentire la restrizione della libertà personale. 

La Corte di Cassazione, sul tema, ha sottolineato con la Sentenza n. 34355/2005 che i “gravi indizi di colpevolezza” devono essere riconoscibili dall’autorità giudiziaria italiana. Anche se questa si deve limitare a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa o processuale, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente ha ritenuto “seriamente evocativo” di un fatto di reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna.

Fin dall’entrata in vigore della legge 69 del 2005, la Corte di Cassazione è ritornata più volte sull’interpretazione dei motivi di rifiuto della consegna operando, nel tempo, un’elaborazione di tipo correttivo rispetto ai profili della legge in parola che risultavano distorsivi della ratio della decisione quadro. Sul punto, infatti, la Suprema Corte ha seguito un percorso interpretativo in senso conforme a quello dello spirito che sottende la decisione quadro di derivazione europea.

Sotto altro profilo, la Corte, ricorrendo ad un’interpretazione logico-sistematica e ad una lettura orientata della procedura del MAE, ha potuto evitare distorsioni eccessive dell’originaria ratio della decisione quadro[7].

Altro versante su cui, a più riprese, la Corte di cassazione ha avuto l’opportunità di pronunciarsi è l’ipotesi prevista dalla lett. dell’articolo 18, configurante l’ipotesi di ne bis in idem

Fra le numerose questioni affrontate, sul punto, la Suprema Corte ha specificato che «ai fini della configurabilità del motivo ostativo [...] occorre avere riguardo al criterio della identità sostanziale dei fatti oggetto dei relativi procedimenti, indipendentemente dall’interesse tutelato, ovvero dall’eventuale diversa qualificazione giuridica attribuita all’episodio dalle autorità  dello Stato richiedente e di quello richiesto»[8]

Infine, per concludere, sembra necessario sottolineare che l’art. 22 della l. 69 del 2005 stabilisce che contro i provvedimenti che decidono sulla consegna della persona ricercata è possibile proporre ricorso per cassazione, con effetto sospensivo della sentenza di consegna (anche se, in tal caso, la misura cautelare resterà comunque in vigore).

In conformità con quanto previsto dall’art. 706 c.p.p. che, come noto, disciplina il ricorso per cassazione contro le decisioni della corte d’appello in materia di estradizione, tale ricorso potrà essere presentato anche per motivi di merito, entro dieci giorni dal momento in cui le parti sono venute a conoscenza dei provvedimenti. 

Dunque, la corte di Cassazione potrà verificare – oltre gli eventuali vizi in procedendo – anche l’esistenza dei presupposti previsti dall’art. 17, comma 4,  e l’assenza dei motivi di rifiuto previsti dall’art. 18 della legge n. 69 del 2005.

Ciò vuol dire in definitiva che la corte di Cassazione, nel giudicare sul merito, ha ampi poteri per confermare o riformare la sentenza impugnata, oltre alla possibilità prevista dall’art. 22, comma 6, della legge n. 69 ai sensi del quale potrà anche annullare con rinvio, che dovrà essere poi deciso dal giudice competente entro venti giorni dalla ricezione degli atti.

Note e riferimenti bibliografici:

[1]Fin dal Consiglio di Tampere del 1999, il principio del reciproco riconoscimento costituisce il presupposto politico e giuridico su cui è stato costruito il meccanismo del MAE, e più in generale, della cooperazione giudiziaria in materia penale. Fra i molti contributi, in questo senso C. Janssens, The principle of mutual recognition in EU law, Oxford 2013. 

[2] In conformità a quanto stabilito dall'articolo 6, paragrafi 1 e   2,  del  Trattato  sull'Unione  europea  e  dal  punto  (12)  dei consideranda  del  preambolo  della  decisione quadro, l'Italia darà esecuzione  al  mandato  d'arresto  europeo nel rispetto dei seguenti diritti  e  principi  stabiliti  dai  trattati internazionali e dalla Costituzione: a)  i  diritti  fondamentali  garantiti  dalla  Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle libertà fondamentali, firmata a  a Roma  il  4 novembre  1950,  resa esecutiva dalla legge 4 agosto  1955,  n. 848,  in particolare dall'articolo 5 (diritto alla liberta'  e alla sicurezza) e dall'articolo 6 (diritto ad un processo equo), nonché dai Protocolli addizionali alla Convenzione stessa; b)  i principi  e  le regole  contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al  giusto  processo, ivi  compresi  quelli relativi  alla tutela della libertà  personale, anche in relazione al diritto  di difesa  e  al principio  di eguaglianza, nonché quelli relativi  alla  responsabilità  penale e alla qualità delle sanzioni penali.

Per le  finalità di cui al comma 1, possono essere richieste idonee garanzie allo Stato membro di emissione. L'Italia rifiuterà la consegna dell'imputato o del condannato in caso  di  grave e  persistente  violazione, da parte dello Stato richiedente,  dei principi di cui al comma 1, lettera a), constatata dal  Consiglio dell'Unione  europea  ai sensi  del  punto (10) dei consideranda del preambolo della decisione quadro.

[3]Sul punto risulta illuminante quanto osservato da A. Damato, P. De Pasquale, N. Parisi, in "Argomento di diritto penale europeo", Torino 2014, pp. 125 e ss.

[4] In particolare, l’art. 8, rubricato “consegna obbligatoria”, supera il principio della doppia incriminazione prevedendo che: “Si fa luogo alla consegna in base al mandato d'arresto europeo, indipendentemente  dalla doppia incriminazione, per i fatti seguenti, sempre  che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni”, provvedendo successivamente ad elencare un folto elenco di trentadue tipologie di reato per cui tale deroga viene applicata.

[5]Sul punto, risulta interessante l’ordinanza n. 24 del 2017, attraverso cui la Corte Costituzionale ha sollevato un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia. L’ordinanza, nello specifico, si inserisce nel dialogo tra le Corti a seguito della sentenza  emessa dalla CGUE sul caso Taricco.

[6]Sul punto si è di recente espressa, con lo scopo di frenare tale possibilità di ampliamento delle cause di rifiuto all’esecuzione del MAE, anche la Corte di Giustizia con la Sentenza CG 16.07.2015, causa C-237/15 PPU, Lanigan.

[7]In tal senso, G. De Amicis, il Mandato d’arresto europeo: prassi e problemi applicativi, in europeanrights.eu 2009, pp. 57 e ss.

[8]Si veda, tra le tante, la Sentenza 28.9.2006 della Corte di Giustizia, causa C-150/05, Van Straaten; oppure – sempre sul tema del ne bis in idem– Cass. 15.6.2012, n. 26414 e Cass. 31.1.2014 n. 5092 in cui la Corte ha ribadito che  “il medesimo fatto” sussiste quando vi sia la corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato.